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Autore: Dahu    07/04/2017    0 recensioni
Nati come un esperimento della Guardia Imperiale, i Baschi Neri sono tutti abitanti di un mondo assassino.
Classificati come ferali e considerati selvaggi dagli altri soldati, addestrati come forze speciali per operazioni mordi e fuggi, presto dovranno fare i conti con quello che sono in realtà; ragazzi di diciotto anni con un fucile laser tra le mani e nessuna idea di cosa gli riservi il futuro.
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Per questo capitolo è doveroso citare l'amico Dany The Writer, con il quale sono solito scambiare personaggi ed idee, oltre alle plurime citazioni.
Nel caso specifico, i lettori di Dany riconosceranno senz'altro alcuni personaggi, che qui appaiono più giovani rispetto a come sono abituati a leggerli. Bene, senza indugiare oltre, a voi!


Il Caporale Sirio Quarta imprecò quando il suo stivaletto da lancio incespicò in un gradino di cemento.
Sirio era uno dei veterani più esperti della compagnia Dyomedòn, del 185° Reggimento Paracadutisti di Elysia ed era un inguaribile ottimista, ma questa volta era arrivato al limite della sopportazione.
Ormai da due giorni, i paracadutisti si battevano contro un nemico soverchiante, che li fiaccava con periodici assalti ed incessante fuoco di armi leggere.
Da due giorni nessuno di loro chiudeva occhio, da due giorni nessuno mangiava ed anche le scorte di acqua e munizioni erano sulla via dell’esaurimento.
Con passo stanco ma risoluto il veterano riprese a salire la scalinata che conduceva al piano superiore della palazzina in cemento ove il plotone aveva trovato riparo.
Il tetto, cosi come la parte più alta dei muri, era stato fatto a pezzi dai razzi tirati senza posa dagli orchi prima di ogni assalto e le macerie fornivano una comoda rampa per gli attaccanti, costretti ad assalire il piano superiore, poiché i tenaci paracadutisti avevano efficacemente barricato ogni apertura del piano terra.
Il Caporale fu costretto ad abbassarsi da una raffica di mitragliatrice che sollevò sbuffi di polvere e staccò nuovi calcinacci dai muri mutilati.
Sdraiato in corrispondenza di una breccia aperta sotto quella che un tempo era stata una finestra, vi era la figura immobile di un paracadutista.
Individuarlo ad un primo sguardo era quasi impossibile, per via della polvere di cemento sbriciolato che lo aveva ricoperto come una coltre di neve, amalgamando il suo colore con quello dell’ambiente circostante.
Notando quanto quel uomo fosse immobile, per un istante il Caporale Quarta temette di trovare il compagno addormentato.
Ma, non appena fu ad un passo dal paracadutista, udì la sua voce, arrochita dalla disidratazione.
-Quel bastardo va avanti da due ore con quel catenaccio del darn! E mai che si sporga abbastanza per trovarsi un bolt laser tra gli occhi!-
Sirio si lasciò cadere seduto, la giacca flak emise un suono basso quando l’uomo poggiò la schiena contro il muro, guardando in direzione contraria rispetto all’amico.
-Sei riuscito a dormire?-
Domandò questi.
Sirio scosse la testa.
-Hanno sparato tutta la notte, e quando non sparavano sentivo le urla dei ragazzi che capitavano tra le mani del medico… Ha finito gli antidolorifici.-
Cadde un silenzio pesante, segnato dalla fatica dei due uomini.
-Allora Aurelios, lo prendi o non lo prendi quel ‘verde?-
-Lo prendo, lo prendo… Ma non adesso, quel maledetto non si sporge che per sparare!-
Aurelios era immobile nella posizione preferita dai tiratori scelti, con il fucile Accatran Pattern, più corto della sua controparte standard ed alimentato con una cella laser inserita nella calciatura invece che davanti all’impugnatura, incassato contro la spalla destra e sorretto dall’incavo tra indice e pollice della mano sinistra.
Il paracadutista aveva sollevato la piccola visiera polarizzata dell’elmetto Tipo 5 in dotazione alle truppe elysiane, disdegnando di usare il sistema di auto targeting inserito nel software del tecnologico strumento.
