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Autore: Dandelionx    03/04/2017    0 recensioni
Nicole Parker e Weston Carter frequentano gli stessi corsi ma non si sono mai rivolti la parola, troppo concentrati a preservare il loro anonimato. Due facce della stessa medaglia, un evento spiacevole in mensa, fugaci sguardi e irriverenti battute, un incontro del tutto casuale ed ecco che Nike inizia a ritrovarselo ovunque, come se all'improvviso fosse diventato la sua ombra. Lei lo evita, poiché non ha alcuna intenzione di farsi irretire da quell'aria di guai e mistero che il ragazzo sembra portare con sé, ma tutti i suoi tentativi si riveleranno vani perché, si sa, arriva sempre un momento nella vita in cui ragione e sentimento si scontrano e l'uno ben presto dovrà cedere il passo all'altro.
E non resterà che giocare a carte scoperte.
Dal testo:
«Lo sai che stai occupando il mio posto?».
[...]
«Scusa?».
«Stai occupando il mio posto. Ti dispiace andare a rilassarti qualche rampa più in là?».
«Sì che mi dispiace. Questo» – dissi, alludendo al posto – «è sempre stato il mio rifugio. Perciò sei tu a dover sloggiare».
[...]
«Sei la ragazza della mensa».
Addio tentativi di passare inosservata.
Genere: Commedia, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Shivers

______________________________

SECONDA PARTE

 

 

 

                                                  “Non sono il tempo o l’occasione a creare l’intimità,

ma solo la disposizione.

Sette anni non basterebbero a far sì

che due persone si conoscano

e per altri,

sette giorni sono più che sufficienti”.

 

-          Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen

 

Dopo aver comunicato a Ven le mie intenzioni, rientrai in dormitorio cominciando a ponderare se recarmi da Weston subito o in seguito. Peyton mi aveva assicurato che ce l’aveva messa tutta ma che ogni volta pareva altrove con la mente e che di quel passo avrebbe potuto ottenere solo ulteriori peggioramenti.
Perciò, armata di un coraggio che avevo celato fin troppo a lungo oramai, presi lo scooter in dotazione del campus e raggiunsi il dormitorio di West.

Ovviamente non potevo che aspettarmi che Courtney Sullivan fosse lì. Mi era sembrato molto strano che la loro relazione stesse durando più del previsto, poiché lei era nota per essere una ragazza poco seria. In ogni caso, pensai, non era così stupida da lasciarsi scappare un ragazzo come Weston Carter.
Nessuno l’avrebbe permesso.
Appena fui di fronte all’alloggio indugiai con la mano se bussare o scappare a gambe levate. Venni salvata in corner – o forse dovrei dire, incastrata – perché la porta venne spalancata quasi si fosse accorta che ero lì. Una furia dai capelli biondo platino per poco non mi finì addosso. Quando si rese conto che le stavo praticamente dinanzi, si arrestò e mi scrutò inclinando il capo.
«Tu cosa cazzo vuoi?».

Sono venuta per concorrere una partita a scacchi, non lo sapevi?
Diciamo che Courtney e la finezza viaggiavano su due versanti completamente separati.
Roteai gli occhi sbuffando, immaginando che stessi per assistere ad una scenata di gelosia in piena regola.
«Sto aspettando una risposta, sfigata», mi puntò contro un indice, l’unghia perfettamente laccata di uno smalto color rosso carminio.
«Sullivan, devi metterti in quel cervellino striminzito che il mondo non gira intorno a te o alla tua amica. Cosa sono venuta a fare, secondo te?», feci retorica.
«A rovinarmi la vita, come minimo», rispose con una vena tagliente nel tono di voce.
«Sei sicura che tu non sia ubriaca oggi? No, perché stai dicendo un sacco di assurdità. Fino a prova contraria sei tu ad avermi rovinato la vita fino ad adesso. Io ho solo reagito di conseguenza».
Mi meravigliavo del mio tono pacato e maturo. Stavo facendo progressi.
«Mmh, se non sei qui per rubarmi il ragazzo, allora cosa vuoi?», insistette, tamburellandosi un dito sul mento ed un piede per terra impaziente.

La verità è che io e Carter ci riuniamo il pomeriggio a farci le treccine a vicenda, avrei voluto rispondere.

«Mi manda la preside Chamberlain. Sono qui per accordarmi con West riguardo le ripetizioni. A proposito, lui dov’è?».
«Posso benissimo dargliele io, le ripetizioni» ribatté, piccata.
Non osai pensare a cosa si stesse riferendo. Avrei sicuramente dato di stomaco.
«Be’, fai due più due se la preside ha incaricato me e non te. Aziona il cervello per una buona volta».
«Comunque Weston è sotto la doccia», disse rispondendo alla mia domanda precedente.
Annuii. «Vorrà dire che aspetterò».
«Sfigata, mi era sembrato che fosse la tua amica a dare ripetizioni al mio ragazzo», mi fece notare, calcando di proposito l’aggettivo possessivo.

«Sì, diciamo che non ne aveva più la possibilità».
«Ti tengo d’occhio, Parker».
«Quando vuoi», replicai per nulla scalfita, fingendo un sorriso.
«Court, con chi stai parlando?».
Come al solito, persi un battito. Di quel passo mi avrebbero dovuta rianimare con il defibrillatore. La sua voce era sempre stata così roca e sexy o me ne accorgevo solo ora?
E poi... oh cazzo. Voleva per caso attentare alla mia vita quel giorno? Weston Carter con solo un asciugamano legato attorno alla vita doveva essere considerato illegale.
Mi coprii gli occhi impulsivamente. 
«Oh, abbiamo una verginella pudica, qui», osservò derisoria la Sullivan.
«Ehi, Wes. La sfigata qui presente dice che deve parlarti a proposito di alcune ripetizioni. Vestiti o mi toccherà usare le mie forze per portarla in rianimazione con questo andamento. Poverina, non è abituata a vedere un ragazzo a petto nudo. Lo dico io che è lesbica».
Spalancai occhi e bocca prima di arrossire vistosamente.
Gallina bastarda. Feci per ribattere ma la voce di Weston si frappose alla mia.
«Strange?».

