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Autore: LilituDemoneAssiro    02/04/2017    1 recensioni
La scelta di Will è stata fatta: cadere e il suo bisogno di rinascere, portano lo spirito del cambiamento. La caduta, la perdita della grazia, e i nuovi occhi di Will si aprono al mondo. Le cose iniziano a prendere una piega inaspettata nel momento in cui il signor Graham comprende che la propria natura vive della sincerità delle proprie esternazioni, e il mondo ne avrebbe saggiato a breve uno spunto di tanto rinato gusto.
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedelia Du Maurier, Hannibal Lecter, Jack Crawford, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Quello che alla fine giaceva tra le mie mani non era altro che l’ombra di un ricordo, nulla più. I resti che tra i polpastrelli scendevano, non portavano più il calore del vivido sogno che avevo vissuto qualche istante prima, ed impietosi reclamavano la terra, per tornare da dove erano venuti.

…Cenere alla cenere, polvere alla polvere…

La malia del colore delle sue viscere aveva marchiato la mia mente, ed un liquido viscoso trasudava dall’immagine del mio fugace compagno di giochi come purulenza da una ferita infetta; nuovo Cristo redentore, avevo crocifisso ed esposto la sua inutile esistenza al comune gaudio, cosicché tutti potessero rallegrarsi della neonata salvezza. Salvezza di sangue, salvezza di orrore, salvezza di assurdo, e depravazione; salvezza nel limbo, salvezza per me che altro non ero un triste ramingo, salvezza nel furore e di dannazione, sola tu eri sempre stata la mia unica soluzione.

Il suo cuore avevo strappato e gettato in pasto ai lupi. Nella bellezza della malinconia e del rimpianto che quella scena mi ispirava, mi sentivo rinato: trovare piacere nell’autocommiserazione era il mio capriccio più grande, ed ora finalmente comprendevo come non fosse null’altro che l’elegia di quello che un tempo credevo il mio stesso spirito tormentato.

Di tormentato, non v’era sempre stato altro che il mio istinto per il dramma, oramai incapace di esser stuzzicato dalle comuni vie, annoiato, rattristato.

…Sei proprio un ragazzo crudele, Will…, pensai prima di sbottare in un risolino.

“Che sapore aveva la mia umanità?”, chiesi ad Hannibal che, concluso il suo pasto, non smuoveva i suoi occhi dai miei. Aveva il respiro corto, la foga nel consumare quel lauto pasto lo aveva reso impaziente e, come un bambino satollo dopo aver avuto la sua torta di compleanno, non cercava altro che ristoro. Trovavo le sue labbra grondanti sangue pura armonia.

…Sento un violino in lontananza…

“Vita. Aveva l’aroma stesso della vita. In equilibrio sui tuoi martiri, l’avevi riempita di tanti buoni propositi e altrettante punte aguzze sparse tutte attorno per farli esplodere, da renderla quasi incorporea. O forse era semplicemente un tenero muffin che appoggiato sulla lingua, non doveva esser neppure masticato per esser ingoiato: il tuo gusto per il rimpianto l’aveva resa così fragrante da far sì che si sciogliesse in bocca… Vuoi averne un assaggio?” disse, poco prima di aver appoggiato le sue labbra sulle mie solo per poter delicatamente spingere con la lingua, tra i miei denti, un piccolo brandello di carne.

Mi limitai a farlo passare lentamente sul palato prima di ingoiarlo.

“Ti dirò, preferisco un sandwich al prosciutto.”

Scoppiammo a ridere entrambi.

Mi dispiaceva non condividere quel suo gusto, ma il mostro che mordeva i miei nervi sotto la pelle, sentiva piacere altrove. Avremmo potuto completarci, ma nulla più; quel mio senso sarebbe stato solo mio e non avrebbe vissuto del riflesso di nient’altro che non fosse stato il mio più completo ed appagato godimento.
Mi voltai verso la mia prima, adorata composizione e, seppur a malincuore al pensiero di spostarla dalla tela per metterla via, mi venne pensato che impellente era il bisogno di far sparire il risultato delle mie prime pennellate. Ero stato avventato, e nonostante tutto non fosse altro che un presente del mio Nero Principe, era mio dovere impedire che gli fosse arrecato danno, conducendo l’FBI alla nostra posizione attuale.

