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Autore: lady igraine    04/04/2017    0 recensioni
Le Terre di Confine, dopo la Caduta del Regno di Neanna, da duecento anni sono governate dal Conclave, una misteriosa congrega di Maghi che stringe nelle proprie mani il destino dei Regni indipendenti.
Ma quando un incubo antico, quello che ormai è solo un racconto per spaventare i bambini, riemerge dall’oscurità, ogni equilibrio è destinato a spezzarsi.
E Sianna, cresciuta nella sicurezza della sua valle isolata, protetta da presenze rassicuranti che la seguono fin dall’infanzia, è l’inizio di quella crepa che incrinerà il suo mondo, e ne ignora la ragione.
Eppure è lei che La Morte sta cercando e, per sopravvivere, Sianna deve presto fare i conti con un passato più complesso di quanto possa anche solo immaginare.
***
«Te l’ho già detto. Le tue linee non sono complete. Non so come spiegarlo… ma il tuo è un futuro che non posso vedere. È come se l’altra metà del tuo destino non fosse incisa sulla tua mano ma da qualche altra parte, come se appartenesse a qualcun altro»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA

 

CAPITOLO QUINTO

 

 

 

Nell’ospitale ogni giornata era uguale alla precedente. Sianna le passava distesa sul letto a contare i nodi del legno nelle travi del soffitto o a infastidire Gael tirandogli le piume, se il falco restava nei dintorni. Non si parlava molto, tra gli ospitati, c’era come una sorta di rispettoso, tacito accordo secondo il quale non si doveva invadere il dolore altrui. C’era silenzio da quando Irwin, il viso più familiare che avesse in quella stanza, se ne era andato.

Era morto la mattina stessa della commemorazione, quando Sianna era rientrata nella camerata semplicemente l’uomo già non respirava più. Nessuno tra i malati aveva detto nulla o fatto qualcosa e Irwin era soffocato nel sonno. C’erano state altre commemorazioni dopo quella, ma lei aveva preso parte solo alla successiva, per poter dare a quell’uomo il suo lumino, la sua guida nell’Aldilà. La confortava sapere che almeno ora non era più lontano dai suoi figli.

Una mattina era arrivato un ragazzino ferito gravemente, insieme ad un bambino che sì e no aveva avuto quattro anni, erano rimasti lì poco nulla, perché infine il ragazzo era morto dopo ore di agonia per Sianna insopportabili. Quel giorno finalmente era riuscita a scambiare qualche parola con una donna in età avanzata, dal volto sfregiato e priva della mano destra, e il perché di tutto quell’orrore a cui ogni giorno assisteva aveva iniziato ad avere un senso.

«Sono i Peith» aveva semplicemente chiarito la sconosciuta, il cui nome apprese in seguito essere Rhona, «Sono sempre i Peith. Si stanno rivoltando, ci stanno massacrando»

Ci aveva rimuginato sopra a lungo, nelle ore tediose del suo tempo libero. I clan Peith non si erano mai ribellati, mai da quando lei era venuta al mondo almeno, e non aveva mai pensato che potesse verificarsi una simile realtà. Una guerra civile le era inconcepibile, nonostante tutto il sangue e il dolore che le scorreva costantemente davanti senza bisogno che lasciasse il suo letto sicuro.

Quando iniziò a stare meglio le fu concesso di abbandonare, per qualche ora, quella stanza claustrofobica sempre costantemente piena di persone sofferenti. Puzzava di mandorla, l’odore che aveva imparato ad associare alla cancrena, e sentiva sempre in bocca il nauseante sapore della ruggine. Allora sedeva nel prato del cortile interno, a respirare le erbe aromatiche che venivano coltivate e a guardare il cielo grigio fumo della calda stagione. Le sue amiche la raggiungevano, quando finivano le lezioni pomeridiane che seguivano insieme ai novizi sacerdoti che ancora non avevano preso i voti, e le raccontavano le storie delle divinità, le cantavano le canzoni che avevano imparato o, semplicemente, restavano distese con lei nell’erba, in silenzio.

«Non me lo avete mai detto, che è stato un Clan Peith ad attaccarci. Cosa sta succedendo?» borbottò una volta.

Aveva gli occhi chiusi e si godeva il vento leggero che le scompigliava i capelli e le accarezzava le guance. Stranamente il sole era visibile e stava bene coperta solo dalla sottoveste bianca a maniche corte. Il braccio le faceva sempre un male tremendo, ma i morsi dispettosi della ferita si erano fatti meno spietati, nel tempo.

«Non lo sappiamo. Glenn Dubhar è stato solo l’inizio, ma da quel giorno molti altri villaggi Dravidi sono stati attaccati. Ynyr non voleva che lo sapessi.»

Sianna si morse le labbra, poi sbuffò esasperata «è una cosa stupida»

«Lui è stupido, non è una novità. Ma dirtelo non cambiava le cose» le fece presente Kea, pratica come sempre. Tra lei e suo fratello c’era sempre stato un rapporto strano e delicato per cui Kea restava l’unica persona al di fuori della famiglia che potesse esprimersi in tutta franchezza negativamente su di lui senza rischiare di essere trucidata.

«E voi siete ancora più stupide perché lo ascoltate ancora»

La sua migliore amica scrollò la testa «Lo sai come la penso. Nel vostro rapporto contorto non ci voglio entrare»

«Nessuno ci vorrebbe entrare» aggiunse Lisy con un sorriso leggero «Siete impossibili»

«Sono due idioti, è diverso» fu la conclusione lapidaria di Iris. Sianna si passò la mano sana sul volto a stropicciarsi le palpebre. Aveva delle occhiaie profonde e una grande stanchezza addosso, dovuta al fatto che più dormiva più era stanca e voleva dormire. Forse, semplicemente, non vedeva l’ora di abbandonare l’ospitale e la nenia di lamenti che le faceva da corredo notturno ogni giorno. C’era da impazzirci.

«Grazie mille, davvero. Ogni volta mi ricordate di non dimenticarmi di chiedermi perché diavolo butto il mio tempo con voi!»

Mari si lanciò letteralmente sul suo stomaco, strappandole un informe suono strozzato «Perché hai bisogno di qualcuno che ti legga la mano!» le disse raggiante trattenendo le risa. Sianna guardò stralunata Marion, ancora una bambina, con i capelli scarmigliati e quella sua aria da ragazzina di strada sempre scalza e con le braccia tintinnanti di bracciali, e le fece una pernacchia «Sei una pessima chiaroveggente. Questo – e si indicò il braccio con la punta del naso – non l’avevi proprio visto»

Marion socchiuse gli occhi verdi e si fece stranamente seria «Te l’ho già detto. Le tue linee non sono complete. Non so come spiegarlo… ma il tuo è un futuro che non posso vedere. È come se l’altra metà del tuo destino non fosse incisa sulla tua mano ma da qualche altra parte, come se appartenesse a qualcun altro»

Sianna si mise a ridere e con lei anche Lisanda «Sei sempre tragica» la canzonò Lisy.

Mari prendeva con incredibile serietà il suo lavoro. Era così che l’avevano conosciuta. La gitana era seduta sul bordo della strada nel giorno di mercato, con un quadrato di stoffa davanti a lei su cui andavano accumulandosi le monetine delle persone che potevano permettersi il diletto di farsi leggere il futuro. Quando Marion aveva visto Sianna e Kea, semplicemente aveva abbandonato tutto per andare da loro a offrire gratuitamente i suoi servigi. E la verità era che la ragazzina sapeva davvero quello che diceva, era stata lei a dire loro che un giorno avrebbero conosciuto due gemelle, e pochi mesi dopo Lisanda e Iris erano entrate nelle loro vite.

