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Autore: Sophja99    06/04/2017    4 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo ventisette

Fuga


Venne trascinata malamente per delle scale che le sembravano infinite e arrivare sempre più in profondità, laddove non vi era alcuna possibilità di fuga e salvezza. Man mano che scendevano, la poca luce che aveva illuminato la sala del trono, aumentata dalle pareti di ghiaccio e dalla neve, diminuiva sempre più, fin quando non rimase altro che buio e fanghiglia.

Spesso durante la discesa, come se non bastassero già le ferite che aveva riportato nello scontro con le viverne, venne molteplici volte percossa o sbattuta contro il muro dagli incappucciati. Quando le loro mani entravano in contatto con la sua pelle, per invogliarla a camminare o per colpirla, sentiva un brivido freddo percorrerle la schiena. Tutto ciò che riusciva a vedere di quegli individui e che non era coperto dal mantello e dal cappuccio erano le mani, totalmente bianche e fredde, simili a quelle di un cadavere.

Finalmente giunsero alla fine delle scale e venne portata in un luogo stretto e lungo, in cui non si riusciva a vedere e sentire nulla oltre all'oscurità e al gelo. Gli uomini la fecero avanzare di qualche passo, prima di muoversi per andare ad aprire qualcosa di simile ad una porta o ad un cancello, dato che Silye, sebbene non riuscisse a vedere nulla, sentì un cigolio. In seguito venne sospinta da un lato e gettata a terra con uno spintone. Silye mise avanti le mani per proteggere il petto e il viso nella caduta, provocandosi altro dolore al braccio, che finì dritto nel fango che sembrava trovarsi ovunque a quella profondità. La porta venne richiusa di scatto.

Silye non se ne intendeva molto di ferite, - tutto ciò di cui era aconoscenza apparteneva alle reminescenze delle völve vissute prima di lei e che aveva ereditato -, ma sapeva che, se nella ferita entrava lo sporco e non si ripuliva subito, c'era il rischio che questa si infettasse. La ladra si mise a sedere e strisciò finché non sentì dietro di sé un muro di pietra. Quando si fu appoggiata, si pulì una mano sul davanti dell'abito, la parte meno sporca del suo corpo e degli indumenti, e cercò di togliere la terra sul braccio intorno alla ferita, da cui partiva un dolore ancora più atroce di prima dopo la spinta degli uomini. Era ben poca cosa, ma al momento quello era tutto ciò che poteva fare per cercare di pulire la ferita e limitare la sofferenza.

Posò la testa sul muro, grata di quel momento di calma dopo le peripezie che avevano affrontato a seguito del loro tentativo di fuga dall'Helheimr, che si era rivelato del tutto inutile. Socchiuse gli occhi e si lasciò scappare un gemito; in quel momento, cullata dal buio e dal silenzio, si sentiva completamente sola e libera di dare sfogo alla stanchezza e al dolore.

Tuttavia, quel minuto di fragile tranquillità venne spezzato dal sopraggiungere di alcune voci. Silye spalancò gli occhi, nonostante ciò fosse totalmente vano date le tenebre che la circondavano, e cercò di cogliere a chi appartenessero. Dopo poco comprese che era solo una persona a parlare: Vidar. Si stava sicuramente ribellando alla ferrea presa degli incappucciati, cercando invano una scappatoia e un modo per liberarsi di loro.

«In nome di tutti gli dei, lasciatemi! Sporchi fífl¹!» stava urlando, ma gli individui non sembravano avere neanche cura di rispondergli. Si limitavano a stringerlo forte, per poi spingerlo e rinchiudere anche lui in una cella diversa da quella in cui si trovava Silye.

La ragazza continuò a sentire le sue grida, gli insulti e i tentativi di scassinare il cancello per qualche minuto, finché non si decise a parlare. «Smettila. È del tutto inutile. Non si può uscire da qui.»

«Non vale per me. Non può valere anche per me» affermò risoluto, per poi aggiungere in un sussurro. «Sono un dio.»

«Questo non ti rende invincibile.»

Non sentì alcuna risposta giungere da Vidar, solo un'altra botta al cancello, che risuonò forte nelle prigioni, rimbombando sulle pareti. Silye pensò che fosse stato più un atto di rabbia che un vero e proprio sforzo per uscire.

Per qualche minuto, tutto tacque. Si sentiva solo il leggero e lontano suono di gocce d'acqua che dal soffitto cadevano a terra, tuffandosi in altrettante pozzanghere. Silye rifletté che dovevano trovarsi in una specie di grotta, a giudicare dai rumori e dall'eco.