No, la Vergine Vestale...

Prima o poi avrebbe dovuto spiegarmi il perché di quel tono sorpreso.
«“Strange”?», ripeté Courtney storcendo la bocca in una smorfia.
Grazie, Carter. Molto gentile e saggio da parte tua usare quel nomignolo che sapeva di intimo e familiare di fronte alla tua ragazza.
«Non farci caso», intervenni per salvare la situazione. Avrebbe dovuto farmi una statua, oltre che ringraziarmi! Ero passata da semplice tutor a Vergine Vestale a salvatrice di relazioni.
Fortunatamente Courtney lasciò perdere e con una scusa pessima si dileguò, lasciandoci soli.
«Be’, dici che riuscirai a vestirti entro le quattro?», sbottai per salvare me stessa da una figura patetica.
«Nicole».

Inclinò la testa da un lato facendo slittare davanti al volto dei ciuffi di capelli.

«Devi smetterla di fare così».

Così come? Non gli avevo mai sentito adoperare quel tono così aggressivo se non in laboratorio di fotografia e alla sua festa.
Mi ricordai delle bugie di Peyton e cercai di contenere un sorriso vittorioso.
Aveva ragione la mia amica. Quella sera aveva proprio fatto una specie di scenata di gelosia. 
«Così come?!», chiesi alzando gli occhi al cielo.
«Così... », ripropose, facendo un gesto strano con le braccia, «Scompari per giorni, non mi dici che hai un appuntamento e poi come se niente fosse ricompari e per di più nella mia stanza a parlare civilmente con la mia ragazza!».
«Ma che stai dicendo? Non devo dare certo conto a te di dove vado o di con chi esco. Non abbiamo alcun vincolo, mi pare. Piuttosto faresti meglio a pensare chi va a scoparsi quella che tanto ti ostini a chiamare la tua ragazza».
Lui fece un cenno di assenso con il capo: «Ho capito. Sei gelosa».
Lui aveva capito? Lui aveva preso un abbaglio potente!
«Io? Sono forse io quella che ti sta aggredendo perché hai passato del tempo con una ragazza, senza dirmelo? Fai pace con il cervello, West!».
Carter voltò lo sguardo a sinistra e si morse il labbro inferiore.
Lo detestavo.
«Rimane il fatto che sei qui e non riesco a spiegarmi il perché».
Presi un respiro profondo con la speranza di calmarmi. «Un uccellino mi ha detto che non stai migliorando granché nello studio e che sei ad un alto rischio di non passare l’anno».
«Peyton Jeffrey è una vera e propria pettegola», mormorò lasciando andare le mani contro i fianchi ed alzando la testa al soffitto. Doveva proprio stare con quell’asciugamano ed i capelli umidi tutto il giorno?
«Per favore, ti puoi mettere qualcosa addosso?».
Eccolo lì. Di nuovo il ghigno che tanto detestavo quanto adoravo.
«Perché, ti dà fastidio?». Fece un passo verso di me ed io indietreggiai fino a toccare il muro con le spalle.
No, no, no, no. Che stava facendo?
«Rilassati, Strange. Non ti salterò addosso, se è quello che temi».
Sì, ma era comunque meglio tenere le distanze.
«Comunque, ritornando al discorso ripetizioni... ho detto a Ven che qualora le lezioni impartite da Peyton non fossero andate a buon fine, sarei intervenuta io», spiegai, liberando i capelli dall’elastico e rifacendo la coda.
«Che pensiero gentile da parte tua», ironizzò, stringendo la presa sulla mascella mentre si dirigeva verso l’armadio.

«Ti sei mai chiesto perché avessi chiesto che fosse Peyton a prendere il mio posto?», obiettai.
«Perché il tuo ragazzo si sarebbe potuto ingelosire vedendoti con me», rispose sicuro di sé.
Peyton, Peyton, Peyton. Quante ne aveva combinate?
«Assolutamente» Sì. «no», dissi invece scuotendo la testa con veemenza.
«E allora?».
«Avevo dei corsi extra e non avrei potuto gestire anche te. Ho dovuto rinunciare al giornalino scolastico per dedicarmi alle tue stupide lezioni. Questo perché ovviamente tu devi sempre mettermi i bastoni tra le ruote!».
Peyton mi aveva riferito che durante i loro incontri sembrava avere la testa altrove.
«Hai... perché l’hai fatto?», domandò incredulo sgranando gli occhi.

Eravamo certi che alla St. Hope non ci fossero esseri soprannaturali?
«Perché... be’, non voglio che tu perda l’anno» ammisi. Stavo facendo un enorme fatica. 
«Ma, ma per te era importante e...»
«Se è per questo anche fotografia era importante», aggiunsi, con fare da so–tutto –io.

«Sei impazzita? Hai mollato il corso di fotografia?! Per me?!».
«Per Ven», lo corressi. 
Una mezza bugia.
«Non ci credo. Non posso crederci. Non ne valgo la pena, Strange. Non me lo merito». Quel suo fare su e giù freneticamente per la stanza mi stava facendo venire un’emicrania.
«Vuoi stare fermo un attimo?», sbottai, irritata, posando una mano sul suo braccio. 
Ogni volta credevo di trovarmi davanti un bambino dell’asilo.
«Lo sai che non serviranno a niente queste lezioni, vero? Sarà meglio che tu riprenda le tue attività».
«Non ho mai detto che sarebbe stata una passeggiata, ma diamine, West! È stato un sacrificio per me, ti rendi conto? Se sono venuta qui per parlarti di questo di persona è perché anche se mi hai fatto stare male — e qui pensai che avrei potuto evitare di dirlo — «anche se mi hai fatto stare male, un po’ a te ci tengo».