Sianna le scompigliò i capelli e le sorrise «Non darle retta. Cosa vedi adesso?»

Marion si mise fra i denti il cordoncino del pendaglio che portava sempre al collo, come faceva quando si doveva concentrare, le strinse la mano destra e la studiò come se davvero in quelle linee potesse leggerci la storia della sua vita. In quei momenti Sianna si sentiva veramente in soggezione. Lo capiva, anzi lo percepiva, che stava assistendo a qualcosa di reale, non ad una frottola per tenere buoni gli sciocchi ricconi presi dalle compere di stoffe e merletti. Con le dita Mari seguiva linee visibili e ne tracciava di invisibili.

«Vedo che qualcuno ti cerca» corrugò le sopracciglia scavando un solco leggero tra di loro e arricciò il naso con fare pensieroso «Qualcuno ti aspetta, e qualcuno che conosci molto bene ti vuole male e vuole vendicarsi. Ma nessuno di loro ti avrà, perché incontrerai un vecchio amico e lo seguirai» concluse distendendo poi la fronte. Le richiedeva sempre un grande sforzo. «Però devi guardarti dal rosso… e dal serpente»

«Un serpente?» s’incuriosì Lisanda rotolando sulla pancia e racchiudendo il volto rotondo nelle mani a coppa, per poter guardare Mari negli occhi. La ragazzina sollevò le spalle con noncuranza «Che vuoi che ne sappia? Io dico solo quello che vedo»

Sianna finse di battere ripetutamente la nuca per terra «Te lo giuro Mari, ogni volta che mi faccio guardare le mani da te poi desidero il suicidio. Se cercherò d’impiccarmi un giorno di questi, non ci vorrà un tuo oracolo per capirne la ragione!»

Kea sollevò un sopracciglio con scetticismo «Il problema è che credi a queste sciocchezze» disse con il suo solito, laconico cinismo. «Non sono sciocchezze!» scattò Marion.

«Infatti siete voi le sciocche» interferì Iris sollevandosi agilmente. Si pulì l’abito bianco da novizia e le squadrò dall’alto in basso «Mai un po’ di silenzio con voi. Sianna non dovresti andare?»

Sianna gonfiò una guancia con indignazione e rassegnazione, perché effettivamente il tempo libero che le era concesso era limitato e Eireen presto sarebbe andata a recuperarla, se non fosse rientrata di sua spontanea iniziativa. «Non hai pietà» bofonchiò spingendo via Mari dal suo stomaco per alzarsi a sua volta «Non vedi l’ora di liberarti di me».

 Studiò Iris, espressiva come una bambola di pezza, e le saltò addosso all’improvviso in modo tale che la ragazza non potesse difendersi, per riempirle le guance di baci.

«Mollami, Sianna! Dai! Sei fastidiosa!» prese a lagnarsi e le amiche scoppiarono a ridere per quei suoi deboli tentativi di scrollarsela di dosso.

«Te la sei cercata sorellina, lo sai che non devi provocarla» ridacchiò Lisanda. Sianna mollò la gemella per concentrarsi sull’altra «E tu lo sai che ce n’è anche per te»

Lisanda sbiancò all’istante e, ancora sdraiata nel prato, prese a indietreggiare goffamente trascinandosi con i gomiti «No, stavolta non ho fatto niente!» la supplicò, e con un rapido scatto si alzò per mettersi a correre prima che Sianna potesse acchiapparla. «Siete voi che dovete superare questa cosa che non vi piace essere abbracciate!» rise di gusto, e finalmente si sentì leggera come lo era sempre stata, nonostante le cose brutte, le ansie di quella stanza piena di volti tristi, nonostante l’assenza d’Ynyr che, dal giorno della commemorazione, non si era più mostrato.

 

 

 

«Sianna? Svegliati. Forza, non ho tutto il giorno»

Sianna si stropicciò stancamente gli occhi: odiava l’ospitale perché dava ad oriente e la luce irrompeva sempre filtrando dalla finestra di fronte al suo letto, irritandola, mentre la sua vecchia camera era in un’adorabile e quanto mai rimpianta penombra. Riconobbe subito Eireen prima ancora di vederla, per via del profumo di erbe essiccate che l’accompagnava sempre. Era giovane e graziosa e i suoi tratti dolci illuminati da un leggero e comprensivo sorriso.

«Devo cambiarti le fasciature» le fece notare la donna mentre Sianna si metteva a sedere, usando il muro come appoggio, e si lasciava sfuggire un molto poco dignitoso sbadiglio senza coprirsi la bocca. Guardò la sacerdotessa che stava facendo dondolare davanti a lei le bende e ci mise qualche secondo a realizzare la richiesta, perché era troppo assonnata. Con un sospiro rassegnato si costrinse ad alzarsi. «Arrivo» mormorò affranta. Tutti i giorni iniziavano nello stesso, identico modo. Era solo Eireen ad occuparsi di lei e non le medicava mai le ferite davanti agli altri pazienti, come erano soliti fare invece gli altri guaritori con tutti i degenti, ma ogni mattina la costringeva ad andare in un'altra stanza.

Sianna non ne sapeva la ragione, l’assecondava e basta.

L’ospitale era grande ed oltre a comprendere due camerate in grado di raccogliere oltre sessanta infermi, c’era il locale dove veniva condotta di solito, la stanza dei salassi. Appesi alla parete vi erano armamentari seghettati che le mettevano i brividi e su cui aveva deciso con se stessa fin dal primo momento di non indagare, e una mobilia conteneva bacinelle e lancette di legno e acciaio affilate e dall’aria intimidatoria. Aveva sentito spesso urla provenire da lì, le amputazioni venivano effettuate lontano da occhi indiscreti, e una volta una donna aveva pure partorito sull’unico letto presente nel cubicolo, letto che da allora Sianna si premurava di evitare. Non voleva immaginare quante cose dolorose e disgustose fossero avvenute fra quelle lenzuola, poteva sentire il miasma della sofferenza già soltanto tra le pietre dei muri e tanto bastava a turbarla.

Quando la sacerdotessa ebbe chiuso la porticina alle sue spalle Sianna si lasciò cadere su una sedia e automaticamente alzò il braccio e si morse le labbra, già pronta a sopportare il dolore. La stoffa si appiccicava sempre alla carne viva e l’ustione, che prendeva buona parte dell’omero, produceva un liquido giallastro e purulento che le faceva impressione. Eireen le tolse la steccatura con delicatezza e Sianna si analizzò la ferita.

Nell’ultimo periodo c’erano stati enormi miglioramenti, era meno raccapricciante della prima volta che l’aveva vista, lo squarcio si era quasi del tutto rimarginato e anche l’ustione era meno problematica. Gli unguenti di Eireen stavano facendo un vero miracolo. La sacerdotessa estrasse dalla bisaccia il solito barattolo contenente una pastella verde e viscida, gliela spalmò con cura sulla ferita e Sianna si costrinse a non mugolare, anche se bruciava da morire.

«Si sta rimarginando bene. Direi quasi incredibilmente» le disse dopo averle rimesso le bende senza steccare il braccio «questa non ti serve più, l’osso ormai è guarito. Sei quasi in perfetta salute»

«È da giorni che lo ripeto, ma voi mi ignorate» puntualizzò subito, con un mezzo broncio che in realtà celava una speranza: che la dimettessero, finalmente.

«Sì lo so, ti sei fatta sentire anche fin troppo!» la pungolò Eireen, esasperata.

