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Autore: _Mhysa_    06/04/2017    5 recensioni
4x03 | Phone calling | Sherlock & Molly
Vivisezione.
“Dal latino vivus -a -um, vivo, e sectio -onis, taglio, è un metodo di studio e ricerca consistente in operazioni di dissezione effettuate su animali vivi”
Ratti sotto tortura. Parti del corpo completamente dilaniate. Sangue ovunque. Un vero schifo.
Ricorda quando ha catturato un topolino nel giardino della sua casa in campagna e l’ha sottoposto a vivisezione. Lo ricorda perfettamente; la bestiola si dimenava, impotente, e lui non la smetteva di trattenerla. Doveva analizzare il corpo dell’animale, la sua insegnante a scuola non glielo lasciava mai fare, si limitava a spiegare costringendolo a guardare delle stupide immagini sul libro. E lui si annoiava, si annoiava terribilmente.
Ma non ha più dodici anni.
La scena si capovolge. Adesso il topo è lui.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eurus Holmes, John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa
SpoilerAlert! Per leggere e capire la storia è indispensabile aver visto la 4x03.
Detto questo… buona lettura!
 

                                                                           

 
Vivisection
 
Vivisezione.
“Dal latino vivus -a -um, vivo, e sectio -onis, taglio, è un metodo di studio e ricerca consistente in operazioni di 
dissezione effettuate su animali vivi”
Ratti sotto tortura. Parti del corpo completamente dilaniate. Sangue ovunque. Un vero schifo.
Ricorda quando ha catturato un topolino nel giardino della sua casa in campagna e l’ha sottoposto a vivisezione. Lo ricorda perfettamente; la bestiola si dimenava, impotente, e lui non la smetteva di trattenerla. Doveva analizzare il corpo dell’animale, la sua insegnante a scuola non glielo lasciava mai fare, si limitava a spiegare costringendolo a guardare delle stupide immagini sul libro. E lui si annoiava, si annoiava terribilmente.
Ma non ha più dodici anni.
La scena si capovolge.  Adesso il topo è lui.
2:45
2:44
2:43
È incredibile la velocità con cui i numeretti sul display cambino. Secondi Sherlock, si chiamano secondi, e scorrono veloci. Ma certo, lo sa benissimo. Ha imparato a guardare l’orologio a soli tre anni.
2:42
2:41
2:40

«Cosa sta facendo?»
«Prepara il tè»

Prepara il tè. Sta per morire e prepara un tè. Come diavolo le è venuto di preparare un tè mentre una bomba sta per esplodere nella sua piccola casa? Non può saperlo, Sherlock, non sa che sta morendo.
No, non lo sa, ma lui sì.

«Sì ma perché non risponde al telefono?»

Non si chiedeva mai cosa provasse il topo, mentre lo squartava; adesso lo sta per scoprire. Non gli piacerà, non gli piacerà per niente.

«Neanche tu rispondi mai al telefono»

Già, ma di solito non rischio di esplodere.
Eccola, la prima emozione, cresce in modo repentino senza che possa ostacolarla, sale dal colon ascendente, lo squarta e poi sale, si arrampica fino ad arrivare al duodeno, si fa sentire nel suo stomaco, grattandone le pareti e sguazzando tra i succhi gastrici.
Paura. Paura che non risponda a quel dannato telefono.

«Sì ma sono io che la chiamo»

