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Autore: Dahu    07/04/2017    0 recensioni
Umberto Sgarri, ecco un nome che potete sentire nelle locande o attorno ai fuochi da campo, dall'Ostland a Sartosa, forse anche oltre, c'è chi ha una storia da raccontare su di lui.
Qualcuno sostiene che sia un eroe dell'Impero, qualcuno dice che sia uno spadaccino in affitto.
Ho sentito storie delle sue gesta in questa o quella campagna contro il chaos, molti uomini mi hanno giurato di essere stati al suo fianco in un muro di scudi, o nella stessa cella in qualche fetida prigione.
C'è chi racconta di averlo visto portare fuori dall'osteria dentro una carriola, ubriaco oltre ogni dire, chi sostiene addirittura di avere incrociato la propria spada con quella del tileano in cambio di improbabili premi in denaro.
Potete trovare chi lo dipinge come un eroe, chi lo crede un brigante di strada e un vagabondo, perfino chi crede che sia un personaggio nato dalla credenza popolare.
Credete a me, io ho conosciuto Umberto Sgarri ad Altdorf, e non era nulla di tutto ciò.
O forse era tutte queste cose, ma di certo non solo quelle.
-Franz L'Alto, archibugiere imperiale-
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Il freddo si era fatto molto più intenso da quando era calato il buio e Sgarri aveva perso ogni residuo di buon umore.
Da quasi un’ora camminava in cerchi sempre più larghi alla ricerca del suo riparo.
Aveva abbandonato la direttrice di marcia per seguire quello che credeva essere un nitrito del suo cavallo, invece non aveva trovato ancora nulla e, con ogni probabilità, si era perso.
Il tileano si strinse nel mantello e si forzò a proseguire.
Nevicava ancora, anche se con meno intensità ed il cielo era invisibile, così che il buio formava una coltre quasi impenetrabile.
Un mucchio di neve cadde da una fronda proprio sopra la torcia di Umberto.
Lo spadaccino bestemmiò sonoramente Sigmar quando la luce svanì in un sibilo.
Nel buio il tileano sentì alcuni scricchiolii e l’inconfondibile suono di passi nella neve.
Con il cuore in gola si spostò di alcuni passi rispetto al punto dove aveva perso la fonte luminosa.
L’ultima cosa che aveva visto era una radura, e lui non intendeva restarci.
Avanzando a tentoni riuscì ad individuare il solido tronco di un albero, non avrebbe saputo dire di che albero si trattasse.
Tendendo le orecchie il militare poggiò la schiena al tronco, così almeno non avrebbe potuto essere preso alle spalle.
Il cuore gli martellava la bocca dello stomaco; i lupi ci vedevano benissimo al buio, mentre lui cominciava appena a distinguere le nere sagome degli alberi e temeva che la visione non sarebbe migliorata.
Ancora passi, ma non era in grado di determinarne la direzione, l’unica cosa certa era che si avvicinavano.
Cercando di ridurre al minimo i rumori, Sgarri impugnò la daga e la estrasse lentamente.
I denti gli battevano all’impazzata, forse per il freddo o forse per la paura.
Improvvisamente gli parve di cogliere delle voci, ma poteva anche essere un ramo che scricchiolava sotto il peso della neve.
Involontariamente il tileano si abbassò, la daga stretta spasmodicamente nella destra gelata.
 Ancora passi, erano numerosi e goffi, troppo goffi per essere lupi e troppo rumorosi per essere orsi.
Luci. La notte si era illuminata di quelle che sembravano decine di torce.
Una creatura tozza e sgraziata apparve alla sinistra dello spadaccino reggendo un tizzone ardente.
Si fermò e fece roteare attorno il fuoco, per esplorare il terreno.
Sgarri nascose l’arma nel grande mantello e si rannicchiò contro l’albero, non aveva alcun desiderio di farsi scoprire da quell’essere.
Quando l’esploratore grugnì soddisfatto e riportò la torcia in posizione normale una scintilla gli illuminò il grottesco volto.
Una seconda creatura apparve pochi metri più a sinistra ed apostrofò la prima in una lingua sgraziata e brutale.
Le petulanti voci dei due goblin si scambiarono quelle che Sgarri interpretò come informazioni, e poi una serie di quelle che avevano tutta l’aria di essere maledizioni.
 Spostandosi leggermente Sgarri fece scricchiolare un ramo.
Il goblin appena arrivato smise subito di parlare ed indicò nella direzione del nascondiglio di Umberto, ma l’altro urlò qualcosa di poco educato in risposta.