«Quindi sono libera ora? Posso andare anche io con le mie amiche? Posso fare quello che fanno loro? Qui dentro è una noia mortale. Per essere onesti direi che tutto qui è mortale»

Sdrammatizzare in modo discutibile e indelicato era una sua brutta abitudine, ma davvero il suo umore ne stava risentendo troppo. Stava troppo male, ad assistere a tutto quel dolore, le toglieva il respiro ed anche il sonno. Eireen stava fissando il suo braccio insistentemente, gli occhi di lei ripercorsero piano le bende e si posarono sulla sua mano. Alla fine la sacerdotessa la prese fra le sue e la studiò guardinga, come stesse soppesando cosa fare.

«La tua è una situazione delicata. È da molto che volevo chiedertelo, cos’è questa?»

Sianna a sua volta osservò la propria mano sinistra come non faceva da un’infinità di tempo. Sul palmo, luminosa e al qual tempo nera, svettava in rilievo una falce di luna calante. Era sempre stata candida e splendente come la vera luna nel cielo, quel suo simbolo che si portava dietro fin dall’infanzia, ma da quella notte non aveva perso ancora la sfumatura oscura che l’aveva contaminata.

«È… una benedizione» esitò, incerta. «Mia madre mi ha raccontato che me la fece impartire mio padre quando sono nata»

Era una delle poche informazioni che Marilien aveva condiviso su suo padre, il resto era un mistero indistinto e Sianna sapeva solo una cosa di lui, che assomigliava incredibilmente a suo fratello.

La sacerdotessa intanto aveva aggrottato le sopracciglia e stava annuendo perplessa «Si avverte che non è un simbolo qualunque, quando lo tocco un brivido mi trapassa la schiena. Pensavo fosse legato al fatto che sei una Nephilim, ma non avevo mai visto nulla di simile prima»

Sianna si accigliò e ricambiò la sacerdotessa con un’espressione confusa. Eireen le sorrise come a tranquillizzarla «Ti giuro che non lo dirò a nessuno, lo so quanto sia pericoloso, per questo non ti ho mai medicato davanti agli altri. Ne ho già conosciuto uno prima di te, non ti tradirò»

Sianna corrucciò ulteriormente le sopracciglia e storse la bocca «Non riesco a seguirti. Perché dovresti tradirmi? Non so nemmeno cosa sia un Nephilim»

Era una parola che non aveva mai sentito prima, eppure le parve in qualche maniera familiare.

Eireen assottigliò gli occhi scuri da dravida, nocciola intenso: «Non lo sei?».

Era incredula e questo confuse Sianna ulteriormente. Non riusciva a trovare un senso in quel discorso. Scosse la testa facendo dondolare l’arruffata chioma bionda sulle spalle: «Direi di no, mi spiace»

«Io credevo… per il tuo sangue sai» bisbigliò la sacerdotessa per poi guardarsi attorno, come ad essere sicura che la stanza fosse realmente vuota e la porta chiusa, prima di continuare «Hai il sangue a metà»

L’espressione cauta e cospiratrice della donna le strappò una breve risata «L’ho sempre avuto, ma non capisco davvero di cosa tu stia parlando. Non so nemmeno cosa sia, un Nephilim»

Eireen valutò le sue parole in silenzio, sembrava turbata e sinceramente dubbiosa «È un mezzosangue, diciamo. Il figlio di un’umana e di un angelo inferiore. Non so quanto sia vero, questo è ciò che mi è stato insegnato»

Sianna le sorrise indulgente, come se avesse davanti una bambina, e in parte le parve quasi che fosse così. Eireen infondeva sicurezza, era una donna autorevole e sicura di sé, eppure in quel frangente sembrava una fanciulla alle prese con un mito bizzarro che difficilmente poteva risultare reale. Nel suo volto Sianna rivedeva la se stessa riflessa negli occhi di Ynyr quando, nell’infanzia, si stringevano l’uno all’altro mentre ascoltavano i racconti di Marilien con l’estasi puerile della certezza solo nella fantasia.

«Mia madre mi parlava spesso degli angeli quando ero bambina. Li chiamava il Popolo della Neve… erano le sue fiabe preferite» rivelò in un moto di confidenza che la meravigliò. Difficilmente condivideva i suoi ricordi, ne era molto gelosa. «Comunque sono passati troppi secoli, dubito seriamente che possano ancora esistere dei discendenti» puntualizzò cercando di riprendere un certo distacco.

«Ti sbagli. Ne ho conosciuto uno, molto tempo fa, prima di venire qui. Era l’essere più bizzarro che mi sia capitato di conoscere, biondo quanto te, sembrava un ragazzino, ma parlava come se avesse avuto cent’anni. Si dice che siano figli degli angeli perché hanno un potere straordinario ma un’anima mortale a limitarli. Forse hai ragione, è solo un mito, ma loro esistono sul serio. Il Conclave indisse una purga che durò due secoli e gli diede la caccia.» raccontò Eireen seria.

Non stava scherzando.

«Come lo sai?» domandò curiosa, senza sentirsi troppo coinvolta. Era abituata alle storie e anche se la sacerdotessa sembrava incredibilmente certa di quello che diceva, Sianna tendeva a distinguere nettamente le fiabe dalla realtà.

Eireen appoggiò la guancia alla mano chinandosi in avanti, il gomito sostenuto dal ginocchio, e tamburellò con le dita. «Me lo raccontò lui, il Nephilim. Non ricordo nemmeno il suo nome. Van… Vajnk… qualcosa del genere. Non ci ho mai ripensato spesso, ma la sua storia la ricordo, era orfano anche lui, la sua famiglia era stata messa al rogo dal Conclave»

Un brivido percorse la schiena di Sianna. Non tanto per la storia in sé, al rogo lei ci aveva visto tutte le persone che aveva conosciuto. Era il pensiero della Congrega dei Maghi ad impensierirla. Le storie sul Conclave erano colme di magia e mistero non dissimile dalle fiabe sul Popolo della Neve. Si narrava che fosse l’organo che in realtà reggeva il precario equilibrio della penisola, che gestiva da dietro le quinte i rapporti tra i Regni indipendenti di Emer, dell’Esperia, di Sideris, di Dubahr, di Þoka. C’era sempre l’ombra della Congrega quando un Sovrano doveva succedere ad un altro, c’era sempre l’Enclave dietro la promulgazione di nuove leggi. Era una presenza mitica e ingombrante che spaventava la gente, sembrava quasi che con i suoi artigli invisibili come ombre potesse ghermire qualunque anima.

Si rosicchiò il labbro inferiore, con indecisione. Da quando era nata non aveva mai udito nulla che non fosse diceria sulla sedicente congrega dei maghi, ma comunque la sola idea di ciò che rappresentava non le piaceva.

«A volte penso che se mai davvero è esisto, il Conclave si sia sciolto. Guardaci, ne siamo la prova alla fine» diede voce ai suoi pensieri mangiandosi un’unghia, senza porsi un freno «I nostri Clan si stanno massacrando, sta per scoppiare una guerra civile, arriveranno anche qui prima o poi. Se il Conclave esiste, perché diavolo non fa nulla?» sbottò frustrata.

Guerra civile.

Ci pensava sempre più spesso, e per questo neanche fra i sacerdoti riusciva a sentirsi sicura. Difficilmente i villaggi delle antiche religioni venivano attaccati, tutti temevano gli dei, ma Nehalennia che tanto Eireen e gli altri veneravano era una divinità dravidica. I Peith erano barbari senza pietà che non conoscevano il pudore o il rispetto, tantomeno la ragione. Il numero di feriti che si era rifugiato a Lochlainn era una prova più che lampante della ferocia che i Peith peroravano.