«E se serviranno dieci giorni perché tu ti rimetta allo stesso livello degli altri, ben venga. Annullerò anche il corso di botanica. Ma non dirmi che ho già perso in partenza. Non voglio crederlo».
Sentivo un macigno sul cuore. Lui non credeva di potercela fare ed io gli avrei dimostrato il contrario.
Carter schiuse leggermente le labbra e trasalì. O almeno a me parve così.
«Ti ho... sei stata male a causa mia?».
Incredibile! Del discorso nobel che avevo elargito lui si era soffermato sul particolare meno importante. Che cazzo!
«Sei assurdo!», esclamai. Un guizzo divertito si impossessò della sua bocca e si sporse per pizzicarmi dolcemente un fianco: «Ma mi adori lo stesso».
Scattai al contatto del suo tocco e mi allontanai, spingendo dietro l’orecchio un ciuffo sfuggito alla coda. Poi sollevai un sopracciglio altamente scettica: «Ehi, non darti troppa importanza».
Weston finalmente si avvicinò al cassettone e pescò dei benedetti vestiti.
Deo gratias
. Ripresi a respirare regolarmente.

«Quindi, quando ci dovremmo vedere?», chiese infilandosi una T-shirt nera che gli aderiva perfettamente al busto mettendo in risalto i muscoli tonici del torace.
«Per me va bene anche dopo le lezioni». Poi aggiunsi: «Se non hai da fare, certo».
«Non ho da fare», rispose repentinamente. Troppo per i miei gusti.
«Okay», sussurrai annuendo come un’ebete. Ma perché?
West si nascose in bagno per infilarsi i boxer ed i jeans e quando uscì fuori, si passò una mano tra i capelli ancora umidi che stranamente sembravano più corti di quando erano asciutti.
Avrei tanto voluto affondarci la mano e scompigliarli. Non lo so, dovevo essere drogata in quel momento, sicuramente. 
Mentre si spruzzava sul collo dell’acqua di colonia, mi ritrovai a scorgere per la prima volta, sulla sua guancia destra un’adorabile fossetta.
E diavolo, io le adoravo. Era ufficiale, dovevo andarmene di lì.
«Rimaniamo così allora? Ci vediamo in biblioteca? A quell’ora non c’è nessuno. Peyton ha chiesto un permesso per andare a trovare i suoi insieme a Kyle».
«E perché vorresti rimanere da sola con me, Nicole Parker?», fece di rimando ammiccando ed adoperando un tono malizioso seguito dall’immancabile sorriso laterale.
«Quanto sei stupido...», soffiai, abbassando a terra lo sguardo.
«Ripetimi un po’ da cosa hai detto che iniziamo? Anatomia, vero?».
Si divertiva così tanto a farmi arrossire, evidentemente.
Presi la prima cosa che trovai sotto mano e gliela lanciai addosso.
«Come siamo aggressivi...», ammiccò di nuovo, questa volta facendomi ridere.
«Direi di iniziare con la matematica se sei d’accordo».
Weston fece un gemito di disapprovazione, corrugando le sopracciglia. «Ma io odio quella materia».
«Appunto».
«Sei sempre così perfida con i tuoi alunni?».
«Non so dirtelo. Tu sei il primo, Weston Carter», dichiarai.
«Te lo dico io, allora. Lo sei». I suoi occhi adesso sembravano velati di una strana luce, quasi rivelatrice. Era come se mi stesse lasciando libero accesso alle sue emozioni. Occhi così diversi da quelli che avevo osservato quella volta dietro la scuola. Era come se stesse nascendo una palpabile sintonia tra noi. E mi piaceva. Qualsiasi cosa stessimo costruendo, mi piaceva.
«Posso sempre tirarmi indietro, ti ricordo», puntualizzai, sfidandolo con gli occhi.
«Ma non lo farai».
Odiavo che fosse sempre così sicuro di sé.
«A domani, West». Feci un cenno con la mano mentre mi dirigevo verso la porta.
«Scommetto che non vedi l’ora». Non potei non notare un guizzo divertito nei suoi occhi.
«Certo. Non vedo l’ora di metterti in difficoltà. Ha presente la trigonometria, signor Carter?».
Lui di risposta sbuffò sonoramente facendomi ridacchiare.
«Sono del parere che anatomia sarebbe stata molto più interessante... e produttiva».
Nascosi un sorriso mordendomi il labbro, come al solito. Questa volta scossi impercettibilmente il capo.
«Non cambierai mai», gli confessai divertita. Senza attendere una sua risposta, sgattaiolai via, lontano da quei maledetti occhi così penetranti.