Dovrebbe rispondere, risponde sempre quando è lui a chiamarla. Ma non ha letto il nome sul display, è certo che se lo vedesse risponderebbe immediatamente.
2:18
2:17
Non risponde. Il display si spegne e Molly Hooper continua a preparare il suo tè. Parte la segreteria.
Allora eccone altre due, di emozioni.
Delusione. Gli dilania i muscoli tesi degli arti.
Irrequietezza. Lo spinge a muoversi; si volta, poi si passa una mano sulla bocca secca. Le ghiandole salivari hanno smesso di funzionare.
Eurus chiama di nuovo. I secondi continuano a scorrere. Sbatte le palpebre, cerca di mantenere la calma.
2:13
2:12
Rispondi, Molly, rispondi a quel dannatissimo telefono. Sbrigati, dannazione!
Un’altra.
Impazienza. Si ficca nel suo fegato come degli aghi in un puntaspilli.
C’è anche qualcosa di vagamente positivo che le fa compagnia, qualcosa a cui decisamente non è abituato, una sorta di fiammella che brilla, fioca, accesa su una candela che non si scioglie, una fiammella tiepida, che riscalda leggermente ma non brucia.
Speranza.
Spera con tutto sé stesso che risponda, una vocina nel suo cervello inizia perfino a pregare un Dio in cui non crede; deve rispondere, non esiste un’altra possibilità, non la contempla.
La fiamma si fa più grande quando il dito esile e affusolato di Molly Hooper scorre sul display del suo smartphone.
Sì, brava Molly, rispondi.
Ha letto il nome. Risponderà.

«Ciao Sherlock. È urgente? Perché oggi non è giornata»

È urgente Molly, è il caso più urgente e pericoloso che abbia mai risolto.
Come dirglielo? Quali parole usare? Non hai molto tempo per pensarci, Sherlock, non ne hai affatto.
Indecisione. Dura un nanosecondo, cioè tutto ciò che può permettersi. La sente recidere una vena nella sua tempia.
 
«Molly, dovresti fare una cosa semplice per me, senza domande»
«Oh Dio, è un altro dei tuoi stupidi giochetti?»

Le sente tutte, tutte quelle provate fino ad ora, confuse e distinte allo stesso tempo.
Paura, delusione, irrequietezza, impazienza, indecisione.
E sente dolore in tutti i punti che hanno vivisezionato.
Colon, duodeno, stomaco, muscoli degli arti, fegato, tempia.
 Ma c’era qualcos’altro, c’era, lo ha sentito poco fa… qualcosa di positivo. Sì, la fiamma sulla candela che non si scioglie! Eccola.
La identifica. Si focalizza su quella.
 Molly ha risposto, posso farcela.
 
«No, non è un giochetto, ho… bisogno del tuo aiuto»
«Non sono al laboratorio»
«Non si tratta di questo»
«Sbrigati allora»

Esita. Si blocca. Cosa diavolo deve dire?
Indecisione.
Incertezza.
Paura.       

«Sherlock? Che c’è? Cosa vuoi?»

Tic tac, tic tac, tic tac.
Il tempo scorre.

«Molly, per favore, non chiedere perché, ripeti solo queste parole»
«Quali parole?»

Trattiene il fiato per una frazione di secondo, prima di parlare ancora.

«Io ti amo»

Lei stacca il telefono dall’orecchio e tira su col naso; è indignata. E lui sente questa indignazione, la sente con la potenza di un cazzotto nel naso per verificare la velocità con cui i capillari al suo interno si rompono.

«Lasciami in pace»

No, no, no, no! Sta riattaccando!
La paura si trasforma in terrore, che insieme all’ansia gli stritola lo stomaco, il pancreas, lo sterno; li stritola in una morsa ferrea.

«Molly, ti prego, non riattaccare»

La supplica. Non può fare altro; non se ne rende nemmeno conto.

«Non riattaccare»
«Calmo Sherlock o la finisco immediatamente»

Controllo, devi mantenere il controllo.
Ma è difficile contenere quella matassa informe, quell’arsenale di lame e spilli che continuano a dilaniare la sua carne come se fosse un maiale sul bancone di un macellaio.

«Perché mi fai questo? Perché mi prendi in giro?» ringhia Molly. È arrabbiata.

Eccone un’altra.
Disperazione.
È disperato e questo accelera il suo battito; la sudorazione aumenta, sente la fronte imperlata di sudore; il braccio sinistro inizia a tirargli, come se avesse un peso di venti chili attaccato alla mano. L’esofago si accartoccia, la gola gli si annoda, l’ansia gli rende difficile respirare, occupando gli alveoli; ci si è seduta sopra e li schiaccia, senza remore.

