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Autore: LilituDemoneAssiro    12/04/2017    1 recensioni
La scelta di Will è stata fatta: cadere e il suo bisogno di rinascere, portano lo spirito del cambiamento. La caduta, la perdita della grazia, e i nuovi occhi di Will si aprono al mondo. Le cose iniziano a prendere una piega inaspettata nel momento in cui il signor Graham comprende che la propria natura vive della sincerità delle proprie esternazioni, e il mondo ne avrebbe saggiato a breve uno spunto di tanto rinato gusto.
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedelia Du Maurier, Hannibal Lecter, Jack Crawford, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Volevo volare, volevo sapere, volevo sparire e mai più ritornare,

Volevo danzare, volevo annegare, volevo urlare e nel vento morire,

Volevo gioire, volevo patire, volevo guardarlo sino ad impazzire,

Volevo sentire, volevo tagliare, volevo nel vuoto, poter riposare.

Lunga è la strada che percorre chi diritto guarda all’inferno,

quando dentro, non porta altro che inverno.

…E venne il giorno.

Riuscire anche solo a dare una forma alla mia materia divenuta incorporea, fu un’impresa quella mattina. Estraneo a me stesso mi recai in bagno senza riconoscere neppure colui che nello specchio mi osservava a sua volta, mentre toglievo di dosso gli indumenti, prima di entrare sotto una più che richiesta doccia memore della notte più turbolenta mai trascorsa in vita mia. Mentre il vapore saliva dall’acqua che lasciavo scorrere sulla nuca, dei flash della notte appena volta al termine mi tornavano alla mente e non mi restava altro sperare che, strizzando gli occhi, potessi ricacciarli da dove erano sbucati; ma nulla avrebbe creato sufficiente spazio tra me e il ricordo di quello che ora, su di me, vedevo segnato col fuoco. Le illusioni sono dure a morire e se possibile anche crudeli, nel loro esalare l’ultimo respiro, perché non faranno altro che piantare i loro artigli trainati dalla disperazione e tirare quanto più possibile mentre il loro cadavere rovina a terra assieme alla tua pelle e la tua carne, esposta, urla al mondo il tuo dolore.

…Io, io non…non volevo….

Sì, non volevo che la mia prima vittima fosse un regalo di Hannibal.

...Ma cosa sto…

Le voci nei recessi della mia mente si sollevavano sempre più forti ed impetuose, ciascuna in disaccordo con l’altra, pronte a darmi addosso ogni qualvolta tentassi di imporre la mia autorità sul marasma che ingeneravano nell’ambiente circostante. A mano a mano mostri di nebbia, le vedevo crescere nella loro furia divenendo prima vento poi tempesta, feroce sorella in grado di inondare le stanze del mio palazzo dei ricordi e annegare quelle che ingenuamente, erano le marionette delle mie buone intenzioni nei tempi che furono: povere piccole anime perse, con vestiti di pezza, pronte a scomparire nell’abisso dei miei incubi senza neppure proferire un gemito, vita ingrata era stata la loro, trascorsa sugli scaffali ove le avevo riposte solo in attesa del giorno in cui fossi stato in grado di sacrificarle al mio dolore. Le pareti elastiche scosse dalla discussione e dal fiume di lacrime che nella tempesta seguiva il suo crescendo, iniziavano ad ogni mio passo rivolto a quelle ombre, a seguire un ritmo, tremulo ricordo di una vita passata, infausto presagio di una sciagura futura. E divenivano sotto i miei occhi, gli atrii e i ventricoli di un cuore pulsante, pareti viventi di un organo morente.

Guardavo con fare indagatore, il cuore della mia umanità dilaniata chiedere vendetta.

…Come se ti occorresse a qualcosa, mia cara…

Allucinazioni e disgregazione della personalità. Non avevo intenzione di farmi mancare nulla, davvero.

I giorni iniziarono a scorrer veloci dalla mattina successiva a quella che Hannibal avrebbe poi chiamato la mia “rinascita”, e la bolla di sapone nella quale fluttuavo tra uno spostamento e l’altro mi lasciava riflesso in un caleidoscopio di colori tanto vivido quanto evanescente. L’unico ricordo di questa terra in grado di mantenere il mio contatto con la realtà ed impedire allo smarrimento che il morso del demone sotto la pelle mi procurava, era il suo tocco. Alle volte sentivo le mie difese soverchiate da quel mostro con la pelle di serpente che vedevo sorridermi insolente attraverso i punti delle ferite, ipnotizzato dal sibilare del suo morso tra le vene, inebetito dall’ipnosi che di conseguenza al suo verso, certi loschi figuri suscitavano su di me durante il nostro viaggio e dalla curiosità che instillata era oramai in me, la possibilità di scavare a fondo nelle loro vite per dare un’occhiata a quanto fosse ampio il vivaio che nella loro anima portavano: ma Hannibal ogni volta mi riconduceva a sé senza neppure parlare, solo prendendo la mia mano al momento giusto e lasciando che il suo animale sacro, zittisse dall’alto della propria cattedra quel neonato bisogno di morte.