«Quando il Conclave s’intromette tira una brutta aria. In fondo io spero che restino fuori da tutto questo, ma lo so che non accadrà. Non rimarranno in disparte ancora a lungo temo» Eireen si alzò e le scompigliò affettuosamente i capelli, facendola sentire una bambina.

«La magia non è fatta per essere in mano agli uomini» mormorò Sianna fra sé ricordando quelle parole non sue ma che parevano fin troppo veritiere.

La sacerdotessa scrollò le spalle «Probabilmente è così, dovremmo lasciare tutto in mano agli spiriti e starne fuori. Ma da troppo tempo sono i maghi a decidere, questa è una cosa che difficilmente cambierà»

Sianna sussultò: quelle parole le ricordarono Kii. Sorrise alla sacerdotessa

«Conoscevo una Volpe che diceva esattamente la stessa cosa»

«una Volpe?» disse meravigliata Eireen e Sianna si morse il labbro.

Kii l’aveva messa in guardia la prima volta che si erano incontrati, le aveva raccomandato di non parlare di lei con gli uomini o non l’avrebbe più rivista, e gli Dei solo sapevano quanto quello spettro sciocco fosse testardo.

«Nessuno» ritrattò sorridendo a trentadue denti alla ragazza.

Eireen fece per ribattere, poi ci ripensò e scosse semplicemente il capo «Sarà meglio che vada, ho il mio giro di visite da concludere»

Mise la mano sulla maniglia ma Sianna la bloccò nuovamente «Non mi hai risposto, posso uscire anche io?»

La sacerdotessa la studiò da sopra la spalla, combattuta, e Sianna intravide la crepa del cedimento «Ti prego! Non creerò problemi, ti prego!»

Eireen tentennò «Io posso anche farti uscire da qui, ma la tua situazione è delicata e sono seria a riguardo. Forse è vero che non sei una Nephilim, ma se qualcuno vedesse il tuo sangue Sianna è questo che vedrebbe in te. Devi essere molto cauta, lo capisci?»

In verità non capiva del tutto ma si affrettò ad annuire.

«E soprattutto quella Luna. Non devi mostrarla mai, dobbiamo nasconderla»

Nessuno aveva mai avuto da ridire sulla sua cicatrice e questo la turbò, tuttavia era disposta a qualunque compromesso. Quindi Eireen sbuffò e le sorrise «Facciamo in questo modo. Mi sentirò più tranquilla se non seguirai le lezioni con tutti gli altri novizi, ma capisco che tu voglia uscire dall’ospitale. Raggiungi l’erboristeria, si accede nell’ala ovest dall’esterno. C’è un ragazzo, è un mio allievo. Digli che ti mando io»

Eccitata Sianna corse fuori dalla stanza senza dare nemmeno il tempo alla sacerdotessa di varcare la soglia, si sfilò rapidamente la camicia da notte per indossare la veste bianca dei novizi, l’unico abito pulito che avevano potuto fornirle, si legò alla vita una corda d’oro troppo lunga che quasi sfiorava il pavimento e dopo essersi sciacquata il viso nel catino corse fuori salutando Eireen come una bambina impenitente, svegliando metà delle persone con tutto il baccano che aveva fatto.

Era mattina presto ma il tempo era comunque tiepido e gradevole e l’aria sapeva di frutta matura e polvere. Superò la stanza colma di libri e lasciò che la brezza leggera le scompigliasse la chioma ribelle. Il villaggio si srotolava sotto di lei, disorganizzato e caotico, colmo di voci e rumori vivaci che la misero di buon umore. In quel mese era cresciuto e nuove catapecchie si erano unite a quelle vecchie, mentre le dimore precedenti erano state sistemate e rese più solide con il legno e la paglia.

Si sentiva tanto di buon umore che si ritrovò a ridacchiare da sola e a giocare con un sasso che le era capitato accidentalmente tra i piedi. Lo scalciò con troppa foga e il sassolino rotolò poco lontano urtando qualcuno.

«Sempre distratta, eh?» l’apostrofò una voce nota.

Sianna alzò gli occhi su Will, che aveva fermato la pietra con il piede e la guardava sinceramente divertito,. Gli sorrise raggiante.

«Sempre» ribatté con ovvietà.

«Esattamente cosa ti ha fatto?» chiese raccogliendo il sasso per farlo poi rimbalzare sul palmo della mano.

Sollevò le spalle in un gesto di noncuranza «Mai sentito “posto sbagliato momento sbagliato”?» 

William annuì «Giusto, noi ne sappiamo qualcosa» sussurrò «Se sei qui suppongo che la tua convalescenza sia finita»

Soddisfatta Sianna continuava a sorridere entusiasta «Supponi bene»

Si ritrovò ad arrossire pesantemente quando si rese conto che il ragazzo la stava squadrando da capo a piede senza troppo pudore «C’è qualcosa che non va?» lo interrogò a disagio e Will rispose storcendo il naso e le labbra sottili in una smorfia «Non mi piace vederti vestita come una sacerdotessa. Preferirei che voi, intendo Marion e le altre, non vi faceste prendere troppo. Sai, i primi rudimenti sono condivisibili ma quando arriverà il momento per continuare dovrete prendere i voti.»

Sianna fece un gesto vago con la mano «Nessuna di noi desidera passare l’eternità a venerare una divinità, se è questo che ti preoccupa»

«Non ho dubbi. Non era di certo la vita che avrei voluto fare. Nemmeno Henry, si vocifera volesse prendere i voti, da quello che si sa sul suo conto. Eppure, se ti costruisci un mondo qui, Sianna, andartene sarà difficile, ti sembrerà di non avere più nulla»

La leggera allegria di pochi secondi prima sfumò di fronte a quella realtà che effettivamente non aveva ancora valutato: cosa avrebbe fatto da quel momento in poi? Lei non sapeva andare al di là di un’ora, pensare al futuro non le riusciva troppo bene e non aveva più visto suo fratello, la mente pratica tra i due.

«Scusami, non volevo turbarti. Dove stavi andando?»

Sianna smise di mangiarsi l’unghia del pollice quando sentì in bocca il familiare quanto nauseante sapore del sangue, e si costrinse ad abbassare le mani, legandole una all’altra, e a distogliere la propria attenzione dal terribile panorama che la sua mente stava già delineando e che la vedeva indigente, ricoperta di cenci, ad elemosinare sul bordo di una strada un tozzo di pane raffermo.

Fremiti di panico le percorrevano ogni singola vertebra alla sola idea.

«All’erboristeria»

Will sussultò, un’ombra di sorpresa negli occhi grigi appena visibili sotto il cappellaccio di canapa marrone tremendamente ruvido, e poi le sorrise come tranquillizzato, mostrandole tutti i denti «Eireen ti ha preso in simpatia» dedusse, non suonava come una domanda.

Si rosicchiò il labbro inferiore, già fin troppo martoriato, e annuì «Non proprio. È una cosa così sorprendente? Di solito sono gradevole di presenza»

Will rise e si avvicinò a lei per prenderla a braccetto, con l’evidente intenzione di accompagnarla.

«Non è insolito per te, è insolito per Eireen. È una donna piuttosto… eccentrica. In effetti non è insolito per niente che abbia scelto te, se ci penso bene. È molto da lei»

L’erboristeria si trovava in un locale dall’accesso esterno che dava sul pendio ovest della leggera collina su cui sorgeva il monastero. La raggiunse riflettendo su quelle parole, senza che vi trovasse un pieno senso.

«Perché mai?»

Will le sorrise elusivo e scivolò via dalla sua presa «Siamo arrivati, principessa»

Davanti a lei una porta di legno massiccio era spalancata, ma l’ambiente interno era celato da un velo che fungeva da separé e si agitava con la lieve brezza che spirava dal nord.

