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Autore: WolfieIzzy    02/04/2017    1 recensioni
Aprile 1795. Eleanor Kenway è su una carrozza diretta a Parigi, dopo aver affrontato un viaggio partito quasi un mese prima da casa, in America. Vuole scoprire di più sulla sua famiglia. Vuole scoprire da dove viene. Vuole diventare un'Assassina come suo padre, Connor. In Francia la aspetta il suo destino, e il Maestro Arno Victor Dorian, che la addestrerà per farla diventare un'Assassina perfetta e con il quale combatterà per il futuro della Nazione. Ambientata dopo gli eventi di Assassin's Creed Unity.
NB: Questa storia cerca di essere il più possibile fedele sia ai fatti storici reali, che a quelli fittizi appartenenti alla storia di Assassin's Creed. Qualsiasi modifica apportata al "canone" storico reale e/o appartenente al mondo di AC è voluta ed è utile ai fini della storia. Buona lettura!
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arno Dorian, Napoleone Bonaparte, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sera del giorno successivo mi diressi nel quartiere della Chiesa di San Rocco.

'Eleanor, tesoro! Come stai?' Camille mi abbracciò appena mi vide, sul tetto dell'orfanotrofio.

'Molto meglio Camille, grazie. E tu?' 

'Non c'è male. A parte gli ultimi scontri che stanno accadendo in città che dobbiamo sempre tenere sotto controllo...' disse lei.

'Si, Etienne me ne ha parlato. Se la città non era già un inferno per colpa del caldo, ora mancano solo i realisti a peggiorare il tutto più di quanto facessero già prima.'

'Beh, noi siamo qui per questo, no? Evitare che prendano il comando. La popolazione ormai vive nella paura da anni. Tu sei pronta a tornare all'azione?'

'Lo sono, Camille. Sai, prima potevo solo immaginare la situazione, ma ora che sono qui da qualche mese mi sto rendendo conto della realtà della Rivoluzione. Spinge la gente al terrore e fa perdere spesso la speranza che all'inizio ne aveva mosso il desiderio di libertà.' riflettei.

Camille annuì. 'È la verità. Ma noi non dobbiamo farci scoraggiare da quello che sta accadendo. Eleanor, noi siamo la speranza di questa gente. Anche se non ci conoscono, sanno che c'è qualcuno dalla loro parte, e quel qualcuno siamo noi, sono i portavoce del popolo, quelli che hanno il coraggio di farsi valere in mezzo a questo casino.'

Le sue parole mi confortarono, rendendomi preparata a quello che ci aspettava.

'Hai ragione, Camille. E io sono felice di far parte di quelle persone insieme a te, insieme agli Assassini.'

Lei fece un cenno con la testa per ringraziarmi, e mi sorrise. 

'Andiamo, ora. Anche noi dobbiamo continuare a farci valere per la libertà e diritti di questa gente.'

Scendemmo in strada ed entrammo nel cortile dell'orfanotrofio. Sembrava tutto chiuso, ma ormai non mi sorprendevo più. La gente ormai era rintanata in casa in quasi tutta la città.

Mi feci avanti sui gradini e
bussai alla porta.

Nessuna risposta.

Bussai di nuovo. 
'C'è qualcuno? Devo parlare con la Baronessa Deschamps.' provai ad attirare di più l'attenzione.

Ancora nessuna risposta.
'Forse dobbiamo usare le maniere forti.' disse Camille.

Fece per sfondare la porta quando lo spioncino si aprì e degli occhi ci fissarono.

'Chi siete?' chiese la voce della ragazza dietro la porta, che continuava a fissarci. Appena vide le armi ai nostri fianchi chiuse lo spioncino.

'Andate via! Ci sono altri posti in cui rubare, e di certo un'orfanotrofio non è uno di quelli!' gridò.

Io guardai Camille, che era decisamente confusa.

'Mademoiselle, non siamo delle ladre. Abbiamo solo bisogno di parlare con qualcuno che lavora in questo posto.' dissi io.

'Cosa mi dice che posso fidarmi di voi?' chiese di nuovo.

'Fidatevi, Mademoiselle, abbiamo solo buone intenzioni. Dobbiamo farvi delle domande sulla Baronessa Deschamps.'