La distanza era eccessiva perché quel tipo di puntatore elettronico risultasse efficace e lui si fidava molto di più del proprio occhio.
Il tiratore masticò un’imprecazione.
-Sirio, quello non si muove se non ha qualcosa a cui sparare… Mi fai da paperella?-
Il Caporale guardò con finto stupore l’amico di vecchia data.
-Dico Aurelios, ma sei impazzito?! Facciamo che IO mi piazzo e TU fai da esca!-
Aurelios sbuffò teatralmente.
-Ecco, è sempre così, voi nobili vi approfittate della gente comune! Adesso solo perché io non ho mai conosciuto mio padre e non sono un darnatissimo figlio dell’aristocratica casata Quarta come il qui presente, sono io che devo morire?-
-No, tu devi morire perché sei un darnato paracadutista semplice mentre io sono Caporale-
-Mi scusi Signore, ma sono convinto che questo sia chiamato nonnismo-
-Questo, mio caro Aurelios, è un ordine! Conosce il significato di questa parola?-
Alle ultime parole del graduato, declamate in una grottesca imitazione del Capitano della Dyomedòn, fece eco un teso silenzio, che durò non più di un secondo, prima che i due amici scoppiassero in una risata stanca ma sincera.
-Intanto il buon vecchio Capitano è riuscito ad uscire dalla sacca col resto della compagnia… A quest’ora sarà alla base avanzata Backredo, seduto davanti ad una birra… Chiamalo stupido!
Darn, quanto la vorrei una bella birra fresca!-
Sirio rivolse all’amico un ghigno sprezzante.
-Il pazzo sei tu a non apprezzare le bellezze di questo posto!
Intanto se tu fossi a Backredo, staresti sperperando il tuo già magro stipendio a carte… E poi pensa a quanto ci faccia bene prendere il sole su questa terrazza!
Abbiamo i fuochi d’artificio tutte le notti, abbiamo i vicini che ci vengono a trovare regolarmente, tu non puoi massacrarti il fegato con bevande peccaminose…
Siamo praticamente in grazia dell’Altissimo che siede sul Trono d’Oro.-
Aurelios fece un sorriso macabro.
-Si, bravo, se i soccorsi non arrivano e anche alla svelta finisce che andiamo a trovarlo davvero l’Altissimo eccetera, eccetera…-
Sirio sghignazzò tra se, poi sospirò con aria di sufficienza.
-Ma quanto sei pessimista… Al prossimo attacco finiremo le ultime celle d’energia, ma poi possiamo sempre tirargli le pietre-
-Oppure gli raccontiamo qualcuna delle tue barzellette e si schiantano da soli dalle risate-
-Basta che non gli raccontiamo le tue, o si suicidano per la depressione…-
L’armatura flak sobbalzò un paio di volte, indicando che Aurelios stava ridendo sommessamente.
Era incredibile quanto Sirio fosse tenace; non sembrava esistere nulla al mondo in grado di scalfire la sua baldanzosa sicurezza, sempre condita con il suo discutibile umorismo.
-Beh- Disse il nobile discendente della casata Quarta. –Che facciamo, lo ammazziamo il ‘verde o no?-
-Io sono pronto-
-Fammi un favore, cerca di non mancarlo, dannato plebeo che non sei altro.-
Aurelios grugnì con aria di sufficienza.
-Io non manco mai il colpo, sangue blu di ‘sto darn.-
Sirio balzò in piedi di scatto, il dito medio di entrambe le mani rivolto al nemico ed urlò all’indirizzo dei pelleverde una sconceria tale che non avrebbe mai dovuto uscire dalla bocca di un uomo della sua levatura sociale.
Il graduato si lasciò cadere sulle ginocchia, evitando così di essere falciato dalla terrificante raffica che il nemico scaricò, a mo’ di risposta, sui già martoriati muri della postazione occupata dagli uomini della Dyomedòn.
Sirio distinse chiaramente il suono dello sparo laser che mise fine allo sperpero di colpi nemico.
Aurelios rotolò di lato subito dopo aver sparato, rivelando così la sua posizione ed evitando di scarsa misura di essere colpito da una raffica di armi leggere.
