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Autore: WolfieIzzy    07/04/2017    1 recensioni
Aprile 1795. Eleanor Kenway è su una carrozza diretta a Parigi, dopo aver affrontato un viaggio partito quasi un mese prima da casa, in America. Vuole scoprire di più sulla sua famiglia. Vuole scoprire da dove viene. Vuole diventare un'Assassina come suo padre, Connor. In Francia la aspetta il suo destino, e il Maestro Arno Victor Dorian, che la addestrerà per farla diventare un'Assassina perfetta e con il quale combatterà per il futuro della Nazione. Ambientata dopo gli eventi di Assassin's Creed Unity.
NB: Questa storia cerca di essere il più possibile fedele sia ai fatti storici reali, che a quelli fittizi appartenenti alla storia di Assassin's Creed. Qualsiasi modifica apportata al "canone" storico reale e/o appartenente al mondo di AC è voluta ed è utile ai fini della storia. Buona lettura!
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arno Dorian, Napoleone Bonaparte, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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'Eleanor, tutto bene? L'hai eliminata?' mi chiese Camille poggiandomi una mano sulla spalla, appena mi vide arrivare all'orfanotrofio.

Io annuii distratta, riprendendo fiato a causa della corsa.

'Sei sicura?' mi chiese di nuovo, probabilmente notando la mia assenza.

'Si Camille, davvero. Dov'è Julie?'

'Dentro, con i bambini. Stanno tutti bene. Aspetta, ma... sei ferita?' disse guardandomi dietro la spalla. 

'Tranquilla, non è nulla.' risposi. Ero talmente fuori dal Mondo in quel momento che non mi ero nemmeno accorta del sangue che aveva macchiato il mio cappotto, nè del dolore che mi stava provocando la lacerazione, nonostante fosse sopportabile.

Sentii qualcuno correre nel corridoio, e vidi l'esile figura di un bambino avvicinarsi a me per poi abbracciarmi. Andrè.

'Hei, come stai piccolo?' gli chiesi, arruffandogli i capelli.

'Benissimo! Julie ci ha preparato la cena. Vieni!' e mi prese per mano portandomi verso una stanza che doveva essere la sala da pranzo, con un grande tavolo di legno al centro e tutti i bambini seduti attorno.

'Eleanor. Camille. Non so come ringraziarvi, davvero...' Julie si pulì le mani con il grembiule e abbracciò sia me che Camille.

'Non devi farlo. Abbiamo solo fatto quello che dovevamo, liberandovi dalla Baronessa. Ora i bambini potranno vivere, se non liberi, almeno un po' più serenamente.' 

Lei annuì. 'So che è brutto da dire, ma tutti i fondi dell'orfanotrofio erano quelli che arrivavano da lei e quel poco che riusciva a guadagnare portando i bambini a costruire le armi. Ora non so davvero come faremo... a malapena riusciamo a fargli mangiare una zuppa una volta al giorno.'

'Di questo non devi preoccuparti, Julie. Gli Assassini hanno molti legami anche ai piani alti, oltre che in tutta la città. Vi aiuteremo a rimanere in piedi, ve lo prometto. Questi bambini si meritano di vivere in un Mondo migliore di questo.' le presi la mano e la strinsi, e lei sorrise, asciugandosi gli occhi lucidi.

'Te ne vai, Eleanor?' mi chiese Andrè, che era rimasto vicino a me.

Io mi abbassai alla sua altezza. 
'Purtroppo si, piccolino. Ma ti prometto che tornerò a trovarti, e ti porterò anche un regalo. Pero' nel frattempo dovrai fare il bravo, ok?'

Lui mi regalò un grande sorriso e annuì entusiasta. 

'Certamente! Ci vediamo presto!' mi abbracciò di nuovo e poi corse via veloce come il vento.

'Andrè, la cena! Torna indietro!' Julie lo rincorse fuori dalla stanza, causandomi una risata. Doveva essere una piccola peste.

Tornai con Camille alla Confraternita, dove trovai il Consiglio riunito probabilmente in attesa di Arno ed Etienne, che arrivarono dopo due minuti.

'Abbiamo i registri.' disse Etienne, passando i fogli ripiegati al Mentore Maillard.

'E grazie ad essi abbiamo scoperto dove nascondevano il resto delle armi. Un deposito vicino alla Corte dei Miracoli, che abbiamo provveduto a incendiare. Non abbiamo idea di come abbiano fatto a nasconderne una cosí grande quantità, dato che le guardie le stanno sequestrando in tutta la città da settimane per paura di altri moti violenti. Qualsiasi cosa avessero in mente di fare, comunque, dovrà aspettare ancora un bel po'.' disse Arno. Lo guardai, per assicurarmi che stesse bene. Sembrava di si, a parte qualche graffio, e la camicia lacerata all'altezza della clavicola.

'Benissimo. E voi cosa avete scoperto, Eleanor e Camille?' chiese il Maestro Roussel.