Aprì di nuovo lo spioncino fissandoci, e finalmente ci fece entrare nel palazzo, illuminato all'interno solo da qualche lanterna e dalla debole luce che entrava dai balconi socchiusi.

'Allora, Mademoiselle...' iniziò Camille.

'Potete chiamarmi Julie.'

'Julie, dove possiamo trovare la Baronessa? Non è qui, vero?' chiesi.

Fummo interrotte da un bambino che entrò nella stanza, e corse ad abbracciarla.

'Julie, quando torna Bernard? Mi manca tanto...' le chiese.

Julie sorrise, ma poi ci guardò preoccupata. 'Torna presto, tesoro. Domani mattina giocherete di nuovo insieme, vedrai.' gli disse. Il bambino annuì sorridendo e corse fuori dalla stanza di nuovo.

'Qui mancano dei bambini. Dove sono?' chiese Camille, decisamente più diretta di me.

'E va bene. Tanto ormai sembrate sapere già tutto. Ma vi prego, promettetemi che non direte in giro quello che sto per confessarvi.' disse lei, seriamente angosciata.

'Hai la nostra parola. E la nostra protezione.' le garantii.

'La Baronessa passa ogni giorno alla stessa ora per prelevare un gruppo di bambini da portare in un palazzo qui vicino, a... costruire armi.' stava iniziando a tremare.

'Costruire armi? Per chi?'

'Per i realisti. C'è un accordo dietro, in realtà. In cambio, il Governo non verrà mai a sapere che lei è ancora viva, altrimenti sarebbe ghigliottinata e l'Orfanotrofio rimarrebbe senza fondi. Lo so che è una condizione terribile, ma come possiamo fare per farlo sopravvivere?' disse in lacrime.

Io mi girai verso Camille, che era sconvolta.

'Julie, mi dispiace che per sopravvivere e far sopravvivere i bambini tu debba sottoporti a una persona del genere. Ma noi siamo qui per questo. La elimineremo, e ti faremo aiutare. Faremo aiutare l'orfanotrofio. D'accordo?' cercai di rassicurarla.

Lei annuì. 'Sembrate delle persone affidabili. Siete delle spie del Governo?' 

Io e Camille ridacchiammo. 
'Più o meno. Ora stai con i bambini. Vedrai, torneremo vittoriose, e con una soluzione. Nè tu nè i bambini dell'orfanotrofio sarete più costretti ad affrontare tutto questo, te lo promettiamo.'

Julie ci disse dove avremmo potuto trovare i bambini e la Baronessa. 

Un gruppo di sette bambini era stato portato infatti, quella sera, in un palazzo non distante vicino alla chiesa di Saint-Denis. La Baronessa, mentre quelle povere creature si occupavano di creare armi - bombe, per la precisione - era in Chiesa a pregare. E il mio primo obbiettivo sarebbe stato quello, se non avessi pensato che forse sarebbe stato meglio portare prima via i bambini da quel posto. 
Così io e Camille ci dirigemmo al palazzo, dove dopo aver eliminato qualche scagnozzo, riuscimmo ad entrare.

Non era un palazzo, ma una specie di capannone. Un deposito per armi. C'erano scatoloni ovunque, impilati l'uno sull'altro. 

'C'è anche un piano superiore. Vedi quella porta?' mi chiese Camille sottovoce.

Io annuii. 'C'è una campana d'allarme. Dobbiamo essere il più silenziose possibile.' così io e Camille salimmo le scale in silenzio tombale, e al piano di sopra trovammo un bruto realista intento a sonnecchiare su una sedia davanti a una porta.

Io trattenni una risata alla vista del libro che aveva appoggiato sulle gambe. Una satira politica. Scossi la testa, e lo infilzai nel collo con la lama celata, per poi trascinarlo dietro le scale.

Camille cercò di ascoltare i rumori nella stanza e bussò alla porta.

'Jean-Pierre, non abbiamo ancora finito qui, maledizione!' disse un'altra voce maschile. A quel punto Camille sfondò la porta e si fiondò sull'uomo, dandogli una ginocchiata sul basso ventre e sgozzandolo con il pugnale.

'Tutto bene?' le chiesi. Lei annuì.

Poi ci girammo entrambe.