I due paracadutisti si scambiarono un cinque a pugno chiuso.
-E con questo fanno dodici, quella mitragliatrice gli sta costando una fortuna in serventi!
E per il sottoscritto fanno trentasei dal giorno del lancio!-
Il graduato scoccò uno sguardo severo all’amico.
-Dico, ma sei fuori?! Questo conta come mio, ho corso io il rischio maggiore!-
 
Iathena Vanastasia Illhera Arkantheosya, nobile discendente della casa Vinisyas-Tàr e Sottotenente medico del secondo plotone della compagnia Dyomedòn, si passò sul viso la manica rimboccata della giubba, nel tentativo di tergere il sudore che le imperlava la fronte.
“Troppi titoli per una ragazzina di diciotto anni coperta di sangue e sudore ed in procinto di morire alla sua prima esperienza di guerra”. Si scoprì a pensare.
Si trovava al piano terra dell’edificio, trasformato dai paracadutisti elysiani in una fortezza, in quella che doveva essere stata una mensa per gli operai che lavoravano nel sito di estrazione.
Ora i tavoli erano ingombri di feriti, quelli del secondo plotone, che con il suo sacrificio aveva permesso lo sganciamento del resto della compagnia e quelli che non era stato possibile portare via durante la fuga dalla sacca che la virulenta resistenza orchesca aveva creato.
Il secondo plotone era forte di cinquanta uomini, di cui ora venti erano sdraiati su quei tavoli, in compagnia di tre colleghi del terzo plotone, che versavano in condizioni a dir poco critiche.
Aveva finito tutto il materiale sanitario.
La notte precedente con l’aiuto del paracadutista Noah, autonominatosi suo assistente, aveva amputato una gamba senza anestesia.
Non disponeva degli strumenti necessari ed aveva dovuto ricorrere al suo coltello d’ordinanza, utilizzando il dorso seghettato per tagliare l’osso.
Se chiudeva gli occhi, allucinati per la mancanza di sonno, sentiva ancora le urla del ferito e quel terribile suono raschiante prodotto dal metallo poco affilato che scheggiava l’osso.
Iathena sbatté un paio di volte le palpebre e rivolse al soffitto i suoi occhi azzurri, tratto esotico per una elysiana, il suo popolo, infatti, era famoso per gli occhi neri come il carbone.
I vecchi ventilatori, rimessi in moto assieme all’apparato elettrico dall’abilità del Caporale Quarta, le fecero venire i giramenti di testa.
Si muoveva malferma sulle gambe a causa della mancanza di sonno, ma non poteva fermarsi.
C’erano ancora cose da fare, anche se non riusciva bene a metterle a fuoco al momento.
Guardò il viso del paracadutista Noah, un volto giovane stravolto da premature rughe di fatica sul quale spiccavano due occhi neri, orrendamente cerchiati.
La giovane dottoressa pensò che anche il suo bel viso, dai lineamenti patrizi che avevano fatto tremare il cuore a più di un pretendente, doveva essere in condizioni molto simili.
-Noah, vammi a chiamare il Sergente Khrodys, digli che devo rifargli la fasciatura.-
L’improvvisato assistente annuì, lasciandola a barcollare nella stanza, dalla quale i ventilatori non riuscivano ad allontanare il puzzo di sangue e piaghe purulente.
La dottoressa si lasciò cadere su di una sedia e gli occhi le si chiusero, regalandole un sonno breve e tormentato da incubi che in realtà erano solo ricordi di scene terribili viste nei suoi cinque giorni di vita operativa.
L’arrivo del Sergente di Plotone Zaccariah Khrodys la ridestò definitivamente.
Il sottufficiale era evidentemente provato; la sua pelle dalla tinta bronzea, come quella di tutti gli elysiani, era secca e spaccata in corrispondenza delle labbra per via della scarsa idratazione, gli occhi semichiusi dal sonno.
L’uomo zoppicava malamente per via di un colpo di rimbalzo che gli aveva attraversato la coscia sinistra ed aveva una benda insanguinata a fasciargli la mano destra.