I due parevano molto alterati e Sgarri comprese che il nuovo arrivato desiderava controllare personalmente la zona, mentre il primo difendeva il suo operato e riteneva un insulto il desiderio del suo simile.
I goblin si avvicinarono l’un l’altro e sembravano sul punto di picchiarsi quando apparvero altre torce.
Un orco si fece avanti ed apostrofò i due esploratori, questi petularono qualcosa e lui li afferrò, uno per mano, e, sollevati da terra gli sventurati, li sbatté violentemente l’uno contro l’altro.
L’orco lasciò cadere la coppia di animosi che gli sgattaiolarono via tra le gambe piagnucolando.
L’incidente parve chiuso, perché i goblin riaccesero le torce, spentesi durante la colluttazione con l’orco, e ripresero a marciare sputandosi e rivolgendosi gesti sconci.
L’orco rimase fermo per alcuni minuti fiutando l’aria, quindi diede un secco ordine e prese la direzione tracciata dagli esploratori, seguito da una torma di pelleverde.
Sgarri ne contò una ventina, probabilmente una pattuglia.
Il tileano riprese a respirare solo quando il barlume delle torce scomparve.
Maledetti pelleverde, se lo avessero scoperto sarebbero stati guai seri.
Riprese la marcia nella direzione dalla quale era venuto, poiché era contraria a quella presa dai pelleverde.
Marciò per un tempo che non avrebbe saputo quantificare, poi qualcosa attirò la sua attenzione, sembrava il barlume di una torcia.
Poteva trattarsi di una seconda pattuglia, tuttavia era il caso di andare a controllare.
Lo spadaccino iniziò a muoversi con grande cautela, poiché il buio gli impediva in gran parte di vedere dove andava.
Improvvisamente il lume scomparve. Sgarri continuò a marciare nella medesima direzione, la daga sempre stretta in pugno.
Il tileano si chinò per passare sotto ad un albero inclinato che gli ostruiva la strada, la luce era riapparsa.
Con sua stessa sorpresa il tileano la vide nuovamente scomparire appena superato l’ostacolo.
 Sempre più inquieto rallentò ulteriormente.
Ormai doveva essere a poche decine di metri dal punto in cui aveva visto la luce e decise di avanzare carponi.
La luce riapparve. Sgarri si rialzò e questa scomparve, quindi si acquattò e questa riapparve.
Il tileano sorrise allegramente, aveva ritrovato la strada di casa; la luce filtrava da un buco nel muro di fronde del suo riparo.
 –Entra- disse una voce armoniosa dall’interno.
Sgarri era esterrefatto; si era avvicinato così silenziosamente che neppure il suo cavallo aveva nitrito.
Comunque ora era troppo stanco per occuparsi di queste cose ed entrò.
L’elfa giaceva su un fianco ed appariva un po’ più in forze di quando l’aveva lasciata, tuttavia la ferita non appariva per nulla rimarginata.
Sgarri le lasciò cadere vicino il bagaglio, quindi si sedette pesantemente a terra.
Era stanchissimo ed il freddo gli entrava nelle ossa suggerendogli di dormire, ma lui sapeva che non aveva ancora il tempo di distendersi.
Con fare stanco si liberò dei calzari fradici e dei pantaloni, quindi si spogliò anche della camicia su cui il sudore si era gelato e del mantello.
Fortunatamente l’elfa aveva subito sostituito la coperta del tileano con la sua, quindi Sgarri poté riappropriarsene per coprirsi mentre faceva asciugare gli indumenti vicino al fuoco.
 Solo quando alzò lo sguardo dalla camicia stesa si accorse che l’elfa lo fissava con aria divertita.
Lui la guardò interrogativo.
 –Succede sempre a voi uomini col freddo?- Domandò lei con voce musicale.
Il tileano stava per formulare una domanda quando lei indicò con una risatina il suo inguine e lui capì.
Immediatamente lo spadaccino imprecò e cercò di coprire l’evidente rigonfiamento della coperta con le mani, mentre le orecchie gli diventavano scarlatte per l’imbarazzo.
–Temevo che i pelleverde ti avessero preso- Disse lei facendosi seria.