“Dovremmo trovare modo di seppellirlo. Qui intorno gli alberi non sembrano molto rigogliosi, e il sottobosco pare fin troppo spoglio. E’ evidente che hanno bisogno di nutrienti… non credi anche tu?”

 Dopo aver gettato una rapida occhiata agli scarti che avevo abbandonato accanto al tronco, mi carezzò nuovamente la guancia ferita e sentirlo pronunciarsi, scese nelle mie orecchie dolce come miele.

“Mia malinconia, tenero rimpianto di un incubo di una notte di mezz’estate, sappi che adoro, vederti prendere le redini… Ma non sarà necessario tanto tuo impegno, non ancora. E’ già stato tutto ampiamente predisposto, quindi ora ti prego, piuttosto, mi sento decisamente affaticato dalla passeggiata nei boschi: potresti offrirmi il tuo braccio per tornare al cottage?”

… Modellami come vuoi…

Sospirai.

“Sta bene. Ma prima o poi mi auguro inizierai a rendermi partecipe delle tue iniziative machiavelliche… Per il momento, andiamo, non hai neppure da chiederlo.”

Leggermente claudicante dal lato della ferita, non rallentò mai il passo. Lui non indietreggiava mai, non si voltava mai, non dubitava mai; almeno fino a quando non aveva conosciuto me, variabile tra le costanti, unica macchia nel candore in cui si era immerso in grado di portarlo nuovamente a chiedersi il perché nell’esistenza e di un’esistenza che, in fondo, alla sua ombra non meritava neppure un accenno.
Sì, ombra, perché nonostante tutte le mie resistenze, lui ai miei occhi era sempre stato il sole: il sole nero che avrebbe portato la terra dove cammino, ad ardere fino a dissolversi, polvere cosmica in un infinito divenire.

Giunti a destinazione però, fu evidente come ancora un giorno di riposo almeno fosse necessario al suo recupero, dato che nemmeno eravamo riusciti a varcare la soglia che lui d’improvviso mi crollò tra le braccia, prima di sussurrare:” Tranquillo Will… Ho solo esagerato nel chiedere al mio corpo; per il momento, ti prego, se le tue ferite non ti danno troppa noia, portami a letto. ”

…Ancora la dolce arrendevolezza con cui insisti a chiedere invece di pretendere…

Neppure risposi, mi limitai solo a volare con lui sulle spalle, in camera, sbrigandomi a controllare sia le garze che i punti sull’addome. Gli tolsi la maglia cercando di non impazzire all’idea di quanto la sua pelle sotto le mie dita, fosse così morbida e calda; ma almeno i punti avevano retto, e tanto mi bastò per placare quello che le mie labbra non osavano pronunciare.

…Quanto ti voglio…

Continuavo a ripetere tra me e me, mentre lo aiutavo da poggiato sui cuscini a pulire ciò che indosso lo lordava dal suo ultimo pasto. Mai avevo sollevato dubbi sulla mia sessualità sino a quel momento, ma nelle sue movenze e nella sua essenza io non solo perdevo me stesso, ma trovavo una nuova via dall’aroma antico che mi rallegrava ed instillava rinnovato vigore. Trovavo estremamente liberatorio guardare le ossa iliache che sporgevano dal pantalone da notte, e immaginarle carezzate dalle mie labbra, mentre con una mano avrei potuto stringergli il fianco prima di lasciar scivolare il mio volere tanto in basso da non reggere neppure il pensiero di ciò che chiedevo.

Senza neppure accorgermene, d’improvviso arrossii.

Solo poi mi ritrovai a riflettere su quanto accaduto quando, nella radura, lui aveva deciso di accettare la mia proposta e condividere con me un momento di così profonda e accorata intimità. Nelle cucina, le mani di Hannibal, sapienti maestre del terrore, avevano reso il massacro un’arte in grado di trascendere il divino. Minuziosamente attente ai dettagli, le vedevo volare tra la preparazione di un fegato, la lavorazione di reni, o lo scottare di lingue in padelle come solo la dea Kalì portatrice di distruzione era in grado di fare, mentre brandendo le teste dei nemici appena decapitati recava morte e distruzione al suo passaggio: le sue mani erano entropia che diviene materia per poi decadere di nuovo nell’entropia.