Durante l’ultimo assalto, respinto dai valorosi paracadutisti a colpi di bombe a mano e pugnale, l’ascia di un orco gli aveva portato via tre dita.
Ma lui aveva continuato a guidare i suoi uomini sostenendo che, essendo mancino, la mutilazione non avrebbe inciso in alcun modo sulle sue prestazioni di tiratore.
Iathena rifece la fasciatura all’uomo usando bende ricavate dalle divise dei morti tagliate a strisce, poiché aveva finito le garze e le bende automedicanti quella notte.
-Come va Sergente?-
Chiese distrattamente, come a voler intrattenere un discorso leggero che nessuno dei due era in grado di seguire a causa della spossatezza.
-Sono mancino Sottotenente, per me non è un problema.-
Ma da un’occhiata lanciata di sottecchi dalla giovane il sergente dovette intuire il vero soggetto della domanda, perché aggiunse:
-Abbiamo chiamato i soccorsi, ci hanno detto che sarebbe arrivato qualcuno, ma non sappiamo nient’altro.-
Non appena il Sergente se ne fu andato, Iathena lasciò l’improvvisata infermeria nella mani di Noah, raccomandandosi di chiamarla per qualunque problema.
Non sopportava più quell’aria viziata e carica di umori umani, inoltre un membro dell’improvvisato team medico doveva approfittare di quel momento di relativa calma per riposare in vista del prossimo attacco e dei feriti che avrebbe comportato.
Certo, sarebbe stato meglio se a riposare fosse stata lei, ma l’idea di piombare nuovamente nei tetri incubi che l’avevano afferrata poco prima, la terrorizzava.
Con passi pesanti, la giovane donna prese a salire i gradini di cemento che conducevano al piano superiore, il fucile laser Accatran Pattern che le pendeva dalla spalla come la doppietta di un cacciatore.
Non portava l’elmetto, perché voleva sentire l’aria sulla pelle, quindi i suoi corti capelli neri, rasati ai lati e lunghi sopra, al punto da arrivarle con un ciuffo ordinato fino sotto al mento, le ricadevano disordinatamente sul viso.
Quei capelli, normalmente vaporosi e leggeri, ora erano appesantiti dall’unto e dal sudore di cinque giorni di guerra, tanto che la frangia le si era incollata alla faccia.
La giovane ufficiale scavalcò un paracadutista addormentato sui gradini in posizione semiseduta, il fucile laser stretto anche nel sonno.
Solo il superbo addestramento affrontato su Elysia aveva permesso a quegli uomini ed a quelle donne di resistere per due giorni in condizioni tanto critiche e contro un nemico così soverchiante, ma continuare a combattere era qualcosa che superava l’umanamente possibile.
Seduto sugli ultimi gradini, vi era il paracadutista Aurelios, uno dei pochi amici che la dottoressa poteva vantare in seno alla compagnia.
L’uomo sedeva con aria stanca, il fucile laser poggiato di traverso sulle gambe e l’elmetto abbandonato al suo fianco.
Iathena si sedette a sua volta, dando una gentile scossa all’amico, che per lei era stato un fratello maggiore sin dal suo ingresso nel plotone.
La loro amicizia si poteva dire strana, poiché lei era una nobile, mentre Aurelios, come il suo migliore amico Sirio non mancava di far notare ad ogni occasione, era un bastardo.
Questo senza contare l’abissale differenza di grado tra i due.
Ma lui era un tipo espansivo e protettivo, che dall’alto del suo essere già un veterano temprato, a dispetto di un grado che non gli rendeva giustizia, l’aveva aiutata e guidata durante il duro iter addestrativo elysiano.
-A quanti sei arrivato?- Chiese lei con gentilezza.
Aurelios le sorrise con una dolcezza che non sembrava possibile in un uomo tanto rude.
-Sono a trentasei- Disse con truce soddisfazione. Se fossero davvero morti li in quel posto anonimo in mezzo alla jungla di un pianeta dimenticato dall’Altissimo, si sarebbero portati dietro un più che onesto numero di nemici.