'Gli estremisti usavano i bambini dell'orfanotrofio della Chiesa di San Rocco per produrre bombe, che poi depositavano in un vicino palazzo adibito a deposito. Mentre Camille ha portato i bambini in salvo, mi sono occupata di far saltare il deposito in aria, ed eliminare la donna che li costringeva a lavorare per gli estremisti, un'alleata di Poulain che tutti credevano morta. La Baronessa Deschamps.' dissi.

'Quella donna... dopo quello a cui si era abbassata, meritava di essere tolta di mezzo il prima possibile. Avete fatto un buon lavoro, Assassini. Per ora, non abbiamo altro da fare se non aspettare. Ci vedremo nei prossimi giorni.' disse Maillard, e ci congedò. 

Camille uscí dal Covo insieme ad Etienne. Io aspettai che Arno avesse finito di parlare con il Maestro Roussel.

'Congratulazioni, lionne. Sei passata di grado.' mi disse Arno, mentre uscivamo dal Covo.

Io sorrisi.
'Fantastico. Quindi ora sono un soldato?' 

'Esattamente. Questo è per te.' mi passò un anello con un sigillo, il simbolo degli Assassini, e me lo infilò all'anulare destro. 
Io lo ammirai riflettere la flebile luce delle lanterne. 

'È bellissimo. Grazie.' 

'Stai bene, Eleanor? Sei ferita?' mi chiese, guardandomi in volto. 
'Sei un po' pallida.'

'Si, la Baronessa mi ha colpito sotto la scapola con uno stiletto. Nulla di grave.' dissi semplicemente.

Arno notò la macchia di sangue sul mio cappotto.

'A me non sembra. Cristo, Eleanor, hai perso del sangue, e non poco. Andiamo al Cafè, Heléne dovrebbe avere un ago e del filo per ricucire la ferita.' 

Arrivammo pochi minuti dopo, e salimmo nella mia stanza al Cafè.
Mi sedetti sul letto dopo essermi tolta il cappotto, e solo in quel momento notai la grandezza della macchia di sangue.

'Devi togliere la camicia, Eleanor.' mi disse Arno.
Prese la sedia e si mise davanti al letto, tirando fuori una garza che bagnò con dell'alcol. 

Io mi irrigidii per un secondo, ma poi mi misi di spalle a gambe incrociate sul letto, e tolsi lentamente la camicia, cercando di non far allargare la ferita.

Non mi resi nemmeno conto che ero rimasta senza nulla addosso se non i pantaloni, e fui scossa da un brivido, senza sapere se fosse provocato dall'aria fresca della sera o dall'imbarazzo che si concentrò sulle mie guance.

Arno non stava dicendo nulla.

Spostai i capelli a lato del mio volto,  e spiai la sua espressione. 
I suoi occhi stavano percorrendo la lunghezza della mia schiena, la spalla, le scapole, le costole, le vertebre, quasi ipnotizzati. Sussultai leggermente quando sentii le sue dita sfiorarmi il fianco destro, mentre passava la garza imbevuta attorno e sulla mia ferita.
Emisi un sibilo, quando avvertii il bruciore dell'alcol a contatto con la carne viva.

'Non è profonda come credevo, fortunatamente. Basteranno cinque o sei punti.' disse.

'Questo mi rincuora.' dissi io. 

Iniziò a cucire la ferita e a inserire i punti, sempre con estrema delicatezza, una sua caratteristica che a quanto pare era innata, e che adoravo. Sorrisi, pensando che fosse naturalmente delicato ed elegante anche mentre spaccava le ossa agli estremisti e alle guardie.

'Ho finito.' disse.

'Che precisione chirurgica, non ho sentito praticamente nulla.' commentai.

'Questo perchè ho delle mani d'oro.' disse lui con una punta di sarcasmo, ovviamente voluto. Io lo fulminai con lo sguardo di lato, anche se non potei non trattenere un sorriso.

Mi infilai di nuovo la camicia e mi girai verso di lui.

'Credo di avere bisogno anche io di qualche punto qui sotto.' disse, indicando il punto dove la sua camicia era lacerata, sotto la clavicola.

Senza che gli dicessi nulla, si tolse la camicia, e rimase a petto nudo.
Io non seppi come reagire, e cercai il più possibile di evitare che il mio sguardo cadesse in basso, ma i miei sforzi risultarono piuttosto inutili. 

Ripensai ai libri di storia dell'arte classica che mi aveva fatto studiare Winston, alle sculture greco-romane che avevo ammirato, e che sembravano essersi materializzate in quel momento davanti ai miei occhi. Era davvero... perfetto. 
Quello che fino a quel momento avevo solamente potuto immaginare ora era davanti ai miei occhi. Le spalle larghe, il petto ampio e gli addominali allenati da anni di addestramento coperti da qualche cicatrice qui e lì, il che non faceva nulla se non contribuire a rendere quel corpo ancora più realistico. 