* * *

Avevo sempre adorato il sole. Specialmente quando l’aria era fresca ma ci pensavano i raggi a riscaldarti. Era un’atmosfera che mi rilassava e mi tranquillizzava allo stesso tempo. Mi metteva di buonumore. Era il secondo giorno che mi incontravo con Weston ed avevo scoperto molte cose sul conto. Ad esempio, che fosse una buona compagnia. Quasi meglio della mia musica.
Quasi.
Di lui adesso sapevo che era stato costretto a venire in collegio a causa di una rissa scoppiata nella sua vecchia scuola. Ora sapevo la verità su quel che era accaduto. Fino ad allora avevo solo sentito molte dicerie in merito, ma io non avevo mai creduto a quel genere di cose. In genere mi fidavo solo della parola dei diretti interessatoi. Adesso sapevo che non era stata colpa sua se quel ragazzo era finito in ospedale ed era morto poco dopo tempo. Sapevo che West ancora ci stava male anche se lui non c’entrava nulla. In fondo, stava solo coprendo il suo migliore amico. Avevo anche scoperto che non era andato in riformatorio grazie dapprima all’aiuto di Ven e suo zio, ed in seguito grazie alla testimonianza del suo amico, il vero colpevole. Tuttavia, Kane Armstrong aveva voluto mandarlo lontano da quel posto e da quella città sotto l’ala protettrice della sua migliore amica dai tempi delle scuole medie.
Ora guardavo Weston Carter sotto una luce completamente nuova e diversa. Certo, non conoscevo ogni minimo particolare della sua esistenza, però mi stava piacendo scoprire un pezzo del puzzle – o per meglio dire del cubo di Rubik – un po’ alla volta. Perché sì, avevo capito che dietro il bel faccino di quel ragazzo si celava un dedalo di segreti.
Quella mattina non ero andata a lezione perché non me l’ero semplicemente sentita. Avevo preferito fare una passeggiata dopo aver avvisato Ven, la quale mi aveva garantito di stare tranquilla e di chiamarla – come sempre –  in caso di necessità o problemi.
Weston stava prendendo seriamente le lezioni tanto che già a distanza di un giorno avevo notato un grande miglioramento. Chissà come mai Peyton non c’era riuscita...

Nonostante le continue distrazioni, era un ragazzo intelligente, con del buon potenziale ed io dovevo solo aiutarlo a fare emergere quei pregi e soprattutto a farne buon uso.
Mentre giravo la pagina del libro Emma di Jane Austen, mi accorsi che tra le sue pagine c’era impigliato un foglietto di carta piuttosto sgualcito. Curiosa, lo spiegazzai e lessi il seguente messaggio:
“Non ci credo che tu lo stia rileggendo per la millesima volta! Perché proprio questo libro, vorrei tanto saperlo. Molte sono fissate con Orgoglio e Pregiudizio ma tu... tu sei una continua scoperta, Nicole Parker”, feci comparire un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

“Comunque, guarda un po’ non si è mai visto che due amici non si scambiassero il numero di telefono. Quindi, ecco il mio ;)

P.s.: Lo so che stai sorridendo. Pessima bugiarda”.

 

N.B: Sì, Strange, noi siamo amici.

 

Scossi la testa senza smettere di sorridere e ripiegai il biglietto inserendolo di nuovo tra le pagine.

Quel pomeriggio, alle tre in punto, Carter mi raggiunse in biblioteca, facendomi prendere un mini infarto. Di conseguenza la bibliotecaria minacciò di buttarci fuori.
«Sei impazzito?», sibilai senza alzare la voce, di conseguenza dovetti avvicinarmi al suo orecchio. '
Lui alzò le spalle e sorrise sornione,
«Hai trovato il mio biglietto?», si informò, indicando il libro con gli occhi.
«Sì», risposi con finta noncuranza carezzando d’istinto il dorso del tomo.
«C’è la possibilità che vossignoria mi elenchi la motivazione per cui legge questo libro dal dì alla sera?», continuò con un tono regale che mi provocò una risata gutturale. Gli diedi una gomitata sul braccio perché di quel passo, ci avrebbero sbattuti davvero fuori.
«E comunque il motivo è uno solo. Ammiro molto Emma, la protagonista».
«E perché?». Piegò un sopracciglio, continuando a perforarmi con i suoi occhi.
«Perché mi identifico molto in lei».
«Anche tu sei innamorata di un Mr Knightley?».
Non sapevo se essere sorpresa dalla domanda o dal fatto che proprio lui avesse letto il mio libro preferito.
«Può darsi. Ma da quando leggi questi “romanzetti squallidi”, tu? - insinuai, citando le parole di Peyton e di Courtney prima di lei. Un giorno, mentre stavo camminando per i corridoi della scuola, persa tra le righe del libro, Courtney Sullivan pensò bene di farsi notare e posato un indice sull’estremità del libro, lo fece cadere a terra, lasciandomi esterrefatta. Infine, lo raccolse e cominciò a sfogliarlo, iniziando a sbeffeggiarmi.

«Sei proprio una sfigata se leggi questa roba. Romanzetti inutili creati di proposito per illudere il genere femminile. Una cosa è certa, però: è il sesso a risolvere tutto, non l’amore e queste porcherie».

Non avevo mai udito un tono così cinico e freddo da parte di una donna e più precisamente da parte di una mia coetanea. Siccome non avevo una risposta – all’epoca ero solo un’ingenua nerd con tanto di occhiali – mi ripresi il libro e me ne andai a testa bassa senza fiatare.

La voce sensuale di Weston mi riportò con i piedi a terra e smisi di pensare al passato, fingendomi interessata. Purtroppo avevo perso il filo logico del discorso.
«Ehi, solo perché alla mia ragazza non piacciono non significa che non debba crearmi una cultura. Ho una teoria: per capire le donne, devi provare a pensare come loro. E di conseguenza questo mi sembrava un buon punto di partenza. Sul serio adorate quelle robe lì?». Gli diedi uno schiaffetto giocoso sul braccio.

«Bada a come parli... si chiama romanticismo. E posso risponderti solo soggettivamente. A me piace il romanticismo fittizio, il che è tutto dire poiché non credo nell’amore reale, quello che ha legato i miei genitori e che a detta di molti lega le persone in generale. Sono convinta che sia solo un’illusione destinata ad avere un fine».
West ora mi fissava ammirato. Con quel discorso avevo rivelato una parte di me senza accorgermene. Non sapevo se pentirmene. Ciononostante pensai che anche lui si fosse aperto e che un aneddoto ciascuno non avrebbe fatto male a nessuno.
«Non smetterò mai di fartelo notare, ma tu sei proprio strana». 
Inspirai pesantemente. Lo diceva troppo e sempre più spesso.