«A cosa alludeva Hel quando ha parlato del peso delle tue colpe

Vidar rimase in silenzio, lasciando la domanda di Silye sospesa nell'aria, irrisolta. La ladra iniziò a spazientirsi del suo comportamento.

«Ho bisogno di conoscere colui per cui rischio la vita ogni singolo giorno. Voglio sapere cosa hai fatto per far arrabbiare tanto Hel, perché, a causa di un qualcosa che, a quanto pare, non è altro che opera tua, ho rischiato di rimetterci le penne.»

«Quindi vorresti sapere di più su di me» disse Vidar, con una nota di leggero divertimento nella voce che non sfuggì a Silye.

«No, io esigo di saperlo.»

«Ognuno porta sulle proprio spalle pesi, colpe e segreti che mai vorrebbe rivelare agli altri. Non è così anche per te, ladra?»

Silye rimase stupita di come la voce del dio fosse cambiata così velocemente e diventata tanto tagliente. Deglutì, senza dire nulla, ma conoscendo già bene in mente la risposta a quella domanda retorica.

Nonostante morisse dalla voglia di sapere cosa Vidar avesse commesso di tanto grave da essere più volte ribadito da Hel, comprendeva fin troppo bene perché Vidar si tenesse ben stretto i suoi segreti: in fondo, non lo faceva anche lei?

«Come pensavo» concluse Vidar e il silenzio tornò a regnare tra di loro.

Silye in un primo tempo cercò di rimanere sveglia, attenta al minimo segno della presenza di qualcuno e alla più piccola possibilità di fuga, ma nessuno scese nelle prigioni e sembrava che non ci fossero altri che lei e Vidar. Dopo pochi minuti la stanchezza prese piede, dopo fatiche ed eventi tanto turbinosi, e i suoi occhi si chiusero lentamente, man mano che sprofondava nel sonno agognato.


«Silye» mormorò la voce di Vidar, facendola tornare dal mondo dei sogni. «Rispondimi! Sta arrivando qualcuno.»

La ladra spalancò gli occhi e si sollevò a sedere. Effettivamente percepì anche lei dei passi lontani, che si stavano facendo sempre più forti. «Sarà Hel?»

«Molto probabile.»

«Perché pensi che abbia detto che tu le servi vivo?» domandò Silye, ricordando una delle ultime parole pronunciate dalla dea prima che venissero mandati là sotto.

«Non ho la più pallida idea di cosa abbia in mente quella megera.»

O forse erano i suoi servitori, venuti per torturarla o, peggio, ucciderla. In fondo, Hel stessa aveva detto loro che avrebbero potuto fare di lei ciò che volevano, dato che era inutile. O magari l'avrebbero seviziata per constringerla a rivelare a Hel cosa aveva visto nella visione, di cui la dea si era effettivamente accorta. Silye venne attraversata da un brivido al solo pensiero.

Intanto, chiunque stava facendo le scale doveva essere giunto alla fine di esse, perché i passi si fermarono di colpo. Dopo pochi istanti ripresero a risuonare per l'intera caverna, fino a bloccarsi poco più avanti. Poi Silye sentì un suono metallico come di chiavi sbattere tra loro e di nuovo l'individuo farsi vicino alla sua cella. Ora che le stava di fronte, la ladra riusciva a distinguere una figura dietro alle sbarre nere del cancello, poiché dopo tanto tempo passato nel buio più totale i suoi occhi avevano iniziato a scorgere qualcosa oltre la coltre scura delle tenebre. Altro rumore di chiavi e stavolta le sembrò che queste fossero state infilate nella toppa del cancello e girate. Questo si aprì con un cigolio e Silye si sollevò, ora più rinvigorita di prima per il breve riposo, ma pur sempre dolorante al braccio, alla guancia e alle gambe per la lunga corsa nel tentativo fallito di fuggire dall'Helheimr.

«Chi sei?» provò a chiedere, ma la figura non rispose, bensì si allontanò, sparendo dalla sua fioca vista. Era certa che non potesse essere Hel, perché l'individuo non le assomigliava affatto d'aspetto, per quel poco che era riuscita a scorgere, e soprattutto lei non si sarebbe mai comportata in quel modo, aprendole il cancello e lasciandole la possibilità di scappare.

Sentì nuovamente il suono delle chiavi e del cancello di un'altra cella aprirsi. Silye camminò verso la porta dell'angusta stanza in cui non riusciva a calcolare quanto tempo avesse passato. Quando ebbe raggiunto il cancello e vi si fu appoggiata, guardando nel punto dove presumeva si trovasse la cella di Vidar e l'individuo, si accorse che là non c'era più nessuno.