-E Sirio?-
-Trentuno-
Rispose allegramente il paracadutista, colto da una scintilla di buon umore all’idea di essere in netto vantaggio sull’amico fraterno.
Aurelios sorrise alla dottoressa e le mise in mano la sua borraccia, che lei tentò di rifiutare.
-Bevi, non ce n’è rimasta molta e quella che rimane si è scaldata e sa di plastica, ma se ti toccherà ricucirmi entro sera ti voglio in forma.-
Iathena ringraziò l’amico per il prezioso dono e bevve avidamente le poche gocce d’acqua rimaste.
Lei aveva dato quasi tutta la sua riserva idrica ai feriti ed era rimasta senza quasi subito.
 
Drake prese a scendere lungo l’arrugginita scala a pioli che correva lungo la condotta verticale da lui scalata pochi minuti prima.
Si stupì non poco quando si rese conto che con la sua arrampicata era salito per meno di dieci metri.
Il vendolandiano si muoveva rapido, tentando di fare meno rumore possibile e pregando che nessuna pattuglia nemica lo scorgesse.
Nella zona dove, sospettava, gli elysiani si fossero arroccati si era acceso un forte fuoco di fucileria orchesca.
Con un ultimo cauto balzo, Drake toccò terra e riprese il coltello, sputando per togliersi dalla bocca il gusto metallico e nauseante del sangue rimasto sulla lama.
Lo scout si ritrasse nell’ombra sotto alla condotta; non vedeva nessun pelleverde, ma lui sapeva, grazie ai racconti dei vecchi del villaggio ed alle lezioni seguite durante l’addestramento, che quegli xeno possedevano un olfatto molto sviluppato.
Un brutto guaio visto che lui era ricoperto di sangue puzzolente, che era facilmente avvertibile anche da un umano.
Con passi felpati ma rapidi il vendolandiano si mosse verso la porta, il coltello stretto nella destra, come un anatema contro la tensione che gli attanagliava lo stomaco.
Con sua stessa sorpresa, la maniglia rotante non oppose alcuna resistenza, così che lui poté spalancare la porta, che si aprì cigolando e rivelando la nera bocca di una mitragliatrice laser leggera Minikantrael, meglio nota come Minkan.
Trulls spostò l’arma in modo che non puntasse sul collega, al quale rivolse uno sguardo di stupito apprezzamento.
-Non ci crederai amico ma, per i denti dell’Imperatore, proprio non me l’aspettavo di rivederti!-
Drake rivolse un sorriso al gigante e gli tese la mano per aiutarlo ad uscire dalla condotta forzata, nella quale era grottescamente compresso.
Non appena il mitragliere fu in ginocchio accanto all’apertura, pronto a fornire copertura nel caso il nemico fosse apparso, il caporale Slunt fece capolino, passando al giovane scout l’equipaggiamento che si era tolto.
Uno ad uno i dieci esploratori strisciarono fuori dal budello di metallo, sorridendo al caldo sole che appariva loro magnifico dopo il buio infernale di quel avvicinamento.
Rak Tay, che aveva ceduto il vox ad un collega per poter prendere parte all’operazione, aiutò Drake a sistemarsi l’armatura carapace ed il gibernaggio.
Lo scout indossò rapidamente i guanti tattici e si assicurò il fucile laser all’apposito laccio che pendeva dal suo gibernaggio all’altezza della spalla sinistra.
-Varn, vieni avanti, sei tu quello che ha visto di più di questa situazione, fai strada.-
Drake annuì rivolto al Caporale Slunt e, buttatosi in spalla lo zaino, si avviò verso la zona dove riteneva si trovassero gli elysiani.
La squadra procedeva su due file sfalsate, entrambe riparate nell’ombra degli edifici ai due lati della strada, con Drake ed il tiratore scelto nei primi posti di entrambe le file e Trulls, armato della temibile Minkan a chiudere.
Lo scout procedeva, il fucile laser corto Kantrael Pattern puntato davanti a se, con la tensione che gli irrigidiva le membra.
Miracolosamente, dopo alcune centinaia di metri ancora non avevano incontrato pattuglie nemiche, né avevano udito allarmi gridati da qualche sentinella come quelle uccise da Drake sulla colonna portante della condotta.