Un gruppo di bambini - cinque maschi e due femmine - con le facce sporche di fuliggine, vestiti con abiti stracciati e sporchi allo stesso modo, ci stava fissando con facce incuriosite e sorprese.
Rimasi seriamente sconvolta a vedere quelle povere creature innocenti, vestite di stracci, sporche e con le mani immerse nella polvere da sparo e i pezzi di metallo. Probabilmente avevano tutti perso i genitori nelle terribili repressioni che erano avvenute in città negli ultimi anni e ora si trovavano ad affrontare la vita completamente da soli, in un Mondo dove per loro non c'era spazio se non negli ultimi angoli della scala sociale.

'Bonjour, petites. Siamo venute a portarvi via da qui, per questo abbiamo messo questo signore a dormire in un modo un po' brusco.' dissi dolcemente, cercando di apparire il più affidabile possibile. 

Un bambino appoggiò il martelletto che teneva in mano sul piccolo piano di legno accanto al quale lavorava e fece due passi verso di me.

'Vous êtes un ange?' chiese, sgranando i suoi due grandi occhi verdi.

Io ridacchiai. 
'Je suis ta amie.' gli risposi, tendendogli la mano.

Lui la prese. 'Piacere di conoscervi, Mademoiselle. Io sono Andrè. Qual è il vostro nome?'

'Eleanor. Il piacere è mio, Andrè.'

'Eleanor? Che strano nome. Non siete francese?'

'No, vengo da un posto lontano. Dall'America.' gli dissi. 
Lui e gli altri bambini fecero un 'ooh' meravigliato.

'Ne ho sentito parlare! Il mio papà mi raccontava delle storie sulla Rivoluzione Americana. Sembrava così avventuroso e pieno di eroi e soldati coraggiosi, dai suoi racconti. Qui invece non c'è nulla di avventuroso. Solo tanta miseria e fame. Il mio papà ora non c'è più.' disse l'ultima frase come se stesse parlando normalmente, senza cambiare tono di voce.

'Mi dispiace tanto, Andrè. Se c'è una cosa che può confortarti, di certo tu e i tuoi amici non vedrete più questo posto, te lo assicuro.' gli dissi, e tutti i bambini esultarono felici avvicinandosi a me.

'Posso abbracciarti, Eleanor?' mi chiese.

'Ma certo, tesoro.' e lo lasciai avvinghiarmi quelle braccine magre che si ritrovava al collo. Cercai di trattenere le lacrime, ma inevitabilmente me ne scesero alcune sulle guance.

'Bene bambini, ora dovete fare i bravi e fare il gioco del silenzio mentre Camille vi riaccompagna all'orf... a casa, va bene?' dissi, cercando di mandare giù il magone.

'Siii! Evviva! Grazie Eleanor!' disse una delle due bambine.

Camille aveva osservato la scena con un sorriso e prese in custodia il gruppetto, facendoli prendere per mano tra di loro.

'Te la cavi con i bambini, eh? Ti aspetto lì, comunque. Mi raccomando, Eleanor.' Io mi asciugai le guance e annuii, sorridendole. 

'Devo far saltare questo posto in aria.' dissi. 'Avanti, tutti fuori di qui.'

Quando fui sicura che Camille avesse portato i bambini sufficientemente lontano, scesi al piano di sotto. Con l'aiuto della polvere da sparo tracciai una striscia che partiva dall'interno, dove erano riposti degli scatoloni pieni di bombe, fino all'esterno del deposito, assicurandomi di passare attorno a tutti gli scatoloni in modo da non lasciare nulla di recuperabile in futuro. 
Accesi un fiammifero, e dopo aver preso un respiro profondo, diedi fuoco alla polvere, per poi correre via il più velocemente possibile verso un palazzo abbastanza alto e abbastanza lontano. 

Fortunatamente il quartiere era deserto a quell'ora, e i palazzi circostanti erano completamente vuoti. Nel momento in cui raggiunsi il tetto del palazzo, un'esplosione illuminò di fuoco e riempì di fumo le strade del quartiere, producendo un rumore assordante. Le fiamme ruppero i balconi e i vetri del palazzo polverizzandoli. 
Rimasi qualche secondo a guardare le fiamme e il fumo che rendevano plumbeo il cielo ancora lievemente illuminato dal sole del tramonto. Rimasi quasi ipnotizzata da quello spettacolo di distruzione davanti ai miei occhi: c'era sempre stato qualcosa nel potere distruttivo del fuoco che mi aveva attratto.