All'improvviso il luogo venne illuminato da una luce rossastra e debole. Si girò verso la fonte dell'illuminazione e rimase stupita nel vedere colui che li stava liberando da quelle prigioni. Era un uomo, adulto e dalla corporatura vigorosa e robusta. Aveva un viso bello e giovane, quasi senza età, sebbene fosse evidente dalla sua espressione dura tutta la sua maturità. I suoi capelli, lunghi fino alle spalle, erano tanto biondi da apparire bianchi alla tenue luce del fuoco proveniente da una fiaccola improvvisata e alcune ciocche erano unite in sottili treccine. Il mento era coperto da una barba incolta che gli contornava il viso, donandogli un aspetto più selvaggio e allo stesso tempo severo. Indossava vesti di pelle, marroni: abiti da battaglia. Le sue intenzioni erano rese ancora più chiare dall'ascia che teneva in mano.

Silye, come vide quell'uomo e l'arma, indietreggiò. Eppure, sentì di avere già visto quell'individuo. Forse era a causa della straordinaria somiglianza con Vidar, ma le appariva incredibilmente familiare.

«Baldr?» esclamò Vidar stupefatto, dietro la ragazza.

Baldr. Un pensiero colse la mente di Silye: aveva visto un suo disegno nel libro lasciatole dalle völve. Non era facile ricordarsi i nomi di tutte le divinità esistenti e lei era certa che non fossero state scritte tutte, o solo quelle abitanti Asgard, poiché non vi era traccia di Hel, ma Baldr era uno dei pochi che le era saltato all'occhio. Vi era stata riportata la leggenda di alcuni suoi fatti di vita e vicende, come l'ammirazione che tutti gli dei provavano per lui e il suo ingiusto assassinio.

Ma ora proprio quel dio era davanti a loro, in carne ed ossa.

«Fratellino» disse lui, abbandonando l'espressione di serietà e guardandolo con affetto.

Vidar gli andò incontro e lo abbracciò, dandogli delle forti pacche sulla spalla. Sembrava sinceramente commosso e felice di vederlo e lei ancora una volta, come era già avvenuto con l'elfo Elurín ed Hel, si sentì fuori posto, un'estranea non gradita.

«Non posso lasciarti solo neanche per meno di una settimana che già ti infili in un guaio» affermò Baldr, sciogliendo l'abbraccio. «Cosa ti è saltato in mente quando hai deciso di venire nell'Helheimr? Sai bene che Hel è pericolosa.»

«Tu invece sai benissimo che sono anche capace di badare da solo ai miei problemi.»

«Questo» disse il dio, aprendo le braccia come ad indicare tutto quel luogo e quella situazione «non è il modo di badare e risolvere i tuoi problemi. È il modo più efficace per farti ammazzare.»

«Andiamo, Baldr: non sono più un ragazzo imperbe.»

«E allora dimostralo, senza cacciarti nei guai ogni singolo giorno.»

Sul volto di Vidar sembrava essere scomparso ogni segno di gioia per l'incontro con il fratello, soppiantato dalla ferita bruciante all'orgoglio. Silye poteva capire benissimo cosa stava provando, perché era esattamente come lui stesso l'aveva fatta sentire innumerevoli volte.

«Andiamocene di qui prima che Hel si accorga che vi ho fatti uscire.»

Baldr fece strada ai due, mettendo davanti la fiaccola per illuminare il percorso. Silye fece un leggero sospiro affranto constatando quante scale avrebbero dovuto fare. Di certo sarebbe stato meno doloroso senza le sevizie degli uomini di Hel, ma non meno faticoso.

«Già stanca?» chiese Vidar, venendole vicino e distaccandosi dal fratello.

«Ormai dovresti aver capito che non conosco la parola stanchezza» affermò Silye, lasciandosi sfuggire un lieve sorriso.

«Il tuo braccio non è per niente messo bene» notò di Vidar, toccandolo e facendola fermare. «Hai perso molto sangue.»

Silye, ora che erano illuminati alla luce, seppur flebile, delle fiamme, si guardò l'arto, poco sotto la spalla, e vide finalmente la causa del suo continuo dolore. La maglia era completamente strappata e sporca di sangue, che la rendeva ancora più scura di quanto fosse nei lembi lacerati che circondavano la ferita aperta. La pelle in quel punto era stata completamente tirata via dalla furia del morso della serpe e non rimaneva altro che carne danneggiata, come una poltiglia di sangue. Se la guardava attentamente in alcune parti poteva anche intravedere il bianco dell'osso. La viverna non era riuscita a raggiungerlo, ma in compenso poteva dirsi soddisfatta poiché le aveva lasciato davvero un gran bel regalo.

