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Autore: _Nausica    08/04/2017    3 recensioni
Rose Weasley.
Caos e confusione
È il panorama di sempre tra il groviglio indefinito di cugini che la intrecciano in una trama già scritta, e il sigillo di due genitori già brillanti. Un nome incandescente che rischia di plasmarla nel magma dell’anonimia.
Caos e confusione.
È la paura di lasciarsi sommergere dal disordine che le appartiene.
Sembrerà più facile essere trasportata in un mondo dove realtà e inganno si confondono, e quel confine tra fragilità e orgoglio sarà messo a dura prova dal ragazzo, odiato e amato, che irromperà nella sua vita. Costretta ad affrontare quel gioco semplice e affascinante dell’essere in due, farà emergere dal caos il suo significato, il suo reale contenuto.
Finché anche Scorpius Malfoy prenderà forma dentro sé
Dal testo
Il getto di acqua calda la tranquillizzò. Poi le ricordò il calore dei vapori di quella sera impregnare la camicia di Scorpius e spingerla contro il suo petto sicuro; i capelli biondi ricadere sul volto imbronciato; gocce d’acqua accarezzare i suoi lineamenti, seguire il profilo del naso, lambire le labbra sottili.
Avvertì pressione sulle cosce, lì dove lui l’aveva afferrata per lasciarsi imprigionare dalle sue gambe. Per avere la possibilità di toccarla.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Sarà nella solitudine che capirai cosa è giusto fare,
cosa vale la pena tenere e cosa lasciare andare.



 