Sianna gonfiò una guancia e ricambiò con disappunto «Non mi sono mai piaciute le principesse. Non fanno altro che farsi salvare»

Il ragazzo ridacchiò divertito «Adesso capisco perché non sei per nulla elegante»

Gli dedicò una linguaccia e urlò «Ci vediamo» agitando distrattamente la mano, prima di infilarsi in quel buco. Il locale era in una penombra giallognola, dovuta ai teli di iuta che rivestivano le due finestrelle, protette da una croce di ferro. I dettagli si delinearono rapidamente, mostrando un ambiente piccolo e caotico, con mazzolini di erbe che pendevano dalle travi del soffitto fin quasi all’altezza del volto e una moltitudine di piante sconosciute accatastate alle pareti come una piccola foresta dai colori scuri. In fondo alla stanza un bancone di legno e alle sue spalle file di mensole cariche di barattoli che contenevano strane sostanze o erbe triturate, identificate da piccoli cartelli in legno dalle incisioni eleganti e sbilenche. Il semplice lumiere illuminava più della luce che non riusciva a filtrare oltre i teli di iuta, ma rendeva il tutto claustrofobico e ingigantiva le ombre delle foglie dando all’insieme un aspetto quasi sinistro.

Sianna si avvicinò ad una di quelle piante sconosciute con un singolare fogliame a stella, e accarezzò incuriosita il profilo frastagliato della foglia, sentendo sotto le dita poi la consistenza porosa della polvere che la rivestiva. Sua madre con quello sporco si sarebbe strappata la chioma rossa.

Sussultò quando un rumore di passi leggeri su una superficie di scricchiolante legno riecheggiò nella stanza. Nell’angolo sulla destra, da una scalinata a chiocciola che non aveva notato, emerse il volto concentrato di un ragazzo che aveva gli occhi puntati sull’armamentario che stringeva fra le braccia.

Non appena la notò, le sorrise.

«P’nawn da» il tono allegro e giovale le ispirò perplessità e simpatia insieme «Posso fare qualcosa per te?» chiese gentilmente.

Ricambiò il sorriso e annuì, stranamente a corto di parole, troppo presa ad inseguire le proprie impressioni. Lo vide attendere con sempre maggiore indecisione e alla fine chiedere accigliato «Cosa ti serve? Non posso combattere il mutismo, saresti la seconda questa settimana e davvero, mi dispiace, vorrei, ma proprio no»

Sianna sollevò un sopracciglio e trattenne a stento la risata.

«Mi servi tu!» riuscì a dire senza suonare troppo divertita, non voleva che quel bizzarro sconosciuto potesse pensare che lo stesse deridendo.

Il sacerdote passò dalla confusione alla lusinga, gli sfuggì un breve sorrisino di modestia che sostituì però rapidamente con buon senso, in una notevole varietà di espressioni facciali.

«Come prego?» ribatté, cercando di darsi un contegno.

Le venne ancora da ridere, ma scosse la testa agitando l’arruffata chioma bionda e sollevò gli occhi al soffitto.

«Mi ha mandata Eireen» chiarì semplicemente «Mi ha detto che sarai tu il mio maestro. O almeno» lo squadrò da capo a piede sollevando l’angolo della bocca in una piega ironica «Almeno credo sia tu»

Il ragazzo storse le labbra e si lasciò sfuggire un sonoro sbuffo «Scarica sempre tutto su di me»

Appoggiò i mortai e i pestelli che stava portando sul bancone e le si avvicinò con atteggiamento frustrato.

«Ahimè, temo di essere io. Sono Tanet» si portò la mano al petto e accennò un leggero inchino «Tu saresti?»

Nessuno le si era mai presentato con un simile gesto, pertanto reagì con qualche secondo di ritardo, ancora stupita. Imitò la gestualità di Tanet per non mancare di rispetto e inclinò il capo

«Sianna Eilan»

«È un vero onore Sianna Eilan. Sai per caso dove sia finita quella fattucchiera odiosa?»

Sianna aggrottò le sopracciglia e socchiuse gli occhi, soppesandolo.

«Parlo di Eireen»

«Ovviamente» mormorò, senza smettere di squadrarlo.

Tanet era bizzarro. In lui tutto era particolare ed anche se la luce non era delle migliori per poterlo studiare con minuzia, era quasi totalmente certa di non essersi mai imbattuta in tutte quelle singolarità raccolte in un’unica persona. Non aveva mai viaggiato e difficilmente le era stato concesso di lasciare Gleann Dhubar, e tuttavia il suo paese natale era stato un crocevia di mercanti e pellegrini, e questo le aveva concesso di incontrare gitani dai capelli di pece e la pelle di latte, uomini nerboruti di miele e porcellana, piccoli selvaggi scuri delle terre del nord.

La sua migliore amica, con i lunghi capelli corvini e gli occhi imperscrutabili, rappresentava già di per sé una particolarità quasi unica nel suo genere, ma Tanet, lui era veramente diverso. Aveva occhi a mandorla, lunghi e sottili, palpebre pesanti e iridi nocciola vivaci che la stavano studiando con altrettanta attenzione. Gli zigomi alti e il naso sottile accentuavano la sua aria nobile e vagamente sofisticata, aria stemperata dal sorriso sottile di labbra stirate. Alto e magro come un chiodo, ciò che lo rendeva veramente unico agli occhi di Sianna non era tanto la fisionomia esotica, quanto il colore della sua pelle. Si era convinta che la pelle naturalmente dorata di Mari, Lisy e Iris fosse già troppo scura, ma la pelle di Tanet era bronzea, quasi bruna, e gli donava una bellezza insolita se non unica.

«Doveva finire il giro di visite» si costrinse a rispondere, dominando il nervosismo e la curiosità, che le faceva desiderare di porgli infinite domande, nessuna delle quali comprendeva Eireen, le erbe e tutto il resto.

Tanet, al contrario, era completamente rilassato e per nulla toccato da lei, non le capitava spesso di sentirsi mediocre, ma accanto al sacerdote chiunque sarebbe parso scialbo e tragicamente banale.

«Non è vero» si stava lamentando lui nel frattempo «Cioè, ovviamente è vero, ma non ci mette mai più di metà mattinata. La verità è che è pigra in maniera esasperante e lascia sempre a me tutti i compiti ingrati, pulire questa stamberga per esempio!»

Nel suo borbottare le aveva dato le spalle e aveva iniziato a sciogliere la cordicella che legava alla trave centrale i mazzolini appesi a testa in giù a seccare. Sianna accarezzò ancora l’ambiente con un’unica occhiata e arricciò le labbra «Non so perché ma sono quasi totalmente sicura che le pulizie non siano state il tuo primo cruccio negli ultimi tre o quattro anni» commentò pacatamente, senza riflettere.

Le braccia di Tanet s’irrigidirono e il ragazzo smise di lavorare, come fulminato. Inclinò il viso verso di lei lentamente e la osservò da sopra la spalla «Tu sei una mia sottoposta» valutò tranquillamente, per poi accennare un sorriso.

Sianna sentì i peli della nuca rizzarsi e un brivido di sospetto attraversarle la colonna vertebrale. Allacciò le braccia al petto e fece un passo indietro, con diffidenza.

«E quindi?»

Tanet stava ghignando, una palese vena di sadismo nei sottili occhi a mandorla. Abbandonò senza remore il fascio di erbe accanto ai pestelli e le ciotole e sparì sotto il bancone per qualche secondo, per ricomparire con un secchio di latta, uno straccio logoro ed una scopa dall’aria più arruffata di lei. Sianna ne rimase talmente attonita da non reagire con prontezza di riflessi quanto Tanet glieli lanciò. Si riscosse appena in tempo per afferrare la scopa, ma non poté difendersi dal secchio che, con precisione millimetrica, compì una perfetta parabola e le cadde in testa.