«Per favore, ti giuro, devi solo ascoltarmi»
«Più dolce Sherlock»

Si sta lasciando sopraffare da tutte queste emozioni, non riesce bene a contenerle, cerca di chiuderle nella cassettiera delle cose inutili (dove dovrebbero essere) ma queste scappano sempre, appena si distrae un attimo i cassetti si aprono e le emozioni escono, escono e lo colpiscono senza pietà.

«Molly questo… è per un caso» inventa, provando a controllare almeno la sua voce.
«È una… specie di… esperimento»
«Io non sono un esperimento, Sherlock»
 
Dannazione, hai sbagliato termine, idiota! La sente, la sente l’ansia, è nei polmoni, nello stomaco, nella trachea; e sente il terrore, il terrore di aver commesso un errore fatale, un errore che gli costerà la vita di Molly Hooper.
Deve rimediare, subito.
 
«No, non sei un esperimento, tu sei una mia amica, siamo amici, ma per favore, ripeti queste parole per me»
 
Vuole restare lucido, vuole trovare le parole giuste, sa di poterle trovare, ma con tutti questi cassetti che si aprono, con queste lame che gli tranciano la carne impedendogli quasi di respirare non riesce proprio a concentrarsi; c’è caos, dentro sé, il suo palazzo mentale è in balia di un terremoto. Sta per crollare. Tutto il mondo sta per crollare.

«Per favore, non farlo… non… farlo»
«È molto importante, non posso spiegarti il perché.  Ma ti giuro che lo è»
«Non posso dirlo… non posso dirlo a te»
«Certo che puoi, perché non puoi?»
«Sai perché»

Merda, di’ queste parole, Molly. Lo so perché, certo che lo so ma dille, dille Molly, dille o non parleremo mai più, non potrai dirmi più niente. Mai più.  
Terrore, ansia, impazienza, disperazione
Lame affilate, bisturi, pinze, arnesi che scavano nella carne, sangue caldo che cola, occhi gelidi che si spalancano come portoni su un baratro.
Speranza. 
Ricordati della speranza, Sherlock. Solo lei può salvarti. Solo lei può salvarla.
La luce, il calore. Sono lontani, ma può ancora sentirli. Sono lì, sono lì per loro. Sono fatti solo per gli uomini, e lui è un uomo, dopotutto.
Calma. Resta calmo. Va tutto bene, il terremoto si fermerà, il dolore anche. Falle pronunciare quelle parole e tutto finirà, lei vivrà e tutto andrà bene.
 
«No, non so perché»

Scandisce bene. È un gran bugiardo.
Il terrore cresce mostruosamente, è un’ombra gigante che lo sovrasta; è terrorizzato all’idea che non lo dica, ma forse è più terrorizzato dalla certezza di ciò che lei prova. Perché sa che lo prova, anche se non lo dirà, anche se le costerà la vita.
Molly sospira e tira su col naso. Vorrebbe piangere a dirotto ma si sta trattenendo.
 
    «Certo che lo sai»
Tic, tac. Tic, tac. Tic, tac.
 «Non posso, non a te»
«Perché?»

Non le trattiene più, quelle maledette emozioni escono dai cassetti, saltano fuori e lo attaccano, non può più tenerle a bada. Si affacciano tutte nelle sue minuscole pupille.

«Perché… perché è vero, è vero Sherlock, è sempre… stato… vero»

La voce di Molly si riduce a un sussurro appena udibile. È disperata anche lei.
Tutte, le sente tutte, si blocca per un attimo e lascia che lo investano in pieno volto; ma deve continuare, non può fermarsi. The game is on.
 
 «Beh, se è vero dillo e basta»

Non vorrebbe essere così duro, ma ha altra scelta? Si sente un mostro, un vero mostro, ma cosa altro dovrebbe fare? In che modo potrebbe salvarla?

«Che bastardo»

È arrabbiata, è arrabbiata e disperata.
Sono molto di più, Molly, sono un mostro.  
 