Le mie mani si alzarono quasi spontaneamente, spinte dal mio inconscio che voleva solamente farmi sfiorare quello che avevo davanti agli occhi.

'Eleanor, io sono qui in alto.' disse Arno a bassa voce, risvegliandomi dallo stato di estasi in cui ero caduta.

'Si, scusami, io non... ora faccio tutto.' dissi, ripetendo l'operazione con la garza e l'alcol che aveva fatto lui su di me. Non ebbi bisogno di chiedergli come fare perché sapevo già la procedura, che avevo ripetuto spesso a casa, quando mio padre tornava dai suoi scontri. 

Connor scherzava ogni tanto, definendo se stesso come una vecchia casacca che si rompeva sempre e me come la sarta che prontamente lo rimetteva in sesto, facendomi ridere ogni volta nonostante fosse sempre stato un uomo abbastanza freddo anche nei miei confronti.

'Ti sei distratta?' chiese Arno con un sorrisetto malizioso, ormai si era accorto dell'effetto che mi stava facendo.

'Si, beh, hai... un po' di cicatrici.' dissi io, cercando di nascondere la verità.

'Ormai ho perso il conto. Pero' mi ricordo come mi sono procurato la maggior parte di esse.'

'Davvero?' gli chiesi, prendendo l'ago e il filo, e iniziai a cucire.

'Beh, questa sulle costole ad esempio, me la sono fatta ad una rissa in locanda un paio di anni fa. Un energumeno aveva barato a uno scontro a mani nude e mi ha quasi perforato un polmone con un coltello.' disse ridacchiando.

'Oh mio Dio! E a te fa ridere?' 

'Si, perché ci stavamo prendendo a mazzate per una botte di Sauvignon.' 

'Ah, cosa non si fa per un po' di vino rosso.' commentai. 

'Questa invece me l'ha fatta Victor, un fabbro che aveva vinto l'orologio di mio padre a una scommessa. Non potevo lasciare che lo tenesse, cosí mi sono preso un'arpionata sul fianco. Oltre a riavere indietro l'orologio, ovviamente.' Disse, ed entrambi scoppiammo a ridere.

Finii di cucire la ferita di Arno e rimisi via quello che avevo utilizzato, tornando alla posizione di prima. Nel frattempo mi resi conto che avevo avuto il suo viso a dieci centimetri dal mio per non so quanto tempo.

'È così che funziona?' gli chiesi, guardandolo non so con quale audacia dritto nei suoi occhi castano-verdastri.

'Cosa?'

'Tra di noi. La sera torneremo sempre a casa a ricucirci le ferite reciprocamente?' 

Rimase in silenzio per qualche secondo.

'Al costo di essere sicuro di averti ancora per molto tempo vicino a me, accetterei anche di avere più cuciture della divisa da Generale di Napoleone.' disse, causandomi una risata che poi si trasformò in un sorriso sincero.

'Questa era carina.' ammisi io, e Arno sorrise in risposta, per poi prendermi in mano il viso e avvicinarlo al suo, appoggiando le sue labbra sulle mie.

'Non sei mai troppo generosa con i complimenti...' sussurrò tra un bacio e l'altro. 

Io lo allontanai da me appoggiando una mano sul suo petto.
'Questo perché bisogna meritarseli.'

Arno non ci pensò due volte prima di afferrarmi il braccio e farmi spostare dal letto alle sue gambe, costringendomi a mettermi a cavalcioni su di lui, per poi afferrarmi il fianco destro con una mano e la base del collo con l'altra, e attirarmi di nuovo a sè.

Quella volta pero' ero sicura che avrei agito anche senza l'aiuto felino delle sue mani.
Le mie infatti si aggrapparono spontaneamente al suo collo per poi far scendere le dita sulla pelle liscia del suo busto, contribuendo a convincermi ancora di più della mia volontà.

Percorsi le linee sinuose del profilo del suo corpo con le mie dita, mentre il bacio iniziò a farsi sempre più profondo e intenso sia da parte sua che da parte mia.

Mi prese delicatamente i lembi della camicia tirandoli verso l'alto, e io lo lasciai fare, perché erano mesi che aspettavo quel momento, nonostante non avessi nessun tipo di esperienza a riguardo. 
Ma non mi importava, volevo solamente averlo fra la mie braccia.

Riuscii a superare la vergogna di rimanere nuda e vulnerabile davanti ai suoi occhi, che rimasero qualche secondo fermi sulla mia figura. 

Arno mi spostò i capelli dalle spalle e mi baciò il collo, la clavicola e poi la spalla, mentre con una mano mi accarezzava la schiena, e con l'altra mi afferrava la coscia. 
 
'Vous êtes merveilleux.' sussurrò al mio orecchio, causando involontariamente una reazione nel mio basso ventre, oltre a un sorriso che cercai di smorzare mordendomi il labbro.

Si alzò dalla sedia tirandomi su con lui, senza accusare il minimo sforzo.