«Maledizione! Ma dico, sei impazzito?» urlò subito, gli occhi lacrimanti di dolore e le mani già fra i capelli, nel disperato tentativo di diluire il male con un massaggio.

Naturalmente Tanet si mise a ridere di gusto «Beh, dovrò ricordarmi che non hai presa», disse camuffando il sorriso con qualche colpo di tosse «Se vuoi puoi cominciare, c’è un bel po’ di lavoro da fare»

«Perché dovrei pulire io questo disastro?» sbuffò imbronciata. La vista le si era appannata per il leggero velo di lacrime e un nuovo ponfo si era già formato sulla testa e pulsava prepotentemente.

Tanet scrollò le spalle e si concentrò nuovamente sui suoi mazzolini di erbe «Avrai le tue lezioni solo quando avrai terminato. Considerala una preparazione interiore!»

Sianna raccolse la scopa stizzita «Penso che la considererò più come un “Sono troppo pigro per lavorare”»

Il sacerdote sollevò le spalle «Da adesso dovrai chiamarmi maestro, ragazzina. Rivolgiti a me con un sentito rispetto. Tutto chiaro?»

Rassegnata Sianna annuì e raccolse nuovamente scopa e secchio.

«L’acqua dove la trovo?»

«Al pozzo ovvio. È in piazza, divertiti!» e con un sorriso fugace e l’aria malandrina da persecutore, Tanet scomparve nuovamente, inghiottito dalle scale che conducevano al piano inferiore, lasciandola sola senza alcun tipo d’indicazione.

 

 

La casa in cui era cresciuta era molto grande, circondata da cespugli odorosi di fiori e erbe aromatiche e di piante da frutto, con una mansarda da dove, talvolta, lei e Ynyr guardavano le stelle e dove era stata costretta, all’inizio, a tenere Gael. Eppure Sianna ricordava come sua madre riuscisse a gestirla e governarla senza aiuti. Era capitato che Marilien la rimproverasse per la sua inerzia, ed ora che si ritrovava china su un pavimento di legno consumato a sfregare con tutte le sue forze per scrostare il fango, si rammaricò un poco che sua madre non avesse mai insistito davvero per farle fare qualcosa.

Al lavoro non era per nulla abituata.

Con gesto stanco si scostò i capelli dalla fronte imperlata di sudore, accarezzò per abitudine il nastrino rosso che il fratello le aveva intrecciato ad una ciocca particolarmente dorata e si lasciò sfuggire l’ennesimo sospiro.

Tanet naturalmente non era più tornato e lei aveva trascorso la mattinata a pulire. Nell’insieme aveva fatto un buon lavoro, un cumulo di foglie secche e polvere e lerciume era raccolto vicino alla porta e aspettava soltanto di essere disperso nei prati oltre la soglia, la luce era tenue ma sufficiente ora che si era sbarazzata di quei teli ombrosi, e l’ambiente risultava più arioso e sano. Per poter pulire a fondo, aveva pazientemente smontato pezzo a pezzo la piccola foresta che i due erboristi avevano ammonticchiato contro la parete, lasciando le piante all’aperto a godersi la brezza estiva e il tiepido sole di cui anche lei sentiva la mancanza dopo ore tappata nella stanza.

Si sollevò da terra e spazzolò e lisciò il vestito, per abitudine più che per speranza di renderlo pulito, aveva il raro dono di devastare qualunque cosa toccasse e la prova erano le macchie di terra sull’abito all’altezza delle ginocchia. Recuperò lo straccio per lucidare i contenitori quando un urlo la fece sobbalzare.

S’irrigidì in un breve ma fulminante momento di panico, che scivolò via rapidamente quando si rese conto che, più che di terrore, quel grido sembrava un misto fra collera e disperazione.

Si affacciò cauta all’uscio, stringendo le dita arrossate per il lavoro allo stipite, e scorse con sorpresa Eireen che si spostava da una pianta all’altra come se stesse soccorrendo dei feriti e non sapesse darsi una priorità sul quale salvare prima.

Senza emettere suono, Sianna seguitò a guardala, sinceramente divertita.

Quando Eireen si bloccò per voltarsi con lentezza studiata verso di lei, gli occhi che sembravano volerla incenerire, Sianna inghiottì il sorriso fra gli incisivi e si diede un contegno.

«Chi!» sbraitò la sacerdotessa avvicinandosi a passo di carica «Chi ha commesso questo scempio!?»

«Ehm, stai diventando porpora. È un buon segno?»

Una vena del collo di Eireen si gonfiò, come un grosso, pulsante bruco.

«Non è mai un buon segno, Sianna Eilan!»

Il colore della sua pelle assunse un singolare e non classificabile color vinaccia.

 L’istinto di sopravvivenza suggerì a Sianna di tacere, perciò annuì rapida e non liberò il labbro inferiore per paura di lasciarsi andare ad una catastrofica risata a causa di quella reazione surreale. 

«Cosa sta succedendo?» Tanet comparve all’improvviso, trafelato per lo scatto con cui doveva essersi precipitato al piano superiore.

Avvertendo con ogni senso vitale che una parola sbagliata avrebbe causato il suo linciaggio, Sianna continuò a tacere cercando di assumere l’espressione rammaricata che vedeva sempre sulla faccia tosta di suo fratello.

Eireen la abbandonò subito per accanirsi contro di lui, lo trucidò con occhi sottili come lame e sventolò il dito indice sotto il mento del ragazzo con fare intimidatorio.

«Che diavolo è questo! Vedi di essere convincente!»

Vide Tanet guardarsi attorno spaesato per comprendere la situazione, per poi arrivare a studiare direttamente lei, una serie di domande inespresse sul suo volto incredulo e sconvolto. Se la sua pelle fosse stata normale, forse sarebbe impallidito.

Sianna gli sorrise con tutti i denti in bella mostra e un’alzata di spalle, visto che Eireen le dava la schiena.

«Io le avevo chiesto solo di pulire!»

L’indice di Eireen si piantò dritto nel petto del ragazzo e iniziò a pungolarlo, costringendolo a indietreggiare.

«Tu hai fatto maneggiare le mie preziosissime piante ad un’allieva alla sua prima lezione?» sibilò digrignando i denti.

«Senza lasciarmi alcuna indicazione» rincarò Sianna arricciando le labbra e annuendo, un commento involontario a cui non era riuscita a sottrarsi. Tanet spalancò gli occhi, incredulo, mentre la postura della donna si faceva inflessibile e piena di tensione, come la sua voce

«Sparite. Tutti e due, immediatamente, o giuro che ci finite voi appesi a testa in giù»

 

 

Si erano allontanati dalla bottega in silenzio, l’espressione errabonda del maestro aveva spinto Sianna a non aggiungere altro e, semplicemente, si era limitata a seguirlo mentre Tanet, troppo assorto, camminava placidamente fra i campi. Le distese erbose davanti a lei brillavano di un verde smeraldino grazie alle perle di rugiada e se spingeva lo sguardo più in là, verso est, riusciva a mettere a fuoco un complesso circolare, forse di pietre ma da quella distanza non era troppo sicura.

Tanet cambiò direzione, imboccò un piccolo sentiero, una striscia di terra quasi invisibile nell’erba alta, che raggirava la collina e conduceva ai boschi sempreverdi che abbracciavano il fiume d’Ishitar.