Ed io finalmente trovavo sollievo.

Chyioh provvedeva al cambio delle autovetture per il trasporto ogni 12 ore all’incirca, facendo in modo tale che i cambi d’abito a nostra disposizione avessero altrettanta frequenza. Era necessario che i nostri spostamenti non fossero rintracciabili, come pure la nostra fisionomia fosse meno esposta possibile a strumenti di sorveglianza in grado di registrare il nostro passaggio; dunque prioritario era mantenere un basso profilo attraversando il paese impiegando le statali secondarie meno infestate di videocamere e, soprattutto, raggiungendo quanto prima una nazione che non fosse in rapporti con l’America tali da concedere facilmente la nostra estradizione, ove mai fossimo stati raggiunti dalle strette maglie della rete che Jack aveva iniziato ad intessere, attorno alla nostra fuga.

…Ah. Ora capisco come mai, Cuba…

Mi venne pensato, al terzo cambio d’auto dalla partenza dal cottage. Però la logica dei nostri spostamenti non mi era molto chiara e, nonostante fosse ovvio come la maggior parte delle nostre tappe fossero dei depistaggi per confondere le acque, iniziare a riconoscere il paesaggio in cui stavamo affacciando la nostra rinnovata coscienza, mi lasciò a dir poco confuso.

Dopo circa un giorno e mezzo di viaggio, infatti, mi ritrovavo a salutare il gelo delle foreste della mia amata Virginia.

Fortunatamente, durante le nostre tappe, ero stato almeno in grado di trattenere i miei impulsi, quindi macchie rosse in grado di mettere sul chi va là l’attenzione della squadra del nostro caro agente Crawford proprio sotto il proprio naso, non vi erano state. Nulla avrebbe potuto condurli a sospettare che due fuggitivi con tanti corpi nella propria scia, avessero potuto azzardare una tappa nella zona dalla quale sarebbero dovuti tenersi lontani come fossero appestati durante la morte nera; dunque la domanda a questo punto sorgeva spontanea, ed era a dir poco sciocco continuare ad indulgere nel dubbio.

…Alana o Bedelia, Hannibal… Chi…

Ed un morso giunse, a scuotermi dal torpore.

…L’idea ti eccita, lo so: ma non ancora amico mio, non ancora…

Pensavo, mentre guardando lo specchietto retrovisore, non desideravo altro che iniziare a prenderlo a testate fino a lasciare pezzi di materia grigia incastrata nelle sue schegge.

Hannibal, che era solito sedere accanto a me sul sedile posteriore del mezzo con il quale Chyioh ci scortava, notò immediatamente il mio attimo di smarrimento. Prese la mia mano, e rivolgendola col palmo verso l’alto, l’avvicino a sé regalandomi il bacio che solo un fedele in Chiesa è in grado di donare a dio, nel momento in cui riceve il corpo del cristo sotto forma di ostia.

…Non smetter mai amor mio, o quel giorno ho paura non ricorderò più nemmeno il mio nome…

L’appoggiò a sé, sul suo petto, sul suo cuore, e disse:

“Ricorda, questo è il suono della vita che ti riporta a sé. Quando senti le ombre sovrastarti, quando la marea sembra quasi coprirti il volto mentre vai a fondo, ripensa al brivido che ti dà il tocco delle mie labbra sulla pelle. E respira.”

Socchiusi gli occhi e sorrisi placido, in un gesto d’approvazione.

…Ti amo come solo il diavolo sulla porta dell’inferno che ti accoglie, sa fare…

“Hannibal…Farà male purtroppo, lo so perfettamente. Spero solo avrai la pazienza necessaria per restarmi vicino finché non sarò più, ehm, diciamo stabile, ecco.”, dissi, prima di abbandonare il mio sguardo fuori dal finestrino, lontano dalla luce, lontano dall’orrore.

“Will, non giocare da solo tra le ombre, resta con me.”

…ma, come…

Disse, prima di allungare il braccio sinistro dietro il mio fianco, e stringermi a sé, lasciando la mia testa immersa nell’odore della sua pelle, che suadente saliva dallo scollo dal maglione che aveva indosso.

“Sopravvivo solo per compiacere te, te l’ho già detto. Finché mi vorrai accanto, non andrò da nessuna parte. Sta tranquillo. Però a questo punto credo sia mio diritto saperlo: è evidente che stiamo andando a salutare una vecchia amica comune, conosco bene queste strade, e da quando le nostre vite si sono incrociate, ho decisamente smesso di credere nelle coincidenze. Voglio solo sapere una cosa: l’amica che stiamo andando a salutare prima di partire per Cuba, è bionda o mora. Mi basta, non voglio sapere altro.”