«Se trovo la viverna che mi ha fatto questo, la uccido con le mie mani.»

«Nelle tue condizioni non riusciresti neanche ad accostarti a lei.»

«Muovetevi voi due!» gridò Baldr, dalla fine di una delle innumerevoli rampe di scale che avrebbero dovuto salire.

Silye rivolse un ultimo sguardo al braccio, che continuava a mandarle un fastidioso bruciore, e proseguì dietro a Vidar.

Via via che salivano, la luce si infiltrava attraverso le grate che si trovavano sulla sommità delle scale e non vi fu più bisogno di continuare a tenere accesa la fiaccola. Baldr, il primo a terminare l'ultima rampa e arrivare alla porta, la aprì con facilità. Probabilmente prima del suo arrivo quella era stata chiusa a chiave su ordine di Hel per privarli anche della minima possibilità di fuga, ma non aveva programmato che Baldr sarebbe arrivato ad aiutarli. Come la porta si aprì, vennero investiti da un vento gelido proveniente dal resto del palazzo, comparabile solo al freddo delle celle e degli inverni più rigidi di Midgardr. Silye si strinse di più nel mantello, passandoselo meglio sul davanti in modo da coprire l'intero corpo.

«Sai come fare per andarcene o sei venuto del tutto sprovveduto?» chiese Vidar, avvicinandosi al fratellastro.

«Credi davvero che sarei venuto a salvarti la pelle se non avessi conosciuto un modo per andarcene?» ribatté l'altro e la sicurezza che trapelò dalle sue parole convinse entrambi che il dio sapeva cosa stava facendo. «Dovete solo seguirmi.»

Fecero come Baldr ordinò loro, andandogli dietro mentre attraversavano i labirintici corridoi dell'Éljúðnir, costituiti da lunghi blocchi di ghiaccio come pareti, attraverso i quali si riusciva ad intravedere in lontananza il tetro panorama offerto dall'Helheimr. Baldr capeggiava la fila, camminando lentamente e attento a percepire la presenza dei servi al servizio di Hel, per evitare di rivelare la sua presenza alla regina dell'Aldilà.

Dopo svariati minuti di giri, Silye iniziò a riconoscere il percorso che stavano compiendo, poiché era lo stesso, solo a ritroso, che la avevano costretta a fare quando la avevano trascinata fino alle profondità delle prigioni. Stavano ritornando nella sala del trono.

«Vidar, non sarà pericoloso tornare là?» sussurrò Silye, afferrando il braccio del dio e facendolo fermare.

«Non abbiamo altra scelta.»

«Perché?»

«Dobbiamo recuperare Sleipnir e andarcene. Vuoi forse rimanere qua?»

«Come sai che si trova proprio da Hel?»

«Me l'ha detto Baldr.»

«Capisco. Ovviamente io non sono degna di partecipare alle vostre conversazioni ed essere informata» affermò, sentendosi offesa, per quanto tentasse di combattere quel sentimento. Lei stessa non comprendeva il suo atteggiamento: aveva cercato in ogni modo di togliersi di dosso il peso della sua eredità e del mondo a cui Vidar e Baldr appartenevano, ma, come veniva estromessa dai loro discorsi, si stizziva.

«Sarebbe cambiato qualcosa? Rimane il fatto che dobbiamo andarci per liberare Sleipnir.»

La ladra sospirò e si affrettarono a raggiungere Baldr, che era andato avanti e che proprio in quel momento si stava voltando per accertarsi che fossero ancora dietro di lui. «Dopo avrete tutto il tempo per parlare. Adesso dovete solo rimanere concentrati.»

Quindi il dio si accostò all'alta porta che permetteva di accedere alla sala del trono; questa sembrava essere di un colore tra il marrone e il verde scuro. Quando Silye si fece più vicina, si accorse che in realtà la porta si muoveva ed era composta da serpenti che scivolavano l'uno sull'altro, rimanendo, però, tutti attaccati alla parete. Il volto della ladra assunse un'espressione di disgusto. Però, dei serpenti non si vedeva altro se non il corpo, senza la testa: Silye ipotizzò che le teste dovessero trovarsi rivolte verso l'altra parte, o forse semplicemente non le avevano.

