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Autore: Hikari_Sengoku    04/04/2017    1 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di cominciare: Molte delle scelte sulla vita di Cori sono fatte principalmente per motivi di trama. Per l’azione dovrete aspettare il prossimo capitolo. Spero non appaia tragica, perché non era il mio intento, non c’è niente di veramente tragico.



Presentazioni


Cori si guardò allo specchio, cercando i lividi purpurei sul collo, incontrando unicamente la distesa bianca e calda della sua pelle, le iridi nocciola che si riflettevano nelle pupille dilatate dallo spavento. Eppure, non poteva essere stato solo un sogno. Era tutto cosí lucido… forse si era lasciata impressionare un po’ troppo. In fondo, non aveva fatto nulla che avesse potuto provocare una reazione cosí violenta in Zoro, e lei era sicuramente in grado di difendersi nella realtá da uno strangolamento con una sola mano. Nel sogno (ancora faticava a chiamarlo cosí) era come se le sue gambe fossero scomparse, e le sue mani erano deboli come le zampine di un gattino. Ricordava di aver graffiato debolmente la mano ed il polso di Zoro. Si passò una mano sui capelli. “Meglio tornare a lavorare” mormorò buttandosi sulla scrivania. Non si sarebbe riaddormentata tanto presto, lo sapeva.