Ridestata, mi rimisi il cappuccio e saltai fra i palazzi, dirigendomi alla Chiesa.

Dal tetto di un palazzo di fronte alla Chiesa vidi che c'erano due scagnozzi, probabilmente le uniche due guardie del corpo della Baronessa, davanti alla porta. Riuscii ad atterrarli entrambi con un doppio assassinio da circa dieci metri di altezza, il primo che tentavo di fare fuori dall'addestramento, e che mi riuscì anche piuttosto silenzioso.

Mollai i due corpi ed entrai nel fresco ambiente della Chiesa, trovando solo una figura vestita di blu scurissimo, con un velo a coprirne la testa.

Sospirai e camminai lungo la navata del luogo praticamente spoglio di qualsiasi ornamento, con le panche spostate e le impalcature alle pareti. 
Non ero credente, naturalmente. Il mio unico Culto, se così si poteva chiamare, era il Credo della Confraternita. I Templari invece avevano sempre intrattenuto rapporti con la Chiesa Cattolica, faceva parte del loro Ordine. Era uno strumento potentissimo che avevano sempre usato per assoggettare le masse. 

'Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Sarei potuta scappare dopo aver sentito l'esplosione, ma evidentemente mi avresti raggiunta comunque.' disse la voce femminile della figura, subendo l'eco a causa delle pareti. 

'Baronessa Deschamps.' proferii io a bassa voce, avvicinandomi. Lei si alzò dalla panca e si mosse verso di me, permettendomi di scrutarne i lineamenti illuminati dalla flebile luce dei ceri e delle lanterne.

Fece due passi nella mia direzione scostandosi il velo dal viso, e rivelò un volto di una donna di mezza età, dai lineamenti eleganti, austeri, con qualche segno del tempo. Gli occhi, castani, contrastavano con il colore chiaro dei capelli raccolti. Mi fece una strana impressione.

Mi osservò dalla testa ai piedi cercando qualcosa nella mia figura, e poi si fermò. Io studiavo ogni suo movimento da sotto il cappuccio.

'Un'Assassina. Dovevo immaginarmelo, nonostante io abbia preso tutte le precauzioni possibili.' commentò scocciata, con un gesto della mano.

'Evidentemente, mia cara Baronessa, le vostre preghiere non vi hanno aiutato. E nemmeno le vostre conoscenze.' risposi in tono di sfida.

'Non che io riponessi molta speranza nelle persone con le quali ho stipulato accordi.' 

'E allora perché l'avete fatto? Perché sacrificare degli innocenti per il vostro egoismo?' sbottai.

'Perchè era l'unico modo. L'unica mia possibilità di rifarmi una vita, scappare da questa città infestata dai selvaggi che ne hanno preso il controllo. Dai selvaggi che hanno ucciso mio marito.' finí l'ultima frase in un sibilo, nascondendomi il suo volto.

'Che cosa poco nobile. Sfruttare dei bambini per avere in salvo una vita che poi avreste vissuto costantemente fuggendo. Ma a quanto pare, la dignità non vi interessa.' mi avvicinai a lei, pronta a tirare fuori la lama.

'Nobiltà. Dignità. Stai usando parole di un certo peso, nonostante tu sia molto giovane. Non sei francese, da quello che vedo. Beh credimi, non hai idea di cosa voglia dire vivere in una realtà come questa. È come stare in una giungla, senza regole, senza civiltà. L'ordine non esiste più. L'aristocrazia non esiste più. Le classi sociali non esistono più...' mormorò, dandomi le spalle.

'Esattamente. Questo si chiama progresso. E voi, Baronessa, e tutti quelli come voi, non fate che bloccare la strada verso di esso, verso la libertà, verso la Nazione. E credetemi, so benissimo di cosa parlo. Ho visto con i miei occhi le persone combattere per la libertà in queste strade. E mi dispiace per voi, ma vinceranno loro. Perché è semplicemente giusto che sia così.'

Lei rise di gusto, e si girò di scatto. Aveva tirato fuori uno stiletto, che puntò verso di me.