…Scorgevo il Wendigo tendermi la mano…

Ma quella sera, io avevo visto una bestia affondare i denti, non il raffinato esteta attento alla purezza della sua opera. Avevo visto un animale straziare i resti del malcapitato scarto della società che era finito tra le mie mani, una bestia lubrica e sanguinaria che gioiva del fluire del sangue delle sue vittime in gola e danzava nel loro sangue, in festa alla luce della luna. Cercavo di restare fedele a me stesso, quando lo aiutavo a stendersi sotto le coperte, e prima di lasciare a terra ciò che avevo indosso per trascorrere quanto restava della notte: cercavo, ma non riuscivo. Tolta la maglia dinanzi la finestra, sentii un brivido lungo i fianchi al ricordo di quanto sangue avevo versato, al ricordo di quanto lui aveva ingoiato, e non potei fare a meno di stringere la mia immagine riflessa nello specchio, sperando in uno sfuggente conforto che sapevo non sarebbe arrivato.
Sospirai, greve, mentre la mia immagine alla finestra si dissolveva come fosse stato uno specchio d’acqua in cui viene gettato un sasso. Il Wendigo, giunto al mio fianco, mi guardava nel riflesso dell’oceano dei pensieri in cui mi stavo perdendo e, mentre poggiava le sue adunche mani sulla mia spalla destra in un gesto quasi consolatorio, la mia pelle diveniva d’ebano anch’essa, ed io ero nuova Notte.

D’un tratto, la voce del mio sire di nuovo in sé, mi destò del sogno.

“Will…”, sussurrò, prima di sorridermi come solo la stella polare può fare ai navigatori smarriti, quando appare nella volta celeste.

“Sai come mai il sangue, durante la notte, appare nero come la pece? Ancora non te lo sei domandato? …Solo la grande madre notte è in grado di mostrare la vera essenza dell’uomo. Quello della luce, al più non è altro che un crudele inganno che porta con sé un volere a noi estraneo, una scelta già presa che non lascia in alcun modo spazio al libero arbitrio: è il volere di un dio crudele che illude i suoi figli, prima di abbandonarli a se stessi. La notte invece, mostrando la verità su ciò che dà vita all’uomo, lo rende sia consapevole dell’ombra che dentro lui stesso porta sia in grado di scegliere cosa fare di quel male, che nelle viscere gli scorre. Lo culla senza mai chiedergli nulla in cambio, addirittura oso dire che lo vizia quando lo lascia crogiolare nell’illusione che il giorno successivo sarà vita rinnovata, e tutto potrà cominciare ancora, ma non per questo è meno impietosa nel ricordargli, quando la vita finisce, che da lei tutto è iniziato e in lei prima o poi tutto sarebbe tornato...”, un breve colpo di tosse gli ruppe il fiato.

“Hannibal! Stai bene?!”, chiesi, mentre mi fiondavo accanto a lui per aiutarlo a lasciar passare quella crisi.

“Eh eh, *cough* sì, tranquillo, era solo della saliva. *cough cough* Faccio un po’ di fatica a deglutire, mi duole la bocca dello stomaco e i risultati si vedono, tutto lì. Mi dispiace, sono stato interrotto proprio nel momento apicale di ciò che stavo cercando di dire. Will, vedi, la notte può far paura, può lasciare uno spazio vuoto nella vita che non sapendo come colmare, la massa preferisce lasciar andare. Alcuni fortunati, invece, risvegliandosi sotto la benedizione della luna, riescono ad osservarla e, nelle forme che sotto la sua luce si formano, trovano se stessi. Alle volte è un cammino estremamente doloroso, in cui le minacce nascoste negli interstizi della stessa mente non faranno altro che pugnalare il malcapitato fino a ridurlo ad un grondante sacco di carne, divenendo la selva oscura in cui la diritta via, venne smarrita… ma tu, tu mio piccolo passero, avrai sempre chi cucirà le tue ferite, chi vivrà solo per il pensiero di stringerti la mano quando il terrore lascerà le tue gambe tremolanti gettarti a terra. La notte è oscura per null’altro motivo che il sangue che le porti: quindi nella gloria della tua scelta, prendi ciò che di appartiene di diritto, e rendilo immortale. La bellezza di ciò che cerchi, si rifletterà nell’armonia di ciò che crei. Vivi per sempre in quell’attimo.”