Quando Cori si svegliò, si accorse di stare nel suo letto. Eppure era sicura di essersi addormentata alla scrivania… era proprio fumata per non accorgersi che qualcuno la spostava di peso mentre dormiva, non era esattamente un peso piuma. Si tirò a sedere, si strofinò gli occhi e… Zoro era sparito. Si alzò a velocitá stratosferica e spalancò la porta, non c’era, la finestra… eccolo lí, grazie al cielo! Si scapicollò sulle scale, per poi sbattere contro…
“Gregorio!” gridò saltandogli al collo “finalmente sei tornato!”
“Ehi, piccola Cori!” rise il ragazzone stringendola a se. “sei cresciuta, lo sai?”
“È passato solo un mese! Al massimo sono ingrassata” rispose sciogliendosi dall’abbraccio.
“Mi sei mancata, piccoletta” sorrise scompigliandole i capelli “Dove andavi cosí di fretta?”
“Ehm… a trovare il mio pesco” rispose dondolando. Non era capace di mentire a Gregorio.
“Non mentirmi, ti conosco bene” la ammoní infatti il moro trentacinquenne.
“Non sei troppo grande per lei, dongiovanni?” si intromise una voce pacata. I due arrossirono all’istante.
“Vecchio, non pensavo di trovarti ancora in piedi, sai?” bofonchiò Gregorio voltandosi dall’altra parte.
“Ho 83 anni, non ho ancora un piede nella tomba” rispose sullo stesso tono il vegliardo, curvo sulle carte che frusciavano fra le sue lunghe dita ossute e i radi capelli bianchi, ondeggianti a ritmo del passo cadenzato, quasi da marcia militare. “Piuttosto, come sta tuo nonno, Cori?” chiese preoccupato il vecchio economo.
“Sembra che si sia ripreso, ma lo sai com’è fatto, quando gli manca la nonna è sempre tristissimo, poi questa settimana c’era l’anniversario… Torno a trovarlo martedí, se vuoi mi puoi accompagnare” gli rispose la ragazza.
“Io, salire su quella trappola infernale? No, no: Se lo farò, lo farò sulle mie gambe” ribatté stizzito l’uomo.
 “Non è una trappola infernale!” protestò accoratamente Cori. “È una moto!”
“Ah, vecchio Silas, certe cose non cambiano mai!” mormorò Gregorio.
“Stessa cosa” borbottò l’uomo allontanandosi. “Gregorio, per domani voglio il resoconto delle spese di giardinaggio di questo mese sulla scrivania”
“Si capo” rispose il giovane parodizzando un saluto militare.
“Piuttosto Greg, ancora non ti ho chiesto di tua madre, come sta?” chiese la ragazza fissandolo negli occhi color caffè.
“Bene, finalmente ha traslocato. Le ho di nuovo detto che poteva smettere di lavorare,  ma lei insiste…” disse mentre affiancandosi a lei con le mani in tasca cominciava a camminare lungo il giardino.
“Meglio cosí” rispose Cori, la cui visuale, ora libera, comprendeva una testa di muschio (per non dire altro) che si mimetizzava tra le poche, fitte file di alberi boscosi al margine del suo giardino.
“Non mi hai ancora risposto. Chi cerchi cosí di fretta?” chiese curioso il moro.
“Oggi è venuto un mio amico a casa e ci siamo messi a giocare a nascondino, tutto qua” ribatté sventolando una mano.
“Cori. Tu non hai amici” dichiarò a bassa voce il giovane.
“Non dirlo cosí, sembro un’asociale!” protestò Cori. Gregorio sollevò un sopracciglio. “Va bene, un pochino lo sono, lo ammetto.”
“E sentiamo, chi è questo tuo amico?” indagò.
“Cos’è, un interrogatorio? Fai le veci di mio fratello?” sputò acida la ragazza. “Sta tranquillo, appena lo trovo, lo meno e lo caccio”
“Siamo di cattivo umore oggi, eh? Vuoi che ti aiuti?” Ridacchiò.
“No, no, tranquillo, faccio da sola” ghignò scrocchiandosi le dita. “Ci vediamo dopo” lo salutò allontanandosi.
“Ok. Più tardi mi racconti cos’è successo, d’accordo?” le urlò Gregorio, ormai vicino alla sua Catapecchia, una sottospecie di baracca da pescatore all’angolo più estremo del giardino.
“D’accordo” arrossí.
“D’accordo” una seconda voce la scimmiottò dietro di lei. Zoro faceva mostra della sua prestanza emergendo a torso nudo dalle fratte.
“Tu” sibilò Cori fissando quel ghigno sarcatico con le sopracciglia aggrottate.”Hai idea del colpo che mi hai fatto prendere?”
“Che c’è? Mica potevo rimanere chiuso lí dentro in eterno!” protestò.
“E l’incognito, lo mandiamo a puttane?” si alterò la ragazza.
“Ho messo la parrucca, scema” ribatté annoiato Zoro.
“Come se non attirassi comunque l’attenzione…” mugugnò fra i denti, tirandogli un pugno di erba e terra addosso.
“Ehi, che cavolo fai?!” sbraitò il ragazzo, colto di sorpresa.
“Mi vendico” rispose serafica lei, sbattendo le mani per liberarle dalla polvere.
“Ah, si? Vediamo chi si vendica, adesso! Vieni qua , che ti seppellisco!” ruggí lui sollevando un’enorme zolla di terra.
“Non credo proprio, testa d’alga!” gli urlò lei di rimando, fuggendo fra gli alberi. Zoro ruggí ancora cercandola, e Cori ne approfittò per fregare una corda dalla Catapecchia, farne un lazo e buttarlo sopra e oltre il ramo di un albero, lasciando che ricadesse a terra fra la polvere, legò l’altra estremitá ad una pietra pesante, che mise in alto.
“Ehi, scemotto! Sono quiii!” lo richiamò vedendolo poco più in lá, e si nascose dietro un arbusto. Zoro corse verso di lei con la zolla ancora sospesa sopra la testa ed entrò nel lazo, Cori buttò giu la pietra e lui si ritrovò appeso a testa in giù, completamente sporco di terra ed erba fresca. La ragazza rotolò fuori dal nascondiglio ridendo della grossa con le lacrime agli occhi, ma Zoro non si scompose e con un taglio netto recise la corda, ricadendo a terra con le ginocchia piegate e la mano sulla katana di nuovo nel fodero.