'Dici di sapere di cosa parli e fai parte di un gruppo di Assassini, un gruppo di selvaggi, selvaggi come quelli che popolano queste strade. Non siete diversi da loro. Siete tutti uguali. Voi, i repubblicani, e la plebe. La feccia della società. Vi mascherate dietro a un culto e a degli stupidi ideali di libera scelta che vi fanno sentire migliori, quando siete solo degli animali indottrinati. I Templari vi stermineranno. Tutti quanti.' disse con un sorriso maligno sul volto, mentre mi girava intorno senza abbassare la guardia. 

Io avevo la lama celata puntata verso di lei, e la mano destra sulla spada, pronta ad essere sguainata.

'Siete voi quelli tutti uguali. Volete solo approfittare della gente per soggiogarla e imporvi con la schiavitù. Contate solo su un esercito di fanatici. E per questo non riuscirete mai nei vostri scopi, qualsiasi cosa stiate architettando.' dissi, e in un lampo attaccai per prima. 

Riuscii a ferire profondamente la donna con la spada all'altezza dello sterno, lacerandole il vestito che iniziò a inzupparsi di sangue.

Non era riuscita a respingere il mio attacco, ma mi aveva ferito anche lei con lo stiletto all'altezza della scapola, sulla schiena. Fortunatamente, non sembrava nulla di grave.

Arrancò per qualche passo e si accasciò sul pavimento, facendo cadere la piccola arma a terra.

Io mi tolsi il cappuccio e mi avvicinai a lei, senza abbassare la lama.

Alzò la testa e mi osservò il viso per qualche secondo, per poi sorridere in modo inquietante. 

'Non ci posso credere.' disse, scuotendo la testa.
'Allora Poulain aveva ragione. Sei proprio tu...' mormorò, stringendo i denti, mentre si premeva la ferita. 

Io corrugai la fronte. Di che cosa stava parlando?

'Non fare quella faccia, Amelìe. Sai, hai proprio gli occhi di tua madre...' 

'Cosa? Come avete detto? Chi è Amelìe?' scossi la testa, puntandole la spada sotto il mento. Lei stava tremando, il sangue gocciolava copiosamente a terra per la ferita. Sorrise di nuovo.

'Tua madre...ti ha sempre chiamata così...' disse di nuovo.
Io mollai la spada e la presi al volo prima che cadesse a terra, cercando di scuoterla.

'Ma di che cosa state parlando? Cosa sapete voi di mia madre? E poi io non mi chiamo Amélie!' gridai, in preda al nervosismo.

Lei ormai era quasi completamente sbiancata e stava tremando. 

'Senti.... nonostante tutto, meriti di sapere la verità... in fondo, tu non hai colpa di nulla...È... è mia cugina...a Palazzo Poulain... la tiene lì, quella tr...traditrice... imprigionata...' riuscì a dire prima di spirare definitivamente e morire fra le mie braccia. 

'No!' urlai. 'Dimmi di più! Perché mi conosci? Mia madre...Chi è, perché è prigioniera di Poulain?' continuavo a scuoterla e a gridare, ma ormai non dava più nessun segno di vita. Mi alzai barcollando, sconvolta dalle parole che avevo appena sentito.

Quella donna aveva pronunciato il mio nome, o meglio, non il mio, ma quello che mi aveva dato mia madre.

Quella donna aveva detto di essere la cugina di mia madre. 

Quella donna aveva detto che era rinchiusa nel palazzo di Poulain...

Scossi la testa, e dopo aver lanciato un'ultima occhiata al cadavere della Baronessa mi precipitai fuori, correndo verso l'orfanotrofio.


*Angolo dell'autrice*

Saaalve, carissimi! Beh, questo è stato decisamente un capitolo movimentato. In realtà, come avrete notato dal titolo, è suddiviso in due parti, perché piuttosto lungo. Allora, che dire... cominciano a saltare fuori cose interessanti sul passato di Eleanor, finalmente. Un po' ambigua la figura di questa Baronessa... credete che abbia detto la verità sulla madre di Eleanor? Ma soprattutto, la nostra protagonista avrà l'ardore e allo stesso tempo il sangue freddo per riflettere e indagare a fondo sulla questione nei prossimi capitoli?
  
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