Il bacio e le carezze che seguirono tanto sentito ammonimento, resero quella notte un momento glorioso in quel battito di ali di farfalla che era stata la mia vita, sino ad allora; e più la sua bocca scendeva per cercare il mio perché, più io sentivo il mostro sotto la pelle crescere ancora ed ancora sino a lasciare che la mia schiena non divenisse altro che un ganglio di muscoli, pelle e sangue contratta nel piacere e nel dolore. Le ossa si spostavano frantumandosi, la mia carne si strappava mentre l’occhio sul mio sterno si apriva e mi rivelava al mondo in un fiume di sangue in cui vedevo galleggiare i corpi smembrati delle sue vittime, delle mie vittime, e di coloro che sarebbero divenuti vittime.

Le sue mani strette sui miei lombi erano il richiamo per il mostro che, dal fondo del fiume, risucchiava a sé i corpi martoriati prima che la cascata a valle li lasciasse dispersi in mare, per sempre: Cariddi dei miei incubi, mostrava i canini aguzzi affiorare dall’acqua poco prima che una fontana di sangue, zampillasse verso di me che tentavo di celebrare almeno un degno funerale per quella vita che tanto mi ero impegnato a preservare, in passato. Eppure, avvicinarmi al limitar della riva, non rendeva altro che la creatura più vorace ed inquieta; e, quando mi accorgevo che altro non mi restituiva quel fluido impietoso se non l’immagine della mia piccola Abigail trafitta da una danza di lame, la mia Cariddi disperata ruggiva e guaiva, preda del suo stesso vorace appetito che la costringeva a riempire le sue fauci nonostante dal letto del fiume, quello che risuonava non era altro che l’eco di un pianto sommesso.

…Sono il mostro divoratore di mondi…

“…Hannibal…”, riuscii a malapena a bisbigliare, prima che la mia voce venisse rotta dall’affanno.

“Ti prego, non riesco a resistere oltre…”.

Lui si limitò ad alzare il capo, scivolando sul mio torace come una sirena che si affaccia sugli scogli al suo primo canto e, dopo avermi regalato un sorriso delicato inclinando il capo, sussurrò al mio orecchio:

“Allora diventa mio, ora, e per sempre.”

Strabuzzai gli occhi, ma il desiderio di vedere quanto fosse profonda la tana del bianconiglio, mi divorava fin da quando nell’attesa della venuta del Grande Drago Rosso, lo osservavo pulire il calice nel quale sarebbe stato versato il vino. Per tre anni avevo camminato sulla corda tesa nel baratro dal fondo del quale lui mi chiamava, spingendolo ad urlare il mio nome quasi come un ossesso; e dalla mia corda, ogni volta che la sua voce risuonava nel vento libera e potente come ciò che sentivo trascinarmi verso di lui, ad ogni passo lasciavo che dei ragni intessessero la tenuta del mio giullare, senza mai riposare, senza mai smettere di sognare.
Carne, dolore, sangue, piacere, sudore: forma indistinta divenni quella notte al cospetto del nostro vizio. Compiacere il suo desiderio rappresentava la forma più elevata di esaltazione che il mio gusto per la tragedia e l’autocommiserazione era stato in grado di trovare, e non potei fare a meno di inchinarmi nella più dolorosa e appassionata preghiera mai rivolta al creato.

“… Hannibal, dimmi che mi ami…ti…ti prego…”

Avevo disperato bisogno di sentirglielo dire.