“Sei finita, testa-riccia!” urlò di nuovo Zoro inondandola di terra. L’enorme zolla si infranse contro le sue braccia e le inondò di terra il corpo, i capelli, i vestiti, tossí poi per quella che le era entrata in gola, si stropicciò gli occhi e quando li riaprí, sentí Greg urlare: “Cori, che succede? Chi sta urlando?” i suoi passi risuonavano sul terreno ghiaioso.
“Sbrigati, nasconditi” sussurrò a Zoro spingendogli le spalle verso il basso.
“Ma perché?” protestò lui facendo resistenza.
“Puoi obbedire e basta, per questa volta?”lo supplicò Cori. Gregorio arrivò correndo con una zappa sulle spalle larghe. “Che succede? Ho sentito gridare”
“Mmm, non lo so, saranno i vicini” glissò  la ragazza appoggiandosi ad un tronco con nonchalance. Il giovane si insospettí. “Tu non me la racconti giusta” disse mettendosi a braccia conserte.
“Sta’ tranquillo, va tutto bene. Io sto bene. Di cosa ti preoccupi?” tentò di tranquillizzarlo.
“Non lo so… forse  che da quando sono arrivato continui a comportarti in modo strano? O forse perché sei sporca di terra da capo a piedi ed il giardino sembra un campo minato?” attese invano una risposta, fissandola con insistenza. Greg non le incuteva timore da molto tempo,  nonostante la sua montagna di muscoli, quindi poté tranquillamente rimandargli lo stesso sguardo, iniziando una breve lotta di volontá. Alla fine fu il giovane a cedere, e scuotendo la testa si girò per allontanarsi. “Adesso non mi va, ma ne riparleremo” le annunciò uscendo dalla breve quanto fitta boscaglia.
Zoro si alzò di fianco a lei. “Era l’ora” mugugnò osservando il tramonto ormai prossimo dietro di loro.
“Eh, si, si è fatta una certa. Rientriamo?” chiese. Zoro la seguí in silenzio affiancandola. Era passato un giorno intero da quando Zoro era piovuto nella sua stanza, il sole radente illuminava con la sua luce aranciata  i pochi alberi da frutto del giardino,  e le pareti rosate della casa si tingevano di una sfumatura viva, quasi pulsante. “Come sei arrivato qui?” la sua voce ruppe un silenzio che si era fatto surreale.
“Se lo sapessi sarei giá tornato indietro, non credi?” le rispose sarcastico, fissandola perplesso con la coda dell’occhio.
“Dicevo proprio come ti ricordi di esserci arrivato” specificò.
“Mi ricordo solo  di essere stato tirato con forza verso il basso, una forte luce ed un tunnel molto scuro. Poi sono caduto” Doveva essere  un flashback, pensò Cori guardandolo ricordare. Lui probabilmente adesso stava rivedendo esattamente ciò che aveva vissuto, ed era convinto lo stesse vedendo anche lei. Peccato che quel genere di capacitá  non esistesse nella Realtá, sarebbe stata molto utile. No, non le veniva in mente niente che avesse a che fare con tunnel bui e forti luci al momento, se non la famosa luce in fondo al tunnel quando si muore, e sinceramente dubitava fosse qualcosa di simile.
“Dai, entra” lo invitò aprendogli la porta della cucina che dava sul retro. In un’atmosfera di inaspettato rilassamento, i due fecero il tragitto in silenzio, entrando poi nella camera giá avvolta nella grigia luce crepuscolare. Nel cielo apparivano le prime stelle. Mentre attendeva che la chiamassero per la cena, Cori si avvicinò alla finestra e notò una cosa stranissima. Il cielo appariva come una membrana traslucida attraverso la quale passava la luce di stelle diverse dalle loro, più fievoli, più lontane probabilmente. All’improvviso, col favore della notte, l’aria sembrava come vibrare intorno agli oggetti, formava bizzarre figure distorte. Ma il cielo era sicuramente lo spettacolo più bizzarro. Quelle strane stelle… non le vedeva per la prima volta, ne era sicura. In un punto a qualche isolato da lí, una linea d’aria vibrava prepotentemente, turbando quella straordinaria quiete. Era come se la coperta del cielo fosse stata usurata a tal punto da lasciar intravedere le stelle di un mondo alieno.
“Ehi Zoro. Le vedi le stelle?” sussurrò al ragazzo dietro di lei, che le si affiancò con le mani nelle tasche.
“Certo, per chi mi hai preso?” protestò svogliatamente.
“Cioè, non vedi nulla di strano?” precisò, non sapendo bene in cosa sperare.
“No. Sono solo stelle diverse dalle mie” le rispose con uno strano tono, che sul momento non seppe ben identificare. Aveva una strana espressione, seria e assorta.
“Capisco” gli rispose lasciandolo solo alla finestra. Era solo nostalgia, per quanto nascosta e imperturbabile fosse la sua espressione, impenetrabile il suo cipiglio. Voleva solo tornare a “casa”, dove lui aveva un’identitá, libera da costrizioni, e soprattutto i suoi nakama ed un sogno da conquistare. Lo osservò un’ultima volta accomodarsi nell’incavo della finestra e ignorare il suo sguardo. Un giorno, forse anche domani, lei avrebbe dovuto affrontare il giusto scioglimento di questa tensione nostalgica e lasciarlo andare. Ma per adesso avrebbe fatto finta che Zoro fosse una specie di dono del cielo, esente dal dolore della separatezza del proprio cuore, o perlomeno nella giusta misura in cui sarebbe bastata lei per consolarlo, e di cui si doveva occupare. Un’impegno che era felice di prendersi. Essere utile! Non si sarebbe mai aspettata di provare cosí precocemente la nostalgia per l’addio di una persona che aveva conosciuto appena ieri. Ma era una cosa che capitava spesso. Era sempre stata cosciente della fine che ogni sua relazione umana avrebbe avuto, e ne provava la nostalgia prima ancora che questa nascesse.