«E tu non mi hai ancora raccontato di come ti sia procurato le cicatrici sul torace».
Okay, forse dovevo andarci piano perché non sembrava essere un argomento di cui andava fiero. Lo si notava dalla mascella e dai muscoli all’improvviso contratti. Gli avevo posto la stessa domanda il giorno prima, perché mi ero ricordata di averli intravisti nella sua stanza quando se ne stava bellamente a petto nudo e mi ero ripromessa di indagare. Tuttavia avrei dovuto essere meno diretta.
«Cioè... scusami. Sono stata un po’ troppo brusca. Non devi parlarmene per forza». Tentai miseramente di rimediare alla mia gaffe. Non avrei mai smesso di fare figure di merda ai suoi occhi.
«Lascia perdere, Strange».
Annuii, cominciando a torturarmi il labbro.
«Allora, stavamo dicendo? Riprendiamo gli argomenti di biologia?».

Decisi di cambiare discorso e di assumere un carattere più professionale. Mi stavo addentrando in acque troppo profonde.
Mentre dicevo quelle parole, notai con la coda dell’occhio che cercava il libro distrattamente senza smettere di guardarmi.
«Se hai finito di fissarmi, io procederei con la lezione. Sai, dovrei vedermi con Micha». Non staccai gli occhi dal mio libro mentre pronunciavo quelle parole. Per la cronaca Micha era il fantomatico ragazzo su cui Peyton aveva fantasticato facendolo risultare come mio partner.
«Strange? Te la sei presa?», mi domandò preoccupato. Sotto la luce soffusa della lampada da scrivania, potevo notare benissimo i suoi lineamenti virili. In quel momento avrei voluto riempirlo di baci. Weston sapeva essere dolce e freddo nelle giuste dosi. Non sapeva che mi stava conducendo ad una sorta di esaurimento nervoso. Di quel passo sarei finita in cura dalla counselor messa a disposizione dalla scuola.
Smisi di torturare l’evidenziatore e lo lanciai sullo scrivania, lasciandomi andare contro lo schienale della sedia. Chiusi gli occhi e posai una mano sulla fronte.
«No, figurati. Non sono fatti miei, in ogni caso». E non lo erano davvero. Quelli erano argomenti che si dovevano trattare da fidanzati e noi a stento eravamo amici.
«Ehi, sicura?».
Mi strofinai il viso mentre lui mi fissava sotto le lunghe ciglia lambendosi il labbro.
«Ma certo. Quindi... parliamo di Mendel. Chi era?», deviai prontamente il discorso. Non che la biologia fosse un territorio più sicuro e tranquillo.
«Un filosofo?», provò, forse solo per il gusto di farmi innervosire.
Ci riuscì. Sbattei il libro contro la mia testa.
«Un filosofo? Un filosofo?! West, l’avremmo ripetuto ottocento volte», sbuffai, contrariata.
«Calmati, Parker. Lo so chi è Mendel. Volevo solo provocarti. È un matematico ed un naturalista tedesco».
«Bene. Quante leggi riconosciamo riguardo Mendel?».
«Tre», disse secco. Gli feci cenno di continuare, indurendo i lineamenti.
«Legge della dominanza, della segregazione e dell’assortimento indipendente».
Annuii. Non ero incazzata con lui perché non aveva voluto rispondere a quella domanda. Ce l’avevo con me stessa per la mia sfrontatezza e la mia curiosità. Anche se i latini si ostinavano a chiamarla “sana curiositas”. Pazzi, pure loro.

«Cosa dice la seconda?».
«Dice che ogni individuo possiede due fattori per ogni coppia di alleli, uno paterno e uno materno. Quando si formano i gameti, i fattori si dividono e ogni gamete possiede uno solo dei fattori. Abbiamo finito?».

Ma se avevamo appena iniziato!
«Lo dico io quando abbiamo finito», intervenni, in tono aggressivo.
«Tu ce l’hai con me, Strange», asserì, a braccia conserte.
«No», ribattei in tono risoluto.
«Sì, invece».

Ah, evidentemente il counselor era lui ed io non lo sapevo.
«Ti ho detto di no. La terza legge cosa dice?».
Lui continuò a fissarmi insistentemente: «Gli alleli posizionati su cromosomi non omologhi si distribuiscono in modo casuale nei gameti. Sei incazzata e si vede», si ostinò.
«Smettila. Cosa sono i gameti?».

«Sono cellule riproduttive o germinali mature. Smettila tu, non possiamo chiarire?».
«No, perché non c’è nulla da chiarire, a parte la biologia.

Quante fasi abbiamo nella mitosi?».
«Quattro. Non ti sopporto quando fai così».
«Non è importante che tu mi sopporti o meno. Per oggi abbiamo finito. Ci vediamo».

In realtà non avevamo concluso un bel niente.
Raccolsi i miei libri alla velocità della luce e strascicando la sedia sul pavimento producendo un terribile suono alle orecchie, mi voltai di scatto per lasciare la biblioteca.
«Strange, l’evidenziatore», sospirò West.
«Tienitelo», replicai di rimando. Risultai più brusca di quanto volessi dare a vedere. Pazienza.

* * *

Quando una giornata comincia male, te ne accorgi da sola, perché stai sicura che tutto quello che può andar male andrà male fino alla fine. Lo dice la scienza non io.