«Dillo lo stesso»
«Dillo tu. Avanti. Dillo prima tu»

Black out. Tutto si spegne, tutto si ferma, pure le lame. C’è qualcosa di nuovo che lo fagocita, facendo tacere per un attimo il dolore causato dalle ferite.
Sgomento.
 Non crede a ciò che ha appena udito, non aveva nemmeno lontanamente considerato questa richiesta. Molly lo ha preso alla sprovvista; lo fa sempre, è uno dei suoi migliori difetti. O uno dei peggiori talenti, dipende dai punti di vista. 

«Cosa?»

Hai capito, cosa.

«Dillo»

È impietosa; in fondo lui non ha quasi mai pietà di lei. Odia la pietà.

«Dillo come se ci credessi davvero»

Attonito, incredulo, paralizzato.
Rivolge lo sguardo a sua sorella, forse alla ricerca di un aiuto che non arriverà mai. Nessuno può salvarlo.
 
«Ultimi trenta secondi»

Immediatamente un’ondata di panico puro investe la stanza e i presenti, tutti loro; Sherlock lo sente, un vuoto gli si scava al centro del petto, una buca enorme che si espande repentinamente; avverte il macigno sui polmoni diventare pesante, troppo pesante. Sta per cadere nel baratro.
Gli fa male ogni centimetro del suo corpo. Vorrebbe urlarlo al mondo. Ma non può urlare; trattiene il suo bisogno di esplodere in grida acute di dolore. Un dolore mai provato in tutta la sua vita.
Lo ignora.
Deve ignorarlo
E dire quelle parole.
Non ha altra scelta. Ma in che modo può pronunciarle come se ci credesse davvero?
Non è capace di mentire fino a questo punto.
Certo che puoi Sherlock, non esiste niente di impossibile, non per te.
Chiude gli occhi, spinge dentro i cassetti. Sente il sangue colare dove le lame lo hanno colpito ripetutamente. Ma non importa.

«Io…»

Lei chiude gli occhi a sua volta. Stringe il telefono al suo orecchio con entrambe le mani, come se fosse di colpo diventato l’oggetto più importante e prezioso del mondo. Intanto una voce nella testa del detective continua a sussurragli cose.
L’amore è un pericoloso svantaggio.
Sì, ma non importa.
I sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde.
Sì, ma non importa.

«…ti amo»

Lei sospira e un lieve sorriso le curva le labbra. Sa bene che è una bugia.
Sì, ma non importa.
Qualcosa accade, nel palazzo mentale di Sherlock Holmes, qualcosa di inaspettato. Spezzoni del passato gli balzano davanti senza che lui si sforzi di ripescarli, come se volessero essere visti, anche senza essere cercati. Gli passano nella testa a trecento chilometri orari, sono auto veloci e inarrestabili. Auto bellissime.
Perciò all’improvviso è nel corridoio del St. Bartholomew’s esattamente di fronte a lei.
«Se non fossi chi credi che io sia, chi penso di essere, vorresti aiutarmi lo stesso?»
«Di cosa hai bisogno?»
«Di te»
La vede ovunque.
Molly a lavoro, Molly a casa sua, Molly al matrimonio dei Watson, Molly che sorride, Molly triste, Molly offesa, Molly che arrossisce, Molly che lo fissa con devozione, Molly che lo schiaffeggia con rabbia. Molly ovunque, in ogni angolo della sua essenza, in ogni stanza del palazzo, in ogni cellula del suo corpo.
«Stai bene? Non dire di sì, so cosa significa, essere tristi quando pensi che nessuno possa vederti»
«Tu puoi vedermi»
«Io non conto»
Molly Hooper. La sua bara dietro di lui, il suo volto davanti agli occhi.
Molly Hooper e il suo rossetto.
Molly Hooper e il regalo di Natale.
Molly Hooper e le parole sulla targhetta.
Molly Hooper e tutte quelle emozioni che non vedono l’ora di attaccarlo di nuovo.
«Ti sbagli, sai. Tu conti. Hai sempre contato e io mi sono sempre fidato di te»
«Moriarty in realtà ha commesso un errore, perché l’unica persona di cui pensava non mi importasse niente era la persona di cui mi importava di più»
«Puoi avere me» gli aveva detto lei, una volta.
Ed è vero; ce l’ha dentro, piantata nel cuore, e non se ne è mai accorto.