 Zoro la stava cambiando e l’avrebbe cambiata, ne era certa nonostante la loro breve conoscenza, pensava sedendosi a tavola. Suo padre era giá lí, dritto come un manico di scopa, l’espressione seria e concentrata tipica dell’uomo d’affari che era. I muscoli, vestigia di un passato da guardia del corpo, tiravano le cuciture della giacca di tweed da cui lui non si divideva mai, neanche d’estate. I lineamenti erano marcati e mascolini, niente affatto ammorbiditi dall’etá (aveva 56 anni), mentre i capelli neri e brillantinati erano appena grigi sulle tempie. Il silenzio regnava sovrano in attesa di sua madre. Da molti anni il rapporto di Cori con i suoi genitori era andato deteriorandosi, logorato dalle continue assenze, dalla mancanza di comprensione, da un ambiente chiuso dalla mentalitá ristretta e bigotta e dalle regole ferree e inutili in maggior numero, se non dannose. Non  odiava i suoi genitori, provava per loro un disprezzo che non li derubava del tutto del suo affetto. Nonostante tutto, gli voleva bene. Solo , non condivideva le loro idee.

 Mentre masticava questi pensieri, arrivò sua madre in tuta da ginnastica. Da lei aveva preso il colore dei capelli, che lei portava in una treccia sfatta sulle spalle, e il colore della pelle, pallido come cera. Da entrambi il carattere. Da quando Ottavio, suo fratello, era scomparso, il silenzio a tavola era tombale ogni sera, e lei era sola sotto lo sguardo inquisitorio e accusatorio dei suoi genitori che sembravano non parlarsi più. Tra una portata e l’altra, parole vuote e prive di significato rotolavano dalla bocca severa di suo padre ("Ma non lo vedi come sei sporca? Vatti a cambiare subito!" E altro di peggio. I suoi pugni si serrarono intorno alle posate) , incontrando il totale mutismo di sua madre. Da Allora, sua madre si era semplicemente chiusa nel suo dolore, e dove prima vi era affetto, sua madre si era rivelata debole. Se suo padre un tempo era severo ma assente, da quando la sua amata moglie era caduta in depressione la sua era diventata una presenza pressante nella sua vita, e le sue pretese esagerate. Ora capiva parte del peso che Ottavio aveva dovuto sopportare, pensava mentre sua madre rovesciava violentemente un bicchiere d’acqua e si alzava dal tavolo barcollante.

“Noemi” tuonò suo padre alzando gli occhi dal piatto.
La donna si avvicinò ai corridioi.
“Noemi, non ti azzardare ad andartene! Torna qui! Ho detto torna qui!” ruggí inseguendola e bloccandole l’accesso alla porta.
“Tu… Non hai ragione! Non hai ragione! Non hai ragione! Credi di averla sempre, ma non ce l’hai! Come puoi dire una cosa del genere?” urlò sua madre singhiozzando.
“Non stiamo parlando di quello adesso, Noemi, cerca di calmarti, sei davanti alla bambina, cazzo!” urlò l’uomo rosso in volto.
“Non m’ importa! Non hai ragione!” urlò la donna fuori di se.
“Se esci da quella porta te ne torni da quella puttana di tua madre, hai capito, stronza? Ti lascio da lei, magari insieme starete meglio!” le inveí contro con cattiveria. Gli occhi di Cori si riempirono di lacrime, mentre il terrore le strozzava il respiro. Suo padre non le aveva mai tirato nemmeno uno schiaffo, ma le veniva naturale temerlo sempre. Deluderlo, il suo maggior cruccio. Disprezzarlo per la cattiveria gratuita nelle sue parole, che ben sapevano dove colpire. Non voleva piangere, non voleva piangere, non davanti a loro almeno! Prese il suo piatto e di corsa lo portò in cucina e si chiuse in bagno, dove sfogò quegli inutili singhiozzi asciutti di rabbia e frustrazione.