Dopo aver congedato West ed aver inforcato l’uscita mi ero dovuta appoggiare con la schiena al muro per riprendere una regolare respirazione. Non volevo che mi raccontasse proprio tutto della sua vita, però avrei voluto che quantomeno cominciasse a fidarsi della sottoscritta. Gli inviai immediatamente un messaggio in cui gli comunicavo che l’indomani la lezione sarebbe saltata.
Mi rispose quasi istantaneamente: “Continua così, Nicole. Continua pure ad aggirare gli ostacoli! Vaffanculo”.
Inutile dire che mi ero rovinata la giornata da sola.
«Mi assento per due giorni e succede il finimondo!», esclamò una voce a me conosciuta e che mi era mancata molto.
Peyton.
Sorrisi e mi fiondai ad abbracciarla. «Pey, amica mia! Mi sei mancata da morire».
«Eh, su su... saranno stati meno di due giorni. Piuttosto tu! Ho saputo che hai iniziato a dare le lezioni ad un certo Ovest1», disse allusiva.
«Già. Si è rivelato un buon alunno, alla fine», confermai amareggiata.
«E sei in questo stato, perché...?».
«Abbiamo litigato. Più o meno».
«Che significa, “più o meno”?».

Significava esattamente che aveva un’amica permalosa e antipatica.
«Lascia perdere. Parliamo di te. Kyle è piaciuto ai tuoi?».
Si illuminò: «Mia madre e mia sorella lo adorano. Mio padre un po’ meno ma presumo sia perché è geloso. Mi vede ancora come la sua bambina». Il che era una cosa abbastanza dolce visto che io mio padre non lo vedevo quasi mai. Okay, togliamo il “quasi”.
«Sicuramente. E Kyle? Che ne pensa della tua famiglia complicata?».
«Ho dovuto parlargli di Emily mentre eravamo in viaggio. Non ero riuscita a trovare il coraggio prima. Avevo paura che fuggisse a gambe levate...  sai, come Milo2. Ed invece mi ha sorpresa».
«Davvero? L’ha presa bene?».

«E comunque Milo era un bastardo approfittatore», chiarii.
«Se l’ha presa bene? Mi sono addirittura chiesta se non fosse più innamorato di mia sorella che di me».
La sorella di Peyton soffriva di una grave patologia che la costringeva a soli sette anni a stare ancorata ad una sedia a rotelle. Io l’avevo conosciuta al pranzo del ringraziamento e le avevo voluto ben sin da subito. Era una bimba così dolce.
«Ti vedo felice, Pey».
«Lo sono, Nic. Finalmente lo sono».
«E pensare che avevi detto che avrei trovato l’amore per prima», scherzai, scompigliandole i capelli.
«Mi sbagliavo su questo, ma avevo ragione su molte altre cose», affermò in tono saccente.
«Per esempio?».
«Tu sei innamorata persa di Weston Carter».
Signori e signori, la mia amica stava cominciando a sparare stronzate a raffica.
Scossi la testa in senso di diniego, anche se mi fece sorgere un nuovo dubbio che affollò la mia mente fino a sera tarda, impedendomi di prendere sonno.

 

* * *


Passò una settimana esatta nella quale si svolsero regolarmente le lezioni con Carter. Se scoprii la causa delle cicatrici? Sì, lo feci.
Il quinto giorno in cui ci incontrammo ancora non ero riuscita a digerire quella specie di diatriba del secondo giorno. Tuttavia, lui apprese molto velocemente quello che gli sarebbe servito per gli esami finali e riuscì ad ottenere anche una B+ in biologia. Il professor Roberts mi fece le congratulazioni per il lavoro svolto ed anche Ven fu fiera di me. Ritornando alle cicatrici, be’ solo dopo aver sentito la spiegazione, sentii un vuoto enorme al cuore e mi maledissi per avergli fatto molta pressione. Dannata curiosità.
Non era una bella storia. Weston aveva una sorella di nome Lauren. Sì, aveva. Aveva da poco compiuto sette anni e la stava riportando a casa dopo averla presa da scuola. Purtroppo quel giorno pioveva a dirotto e alcune strade erano state bloccate, altre erano scivolose a causa del ghiaccio. Weston dunque, timoroso di fare un incidente aveva preso una strada secondaria che a detta di molti sembrava più stabile. Mentre imboccava la curva, non aveva fatto in tempo a rendersi conto della situazione che le gomme avevano slittato sull’asfalto sbalzando in avanti il piccolo e debole corpo di Lauren che era andato poi a sbattere contro il vetro, infrangendolo.
La macchina che avanzava a grande velocità dall’altro lato aveva accesso i fari che avevano fatto perdere a West la visuale ed il controllo e che di conseguenza aveva finito per sbalzare la macchina fuori dal guard rail. Il mezzo si era capovolto su un fianco e Weston aveva finito per ferirsi più volte essendo rimasto incastrato sotto una lastra. Nonostante il dolore lancinante dovuto ai pezzi conficcati nella pelle, era corso con lo sguardo nella ricerca disperata della sua sorellina, finché non aveva scorso il suo corpo esanime riverso in una pozza di sangue.
Mi disse, mentre le lacrime scendevano a fiotti lungo le guance, che tutto il dolore fisico che avrebbe dovuto provare non eguagliava il dolore di aver perso la sorella. Si diede la colpa per anni e tuttora continuava a darsela. Diceva che c’era un motivo se le sue cicatrici fossero state impresse sul corpo; erano un segno indelebile della sua colpa. Anche se alla fine lui non c’entrava nulla.

Così piansi con lui e mettendo da parte lo studio ed il resto lo abbracciai, asciugandogli le lacrime di volta in volta.
Quel giorno capii che anche se non avevamo concluso niente a livello didattico, avevo conosciuto una colonna portante della sua vita, una sequenza di immagini di cui eravamo al corrente solo io e lui. Neanche Courtney lo sapeva anche se West mi aveva confessato che lei glielo avesse domandato più volte.
E mi ritrovai ad ammettere che Jane Austen aveva avuto ragione, ancora una volta. “Non sono il tempo o l’occasione a creare l’intimità, ma solo la disposizione. Sette anni non basterebbero a far sì che due persone si conoscano e per altri, sette giorni sono più che sufficienti”.