«Io ti amo»

Nel momento in cui lo ripete una luce iridescente si espande dappertutto; non esistono più i cassetti, o almeno così gli sembra; non esiste più niente se non questa luce, e la carne dilaniata smette di far male, e il palazzo mentale smette di tremare. Il vuoto nel petto si colma, sostituito da un tiepido tepore che lo invade interamente, lo stesso che si prova quando fuori c’è la tempesta e tu sei a casa, rannicchiato sulla poltrona, con addosso una coperta lanosa e per sottofondo il crepitare della legna nel camino acceso. Il fuoco ti illumina il volto, il profumo del tuo tè preferito che stagna nella tazza inebria l’aria. È tutto così perfetto. Questo tepore… vorrebbe provarlo perpetuamente, la ripetizione di un momento sempre uguale che non passa mai, un momento il cui destino è durare fino alla fine dell’eternità.
Non è un’emozione, si tratta di qualcosa di molto più potente; non lo si può ignorare. Governa, sovrano incontrastato e incontrastabile. Incontrollabile e incontrollato.
Sentimento, ecco la parola giusta per definirlo.
Lo hai detto davvero.
«Io ti amo»
Stavolta gli è uscito spontaneo; non si è sforzato, non l’ha programmato. Gli è uscito e basta.
Ed è vero, dannatamente, maledettamente, spaventosamente vero.
La ama, la ama e adesso lo sa.
Molly strizza ancora gli occhi, li strizza fortissimo, con la consapevole illusione che riaprendoli quella confessione possa diventare verità (non capendo affatto che lo è già), poi stacca il telefono dall’orecchio.
Non ci crede, non ci ha creduto nemmeno un attimo.
0:15
0:14                                                                                          
Il tempo sta finendo. Tutto sta finendo.
«Molly»
Così come è apparso il tepore scompare, lasciando il posto a un gelido inverno; la situazione torna allo stadio precedente. La cassettiera riappare e poi esplode, anticipando la probabile fine del corpo di Molly.
«Molly ti prego»
Le emozioni lo distruggono, più violente e impetuose che mai. Si abbattono su di lui, acquazzone di armi che lo smembra.
Eccole, esercito bellicoso, barbari all’assalto.
Terrore, ansia, disperazione, delusione, terrore, disperazione, impazienza, preoccupazione, incertezza, ansia, terrore. No, non è terrore!
Panico.
Panico totale.
Le batte tutte. Disseziona ogni più piccola porzione del suo corpo, dalle unghie dei piedi alla punta dei capelli.
Il battito accelera vertiginosamente; sente il cuore pulsare dappertutto, nelle tempie, nei polpastrelli delle dita, nei polsi, sotto le piante dei piedi, nella gola, nello stomaco. La fronte è imbevuta di sudore, le mani sono umidicce. La bocca è così secca che gli pare sia sul punto di creparsi. Le viscere gli si contorcono, pezzi di budella schizzano attraverso le dita della morsa di ferro che gli stritola le interiora.
Panico.
Non c’è ossigeno, è finito, risucchiato via da chissà cosa; non c’è ossigeno nei polmoni, non c’è ossigeno nella stanza, non c’è ossigeno nel mondo.
Il panico, sarà stata colpa sua.
0:10
0:09
0:08
«Molly… ti prego» sussurra. La voce gli si strozza in gola.
Dov’è l’aria, quando serve?
0:07
0:06
Lei avvicina il telefono alla bocca.
0:05

«Io… ti amo»

È un fremito, una lieve, lievissima vibrazione delle corde vocali, appena percepibile dall’udito umano; sembra quasi che non l’abbia detto, tanto che lui crede di averlo solo immaginato. Ma lei l’ha fatto, ha pronunciato le parole, è reale, è sufficiente. Il timer si blocca.
0:02
 Molly è distrutta.
Hai vinto, Shelock, ce l’hai fatta. L’hai salvata.
Si porta le mani sulla fronte; il palazzo ha smesso di tremare. Il mondo ha ritrovato il suo equilibrio; chiude i cassetti, li chiude accuratamente e getta via le chiavi. Le ferite che lo ricoprono per intero pulsano, sono ancora doloranti, ma non fa niente. Ha vinto.