Dalla finestra entrò un soffio di vento fresco e serale che mosse i miei capelli e quelli che uscivano dal codino di Arno, mentre mi posava delicatamente sul letto posizionandosi fra le mie ginocchia.

Io deglutii e lo guardai in viso, alzando la testa. Mi sorrise mentre tracciava il profilo delle mie labbra con il pollice, e mi baciò di nuovo a fior di labbra per poi staccarsi definitivamente tenendomi per il mento.

'Devi riposare, hai perso troppo sangue e io ho bisogno di averti in forze per certe cose. Buonanotte, ma cherìe.' mi disse, riprendendo la sua camicia. 

Uscí dalla porta con un sorrisetto e dopo avermi fatto un occhiolino, la richiuse, lasciandomi a bocca aperta e insoddisfatta. Avrei voluto corrergli dietro e prenderlo a schiaffi fino a non sapevo dove, ma mi trattenni perché ero ancora mezza nuda.  

'Ho bisogno di averti in forze per certe cose.' Seriamente? Risi fra me e me, tenendomi la fronte con una mano.

Picchiai la mano sul letto lasciando che un verso di frustrazione uscisse dalle mie labbra, per poi rendermi conto che ero davvero troppo stanca per innervosirmi, così mi tolsi i pantaloni e mi infilai sotto il lenzuolo senza nemmeno mettermi la camicia da notte.

Ero ingenua, ma non così tanto da non capire che Arno mi aveva lasciato lì come uno stoccafisso certamente non solo perché credeva che io fossi stanca. 
Certo, non mettevo in dubbio il fatto che fosse un gentiluomo, ma sapevo che c'era ancora qualcos'altro che lo bloccava. Evidentemente o stava cercando di superarlo, ed ero contenta ci fosse quasi riuscito, oppure era solo diventato molto bravo a nasconderlo.
Io, comunque, avevo solamente bisogno di dormire il più a lungo possibile dopo la giornata che avevo appena passato, e infatti chiusi gli occhi solamente dopo qualche minuto.

15 Luglio 1795.

In quei giorni non avevo fatto altro che pensare a quello che mi aveva detto la Baronessa Deschamps prima di morire.
Avevo veramente tenuto in considerazione qualsiasi dettaglio di quella conversazione. 

Amelìe. 'Era così che ti aveva sempre chiamato.'

Si, ma chi? Io mia madre non l'avevo mai conosciuta. Mio padre non me ne aveva quasi mai parlato, e a malapena Winston mi aveva detto qualcosa su di lei. Avevo un flebile ricordo di qualche conversazione su di lei sentita per sbaglio, ma al tempo ero troppo piccola per avervi prestato attenzione. E guardacaso, ora che mi trovavo a Parigi soprattutto per il loro volere, venivo a scoprire della sua esistenza su questa Terra, come prigioniera della testa dei Templari fra l'altro?
Dovevo credere che il mio viaggio e il mio addestramento in Francia fossero casuali, o forse mio padre e Winston avevano voluto mandarmi qui in prima persona a scoprire la verità che mi avevano tenuto nascosta per anni?
Non sapevo veramente cosa pensare. 

*Flashback*

Frontiera di Lexington, 1782.

'Papà! Papà! Guarda che cos'ho trovat...' strillò la piccola Eleanor, correndo su per le scale della casa nella Frontiera in cui abitava da qualche mese, e probabilmente dalla quale sarebbe partita entro poco tempo.

Stava per compiere otto anni, e in quella fresca giornata di fine settembre Winston le aveva permesso di andare a caccia di conigli insieme a Lizzie nel territorio immediatamente circostante la Tenuta.

La bambina era orgogliosa del piccolo animale appena catturato e non vedeva l'ora di mostrarlo al padre.

Appena arrivò al piano superiore, pero', si accorse che dallo studio di suo padre si poteva udire una conversazione. 
Si avvicinò di soppiatto alla porta socchiusa, cercando di non far cigolare il pavimento di legno con gli stivaletti, e cercò di spiare cosa stava succedendo.

'Mi è arrivata un'altra lettera, Connor. Vuole vederla. Ha detto che è anche disposta a salpare su una nave il prima possibile per Boston.' stava dicendo Winston.

Vidi la figura di mio padre, vestito in abiti normali. 
Sbattè un pugno sul tavolo.

'Cristo, Winston. Cosa diavolo devo fare, secondo te? Quella donna mi ha tradito. Si è rivelata una spia, e quando l'ho scoperto, ha avuto il coraggio di mollare mia figlia in fasce davanti alla porta di casa mia.'

'Lo so, Connor. So che ti senti tradito e pugnalato alle spalle, e sappi che nemmeno io sono d'accordo sul fatto di farle vedere la bambina. Almeno, non adesso. Eleanor dovrà sapere... ma non ora. Saprà, quando sarà grande e le avremo spiegato di che Mondo fa parte.' disse Winston.