Il complesso di estrazione si stava rivelando un vero labirinto di strutture in ferro e cemento, il luogo ideale per un’imboscata ai danni della squadra che avanzava in un nervoso silenzio.
Improvvisamente il tiratore alzò il pugno sinistro e si bloccò, come una statua di sale.
Drake, che procedeva leggermente più avanzato, notò il gesto con la coda dell’occhio e si congelò a sua volta.
Seguendo lo sguardo del collega, lo scout notò una coppia di gretchin che pattugliava un ponteggio a dieci metri dal suolo, poco più avanti.
Vide l’uomo abbassarsi sul ginocchio destro e sedersi sul piede, cercando la massima stabilità.
Il tiratore espirò per metà, poi s’udì il sospiro del silenziatore che rendeva lo sparo del laslungo quasi impercettibile.
Drake si voltò verso il ponteggio e vide che una figura era scomparsa, mentre l’altro gretchin si guardava attorno allarmato.
Un secondo colpo lo falciò, facendolo ondeggiare contro la ringhiera e poi cadere.
Lo scout ed il tiratore si scambiarono un breve sguardo preoccupato, poi tornarono a guardare avanti, giusto in tempo per vedere il corpo del pelleverde schiantarsi al suolo con un tonfo.
Ci fu un lunghissimo istante di teso silenzio, durante il quale Drake si abbassò a sua volta sul ginocchio destro, gli occhi sbarrati che non riuscivano a staccarsi dal cadavere del pelleverde.
Quasi sapessero in anticipo quanto sarebbe successo, le dita dello scout tolsero la sicura del Kantrael ed i suoi occhi si allinearono meglio con il mirino istintivo, studiato per essere usato con entrambi gli occhi aperti e preciso su distanze attorno ai cento metri.
Slunt si avvicinò, silenzioso come un gatto, e si inginocchiò accanto allo scout.
-Che succede Varn?- Bisbigliò il graduato.
Drake stava per rispondere quando da dietro un angolo apparvero alcuni orchi, certamente richiamati dal rumore del corpo caduto sull’asfalto che ricopriva tutta l’area interna al complesso.
Senza perdere un secondo, lo scout, il tiratore ed il Caporale presero a sparare il più possibile contro ai nemici, prima che essi potessero attaccare.
I dardi laser volarono, riempiendo l’aria del loro ronzante sibilo, seguito dal suono sfrigolante che producevano all’impatto con i corpi dei pelleverde e dal puzzo di carni bruciate.
Drake si accorse di aver omesso di dare l’allarme solo quando fu Slunt a farlo al posto suo.
Il Caporale urlò con quanto fiato aveva in corpo per sovrastare il fuoco dei tre fucili laser e dei calibri orcheschi che avevano iniziato a giungere in risposta.
-Contatto frontale, contatto frontale!! Varn via!-
Lo scout, coperto dal fuoco del graduato, si alzò e prese a correre verso il retro della pattuglia.
Tra lui ed il muro dell’edificio che stava costeggiando, vi erano i cinque uomini della sua fila, inginocchiati a terra e rivolti verso il nemico, tranne Trulls che controllava il retro, nel caso in cui una seconda pattuglia nemica fosse comparsa da quella direzione.
L’addestramento meticoloso seguito su Vendoland stava dando i suoi frutti; per quanto fossero stati colti di sorpresa, infatti, gli esploratori stavano reagendo con precisione e rapidità, come se fossero stati impegnati in un esercizio.
Drake si lasciò cadere in ginocchio poco oltre Trulls, facendosi personalmente carico del settore alle spalle della squadra.
Con la coda dell’occhio vide il tiratore, che aveva lasciato il laslungo a penzolargli dalla tracolla preferendo impugnare il fucile a pompa che portava legato allo zaino, fare altrettanto dall’altra parte della strada.
Meno di tre secondi dopo, il Caporale Slunt superò di corsa lo scout e rivolse uno sguardo deciso all’edificio.
Drake lo vide sfondare una porta con un calcio ed entrare, seguito immediatamente da Rak Tay, con i Kantrael spianati.