Adoravo giocare con le dita nel punto dove la maglia e i pantaloni appena si sfioravano, e mentre la sua pelle iniziava a diventar d’oca, la sua mano poggiata sul mio fianco stringeva sempre più forte.

“Non avere fretta piccolo passero, la sorpresa ci sta aspettando, e nulla le impedirà di accoglierci a dovere. Sarà davvero illuminante, la serata che intendo trascorrer tutti assieme: festa grande ci attende e non vedo l’ora di vederti banchettare con ciò che la vita ti offre. Non curarti del fatto che possa esser bionda o mora la nostra ospite, pensa solo a dedicarle la cortesia ed attenzione necessarie. Pensavo di averti insegnato, le priorità… Mpff …”, concluse, sbottando in un leggero risolino.

“Sono e resterò sempre, il tuo passatempo preferito.
… E sia, andiamo. Sarà più divertente aprire il mio regalo.”, soggiunsi, prima di lasciarmi andare al tepore che dal suo petto saliva, in un riposo né pieno né appagante, ma rassicurante tanto quanto bastava per poter smettere di chiedermi il perché di quanto mi stesse accadendo.

Le mie palpebre, tende di un maniero infestato, non lasciavano che la luce mi raggiungesse in alcun modo; ma la mia mente, a tratti lucida, recepiva dei suoni del mondo esterno come un catino vuoto raccoglie l’acqua piovana se lasciato al suo daffare, così le parole “…la mia terapeuta…”, non passarono inosservate. Un brivido mi scosse dalla testa ai piedi.

…Bedelia, ti avevo avvertito di fare i bagagli…Oramai, stiamo arrivando…

Lo strinsi ancora più forte e finalmente quello stato di ipnotico dormiveglia, si trasformò in apprezzato riposo: ma mentre la creatura informe sogghignava compiaciuta attraverso la mia pelle divenuta trasparente come vetro, il ritratto del mio cuore appeso al muro dell’androne del mio palazzo dei miei ricordi, non smetteva di sanguinare.

Ed era bellissimo.

Quando mi risvegliai, la macchina era parcheggiata in una radura dalla quale ancora riuscivo ad intravedere la strada, ma Chyioh si era dileguata, ed eravamo rimasti soli.

“Hannibal…mmm…che succede, siamo arrivati?”, chiesi ancora sonnolente.

“Will, ascolta. La nostra meta è vicina, ma ho davvero bisogno della tua completa attenzione.”

E dopo avermi poggiato le dita sul mento mi tirò a se, stampandomi sulla carne un bacio da toglier il fiato.

…La tua lingua è davvero la mia rovina…

“Aaah…Hannibal, hai la mia attenzione. Ma smettila o se continui potrei finire per rivolgerla verso pensieri poco appropriati.”, dissi, sperando di mantenere tanta calma necessaria a che il mio desiderio, non trasparisse in maniera eccessiva. Adoravo la compostezza che adornava il nostro rapporto; non trovavo esteticamente corretto rovinarla con del bieco istinto.

“Perfetto. Ascolta, la nostra amica non abita molto lontano da qui, dovremo raggiungerla a piedi se non ti arreca disturbo. Ma il punto principale su cui ho bisogno della tua più completa attenzione è legato al fatto che quando l’avremo raggiunta, io avrò bisogno del tuo aiuto. La ferita sul petto sta guarendo in maniera egregia, nulla da dire, ma ho bisogno di ancora tempo prima di potermi impegnare in attività che potrebbero portare a far saltare qualche punto o addirittura farla riaprire…. E lì entri in gioco tu. Lei sarà tanto sorpresa del nostro arrivo da sembrare terrorizzata e magari intenta a fuggire, di primo acchito: sarà nostra cura, prima che questo divenga possibile, impedirlo. Io la distrarrò all’ingresso principale, tu dovrai raggiungerla alle spalle dalle vetrate sulla destra nello studiolo, e soffocarla tanto da svenire. E dico soffocarla, perché se possibile vorrei evitare colpi al cranio in grado di rovinare quel suo cervello tanto abile e fino, potrebbe tornare utile prima di quanto immagini.”

“Sta bene. Ma non dovrai mai smettere di guardarmi.”

“TU, non smettere mai di guardare me. E ora andiamo.”

Durante quella che si rivelò più una scarpinata nei boschi che una passeggiata, mi ritrovai a canticchiare sereno e beato, come se non fossi stato perfettamente consapevole del fatto che stessimo andando a commettere un omicidio; quasi saltellavo, all’idea che avrei salutato a modo mio una vecchia amica, e divertente trovavo lo scatto del serramanico che usciva ed entrava dal suo alloggiamento.
Giungemmo in prossimità della villa dopo quasi un’ora.