'Grazie, amico mio. Quella lettera... falla finire nel caminetto insieme a tutte le altre.' rispose Connor, e si alzò dalla sedia. 

La bambina si nascose nella stanza a fianco e vi uscì con il coniglio in mano, alzandolo trionfante verso suo padre.

Visti così da vicino, nessuno avrebbe detto che fossero padre e figlia: i lineamenti duri e marcati dell'uomo contrastavano con quelli dolci e delicati della bambina, che dal padre aveva ereditato solamente le labbra carnose e la carnagione olivastra, comunque più chiara della sua. Sarebbe passata, al massimo, come sua nipote. Ed era così che Connor la presentava a chi, troppo curioso, gli faceva domande: la figlia di una sorella persa durante la distruzione del suo villaggio. 

'Cosa hai preso, Eleanor?' Connor si abbassò sulle ginocchia all'altezza della bambina.

'Un coniglio, padre! Guardate, sono riuscita a intrappolargli la zampa con la cordicella.' disse la piccola, orgogliosa dei progressi che aveva fatto grazie agli insegnamenti che suo padre aveva incaricato Winston di trasmetterle.

'Hai fatto un buon lavoro. Ma la prossima volta devi impegnarti di più, e portarne almeno tre. Intesi?'

Eleanor dapprima mise il broncio, ma poi, confidando in sè stessa e determinata a rendere suo padre orgoglioso, annuí entusiasta.

'Va bene, padre.'

Connor le sorrise bonariamente e le diede un buffetto sulla guancia.

'Domani devo partire per Boston, Eleanor: sai già come devi comportarti. Winston mi riferirà se farai la brava o meno.' 

'Ma come, di già?' si lamentò la bambina, rattristata di dover vedere suo padre partire per l'ennesima volta.

'Eleanor, lo sai che ho degli impegni che non mi permettono di rimanere a casa quanto vorrei. Ma so che tu sei una brava bambina e che ti comporterai bene in mia assenza. Tornerò prima che tu te ne accorga.' disse Connor, e dopo averle arruffato i capelli scese le scale e uscì dalla porta.

Eleanor sapeva che non era vero, e che come era già successo tante volte prima, si sarebbe quasi dimenticata il volto di suo padre, oltre a perdere il legame che cercava di rinsaldare ogni volta.

Ma ora non doveva pensarci, perchè doveva portare quel coniglio a Lizzie. Non vedeva l'ora di mangiarlo arrostito la sera stessa.

*Fine del Flashback*

Scossi la testa. In realtà, non sapevo nemmeno se le parole che aveva blaterato la Deschamps prima di morire fossero credibili o meno.
Magari l'aveva fatto apposta giusto per vendicarsi e farmi uscire fuori di testa.
O magari era uno stupido giochino di Poulain per attirarmi in una trappola. Questa seconda opzione mi convinse decisamente più della prima, e un quesito affiorò nella mia mente.
Ero disposta a rischiare, per saperne di più?

Ci riflettei qualche minuto, camminando su e giù per la stanza.

Volevo sapere la verità. 
Avevo aspettato anni per conoscerla.
Ed ora, ero pronta per scoprirla.

Mi infilai la casacca, scesi le scale e andai nell'armeria sotterranea.
Presi la spada e lo stiletto, le due pistole che infilai ai lati dei fianchi, e assicurai la lama celata al polso sinistro.

Mi guardai allo specchio ovale, e mi vidi diversa. Decisamente diversa.

Solo un mese prima ero una ragazza ingenua, impulsiva, che credeva di poter fare qualsiasi cosa nonostante non si rendesse conto della pericolosità del Mondo del quale era entrata a far parte.

Poi, ero inciampata. Avevo ricevuto due schiaffi: uno morale, quello che mi aveva dato Arno, facendomi rendere conto che i sentimenti erano una cosa molto più complessa di quello che credevo.
E quello fisico, il mio fallimento alla mia prima missione, la trappola di Lagarde. I giorni spesi a letto per colpa delle mie costole rotte, nei quali avevo riflettuto moltissimo su me stessa, sul periodo che stavo vivendo, sulla mia crescita.
E mi ero resa conto che a Parigi ero venuta a contatto con il Mondo reale. Ero entrata a far parte di un conflitto che durava da millenni, al fianco degli Assassini. 
E no, non avevo più tempo per essere una ragazza semplice. Non avevo più tempo per essere impulsiva e irresponsabile.
Ora, avrei dovuto riflettere a lungo sulle decisioni che da quel momento in poi avrei preso, perché c'erano in gioco delle vite.
C'era in gioco la libertà di una Nazione.
Io stessa facevo parte di tutto questo.
Ma nello stesso momento, non potevo esitare. Dovevo essere risoluta. Volevo sapere la verità: e per questo era necessario che io mi dirigessi a Palazzo Poulain. Era rischioso, ma io ero pronta. Più pronta di un mese fa...
Ed ero determinata a scoprire chi fossi veramente.