«Mi spiace, maestro» mormorò ad un tratto, per rompere quell’inquietante atmosfera. Non lo conosceva abbastanza per poter sopportare il silenzio, fosse esso amichevole o ostile, iniziava a montarle dentro un senso di disagio e di vaga colpa.

Le era sfuggito il motivo della collera di Eireen, ma provava mortificazione per il suo ultimo intervento, decisamente non necessario.

Tanet parve scuotersi, rallentò il passo e la guardò quasi sorpreso da sopra la spalla, come se si fosse ricordato solo in quell’istante della sua presenza. Poi accennò un sorriso tranquillo e agitò la mano per togliere importanza alla questione.

«È colpa mia, accade. Non ho pensato di dirti che metà di quelle piante non sopravvive alla luce del sole»

Sianna sentì le guance bruciare per la vergogna «Poteva andare peggio come primo giorno» bofonchiò in propria difesa «Avrei potuto dare fuoco a qualcosa»

Il sacerdote ridacchiò «Non oso immaginare come… e non lo chiederò! Ho la sensazione che potresti sorprendermi, non sono ancora pronto»

Sianna rimboccò pazientemente i capelli dietro le orecchie e saltò sopra ad un sasso, dove rimase per qualche istante in precario equilibrio, sorridendo fra sé e sé «Suppongo che dovrei sentirmi in colpa» disse aprendo le braccia per trovare il baricentro e non cadere malamente. Il maestro la squadrò alzando perplesso un sopracciglio «Più che sentirti in colpa dovresti ringraziarmi, se non fossi arrivato io, Eireen ti avrebbe fatto la pelle»

Sianna si diede una leggera spinta e atterrò davanti al maestro, per sfoderare poi un sorriso tutto denti «Se permette, mi giocherò il “grazie” in una situazione più consona ad un “grazie”. Per questa volta si dovrà accontentare del mio dispiacere»

Tanet la soppesò incredulo ed infine, dopo lunghi istanti di basita perplessità, sollevò gli occhi al cielo e scosse appena la testa «Non so quale sesto senso mi stia mettendo in guardia, ma tra l’accettarti come allieva e stringere un patto con Lucifero, ho la sensazione che sia ancora preferibile la seconda» le sorrise sornione «Comunque vedremo quando sconterai la tua punizione con una nottata in bianco».

Il tono vendicativo le fece perdere la camminata baldanzosa.

«Come?»

«Rettifico, la prima di una lunga serie di punizioni»

«Di notte?» si accigliò, studiandolo con sospetto. Il maestro ne sorrise «Precisamente. Dovrai poi rimediare al disastro che hai combinato oggi, di certo non me ne assumerò la responsabilità, già che sulla colpa non ho avuto modo di esprimermi»

S’inoltrarono nel sottobosco rado, i grandi alberi sempreverdi li sovrastavano nascondendo la luce tenue di una tersa quanto rara giornata estiva. Il sole era sempre raro, nelle terre d’Ombra, come una maledizione che privava gli abitanti di calore. Sianna poi era cresciuta in un’ampia valle, fra le montagne, e muoversi nella penombra le era familiare quanto facile, per questo un poco si rammaricava di aver abbandonato i campi assolati delle dolci colline di Lochlainn per nascondersi tra il verde.

Tanet nel frattempo aveva iniziato a darle le prime direttive, spiegandole che il momento più opportuno per raccogliere le erbe era, appunto, la notte, la sera o, tutt’al più la tarda mattinata, quando la rugiada si era ormai dissolta, per evitare che le piante marcissero.

«Le streghe sostengono che le giornate devono essere terse e la luna deve essere in fase nascente, l’influsso dell’astro è più forte in quel periodo» raccontò, mentre puliva con buffa dovizia un tronco rovesciato prima di accomodarcisi sopra.

«Ascoltate le streghe? Mia madre diceva che sono troppo superstiziose» ribatté lasciandosi cadere con malagrazia sulla terra umida. Tanet fece una smorfia di disappunto, ma non la rimproverò «Dipende» chiarì invece «Talvolta è vero, si fanno prendere un poco la mano. Soprattutto i clan più rurali ad occidente, in genere però è bene fidarsi di chi sente gli influssi delle stelle più di noi»

Sianna arricciò le labbra e inclinò il capo all’indietro, perdendo lo sguardo fra le foglie pigre appena smosse dalla brezza. Da qualche parte, un picchio batteva con snervante ritmicità un tronco, il canto dei passerotti rendeva il bosco vivo, fin troppo pieno di vita. Anche tacendo entrambi, l’aria era satura di suoni, fruscii, lucertole che comparivano vicino ai suoi piedi per poi scivolare rapide sotto una roccia.

«Non ne ho mai viste per davvero, almeno non credo. Ce n’era una, nella mia valle, ma ho sempre pensato fosse una cialtrona. Non l’ho mai vista fare niente che non sembrasse un banale trucco»

«È raro che si spostino, non si spingono praticamente mai oltre i monti Fengari»

«Sapete il perché?»

La fronte del maestro si corrucciò «Per gli Accordi. Faccende noiose che riguardano il Conclave e non noi. Concentrati sulle cose importanti, hai veramente l’attenzione di una farfalla in un campo di fiori, Sianna. Una delle questioni più delicate per un erborista è sapere in quale stagione sia più opportuno raccogliere questa o quella parte di un arbusto. In linea generale tieni a mente che i fusti si raccolgono in Foghara, e le gemme all’inizio di Earrach. i fiori invece appena sbocciano. Ti farò vedere, ma inizia a ricordare la base»

Sianna annuì e si sforzò di restare concentrata per non rischiare di dimenticare nulla. Il suo insegnante, per quanto sostenuto e, all’apparenza, seccato dall’incombenza di doversi fare carico della sua istruzione, in verità non riusciva a nascondere l’entusiasmo nel poter condividere le proprie conoscenze.

Le parlò dell’usanza che le streghe avevano tramandato e che gli erboristi avevano adottato di bruciare le erbe dell’anno passato la notte dell’Alban Heruin, le spiegò la differenza tra un decotto e un infuso, i vantaggi dei macerati e l’efficacia di cataplasmi e unguenti.

«Dividiamo, per convenzione, le piante in famiglie. Ce ne sono cento, oggi inizieremo a vederne alcune»

Cento era un numero grande, Sianna non era certa di saper quantificare un cento e un poco perse convinzione. Tuttavia l’affascinava il guardarsi intorno e realizzare, con sempre maggior meraviglia, che ciò che la circondava era più complesso di quanto avesse mai potuto immaginare.

Tanet aveva preso a girovagare, gli era tornato il buon umore e le mostrava con entusiasmo le gemme appena nate, le differenze fra le nervature delle lamine fogliari, le numerose forme dettate dalla famiglia di appartenenza. Mangiarono due panini di farina bianca che avevano portato con loro e il maestro ne approfittò per mostrarle le bacche commestibili.

La sommerse di un’infinità di nozioni finché non si fece pomeriggio.

Il sole iniziò la sua prematura discesa e con lui le temperature calarono dolcemente.

«Facciamo una prova pratica prima di rientrare» borbottò lui cacciando uno sbadiglio. Sianna si sentiva assonnata e sarebbe volentieri rientrata subito, così annuì svogliatamente mentre Tanet si guardava attorno.

«Ecco, trovato» individuò un cespuglietto verde e, prendendo il falcetto d’argento che portava legato al fianco, recise un rametto che poi le porse con un sorriso.