«Sherlock, per quanto sia stato difficile…»
«Eurus, ho vinto. Ho vinto. Avanti, rispetta le regole, la bambina sull’aereo, devo parlarle».

Non si arrendono, battono le lame contro il legno. Vogliono uscire, non hanno terminato. Le ignora.
Diamine, Eurus, fammi parlare con la bambina.

«Ho vinto! Ho salvato Molly Hooper»

Sua sorella ride. Il suo volto appare sullo schermo dove fino a poco fa c’era Molly. Ha gli occhi vacui, pieni di follia; è come se fosse assente nella sua presenza. Ride, una risatina leggera e agghiacciante; Sherlock si chiede cosa diavolo abbia da ridere.

«Salvata? Da cosa? Oh, sii ragionevole, non c’erano esplosivi nella sua casetta. Perché sarei stata così maldestra? Non hai vinto, hai perso. Guarda che cosa le hai fatto, guarda cosa hai fatto a te stesso. Tutte quelle complicate, piccole emozioni, ho perso il conto. Contesto emotivo, Sherlock. Ti distrugge ogni volta. Adesso per favore, rimettiti in sesto, voglio che tu stia bene, la prossima volta non sarà così semplice. Prenditi tutto il tempo che ti serve»

Il volto di Eurus scompare, ma Sherlock non sta più guardando lo schermo; cammina verso il coperchio della bara, gli occhi fissi sulla targhetta.
Io ti amo.
Un colpo, dritto al cuore. Una spada di ghiaccio lo trafigge in pieno; tutte le parole di Eurus lo hanno trafitto, staccando a poco a poco pezzi della sua carne. Alcune gli hanno tranciato le braccia, altre gli hanno staccato le gambe, altre ancora hanno sferrato colpi quasi mortali alla sua schiena, all’addome, al collo.
Le emozioni nella cassettiera non le sente più; avverte solo dolore. È diverso da quello provato poco prima, è più… intenso, concentrato in egual modo in tutto il corpo. È così insistente e fastidioso che gli fa girare la testa; non riesce a mettere a fuoco la realtà che lo circonda. Ma quelle parole, quelle le vede alla perfezione. E poi sente una fitta lancinante, proprio lì, al centro del petto.
Il cuore. Gli è stato strappato, gettato a terra e calpestato con vigore. Eurus ci sta ballando sopra, anche se non può vederla.
Non ce la fa, non può sopportarlo, tutto ma non questo dolore.
Prende il coperchio e lo ripone con cura sulla bara vuota, una bara che non conterrà mai il corpo esile e piccolo di Molly Hooper, almeno di questo ne è sollevato. Eppure non basta, non basta ad alleviare il dolore.
Le fissa, fissa la bara, fissa la targhetta; l’universo intorno perde i suoi contorni.
Ha il respiro affannoso, tutto questo dolore lo sta letteralmente uccidendo.
Non posso sopportarlo, non posso sopportarlo. Non posso aver perso, non è vero che non stava morendo, non posso essere stato preso in giro in questo modo. Non posso aver detto quelle parole, non posso averle fatto dire quelle parole. E invece è esattamente ciò che ho fatto. Sono stato io, l’ho uccisa io. 
Non può essere. Non posso sopportarlo.

«Sherlock…»
«NO… NO!»