Mi alzai il cappuccio e, saltando fra i tetti, mi diressi a Palazzo Poulain.
Feci un giro di perlustrazione: all'esterno, non c'erano guardie. Il che mi parve piuttosto strano.

Mi calai dal tetto all'interno, entrando dalla finestra del terzo piano. Non avevo idea in che ala del palazzo si trovasse... mia madre. 
Ma per essere sicura, iniziai a perlustrare il piano da cima a fondo. 
Cercai di fare meno rumore possibile, ed entrai in una delle stanze. Una biblioteca. 

Iniziai a guardare da tutte le parti, in mezzo ai divanetti e alle dormeuses, scostando sedie e tavolini, e poi passai ai libri sugli scaffali. 
Ne scostai e rimisi a posto quanti più potevo, il più in fretta possibile.

Quando arrivai all'ultimo scaffale avevo quasi perso la speranza: poi scostai una delle colonne sui cui era poggiato il busto di un Apollo, facendola girare su se stessa. 

Con mia grande sorpresa, si aprì un meccanismo che fece smuovere lo scaffale di libri davanti a me, rivelando un breve corridoio con una porta alla fine.

Feci qualche passo e arrivai alla porta, che era chiusa da una serratura. Mi guardai in giro in cerca di qualsiasi cosa che potesse nascondere una chiave, ma non trovai nulla, anche per colpa della flebile luce che c'era. 
Cercai allora di scassinare la serratura con due grimaldelli, che Arno mi aveva suggerito di portare sempre con me nel caso ne avessi avuto bisogno in situazioni simili.

Riuscii a far schioccare il chiavistello, e la porta finalmente si aprì davanti di me.

Non riuscii a capire bene quello che avevo davanti. 

Una grata d'oro, chiusa a chiave, e all'interno, una stanza. Ma non era una cella. La stanza era uguale a tutte quelle del palazzo: pareti bianche con intarsi dorati, un letto di una piazza e mezza pieno di cuscini. Una sola finestra illuminava quella "gabbia d'oro", posta in alto, vicino al soffitto, anch'essa chiusa da una grata.
C'erano anche una toletta e una piccola scrivania, un armadio, e uno scaffale con qualche libro.

Ma quello che mi stupì maggiormente lo notai per ultimo.

Sotto la finestra, un'esile figura inginocchiata mi stava dando le spalle. Vestita di bianco, aveva una retina bianca fra i capelli, biondissimi. 

'Padre Nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo Regno, e sia fatta la tua volontà.' la sentii mormorare.

Poi, si fermò. Per qualche secondo, rimase immobile. 
La vidi disgiungere le mani, e appoggiare il Rosario che teneva nella destra sulla scrivania vicina.

'Di solito la cena la portate alle nove, che è successo per farvi venire un'ora prima?' disse.

Poi si girò alzandosi, e mi vide. 
Il suo volto sbiancò, e il libretto di preghiere che teneva in mano cadde a terra.

Anche io, dovevo essere sincera, mi sentii mancare, guardandola in viso. Non fui in grado di mentire a me stessa: nonostante la carnagione d'alabastro, e i capelli biondi, i suoi occhi, la forma del naso e del viso... erano esattamente uguali alle mie.
Ecco da chi avevo preso i miei occhi grigio-azzurri. Non da mio nonno, ma da mia madre...
Era lei.

'Chi... chi siete? Siete un'Assassina?' chiese, dopo aver riacquistato la lucidità. Fece qualche passo verso di me.

Io mi tolsi il cappuccio, rivelando il mio volto.
Lasciai che lo scrutasse con attenzione.

'Il n'est pas possible.' sussurrò.
Si avvicinò alla grata, aggrappandosi ad essa con le mani.
'Mon Dieu..'

'Sono vostra figlia, Madame.' riuscii a dire, cacciando indietro qualsiasi emozione in gola, e cercando di rimanere il più impassibile che potevo.

'Non può essere... Amèlie?' disse lei, sfiorandomi il
volto. Stava tremando.

'Il mio nome è Eleanor. O almeno, è il nome che mi ha dato mio padre.' 

Lei, continuando a tremare, sorrise coprendosi il viso con le mani.
Poi ritornò lucida.

'Nella lettera che gli avevo lasciato, c'era scritto che avevo scelto questo nome per te. Ma evidentemente, era troppo adirato con me al momento. Ma...Connor....' disse lei, distogliendo lo sguardo.
'Come sta?'

'L'ultima volta che l'ho visto, stava bene. Io sono a Parigi da tre mesi.' dissi.

Nel frattempo lei continuava a fissarmi, ipnotizzata.

'Sei diventata così grande... e così bella... quanto avrei voluto vederti crescere.' disse, sorridendo, con gli occhi lucidi.

'E perchè non l'avete fatto, madre?' le chiesi. 
'Perché mi avete abbandonata?'