Io e Carter avevamo impiegato così poco tempo per stringere un rapporto che se il nostro incontro fosse stato un film, avremmo scosso la testa e detto: “Non può essere vero”.
Quello fu il primo passo verso qualcosa che ancora non sapevo se avrei mai potuto accettare.

 

* * *

Quello stesso giorno, scoppiò l’inferno. Samantha Byron mi venne a trovare in camera e fece un discorso di scuse che mi lasciò alquanto stupita e perplessa.
Quello stesso giorno, Peyton lasciò ufficialmente Kyle Grayson, il pervertito.
Quello stesso giorno, ammisi a me stessa di essermi innamorata.
Quello stesso giorno, Courtney Sullivan venne scaricata per la prima volta in vita sua.
Quello stesso giorno, Weston Carter fece un incidente.
Quello stesso giorno, chiesi un permesso per recarmi all’ospedale in cui era ricoverato.

Mi dissero che era in coma etilico ma non versai neppure una lacrima perché entrai e mi barricai in un angolo del mio inconscio che si rifiutava di credere ad una cosa del genere. Non è forse il rifiuto la prima fase dopo aver saputo che il primo ed unico amore della propria vita, a cui non si è neanche riusciti a confessare i propri sentimenti, si trovi in uno stato pessimo a causa di un incidente? L'ultima sarebbe stata l'accettazione ma speravo con tutto il mio cuore non fossi dovuta atterrare ad una simile conclusione.

Non avevo mai creduto all’amore vero. Credevo a quello fittizio, quello di cui parlava Jane Austen, quello tra Elizabeth e Mr Darcy e anche se non credevo al primo, in fondo il mio cuore avevo sempre atteso un Mr Darcy. E la vita mi aveva fatto un regalo che non avevo mai saputo apprezzare. Mi aveva regalato una buona amica che avrei ringraziato fino alla fine dei miei giorni, un amico un po’ pervertito che riusciva a strapparmi un sorriso anche quando ero con il morale a pezzi, ed una madre che non avevo mai conosciuto che solo in quel momento mi rendevo conto di avere sempre avuto accanto. Per tutta la vita avevo vissuto stringendo tra le mani un ciondolo con all’interno la figura di una donna giovane, ferrea in me la convinzione che quella fosse mia madre, la mia vera madre. Il problema era che per tutta la mia esistenza avevo sperato che un giorno avrebbe smesso di fare male la sua mancanza, cercando di appigliarmi ad ogni piccolo e offuscato ricordo che avessi di lei, e non mi ero mai soffermata a pensare che forse quelle attenzioni che Venera Chamberlain mi riservava, non erano solo attenzioni legate ad un favore nei confronti di mio padre. C’era molto altro celato dietro. La vita mi aveva dato una seconda possibilità, la possibilità di cominciare una vita normale sotto il nome di Nicole Parker. Ed io mi ero sempre ritenuta come tale. Janel Rothenberg era solo la mia immagine fittizia. Uno scudo che non avevo mai avuto l’occasione di utilizzare. Un nome che avrei di gran lunga preferito dimenticare.
Nonostante tutto, non sarei riuscita a prendermela con Dio. Né con Ven, né con Daniel Rothenberg, il senatore, mio padre, che mi aveva tenuto nascosto quel particolare importante riguardo la mia vita; che non mi aveva mai permesso di crescere con Venera per non destare scandali. Per anni avevo pianto la mancanza di una figura materna, mi ero rifugiata alla sua tomba di Rosalie Hamilton, una totale estranea. 

Ecco, sebbene le recenti e improvvise scoperte, mi ritrovavo a dover ringraziare Dio perché mi aveva concesso di vivere una vita serena e tranquilla, fatta di piccoli attimi ma di grandi successi.
Ed infine, ma non meno importante perché se ero arrivata a quelle conclusioni, il merito andava soprattutto al ragazzo dal cappuccio chino in testa e gli occhi ipnotici che era stato l’unico a sapermi regalare degli autentici sorrisi.

 

Quando si svegliò dal coma, era un po’ scosso ma sempre bellissimo. L’avevo vegliato giorno e notte nell’attesa che aprisse gli occhi. Mi ero promessa che appena l’avesse fatto, gli avrei confessato i miei veri sentimenti. Senza più nascondermi. Senza più mentire a me stessa.
«Strange...», mimò con le labbra, incurvandole nel detestabile ghigno che mi aveva condotta ad innamorarmi. Mai come in quel momento avevo adorato quel nomignolo pronunciato dalle sue belle labbra.
«West, non lo sai che ci sono modi e modi di rubare il cuore alle ragazze?», iniziai, scostandogli dalla fronte i ciuffi ribelli che ancora si ostinavano ad oscurargli il volto.
«Sì, perché sei stato un tale stronzo. Tu non solo ti sei preso il mio cuore ma ti sei permesso anche di giocarci a calcio. Forse non te ne sei mai reso conto perché eri convinto di amare Courtney. Sai cosa, a proposito? Credo proprio tu avessi ragione su di lei, per alcuni aspetti. Migliora un po’ se la conosci. Ed io devo ringraziare te per tutto questo, perché se non fossi entrato a stravolgere tutti i miei piani ed i miei progetti, a quest’ora non sarei altro che una ragazzina ingenua, illusa che l’amore vero non esiste e non esisterà mai. A quest’ora non sarei altro che in alto mare ad affogare nei miei stessi sentimenti. Ad affogare i miei sentimenti, troppo spaventata dalla sofferenza. Se c’è una cosa che ho capito in questi giorni, Weston Carter, è che alla fine sono caduta anche io vittima dell’amore e sì, io...», mi bloccai, stroncata da un singhiozzo. Prima che potessi concludere il mio discorso, mi sentii afferrare per la maglietta verso il letto su cui era steso e in un attimo, le mie labbra si scontrarono contro quelle di Carter. Un bacio che fu dolce, tenero, delicato, ma allo stesso tempo disperato, perché ardivamo quel contatto tanto l’uno quanto l'altra da quando i nostri occhi avevano preso a danzare per quella benedetta mensa finché non si erano arrestati gli uni negli altri, sancendo una muta promessa. Solo che ancora non l’avevamo percepita, ciascuno rinchiuso all’interno della propria bolla di indifferenza e di cecità.