Mia madre era la figlia di un importante imprenditore e di una ricca modella, separati, e fin dalla nascita viveva sotto stretta sorveglianza delle guardie del corpo. Quando aveva appena diciotto anni, fuggí con la sua guardia del corpo personale, di diciotto anni più grande di lei. Era mio padre. I miei genitori si amavano alla follia. Nemmeno un anno dopo nacque mio fratello, due anni dopo l’azienda di polizia privata di mio padre spiccava il volo, creando tutti i problemi della nostra famiglia. Posso dirlo? Lo preferivo allora, quando mio padre ancora non sapeva come trattarci e si ingelosiva e mia madre non si piangeva addosso. Quando tornavamo da scuola, lei mi prendeva in braccio ridendo, e papá con un braccio sollevava lei e con l’altro mio fratello. È l’immagine più bella che io ricordi, ma è passato molto tempo, e adesso sembra solo una foto ingiallita.


Scrisse sul cellulare.
“Tesoro? Tesoro, perdonaci, non volevamo farti piangere!” la voce dolce di sua madre passò attraverso la porta.
“Cori, apri!” disse suo padre con un tono più imperativo che supplichevole.
La porta si aprí.
“Non sto piangendo!” protestò Cori mentre la madre la abbracciava. “Va tutto bene, tesoro, va tutto bene” le diceva la madre accarezzandole i capelli, ma era lei che si aggrappava. Cori la staccò delicatamente. “Va’ a letto, mamma”
Mentre la madre si allontanava, il padre la rimproverò: “Potevi anche evitare di fare quella scenata!”
“Non era una scenata!” sibilò assottigliando lo sguardo.
“Non dire bugie, Cori!” sparò il suo nome. “E non rivolgerti più a me cosí, sono stato chiaro?” le urlò.
“Cristallino” ribatté affrontando il suo sguardo. Suo padre la precedette nel corridoio: “Devi capire che mamma non sta bene, Cori” disse l’uomo con tono di sufficienza. “È cosí”
Il silenzio calò finché la luce della luna non disegnò prepotentemente il contorno della finestra sul pianerottolo.
“Vedi qualcosa di strano nelle stelle, papá?” gli chiese fermandosi nell’alone di luce.
“Non c’è niente di strano, Cori. Va’ a dormire” le rispose cupo. Le loro sagome nere si incidevano sui vetri come pupille feline.
“Ma papá…” insisté.
“Ho detto va’ a dormire” le ringhiò senza nemmeno ascoltarla.



Ancora arrabbiata, Cori entrò in stanza e lasciò il vassoio della cena sul comodino. Zoro era a farsi la doccia, e ne approfittò per farla anche lei nel bagno che dava sul corridoio e gettarsi nel sacco a pelo. Quando Zoro rientrò la trovò rivolta contro il muro, con la fodera stretta nel pugno. Urla improvvise spaccavano il silenzio in cui versava la casa. Sedendosi sul letto, il ragazzo afferrò la cornice di una foto.
“Chi è questo?” le chiese indicando la foto. Una Cori più piccola teneva per mano un ragazzo più grande, molto simile a lei.
“È mio fratello. È scomparso tre anni fa” mugugnò scorbutica.
“Eppure...” borbottò pensieroso.”Allora? Hai risolto con le tue stelle?”
“Sono sicura di averle giá viste una volta, anche se non cosí forti. Era più o meno in questo periodo…”