Lei si asciugò gli occhi, e si allontanò da me.
'Immagino che tuo padre ti avrà raccontato chissà quali cose negative su di me.'

'Non l'ha fatto. A stento vi ha nominata, in tutti questi anni. Lui, e Winston, il mio tutore.' 

Mia madre sorrise. 'Si, fortunatamente durante questi anni io e Winston abbiamo mantenuto una corrispondenza. È stato l'unico tramite il quale potevo ricevere notizie su di te...sono felice ti sia rimasto accanto.' confessò.

'Cosa? Conoscete Winston? Mio padre gli ha sempre negato di farmi vedere a voi, e lui mi aveva detto che dopo la vostra partenza da Boston non vi aveva più sentita...' dissi scandalizzata.

'Ci sono molte cose di cui sei all'oscuro, Amel... Eleanor.' disse.

'No, chiamatemi come vi pare. Tanto ormai ho perso qualsiasi sicurezza.' sbottai.

'Non fare così, bambina mia. Gesù, mi sembra così strano chiamarti così... ma vedi, il motivo per cui tutto questo ti è stato tenuto nascosto in questi anni... è stato per proteggerti. E tuo padre è il primo ad esserne consapevole, insieme a Winston.'

Io scossi la testa. 
'Tutto questo è assurdo. Mi hanno tenuto nascosta la verità per anni. E mi hanno mandata qui apposta... altro che addestramento! Lo sapevo!' dissi, con le mani fra i capelli.

'Non agitarti, bambina. Non hai tempo per farlo... Sei...anzi, siamo in una situazione critica.' disse lei.

'Beh, mi pare chiaro! Ora, di grazia, volete spiegarmi perché siete rinchiusa in casa del mio nemico, dell'uomo che vuole uccidermi?' chiesi.

'Certamente. D'altronde, sei qui per questo e hai il diritto di sapere, finalmente. Partirò dall'inizio.' sospirò.

'Poulain è... mio zio. Il fratello di mia madre, per la precisione. Si, esatto, sono nata in una famiglia di Templari. Se mi trovavo a Boston... era perché non volevo prendere parte a tutto questo. Io non ne volevo sapere di far parte di questo conflitto, non volevo essere una Templare, volevo solamente vivere una vita normale. La mia famiglia voleva costringermi a diventare un membro importante dell'Ordine, soprattutto mio zio, ma io li odiavo profondamente. Odiavo cosa facevano, odiavo far parte di una classe di nobili che lo erano solo di nome, che si interessavano solamente al denaro, al lusso e al potere. E volevo mettermi contro di loro, volevo ribellarmi. Così scappai... sulla nave per l'America conobbi Winston, un membro del Consiglio Internazione degli Assassini. Lui fu il primo di loro che conobbi. Avevo qualche anno più di te. Mi propose di collaborare con gli Assassini del ramo Statunitense, in cambio di informazioni private sull'Ordine dei Templari. Io gli dissi che non ero sicura ed ero scappata perchè non volevo far parte di tutto questo, che avevo paura mi scoprissero, e che non sapevo nemmeno come l'avrebbe presa la mia famiglia quando sarebbe venuta a conoscenza del fatto che me ne fossi andata. Mi diede tempo, ma poi, mi fece conoscere tuo padre... e tutto cambiò. Io e Connor ci innamorammo, e nonostante lui avesse spesso altro per la testa e fosse in giro per il Paese, gli dissi che l'avrei aspettato. Qualche tempo dopo portò a termine la sua missione negli Stati Uniti, e finalmente riuscimmo a vivere la nostra relazione, mentre io continuavo a collaborare con Winston per quanto potevo, con la promessa che gli Assassini avrebbero lasciato stare la mia famiglia. Ma Connor non sapeva... non sapeva che ero una Templare, nonostante avessi tradito l'Ordine per aiutare gli Assassini. E quando lo scoprì, mi abbandonò, senza più farsi sentire. Io ero disperata, caddi in depressione, pregai Winston che gli spiegasse, ma lui non voleva saperne... diceva che non gli importava, che gli avevo mentito fin dall'inizio. Nel frattempo, scoprii di aspettare te... riuscii a nascondere la gravidanza, aiutata da Winston. Ma poi, la mia famiglia venne a sapere dov'ero, poco prima che partorissi. Feci giusto in tempo a tenerti fra le mie braccia per qualche ora e poi consegnarti in quelle di Winston, prima che gli scagnozzi di mio padre e mia madre mi portassero via a forza, e mi facessero tornare in Francia. La mia famiglia sapeva tutto. Sapeva che avevo passato informazioni agli Assassini. E quando tornai, seppero anche che avevo avuto te. Mio zio Antoine, che ora è alla testa dell'Ordine, voleva uccidermi per il tradimento, e poi mandare in America i suoi scagnozzi a uccidere te, ma i miei genitori glielo vietarono e lo cacciarono di casa. Pochi anni dopo pero', entrambi morirono, e passai sotto la sua custodia... mi fece rinchiudere in questa stanza. Ed è qui che vivo miseramente da più di dieci anni. Ora, tu sei diventata un'Assassina... e lui è a capo del sedicente nuovo Ordine Templare.'