L’intera squadra si stava ritirando come una fontana umana, coperta dal fuoco dei due uomini che in quel momento si trovavano in testa alle rispettive file e che, dopo un paio di secondi di fuoco serrato, si alzavano uno alla volta per correre in fondo alle file stesse.
I due uomini, uno per fila, che si stavano ritirando, entrarono a loro volta, preceduti dal grido di Slunt.
-Stanza libera, porta di fronte, scale a destra, passate da destra!-
Altri due uomini balzarono nell’edificio, mentre la Minkan di Trulls entrava in azione con gran fracasso.
Drake ruotò rapidamente usando il ginocchio come perno e si preparò a fare fuoco, non appena il mitragliere si fosse alzato sgombrandogli il settore di tiro.
Trulls girò attorno a Drake, in modo da infilarsi nella porta aperta senza intralciare il tiro del collega.
Lo scout sparò un paio di colpi, ma poi la voce del gigante lo riscosse.
-Via Drake! Via! Via!-
Il giovane cacciatore si alzò e corse verso la porta, coperto dal serrato fuoco di Trulls, che sparava sfruttando il riparo offerto dallo stipite della porta.
Era l’ultimo vendolandiano nella strada e, con un balzo, superò il corpo accovacciato del mitragliere, ritrovandosi nella semi oscurità di una grande stanza.
C’era solo Rak Tay, che continuava a puntare la porta di fronte a quella dalla quale la squadra era appena entrata, mentre gli altri erano tutti al piano superiore.
Slunt fece capolino dalle scale.
-Tutti al piano di sopra! Tutti su! Tay, una claymore sulle scale, Varn coprilo!-
Proprio in quel momento Trulls terminò la grossa cella d’energia, pari a sette volte quella di un fucile laser in termini di dimensioni e capienza, che alimentava la Minkan e balzò nell’edificio, seguito dalle schegge di cemento staccate da un paio di colpi nemici.
La fulminea e perfettamente coordinata azione dei vendolandiani aveva momentaneamente inchiodato il nemico ed aveva permesso ai soldati di ritirarsi nell’edificio senza riportare neppure un ferito.
Il grosso montanaro corse su per le scale, seguito dai due colleghi.
Drake aprì le cerniere che chiudevano lo zaino da pattuglia di Rak e ne trasse la rettangolare sagoma di una mina antifanteria, passandola al collega, che si accovacciò immediatamente per piazzarla.
Lo scout si inginocchiò accanto all’artificiere e puntò contro la porta dalla quale la squadra era entrata, ritenendo più probabile che il nemico seguisse la stessa via piuttosto che trovasse l’altra entrata.
-Allora Rak, ti ci vuole ancora molto?-
La voce del montanaro era tesa all’idea di veder apparire gli orchi sulla soglia.
-Cefìn socio, non sono mica una macchina, se non vuoi fare un lavoro del cefìn ci va il suo tempo!-
La parlata fortemente accentata del pescatore strappò un sorriso a Drake, che trovava quel dialetto particolarmente spassoso.
Non appena terminò di stendere il filo d’inciampo trasparente, Rak si alzò e si diresse verso la cima delle scale.
-Cefìn socio, leviamoci di qua!-
I due si mossero rapidi ed in poche falcate raggiunsero il resto della squadra, asserragliata al primo piano dell’edificio, che a quanto sembrava doveva aver ospitato gli uffici dello stabilimento.
Alcuni uomini stavano sparando dalle finestre, mentre altri stavano uscendo da un foro praticato a colpi di asce leggere e badili da fanteria nel soffitto.
Sempre più uomini si arrampicavano sulle due scrivanie, impilate per formare una rozza scala, e svanivano nel buco, dal quale filtrava la luce del sole.
Trulls fece passare il suo zaino e poi si issò di malagrazia, imprecando come un catachano al quale era stato vinto a carte il coltello preferito.
Slunt scambiò un cenno d’intesa con gli ultimi arrivati, anche il suo viso era stravolto da un’espressione di tesa concentrazione, che disegnava rughe eccessive sulla sua fronte macchiata di nafta e creme di mascheramento.