Lo trasforma; da bravo chimico qual è prende il dolore e lo trasforma in qualcos’altro. È facile, come passare dai reagenti al prodotto. E così il dolore diviene rabbia, furia. È furioso; non riesce a controllarsi, non vuole più controllarsi. Una scarica di adrenalina lo pervade solleticandogli i nervi e attraversandogli i muscoli. Non c’è nient’altro in quella stanza a parte la bara; deve distruggerla.
«Contesto emotivo Sherlock, ti distrugge ogni volta»
Quelle parole continuano a ripetersi nelle sue orecchie, sono come fuoco che accende una miccia. A esplodere è lui.
Boom.
Colpisce la bara, colpisce il legno come le emozioni hanno colpito lui; si sente animato da una forza sovraumana che lo guida, un istinto animalesco che gli appanna la vista e la ragione. Non gliene frega niente del resto, la sola cosa che desidera è distruggere questa dannata bara.
Non ho perso, non è vero, non ho perso… dannazione! Stupido Sherlock, sei un idiota, un vero coglione, signor so-tutto-io… guarda cosa le hai fatto, ricordati quell’espressione di dolore e disperazione sul suo volto stanco! Ricordala Sherlock, sarà la tua condanna! Merda, no, non può essere… fanculo Eurus, fanculo al mondo! Pensavano che fossi uno psicopatico, tutti lo pensano, in realtà sono un sociopatico iperattivo. Un bastardo… e questa bara, distrutta! Distrutta… fino… all’ultimo… pezzo… dannazione, perché… non si disintegra… no, non può essere! NO!
Continua a rompere gli assi di legno per un tempo che non sa quantificare, ha smesso di contare i secondi. Lentamente l’impeto violento si esaurisce, la furia si calma e all’improvviso si sente privo di forze; è completamente svuotato. Non c’è rimasto nulla.
Si ritrova con la schiena al muro, la lascia strisciare contro la parete, fino a ritrovarsi col sedere per terra. È sfinito.
John gli lascia il suo tempo, aspetta che rimetta insieme i pezzi, ma quando si accorge che non ne è in grado raccoglie la pistola dal pavimento e si avvicina a lui.
Sherlock ha i polsi poggiati sulle ginocchia e lo sguardo perso nel vuoto. In realtà osserva i resti della sua carcassa; li vede, tutti sparpagliati sul pavimento, vede le sue interiora, parti del suo corpo martoriate. Sono tutte lì, anche se può vederle solo lui.
 
«Senti, so che è difficile e so che per te è una tortura, ma devi rimetterti in piedi»
«Questa non è una tortura, questa è vivisezione. Stiamo sperimentando la scienza dal punto di vista delle cavie».

Fa un sospiro e lascia cadere la testa all’indietro, poggiandola contro la parete fredda. Lancia una breve occhiata a Mycroft, che lo osserva all’in piedi, le braccia incrociate e un’espressione corrucciata in volto. Poi i suoi occhi si posano di nuovo su John.

«Soldati?» gli dice.
«Soldati».

E allora, prima di afferrare la mano tesa del suo amico, prende le sue interiora, i polmoni, lo stomaco, l’intestino, il colon, il pancreas, il fegato, li agguanta alla rinfusa, sono pesanti ma riesce a tenerli. Se li ficca per bene nel corpo, chiude lo squarcio alla bell’e meglio e si alza. Prima di andare però recupera l’ultimo tassello: il suo cuore.
È calpestato, torturato, maciullato… eppure ancora batte. Cerca di sistemarlo al suo posto; con fatica, perché era un luogo che non conosceva. Un giorno tornerà a funzionare a dovere, forse.
Non oggi.
                                                                                        
Adesso lo sa, cosa provava il topo.
 
 
 
 
 
 
Note d’autrice
Eccomi di nuovo in questo fandom. Non voglio spiegare la storia, sono piuttosto curiosa di sapere cosa ne pensate, quindi sarò molto lieta di leggere vostri pareri. Ci sono però delle precisazioni che ci tengo a fare:
  1. La definizione di “vivisezione” l’ho presa da Wikipedia
  2. Per quanto riguarda le battute riprese dall’episodio 4x03, alcune traduzioni sono quelle dei sottotitoli di Netflix, altre le ho fatte io stessa basandomi sull’originale.
  3. Invece per la scena del palazzo mentale, quella che ho inserito tra il primo e il secondo “ti amo”, mi sono ispirata a un video meraviglioso che ho trovato su youtube. Vi metto il link, se volete vederlo.
E niente… grazie a chi ha letto la storia :) 
Link video:
https://www.youtube.com/watch?v=-fjYOJo3BQ8
  
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