Io non sapevo veramente cosa dire.
Mio padre, Winston... mi avevano tenuto nascosto tutto questo per così tanto tempo.
Avevo sempre pensato che lei mi avesse abbandonata davanti alla porta di casa e fosse scappata via senza un valido motivo. 

'Madre, io... conoscevo solamente una versione della storia distorta... mi... mi dispiace..' mormorai, mentre un fiume di lacrime iniziò a scendermi sulle guance. 

Lei, per quello che riuscì, tentò di abbracciarmi attraverso la grata.

'Bambina mia, è a me che dispiace così tanto... se avessi potuto, ti avrei protetta anche io da tutto questo... ho desiderato così tanto vederti per tutti questi anni, e ora che sei qui vorrei ritornassi in America, perché ora sei entrata a far parte di un conflitto dal quale uscirai o viva e vittoriosa, o morta. Ma ora riesco solamente a pensare al mio cuore che sta scoppiando di gioia mentre ti tengo fra le mie braccia...' disse anche lei in lacrime, stringendomi forte.

'Mio padre... e Winston... quando tutto questo sarà finito, parlerò seriamente con entrambi.' dissi, asciugandomi le lacrime.

'Amèlie, ascolta... tesoro, loro non hanno colpe. Devi capirli entrambi: tutto quello che hanno e non hanno detto o fatto in questi anni, è stato per proteggerti. Questo devi sempre ricordarlo.' disse, guardandomi negli occhi.

Io sospirai, e annuii, ancora scossa dai tremiti di quell'emozione così forte.

'Ma ora... come faremo? Devo tirarvi fuori di qui...' dissi, cercando di capire se potessi scassinare la serratura.

'No, bambina, no.' disse lei, prendendomi le mani.

'È troppo pericoloso, adesso. Se mio zio venisse a sapere che sei stata qui... sarebbe la fine. Devi aspettare ancora qualche tempo, e sventare la piaga Templare in città. Io non so molto purtroppo, so solo che mio zio sta architettando qualcosa di losco insieme agli estremisti. Devi scoprirlo... e prima di liberare me, devi eliminare lui. Non mi succederà molto nel frattempo, finchè rimarrò chiusa qui. Anche perché la chiave di questa cella se la porta sempre dietro suo figlio, mio cugino Humbert, che lavora per lui al di fuori della politica. Lo usa come braccio destro per trattare con i fanatici. Ed è anche il mio carceriere...'

'Merda!' esclamai.

'Amèlie, pour favour, non questi termini davanti a me.' disse.

'Scusate, Madre. È che siamo ancora in alto mare, riguardo allo scoprire i piani di Poulain... sappiamo che stava raccogliendo armi. E abbiamo distrutto i depositi dove le teneva. Ma voi potreste aiutarci... riuscirete almeno a scrivermi, se sarete in grado di scoprire qualcosa?' le chiesi.

'La mia situazione è ad altissimo rischio, ma da quando Poulain mi ha chiuso in questa cella, di me non sospetta più nulla. Ho una serva qui, che può darmi una mano a consegnarti una lettera in caso venissi al corrente di qualcosa. Ma ora, bambina mia, vai. È pericolosissimo che tu sia qui. Ci rivedremo presto... quando tutto questo sarà finito.' mi prese il viso tra le mani, e mi sorrise. Io la strinsi forte in un abbraccio e la salutai.

'Non preoccupatevi, madre: sarete presto fuori di qui.' le promisi, e uscii dalla stanza segreta assicurandomi di aver richiuso bene la porta e l'entrata segreta.

Ero talmente felice e speranzosa a causa di quell'incontro, che mi sentii come nuova. Ora avevo anche un motivo personale per cui combattere, ed ero sicura che sarei riuscita ad onorarlo.

*Angolo dell'autrice*

Salve, miei cari! Allora, spero siate felici per tutto quello che è successo in questo capitolo, che è molto importante in quanto chiarisce un bel po' di cose sulla nostra Eleanor... o Amélie, a questo punto. 
Tralasciando la simpatia di Arno nella prima parte (si lo so, l'ho odiato anche io mentre me lo immaginavo uscire dalla stanza della nostra protagonista lasciandola lì come una scema hahaha) spero siate rimasti soddisfatti dal resto, soprattutto dall'incontro di Eleanor con sua madre! Spero abbia chiarito un po' di cose insieme al Flashback sulla sua infanzia, che come avrete notato è stato scritto in terza persona. Per scostarmi dalla narrazione principale, e quindi nei Flashback futuri, scriverò sempre così.
Come al solito vi ringrazio e vi invito a scrivermi le vostre opinioni!
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Un bacio,
Izzy
  
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