Sgarri balbettava chiaramente a disagio, ma riuscì a risponderle –Li ho visti passare, ma loro non hanno visto me… Ma tu sapevi che pattugliano la foresta?-
L’elfa annuì –Sono passati nei pressi del riparo poche ore fa, ma era ancora chiaro e il tuo cavallo è molto ubbidiente, per cui sono riuscita a non farmi scoprire, coperto com’è di neve questo riparo è praticamente invisibile di giorno, ma temo che di notte filtri la luce da qualche punto-
Sgarri annuì e, ricordatosi della luce che lo aveva aiutato a ritrovare la strada, raccolse un sasso e tappò il buco da cui fuoriusciva il bagliore.
Lei si strinse nelle spalle –Non basterà a nasconderci del tutto; i pelleverde mi hanno ferita molto più a Nord di qui, se stanno già pattugliando questa zona vuol dire che marciano velocemente e prima o poi mi troveranno-
Il tileano la squadrò –Perché una tribù di orchi dovrebbe cercare proprio te? Con tutto il cibo che c’è in zona dovrebbero interessarsi a te che non sei neanche un granché come pasto?-
L’elfa rise di una risata così cristallina da ricordare l’acqua sulle rocce. –Non lo so perché, ma ce l’hanno con me-
Lo spadaccino era convinto che lei mentisse, era l’unica alternativa al decretarla pazza, eppure quella pattuglia marciava in condizioni proibitive e l’orco aveva sedato la lite tra i goblin invece che gettarsi nella gazzarra, questo non era un comportamento normale. –Cosa hai detto che vai a fare a Volfenburg?-
Lei gli sorrise con una dolcezza che avrebbe sciolto un blocco di ghiaccio –Niente di male soldato, niente di male-
Ciò detto l’elfa si coricò e parve appisolarsi immediatamente.
Sgarri scosse la testa e si raggomitolò nella coperta. –Berto, sei un asino, ogni volta va a finire che ti fai fregare dalle femmine!- In pochi minuti il tileano si addormentò con un sorriso enorme stampato sul viso.
Maledetto asino!
 
Sgarri si svegliò con le gambe intorpidite, la fatica del giorno precedente non se n’era andata del tutto col sonno.
I suoi abiti in compenso erano asciutti, l’elfa doveva essersi svegliata periodicamente per ravvivare il fuoco che ora scoppiettava allegro.
Lei non c’era.
Con uno sforzo immane il tileano si rivestì e sortì dal riparo.
Sgarri orinò nei pressi di un larice, quindi si assicurò in vita il cinturone delle armi.
Aveva smesso di nevicare e la foresta era rischiarata da una luce grigia.
Lo spadaccino cominciò ad esplorare il terreno, ma le tracce dell’elfa si allontanavano dal riparo in direzione Nord e lui non aveva molta voglia di seguirle.
Decise che avrebbe aspettato la sua ospite per un paio d’ore, mentre consumava una spartana colazione e preparava le vettovaglie per rimettersi in marcia.
Lei aveva lasciato il bagaglio nel riparo, prendendo solo arco e spada, segno che intendeva tornare.
Il cibo certo non gli mancava con i due lupi abbattuti, ma il foraggio per il cavallo cominciava a scarseggiare, doveva partire.
Infine il tileano sospirò e prese per le briglie l'animale.
Temeva che lei potesse aver avuto un calo di forze, ma non si decideva a cercarla.
Con un sospiro montò in sella, quindi fece voltare la bestia verso Nord.
Per quanto lei avesse fatto una cosa molto stupida non poteva abbandonarla.
In realtà si, la conosceva appena ed era un’elfa, ma lui era troppo orgoglioso per abbandonarla al suo destino.
Maledetto senso dell’onore, che sentimento fuori posto in un ubriacone tileano!
Ma Sgarri non dovette procedere a lungo, il cavallo aveva fatto appena pochi passi quando lei apparve, spettrale come sempre.
Portava la spada al fianco ed una faretra a tracolla, nella quale aveva trovato posto anche un lungo arco di legno lavorato.
–I pelleverde stanno pattugliando il guado del torrente e, interrogando gli alberi, ho scoperto che hanno bloccato il sentiero più a Sud, sanno che siamo qui.-
Lui la osservò attentamente, sembrava molto migliorata, anche se zoppicava leggermente.
–Monta- Le ordinò scendendo da cavallo –Sei debole, è bene che sia tu a cavalcare-
Lei lo fissò, gli occhi ridotti a fessure grigie –Stupido uomo, io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, cavalca tu che sei una creatura debole e pelosa!-
Sgarri era stupito da un simile accesso di rabbia, ma si ricordò di quello che diceva sempre sua nonna “sta in guardia Umberto, che tutti gli elfi sono pazzi, ma quelli della foresta sono i più psicopatici!”.