Io e Nadia eravamo veramente stufe di quei teppistelli che ci attaccavano ogni volta che uscivamo da scuola. Ogni volta era quella buona per far risse! Erano veramente insopportabili. Ottavio continuava a difendermi, e diceva sempre che era pericoloso attaccarli, che non avrei fatto altro che assecondarli. Ma era l’ora di finirla. Appena finita scuola io e Nadia, armate di tanto coraggio, ci dirigemmo alla base di quei cretini. Era un garage all’interno di un villino curato. Io e la mia amica cominciammo a bussare violentemente contro la saracinesca, e quando uno di quei ragazzi ci aprí, non gli demmo il tempo di parlare e avventandoci su di lui gli gridammo tutta la nostra rabbia. “Dovete smetterla!” “Siamo stufe!” “Cosa avete contro di noi?” Erano parole che si sprecavano. Mentre gli altri ci attaccavano tra le urla, un mio compagno, bocciato più volte, si erse dal groviglio di corpi stringendo il collo di Nadia col braccio, con l’altro la minacciava con un coltello.”Stupida ragazzina. Vuoi davvero saperlo? È colpa della tua famiglia. Loro sono i rivali del capo. E noi i suoi rivali li ammazziamo!” gridò eccitato. Alle urla di giubilo dei suoi compagni, seguirono quelle di sorpresa quando nella lotta (impari) si introdussero mio fratello ed un suo amico. Ci salvarono. Quando uscimmo, il suo sguardo era più affilato di mille rasoi.
“Giacomo, porta a casa Nadia, devo dare una lezione a mia sorella” ordinò cupo al suo amico. Non l’ho più rivista.
Per tutto il tragitto lo seguii senza osare alzare lo sguardo.
Mio fratello aspettò la cena per parlarmi. Mi medicai da sola quei pochi lividi e ferite che avevo. “Ti aspetto in terrazza” mi disse la sua voce funerea mentre mi passava accanto.
Salii in terrazza col magone.
“Cori” mi chiamò severo.
Avanzai verso di lui a testa bassa, ed il mio piede inciampó in un tirapugni insanguinato sopra delle bende intrise dello stesso sangue. Le fissai inorridita. Avevo causato tanta sofferenza? Ero stata cosí stupida?
Lo raggiunsi. Non mi guardava, ed io vedevo solo il suo profilo alla luce della luna.
“Cori mi hai molto deluso” disse cupamente.
“Lo so” tentai una debole scusa.
“Avrebbero potuto farti del male. Mi hai disobbedito deliberatamente, e quel che è peggio, hai messo Nadia in pericolo!”
“Io stavo solo cercando di essere coraggiosa come te!” Non volevo essere un peso.
“Ma io sono coraggioso solo quando serve. Cori! Essere coraggiosi non significa andare in cerca di guai!” mi redarguí, sorpreso e quasi sollevato.
“Ma tu non hai paura di niente?” chiesi stizzita.
“Oggi ho paura.” Lo  disse con un tono talmente cupo, mentre osservava quel cielo.
“Davvero?” gli chiesi quasi timorosa. Era raro che mio fratello ammettesse di avere paura.
“Temo di poterti perdere!” ammise sofferente.
“Allora anche tu hai paura…” lo sfottei tirandogli una spallata amichevole, cercando di risollevargli il morale. Chissá a cosa pensava.
“Hmm-hmm” annuí con aria saggia.
“La sai una cosa? Credo che quelle iene abbiano avuto una paurissima!” gli sussurrai nelle orecchie. Ottavio rise.
“Perché nessuno può permettersi di sfidare tuo fratello! Vieni qui, piccoletta!” prendendola per il collo, le strofinò le nocche sulla testa.
“No, no!”protestai divincolandomi. Lo rovesciai e cominciammo a rotolarcii sul terrazzo. “Ti prendo!” ruggii montandogli a capacecio come un koala.  Le risate si spensero nell’aria frizzantina della sera. Stesi l’uno di fianco all’altra, Ottavio mi passò un braccio dietro le spalle, e io mi ci accoccolai.
“Fratellone” lo chiamai.
“Si?”
“Siamo amici, vero?” pigolai.
“Si” Rise.
“E staremo sempre insieme vero?” gli chiesi presa all’improvviso dall’ansia.
“Cori. Lascia che ti dica una cosa. Guarda le stelle. I grandi del passato -coloro che ci hanno amato- ci guardano da quelle stelle. Perciò quando ti senti sola, ricordati che loro saranno sempre lí per guidarti. E ci sarò anch’io” Alzai lo sguardo al cielo, ma era come diverso, quasi sfocato. Non sapevo cosa stesse dicendo mio fratello, ma avrei certamente fatto tesoro di ciò che mi aveva detto.


Zoro si era addormentato, ma Cori non si arrabbiò. Ricordare ad alta voce, raccontare, le aveva reso la serenitá perduta.
“Buonanotte, Zoro”
 




E bentornati su radio Brotherhood, é la vostra Hikari che vi parla! Che ve ne pare? Scommetto che qualcuno noterá la citazione chilometrica del Re Leone! Non sará il massimo dell’originalitá, ma ci stava per rendere l’idea del loro rapporto, non mi uccidete perfavore, lo so.  Che ve ne pare? Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo, spero di avere presto vostre notizie! Alla prossima!



http://www.grandeblu.it/index.php?url=saccheggio&id=53936
   
 
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