Quando ci staccammo non potei non sorridere come una deficiente. Posai la mia fronte contro la sua: «Io... credo di essere caduta vittima del tuo fascino, Carter. Del resto, è successo a tutte le ragazze della tua vecchia scuola», feci sarcastica, ricordandomi delle sue parole quel giorno in laboratorio.

Ero proprio una stupida ed ingenua ragazzina, allora.
«Non è certo per vantarmi, Strange», stette al gioco lui, carezzandomi le guancie con i pollici, prima di far combaciare nuovamente le nostre labbra.
Risi sulla sua bocca: «Mai pensato».
«Ma mi ami nonostante questo, giusto?», si accertò corrucciando la fronte in un’espressione adorabile.
«Non so... non ne sono sicura. E se poi ci ripenso?».
«Vorrà dire che faremo bastare il mio amore per entrambi», mi rispose, avvicinandosi al mio orecchio e facendomi rabbrividire come al solito.
Feci per alzarmi, perché era giunto il momento di chiamare il dottore.
«Aspetta... non andare», mi afferrò saldamente una mano, come se avesse paura che quello fosse un sogno e potessi lasciarlo per sempre.
«È da mesi che aspetti. Che saranno cinque minuti in più?».
«Non pensi che abbia aspettato già troppo?», sgranò gli occhi, accigliandosi appena. Subito dopo seguì una smorfia di dolore per aver compiuto quel gesto. Difatti il sopracciglio era leggermente lesionato.
«Penso che sia io quella che dovrebbe lamentarsi, West. Non so ancora se ti ho  perdonato per quella sera», gli feci presente.
«Mi hai baciato», replicò, ovvio.
Annuii: «Non significa automaticamente che tu sia perdonato. Diciamo che dovrai aspettare ancora come punizione».
«No, dài... è ingiusto. Sono invalido, non puoi trattarmi così».
Risi, avviandomi verso la porta mentre lui si metteva a sedere.
«Oh, sì. Sei mio, ormai. Posso tutto», affermai risoluta, osservandolo da dietro una spalla, una mano sulla maniglia.
«E chi lo avrebbe deciso, scusa?».
«Mi hai baciato», replicai io, questa volta, ridendo dentro di me. Si poteva essere più felici? Non credo.

L’amore era così bello.
«Qualcuno mi ha detto che non significa nulla». Si mise in piedi, un po’ barcollante e a fatica mi raggiunse. Quant’era bello con quei calzoncini blu ed il torace scoperto e tornito, se non fosse per le bende da cui era fasciato. Indietreggiai fino a toccare la porta. Ops, dejavù.

Mi afferrò per i fianchi e mi attirò a sé, facendo incastrare le mie gambe tra le sue e cercando le mie labbra. Non mi opposi.
«Sei mia», mi baciò sulla fronte, «Ora», mi baciò sulle palpebre, «E», mi baciò sulle guancie, una ad una, «Per», passò al naso e mi fece il solletico, «Sempre», fece infine scontrare le sue labbra contro le mie. 
Mi tuffai tra le sue braccia e cominciai a tracciare delle linee sui suoi muscoli scolpiti, cominciando a baciare ogni cicatrice che vi era impressa mentre tenevo saldamente il contatto con i suoi occhi.
«Che... che stai facendo?», chiese con voce strozzata e gli occhi leggermente vitrei.
«Mi prendo cura di queste». 
«Sono anche queste roba mia, d’ora in poi», affermai, completando l’opera e sorridendo.
Mi fissava con gli occhi ridotti a due fessure. Cercava di scrutarmi nell’anima, forse? Oh sì, ma per quello ci sarebbe stato tempo.

«Sai che sei proprio strana?».
«Mi hanno detto di peggio, Weston Carter». Sbattei le palpebre ed osservai la sua reazione. Di colpo si fece assorto, aggrottando le sopracciglia mentre disegnava dei cerchi sul mio palmo e poi su tutto il braccio, provocandomi piccole scariche elettriche.

«Che c’è?», chiesi curiosa.

«Ma dove sei stata per tutto questo tempo?». Avete presente quando si è increduli nel dire qualcosa e si adopera quel tono così simile a “No, non ci credo”? Be’, Carter ne era l’esempio vivente ed io stavo morendo di iperventilazione.

«Sotto i tuoi occhi, ma eri innamorato della ragazza sbagliata e quindi...», tracciai una linea immaginaria con l’indice su un addominale. Tutto pur di non incrociare i suoi occhi.
Mi strinse più forte: «Nicole West. Suona bene, no?».
«Mmh, che strano... avrei scommesso avresti detto: Strange West».
Sorrise sulle mie labbra, un braccio ancorato alla mia nuca.
Assentì, divertito. «Sì, molto meglio».
Ogni volta che mi sfiorava un brivido mi percorreva la spina dorsale. Ogni volta che si avvicinava provavo la stessa, identica emozione. Ogni volta mi ritrovavo ad arrossire come un'idiota. Ma tanto a figure di merda stavo a quota mille. E lui, lui aveva deciso di amarmi con e nonostante il mio essere così dannatamente ed irreparabilmente... strange.

 

1 “Milo”, si legge “Mailo”; in onore di Milo Huntington de Natale a Castlebury Hall, il mio film di natale preferito;

2  “Ovest”, gioco di parole poiché “West” in inglese significa proprio Ovest.

 

 

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