Saggia donna era sua nonna. Una delle ragioni per cui Umberto era scapolo, oltre al suo lavoro ovviamente, era che aveva una straordinaria capacità nel far infuriare le donne.
 Quando una donna lo insultava o aveva uno scatto d’ira, Umberto semplicemente si limitava ad un freddo commento, spesso sarcastico, e senza mai alzare la voce.
Questa sua calma urtava terribilmente le donne della sua vita, comprese sua madre e la sua adorata sorella Annalisa a dirla tutta.
Ancora una volta Sgarri dimostrò di essere in grado di far perdere le staffe a qualunque donna, di qualunque età e razza, l’unica a non aver mai dato in escandescenze con lui era la nonna paterna.
Il tileano scese pacatamente da cavallo e mostrò i palmi delle mani in segno di resa.
–Dammi il tuo bagaglio, non ha senso che lo porti quando posso legarlo alla sella-
Non era una domanda e l’elfa fu sul punto di sguainare la spada tanto era arrabbiata, ma il suo viso contratto e la mano stretta all’elsa sembravano turbare il tileano quanto lo preoccupava la politica imperiale, ossia molto meno del suo stivale strappato.
 Lei fissò per alcuni lunghi istanti gli occhi scuri ed inespressivi di Sgarri, fissò il suo volto spigoloso ingentilito dai riccioli della barba rossa lunga di un paio di settimane, il naso che formava una leggera gobba là dove anni prima era stato rotto e le rughe della fronte, decisamente premature per la sua età.
Umberto Sgarri, infatti, aveva solo ventisei anni, per quanto a vederlo affannato e coperto di barba e stracci potesse dimostrarne quaranta.
A quattordici anni, sceso in paese per alcune commissioni, aveva perso tutti i soldi datigli dal padre con un baro alla taverna.
Prima di giocare costui gli aveva offerto da bere e Sgarri, da ragazzino qual’era, si era subito ubriacato, non riuscendo più a capire dove mai finisse la biglia che il baro nascondeva sotto tre ciotole che poi mescolava.
Quando si svegliò era steso in un letamaio, senza un soldo e senza il coltello che suo padre gli aveva regalato per il dodicesimo compleanno.
Piuttosto che ripresentarsi a casa ed ammettere la sua stupidità, Umberto si era arruolato in un’unità di picchieri mercenari di passaggio.
Ufficialmente doveva fare da sguattero, ma il capitano della compagnia, Diego Malatesta, lo aveva in simpatia ed aveva preso a dargli qualche lezione di scherma.
Sgarri si era subito dimostrato uno spadaccino provetto, grazie alle lezioni ricevute sin dalla tenera età da suo padre che era stato uomo di spada del principato di Miragliano prima di ritirarsi in montagna per fare il boscaiolo, ma soprattutto grazie all’indole di Umberto, che lo portava sempre al centro della mischia.
In pochi mesi ottenne armatura e picca.
A seguito di un disastroso scontro con gli skaven nei pressi di Miragliano la gran parte dell’esercito del Malatesta fu sbaragliato e molti picchieri decisero di cercare fortuna tra le truppe provinciali dell’Impero.
Così fece anche Umberto Garri che, per via della sua intolleranza alle rigide regole imperiali, fu ribattezzato dai compagni “Umberto Sgarri”.
Inseguendo i ricordi Sgarri sorrise involontariamente e l’elfa lo interpretò come un ulteriore segno di disinteresse nei suoi confronti, anche perché il tileano stava fissando il cielo.
In un istante tutta la furia della creatura silvana svanì e lei porse ad Umberto il bagaglio.
Il tileano assicurò il tutto alla sella e, preso il cavallo per le briglie, si avviò fuori dal sentiero.
 L’elfa era troppo imbronciata per chiedergli dove stesse andando e, d’altronde, non poteva lasciarlo andare da solo, così gli si accodò, chiusa in un silenzio stizzoso.
Il tileano non dubitava delle informazioni ricevute dalla compagna di viaggio, dunque si stava dirigendo verso un altro sentiero, più ad ovest rispetto a quello che aveva seguito in precedenza.
Si trattava di una pista che portava a Volfenburg, ma proveniva da un villaggio vicino ai monti di mezzo, per cui non aveva senso che dei viaggiatori provenienti dal nord la percorressero.
Non aveva quindi senso cercare viaggiatori provenienti da nord su quella pista, ed era su questo che si basava il piano del tileano.