Lui, dopo aver scostato i capelli che sul viso erano incollati dal sudore e avermi baciato in mezzo alla fronte, dopo qualche momento di silenzio, irruppe nella mia mente come un tuono a ciel sereno:

“Ti amo fin dal giorno in cui ho compreso che l’unica cosa che desideravo, era il tuo sguardo costantemente posato su di me.”

…Hannibal…

  Persa la mia ombra era nel suo fulgore, mentre tra un fiato e l’altro trascendevo il divino; e la carne e il sangue che quella sera avevo violato, di rimando in fondo alla gola ne sentivo il boato. Urla mute dal fondo del mio costato risuonavano rompendo l’aria mentre il profumo delle rose riempiva la stanza: di santità quell’unione aveva oramai l’impronta, e benedetta nel sangue e nel dolore, nessuno avrebbe mai potuto lavarne l’onta. Su un nero destriero era iniziata la mia corsa verso il tramonto, e quando il sole aveva lasciato posto finalmente all’immacolata luna, il volto di Hannibal, adorante, accanto a me mi riempiva d’immenso mentre le corna del Wendigo ci avvolgevano in una confortante culla d’amore e di morte. Ed io mi sentii potente come non lo ero mai stato sino a quel momento: ma non di una pura e semplice forza distruttiva, ma della forza creatrice dell’universo libero da ogni catena.

Stremato, accanto a lui mi voltai un momento, incrociando i suoi occhi illuminati come nemmeno la prima stella della sera, e dissi:

“Vivo, ma non per questo smetto di essere. Penso, ma non per questo smetto di ragionare. Provo, ma non per questo smetto di soffrire… Hai sempre avuto ragione.
…Ti amo anche io, come non ho mai avuto modo prima in vita mia.”

E finalmente, trovai conforto, sul suo petto. Il battito del suo cuore riusciva a scandire i miei pensieri, alle volte fin troppo confusi…

“Però, mentre qualcosa dentro di me è perso per sempre, qualcosa è stato guadagnato, e l’entropia ha trovato terreno fertile in me e nella mia vita con te, ormai questo è appurato. Vivo dell’istinto che la tua presenza solletica in me e nel mostro che sotto la mia pelle alberga, i miei occhi trasudano veleno mentre fantastico su cosa le mie mani sono in grado di realizzare su un corpo umano… Come l’antimateria, al solo pensiero di entrare in contatto con la mia odiata sorella, mi annullo, e sono in grado di portare la miseria del vuoto che dentro mi porto ad inghiottire il mondo stesso. Non potrò mai fare a meno di piangere sulle mie miserie, ne sei consapevole, vero?”

“Amo come urli nel vento la disperazione per il tuo cuor perduto, dovresti saperlo”.

“Allora perdonami se tanto francamente ti esterno questo mio bisogno ora, spero la tua sensibilità non ne verrà urtata, ma sento il bisogno di esternarlo. Sappi una cosa: non mi interessa chiunque sia l’amica che vuoi salutare prima dell’inizio del nostro soggiorno a Cuba, o di come probabilmente avrai già organizzato gli spostamenti per raggiungerla, o di cosa sarà di lei, una volta che l’avremo raggiunta. Non mi interessa se quella che vuoi raggiungere è la Dr.ssa Du Maurier o la Dr.ssa Bloom, o chiunque altro nel tuo o nostro passato ha avuto la sfortuna d’incappare in una tua promessa, il destino di creature tanto sciocche e ridicole non mi interessa. Ora so, ora so cosa voglio, e se merita il tuo castigo, vuol dire che la mia coscienza non avrà nulla da obiettare al riguardo: quindi promettimi solo che, quando avrai avuto da lei tutto ciò di cui avrai bisogno, a me andrà il suo cuore. Voglio stringere il suo ultimo respiro, tra le mie mani.”

…Lo confesso, ma lo temo; lo bramo, ma lo aborro… dio mio, cosa sono diventato…

E nel mentre, uno squarcio cremisi si apriva sul petto di Hannibal, in grado di lasciarmi scorgere il suo cuore palpitante.

Le mie allucinazioni peggioravano visibilmente mentre l’innocenza del mio bisogno, iniziava a prepararmi la strada per poter distruggere il mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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