…Eccoti, Bedelia…  

Eravamo giunti nei pressi della residenza della dott.ssa Du Maurier, all’imbrunire, così da consentire a me di aggirare il perimetro senza dare dell’occhio, mentre Hannibal avvicinava lento la porta d’ingresso. La potevo vedere mentre, soffermandomi tra una stanza e l’altra, cercavo riparo dietro i cespugli attento a buttare un occhio negli angoli alla ricerca dell’occhio indiscreto di possibili telecamere: devo dire di esser rimasto più che sbalordito nel non vederne alcuna, nonostante la promessa di morte che Hannibal le aveva fatto da quando, dietro la parete della sua stanza nel manicomio criminale, non mancava di inviarle ad ogni Natale e ricorrenza, una ricetta con cui avrebbe apprezzato averla per cena corredata sempre dei più sentiti auguri.
5 minuti. Regolando gli orologi, avevo 5 minuti per giungere all’ingresso che mi aveva indicato Hannibal, prima che lui si muovesse verso la porta d’ingresso: non potevo sbagliare un passo, ne andava della sua vita.

...Dottoressa, però se non mi dai almeno un po’ di filo da torcere, sappi che potrei rimanere molto deluso… E divento cattivo, quando sono deluso.

…cosa? ...

Scossi un momento la testa per scacciare quel ronzio, e finalmente mi riuscì di giungere alla porta finestra che mi aveva indicato Hannibal. Chiusa.

...Maledizione…

Al che, attesi di sentire almeno il campanello, e preparai la mano arrotolata nella manica della giacca per poter dare un pugno al vetro vicino alla maniglia e romperlo nei tempi più rapidi possibili. Avrei fatto rumore purtroppo, solo lo stretto necessario per entrare e giungerle alle spalle mentre Hannibal le annunciava propriamente il nostro arrivo e l’inizio del party più esclusivo a cui avrebbe mai partecipato in vita sua.

…Ricorda, rapido. Appena suona e la porta si apre, vola…

Pensai, mentre inginocchiato accanto la maniglia della porta, sentivo il cuore iniziare a batter sempre più rapido e greve. Il respiro rallentava quando nel frattempo cercavo di ripassare a mente la struttura della casa, richiamando alla memoria quanti più particolari necessari a definire la mappa che mi avrebbe condotto alla porta d’ingresso: celere avrei dovuto essere, uno strale che non lascia al suo obiettivo nemmeno il tempo di un respiro, o per Hannibal avrebbe potuto esser fatale.
Lui tempo addietro, aveva chiamato *a savage pleasure…* quello che stavamo per condividere, e per nulla in questo od ogni altro mondo, avrei consentito che qualcuno ci potesse interrompere.

10…9…8…7…6…5…4…3…2…1.

Il campanello.

Le giunsi alle spalle come un fantasma: impietrita com’era dall’apparizione di Hannibal alla porta, non aveva avvertito alcun rumore proveniente dalla mia mia piccola effrazione, e ne avevo approfittato per coglierla di sorpresa, mentre riusciva sì e no ad indietreggiare qualche passo alla vista del Mostro.

…Hannibal, guardami. Guardami…

Al terzo o quarto passo, credo, ne approfittai per accalappiare il suo collo nell’incavo del mio braccio destro, ed iniziare ad esercitare la pressione necessaria che le impedisse di urlare emettendo sì e no qualche gridolino soffocato, mentre i sensi la abbandonavano. Aveva tentato di opporre resistenza, scalciando e tentando di raggiungermi con le braccia nonostante l’avessi quasi sollevata di peso, ma più la luce la abbandonava e le gambe le cedevano, più io la stringevo dolce a me impedendole di rovinare a terra come un semplice sacco di carne, e la accompagnavo in un sonno senza sogni preludio della notte più importante della sua vita.

“E’ stato bellissimo, Will. Sei pura poesia ai miei occhi, sappilo.”,

Disse, mentre la dott.ssa Du Maurier giaceva finalmente esanime.

Il mio respiro pesante riempiva l’aria, ma non smettevo un momento di reggere il suo sguardo. Era il senso stesso della vita, a chiedermelo.

"Mentre la porto in cucina, inizia ad accostare le tende nella sala da pranzo. Non voglio esser disturbato.", 

Dissi freddo, distaccato.

"Ho intenzione di stringere questo piacere tra le mie mani, ed offrirtelo. Banchetteremo amor mio, nel dolore e nel sangue, e non ho alcuna intenzione di esser disturbato."

Mi sorrise con un'espressione così dolce... 

Avrei dovuto sentirmi in colpa per ciò che volevo e chiedevo, ma la differenza tra il dovere e il potere, spesso fa la differenza tra la vita e la morte.

E la dottoressa Du Maurier ne avrebbe avuto un assaggio di lì a breve.

 
 
   
 
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