«Come ti ho già spiegato, presta attenzione alla forma delle foglie, al pistillo, al profumo. Cerca di identificare le caratteristiche di cui abbiamo parlato prima. Questo è un ramo di Alchemilla. Qui è piuttosto comune, cresce solo in zone ombrose e fresche, quindi è facilmente reperibile in montagna e spesso la trovi anche nelle radure»

Sianna le dedicò un’occhiata priva di criticità e piena di scetticismo. Aveva veramente troppo sonno per essere seria, si stropicciò gli occhi con il polso e borbottò «Vedo un ramo»

Tanet scosse la testa con riprovazione «Non l’hai nemmeno guardata. Non rientreremo finché non riuscirai a darmi almeno l’impressione di aver imparato qualcosa. Osservala e ascoltala»

La ragazza arricciò il naso, ma decise di essere accondiscendente, se non altro per interesse personale. Aveva camminato a lungo e non era più abituata a giornate così intense e piene, le facevano male le articolazioni e i muscoli, desiderava sdraiarsi e dormire per i cento anni a venire, altro che cento famiglie!

Osservò il fusto sottile, verde chiaro sfumato di rosso, analizzò i piccoli fiori, anch’essi di un delicato verde, le foglie dai bordi dentellati, ripiegate all’interno.

«Allora» s’inumidì le labbra mentre rifletteva «I fiori sono in boccio e la corolla è perfetta, quindi questo dovrebbe essere il suo periodo di fioritura» valutò, e si riempì di orgoglio nel notare il sorriso incoraggiante di Tanet «Infatti» aggiunse lui «Dal Tempo della Luce al Tempo della Semina, più o meno»

Sianna prese l’ennesimo respiro e chiuse gli occhi.

Conosceva l’Alchemilla, cresceva ovunque, anche fuori casa sua e sua madre la coglieva di frequente, era un’incredibile guaritrice, anche se lei non aveva mai saputo come la impiegasse.

«Potrebbe far parte…» esitò, ancora guardò con cura i fiorellini, privi di corolla, e notò la forma a calice con quattro sepali a simulare i petali «Beh potrebbe trattarsi di una Rosacea»

Cercò l’approvazione del maestro e lo trovò soddisfatto e sorridente per la sua deduzione.

Le dita sottili, strette all’arbusto, s’intorpidirono lentamente, e il sorriso le si congelò sulle labbra per mutare in una smorfia confusa. Odiava quella sensazione di estraniazione da se stessa che provava talvolta, un distacco lento e indipendente dal suo volere che si scatenava senza una ragione, come una reminescenza sopita che le scivolava tra le vene e i tendini.

Per qualche istante, nel suo stesso corpo non percepiva più soltanto “Sianna”, ma altre consapevolezze che facevano sempre parte di lei eppure le erano estranee.

«La rugiada» mormorò, sollevando la mano libera per accarezzare le foglie dell’Alchemilla.

Tanet la scosse piano per una spalla «Tutto bene? Cosa ti è preso?»

Con un senso spaventoso di vertigine, Sianna sussultò, spalancò i grandi occhi azzurri, fin troppo confusi e sentì le familiari presenze scivolare via, fluire fuori dal suo corpo, ripercorrere le braccia, sfiorarle le dita, per ricongiungersi alla pianta fra le sue mani.

Doveva avere un’espressione poco rassicurante, perché il maestro sembrava preoccupato.

«È un antinfiammatorio, e un cicatrizzante.» buttò fuori tutto d’un fiato «ed un sedativo, se serve. E la sua rugiada, la rugiada che si raccoglie sulle sue foglie è l’acqua celeste… è fondamentale per la Pietra Filosofale»

Lo aveva detto senza respirare, sentiva che dovevano uscire, erano parole che avevano preso senso solo nel momento in cui le aveva pronunciate, prima non le conosceva. Le cadde l’Alchemilla di mano e in un picco di smarrimento si guardò attorno per riprendere consapevolezza.

Quando aveva certi attacchi, era Ynyr a riportarla nel mondo reale, ma Ynyr non c’era e Tanet pareva fin troppo sorpreso per dirle qualcosa di sensato, le labbra sottili erano schiuse in un atteggiamento infantile buffo e insolito per quel viso esotico.

«Come le sai queste cose?»  domandò guardingo.

Sianna corrugò le sopracciglia e si portò la mano alla bocca per mangiarsi le unghie «Non le so»

«Non sembrava»

La ragazza prese un profondo respiro «Non le so davvero. Le avrò sentite da mia madre, era una guaritrice, magari me ne ha parlato e non mi ricordo quando»

Tanet non era convinto, era evidente, aveva gli occhi socchiusi e attenti, alla fine però scosse le spalle, come rassegnato a prendere per vere le sue parole, e sbuffò «In ogni caso, quello che combinano gli Alchimisti non è affar nostro, in particolare per ciò che concerne quella Pietra infernale. Non so come tu sia a conoscenza degli ingredienti che usano quei fanatici, ma non mi piace. Ricorda che le nostre sono pratiche completamente differenti»

Sianna si affrettò ad annuire, dondolando da un piede all’altro per l’imbarazzo. Non le era capitato spesso, che estranei potessero assistere ad uno dei suoi “momenti” di smarrimento, per un attimo aveva temuto che Tanet l’avrebbe respinta, non se ne sarebbe meravigliata. In molti avevano avuto paura di lei, non si era guadagnata il titolo di “figlia del Demonio” per nulla. Fortunatamente il maestro sembrava deciso a glissare su quella stranezza e a non porle domande di alcun tipo.

«Cosa sono gli Alchimisti?» trovò il coraggio di chiedere. Tanet alzò un sopracciglio «Sei a conoscenza dell’Acqua Celeste, com’è possibile che tu non sappia chi la impiega?»

Arrossì sentendosi una sciocca.

«Sono studiosi» borbottò il sacerdote dandole la schiena per avviarsi verso il villaggio «Maghi molto particolari. Se ne stanno rintanati in quel loro imprendibile castello e vaneggiano cose sacrileghe. Per quel che mi riguarda, sono troppo sovversivi alla natura. Non sono brave persone, chiaro?» le scoccò un’occhiata eloquente e severa, ad intimarle di ricordarlo bene, e Sianna si ritrovò ancora ad annuire senza il coraggio di esprimersi.

Gli alberi si diradarono, mostrando il cielo macchiato di oro e rosa, in lontananza una linea scura d’inchiostro aveva iniziato ad espandersi e a contaminare l’azzurro. Non c’erano nuvole.

«Ci vorranno mesi prima che si possa dire che realmente tu ne sappia qualcosa» commentò Tanet quando raggiunsero le prime capanne, era serio e attento «Ma forse… forse sei portata» accennò un sorriso furbo, che sottendeva altro, una frecciata silenziosa che Sianna scacciò con un sorriso tronfio e noncurante.

«Non mi meraviglio. A domani maestro!»

«Ah, te lo puoi scordare! Hai fino a quando la Luna non sarà alta, se posso consigliarti, dormi. Mi servi sveglia, e attenta possibilmente!»

Sianna non l’aveva preso sul serio, gli aveva fatto una linguaccia e si era defilata rapidamente. Nemmeno cinque ore dopo Tanet, come promesso, l’aveva buttata giù dal letto.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Sporadicamente lo so, però continuerò a pubblicare questa storia perchè, beh ci sono affezionata e amo Sianna in realtà…!

Questa storia si articola su tre grandi blocchi che influenzano tutti gli eventi, e questa prima parte è la più tranquilla. È un mondo grande che vorrei chiarire e ci sono molti personaggi, questo potrebbe rallentare forse un poco il ritmo, almeno all’inizio. Se questo dovesse succedere e avrete voglia di dirmelo, o avete qualche domanda perché sono stata poco chiara, accetterei volentieri consigli per migliorare la narrativa.

Grazie di tutto, e a presto!

 

 

  
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