Baldr fu l'unico a trovare il coraggio di appoggiare la mano sul dorso di uno dei milioni di serpenti e spingerla un poco, il minimo per poter vedere all'interno se vi era segno di Hel. Il dio si voltò verso di loro e scosse la testa: lei non c'era. Spalancò la porta ed entrò insieme a Silye e Vidar. La ladra fece una smorfia quando vide al centro della stanza la neve macchiata del sangue uscito dalla sua ferita.

Da una parte vi era il trono di Hel, stavolta, però, vuoto, il che gli dava un maggiore senso di gelo. Accanto a questo vi era Sleipnir, tutte le otto zampe legate da catene di ferro allo scranno.

Vidar gli corse incontro e gli accarezzò amorevolmente il muso, come a volerlo calmare e rassicurare della sua presenza in un ambiente così ostile. Quindi, la sua attenzione si spostò sulle catene. Cercò di spezzarle con le mani, ma, per quanto si sforzasse, quelle rimanevano intatte. «Se solo avessi Grugnir...» ringhiò, sbuffando per lo sforzo.

«Basta, Vidar. Non ci riesci» disse Silye e il dio sembrò aver deciso di rinunciare, poiché lasciò con uno scatto le catene e si allontanò.

«Non sono abbastanza forte» mormorò Vidar, il viso fisso sulla parete di fronte a lui, con un tono di voce che non pareva esprimere alcuna emozione.

«Non è questo» ribatté Baldr. «È certamente opera di Hel: deve aver fatto qualcosa alle catene in modo che non possano essere infrante dagli dei. O, almeno, non a mani nude.» Sollevò l'ascia e la fece ricadere sulle catene, con un movimento tanto rapido che Silye faticò a seguire il percorso della lama. Le catene andarono immediatamente in frantumi sotto la potenza dell'arma. «Nulla da fare. I nani rimangono i migliori fabbri di tutti i nove regni» commentò, sorridendo.

«Baldr» tuonò una voce dietro di loro. Silye si voltò e vide Hel in piedi davanti alla porta di serpenti. «Mi sarei dovuta aspettare il tuo arrivo.»

«Hel. Da quanto tempo» rispose il dio, reggendo il suo sguardo d'odio con fermezza.

«Sei rimasto quello di un tempo: la solita seccatura. Amato da tutta la sfilza di patetici dei che si godono la bella vita ad Asgard. Non è sempre stato così?» la voce di Hel trasudava rabbia e disprezzo.

«Incolpi me per il tuo penoso destino e regno?»

«Questo è il mio regno!» gridò, come in preda all'isteria. «Non puoi fare ciò che vuoi e portarti via i miei prigionieri! Loro sono miei! Lui è mio.» Continuò, lanciando uno sguardo furioso a Vidar.

«Troppo tardi, Hel» affermò Baldr, mentre Vidar saliva su Sleipnir e poi tendeva la mano verso Silye, che per tutto il tempo era rimasta immobile a osservare la dea. La ladra si riscosse e si diresse da Vidar, stavolta lasciandosi aiutare a salire in groppa al cavallo per non perdere secondi preziosi.

«Se non potrò avere te, giovane dio, mi accontenterò della tua inestimabile lancia» disse, svelando Grugnir, tenuta stretta nella mano scheletrica che finora aveva tenuto nascosta dietro l'abito.

«No!» gridò Vidar, che fece per scendere, ma venne bloccato da Silye, che lo resse per le braccia, e dallo sguardo di ammonizione di Baldr. «Ridammela!»

«Ruberò e distruggerò tutto ciò che è importante per te, sciocco ragazzino» sibilò Hel e quella fu l'ultima cosa che Silye sentì prima che Sleipnir, libero dalle catene e guidato per le redini da Baldr, saltasse nel vortice azzurro da lui stesso creato.



¹ Insulto norreno dal significato di “idiota, stupido”.

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Angolo dell'autrice:

Silye e Vidar sono salvi, tutto grazie a Baldr, che nella storia, ve lo dico subito, non avrà una grande importanza. È più una "guest star". XD

Mi sento di farvi una premonizione: nel prossimo capitolo molto probabilmente arriverete ad odiare Vidar. Diciamo che però sarà fondamentale per il rapporto tra lui e Silye, perché porterà a un lieve cambiamento, che si farà sempre più lampante nel corso della storia.^^

Grazie mille a chi è arrivato a leggere fino a questo capitolo e a chi mi lascerà anche un piccolo, ma sempre gradito commento! <3

A presto!

Sophja99

   
 
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