Un piano discretamente ben congegnato, non fosse che a sera, dopo aver camminato tutto il giorno in silenzio, la pista ancora non si vedeva.
Il tileano si sedette nel riparo appena costruito e strofinò le mani tra loro per riscaldarsi.
 Maledetto paese, dove l’avevano nascosta quella dannata pista?
I due viaggiatori cenarono ancora in silenzio, ma infine lei parlò.
–Complimenti, sei riuscito a perderti-
Lui la guardò interrogativo.
 –Se cercavi la pista per Volfenburg l’abbiamo superata tre ore fa- Spiegò l’elfa con un tono che a Sgarri ricordò terribilmente il capitano Tharnem.
Umberto bestemmiò –Perché non me lo hai detto?!-
 -Non me lo hai chiesto, e poi non sei tu quello che sa tutto?-
Il tileano era alterato, come l’elfa del resto. –Stupida gallina, credi che sia un gioco?! Quelli se ci trovano ci sgozzano!-
-Chi ti credi di essere soldato per parlare così a me?!-
-Ma se neanche so chi accidenti sei?!-
-Io Sono Arys, guardavia del clan della felce scura!-
-Ma dai?! Ed è costume di tutti i guardavia usare la testa solo come appoggio per il naso?!-
L’elfa imprecò e sguainò la spada. Mentre la punta dell’arma si agitava minacciosamente davanti alla gola dello spadaccino, un silenzio glaciale piombò nel riparo.
Il tileano abbandonò improvvisamente il tono belligerante e parlò con voce pacata, gelida e dura, come il rumore dello scalpello sulle pietre tombali.
–Pensaci. So giudicare un guerriero e tu sei una brava combattente Arys di felcescura, ma io ho ucciso guerrieri che valevano dieci volte te e che non erano feriti. Io non sono nessuno, solo un umile soldato e non certo un nobile guardavia come te, ma sono pericoloso. Non lo scordare-
C’era qualcosa di terribile nella voce del tileano, e non era la totale assenza di paura, sembrava così sicuro di quello che diceva da sembrare più pericoloso lui seduto con una spada alla gola, rispetto ad Arys, armata di fronte a lui.
Per alcuni istanti calò il silenzio, poi lei parlò con una voce molto meno minacciosa di quanto avrebbe voluto.
–Chi mi dice che tu non cercherai di vendermi ai pelleverde? Avrai capito ormai che chi mi cattura viene ricompensato principescamente-
Lui sorrise, di un sorriso senza gioia, quello di un uomo che è divenuto tale molto prima del tempo.
–Se volessi consegnarti ai pelleverde colpirei la tua spada con l’avambraccio, sfodererei la mia daga e ti taglierei la gola prima che tu possa anche solo maledirmi.
Ma non è mia abitudine uccidere a sangue freddo, così come non è mia abitudine schierarmi con chi assolda i pelleverde. Non so quale sia la tua missione né m’interessa, ad essere sincero, ma ti porterò fino a Volfenburg, poi proseguirò per i miei affari.
Per cui metti via la tua spada, elfa, e siediti a mangiare.-
Lei lo scrutò per un lunghissimo istante, poi ripose l’arma e si sedette. –Ho fatto bene a correre in tuo soccorso, soldato, sei davvero in grado di portarmi fino a Volfenburg.-
Umberto scosse la testa –Sapremo che ce l’ho fatta quando ci saremo.-
Lei annuì. –Sei sicuro di non voler conoscere la natura della mia missione?-
Umberto annuì –Sono curioso, ma so che ometteresti molte cose, come il motivo per cui i pelleverde ti danno la caccia e chi li paga. Non ho alcun interesse nel farmi raccontare una mezza verità.-
Lei era molto stupita e lo osservò a lungo prima di replicare –Dimmi il tuo nome soldato, chi sei veramente?-
Sgarri sorrise –Mi chiamo Umberto Sgarri e sono un soldato, niente nobili natali o cose affascinanti-
Anche l’elfa sorrise, con aria stranamente saggia –Non ti sminuire Umberto Sgarri, forse non sei il più nobile o il più onesto degli uomini, ma sei un uomo e questa è una qualità rara-
Sgarri meditò a lungo sulla risposta dell’elfa, prima di addormentarsi, ma alla fine si rispose che il problema più pressante era procurarsi un bel paio di stivali nuovi.
Magari scamosciati, in caldo cuoio, foderati all’interno…
   
 
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