-Forza ragazzi, tutti sul tetto, svelti! Svelti!-
Drake si tolse lo zaino dalle spalle e s’inerpicò faticosamente sull’improvvisata scala.
La maniglia posta sulla sommità del sacco trovò la mano di Trulls, che issò il pesante bagaglio apparentemente senza fatica, mentre lo scout trazionava per raggiungere l’esterno.
Si trovò su di un tetto piatto, contornato da un basso muretto di cemento ed il mitragliere gli fece segno di strisciare, onde non essere individuato dai pelleverde nella strada.
I due soldati, che nel frattempo erano stati raggiunti da Rak Tay e da un quarto uomo, si avvicinarono al bordo del tetto.
L’edificio di fronte distava poco più di quattro metri ed ospitava già tutto il resto della squadra.
Il tiratore si sporse e fece segno di lanciargli gli zaini, operazione della quale si fece carico Trulls, essendo il più forte fisicamente.
Non appena tutti i loro bagagli furono sull’altro tetto, gli uomini balzarono uno alla volta per lasciare spazio al Caporale che, con gli ultimi elementi della squadra, stava guadagnando il tetto.
Drake sospirò due volte, se ce l’aveva fatta Trulls allora poteva farlo anche lui.
Con un ultimo sbuffo, lo scout balzò in piedi e partì di corsa.
Sfruttò il muretto che fungeva da limite del tetto come trampolino, temendo di non arrivare dall’altro lato.
Il salto era stato fin troppo lungo e lui cadde in avanti travolgendo il mitragliere, che cadde masticando un paio di bestemmie.
I due si alzarono appena in tempo per afferrare le braccia di Rak che aveva mancato il salto e rischiava di cadere nella via.
Entrambi si trovarono a soffocare le risate; il basso artificiere era aggrappato a loro con le gambe che calciavano l’aria ed un’espressione più seccata che spaventata sul viso.
Con un enorme sforzo e grazie all’aiuto dei compagni, i due riuscirono ad issare Rak Tay, il quale sbuffò un paio di volte.
-Cefìn soci, me la sono fatta nelle braghe Imperatore boia!-
Trulls e Drake si scambiarono uno sguardo divertito mentre si alzavano per prendere gli zaini lanciati dai colleghi rimasti indietro.
Un boato avvisò le guardie imperiali che qualche nemico era stato fatto a pezzi dagli shrapnel esplosi dalla mina piazzata da Rak.
Voleva dire che restava loro poco tempo prima che il nemico notasse il foro nel tetto e decidesse di ridurre gli edifici attigui in polvere con i razzi.
Non appena si sporsero dal tetto, nella direzione opposta a quella dalla quale erano arrivati, i vendolandiani videro che sotto di loro vi era una tettoia in lamiera ondulata che dava su di una piazzetta circondata da alti edifici, gremiti di pelleverde, i quali si stavano radunando anche nella zona sgombra con la chiara intenzione di attaccare una palazzina dall’aria malconcia.
Il bersaglio, chiaramente il punto dove gli elysiani si erano trincerati, era circondato da un buon numero di pelleverde.
Il Caporale Slunt guardò l’orologio dal quadrante oscurato, che si schiariva solo quando il polso veniva piegato per guardare l’ora, un prezioso dono ricevuto durante la terza guerra di Armagheddon da un Incursore Alfa, le forze speciali del 2584° stormo della Marina Imperialis, gente davvero tosta.
Avevano solo due minuti prima che il loro colpo di mano fosse considerato fallito ed i mortaisti radessero al suolo tutto il complesso; se non fosse stato possibile recuperare gli elysiani, infatti, l’obbiettivo secondario consisteva nell’infliggere al nemico pesanti perdite.
Questo voleva dire che, se non volevano morire tutti maciullati dal fuoco amico, dovevano spezzare l’assedio alla palazzina, rintanarsi li dentro con i paracadutisti e mettere le mani sul loro apparato vox.
Per farlo c’era un solo modo, ma non sarebbe piaciuto a nessuno.
Drake Varn avvertì un brivido gelido percorrergli la spina dorsale quando sentì il Caporale Slunt ringhiare.
-Baionette in canna!-
   
 
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