CAPITOLO VIII
 

Depanneur




 
I giorni successivi alla festa dei Grifondoro furono i più impegnativi che Rose si trovò a vivere da quando era ad Hogwarts.
Le difficoltà iniziavano nel suo Dormitorio, dove ogni mattina veniva svegliata dai pianti isterici di Eloise, seguiti da possibili e impossibili stratagemmi per evitare di mettere piede fuori dalla Torre. Rose era terribilmente curiosa di conoscere la reazione di James in seguito all’accaduto, ma preferì evitare l’argomento. Eloise, quindi, aveva ben deciso di frequentare il Castello il meno possibile, rendendo il filo conduttore tra Rose e Candice sempre più flebile: i pasti si consumavano in un opprimente silenzio, che aleggiava intorno al quartetto come un macigno sulle loro spalle.
  Per Candice ignorare Rose fu ciò che di più naturale potesse fare. Assorbita totalmente da Nott e spalleggiata da Melissa, la quale vedeva nel ragazzo la più grande benedizione sociale che potesse colpire l’amica, sembrava proiettata in un universo parallelo, in cui la Candice che tutti conoscevano, quella dolce e genuina non esisteva più.
  Il cielo terso si colorava di brevi virgole luminose che si infrangevano contro di esso. La quiete di quel manto stellato che rivestiva la Sala Grande era uno degli ultimi spettacoli della bella stagione, mentre il freddo tetro di ottobre sopraggiungeva.
Una ragazzina di Grifondoro le passò accanto, sussultò quando si accorse di lei e si affrettò a porre rimedio a questa sua mancanza, sbracciandosi goffamente per salutarla. Rose le rivolse un falso sorriso entusiasta. Si premurava di essere cordiale ma credeva, dopo tutto quel tempo, di aver smesso di sembrare realmente felice di salutare ogni persona che le passava accanto.
  Gli unici che aveva piacere di vedere quella sera erano gli studenti Serpeverde, con i quali poteva evitare di indossare maschere di entusiasmo, abbandonandosi ad una rincuorante indifferenza davanti alle loro espressioni disgustate.
Erano dei bravi ragazzi, quei Serpeverde.
  Sulla soglia della Sala Grande l’intera scuola aveva ormai preso posto e consumava l’ultimo pasto della giornata nella placida quiete che accompagna il terminare delle lezione Mentre lei lì aspettava il cugino in un’ attesa che le sembrava eterna.
   «Buonasera Rose» pronunciò la voce vellutata di Vincent Nott.
Lei alzò appena la testa nella sua direzione. Un cenno rapido per comunicargli che sì, si era accorta della sua presenza e no, non gli avrebbe concesso di più. Candice al suo fianco esibiva la migliore delle sue espressioni altezzose, o forse l’unica che Rose le avesse mai visto indossare. Strinse la mano del suo uomo e insieme si incamminarono, probabilmente verso le porte dell’Inferno.
  «Problemi in Paradiso, Weasley?».
A proposito di Inferno.
Rose sbuffò un po’ di aria nervosa  e  richiamò alla mente tutti gli incantesimi di schianto dal suo vasto repertorio.
  «Oggi volatilizzati più in fretta del solito» disse, guardando oltre la spalla del ragazzo che lo fronteggiava.
Scorpius Malfoy sfoggiava un’aria trasandata, lasciando che la camicia sfuggisse dal vincolo dei pantaloni e che i capelli volteggiassero disordinati sugli occhi. L’espressione sempre beffarda e vispa consolidava quel minuzioso disegno di scomposta indifferenza, ma i lineamenti raffinati, il taglio elegante dello sguardo, quel naso appuntito, troppo serio e nobile, inficiavano tutto il suo impegno.
Lui non diede peso al consiglio della ragazza «Sbaglio o la tua amichetta del cuore non ti ha nemmeno salutato?».
  «Il giorno in cui ti parlerò della mia vita privata saprò di essere caduta davvero in basso» tagliò corto lei.
  «Pensavo che stessi grattando il fondo già da un po’».
  «Ciò che gratto sono solo i tuoi capelli platinati, Malfoy» disse, evidenziando il concetto con una ben collaudata smorfia di disgusto.
Le labbra di lui si arricciarono in un pigro sorriso. «Sei sempre un fuoco» mormorò con una placidità che rese le parole quasi un sussurro.
Rose sollevò gli occhi al cielo, avvertendo il lento graffiare delle unghie contro i palmi contratti. «Se ti piace il fuoco, ti faccio provare uno dei miei migliori incantesimi» ruggì, mentre il desiderio di prenderlo a pugni divorava le mani frementi.
Albus Potter intanto si esibiva in un rilassato ingresso, varcando le soglie dell’immensa Sala e raggiungendo i due amici con una flemma da Serpeverde, che lo rendeva così simile a Malfoy.
  «Ehi Ross».
La ragazza interruppe ogni più innocente proposito di devastare il volto dell’ultimo discendente della casata Malfoy, per indirizzare la propria ira verso il cugino, mentre lì impalato la fissava, sistemandosi gli occhiali sul naso, con quei suoi capelli indomabili. «Grazie per esserti degnato di venire» sbottò al culmine dell’irritazione.
Si voltò e si diresse verso il luogo più isolato del tavolo dei Serpeverde.
 Albus tirò la manica dell’amico. «Che hai combinato?».
 «Niente» disse Malfoy e poi lo guardò storto  «Perché te la prendi con me?».
Albus lo guardò circospetto. «Perché quando Rose è incazzata ci sei sempre di mezzo tu» disse. Si avvicinarono insieme al tavolo, poi Albus aggiunse «Sparisci adesso. Ceno da solo con Rose».
 «Voi cugini Weasley-Potter dai modi così gentili» rispose con un cipiglio annoiato, prima di avergli dato le spalle.
Rose osservò di sbieco il cugino sedersi di fronte a sé. Alzò impercettibilmente la testa per seguire con lo sguardo Malfoy mentre prendeva posto dall’altro lato della tavolata, accanto a Carter Zabini e a Kate Hastings.
Sentì le viscere contorcersi, il sangue ribollire nelle vene. Non fece in tempo a distogliere lo sguardo irato, che Scorpius Malfoy sollevò l'attenzione su di lei e le strizzò l'occhio.
 «Polpettone?» chiese Albus, porgendole un piatto e una caraffa di succo di mirtilli.
Rose accettò in silenzio e riportò l’attenzione dove il biondo dei suoi capelli splendeva come un faro, ma non incontrò più il suo sguardo.
Albus gustava con trasporto il contenuto del suo piatto mentre la osservava sorridendo, con uno sguardo così presente e insistente da richiamare l’attenzione di Rose.
 «Desideri qualcosa in particolare?» chiese lei.
 «No» disse, continuando a osservarla e a sogghignare compiaciuto.
 «Che cosa c’è?».
Lui scrollò le spalle, ingoiando un grosso boccone. «Nulla».
Il ruminare di Albus si fece sempre più intenso. Rose si stava preparando ad addentare una patatina, quando alzò lo sguardo sul cugino e lo scoprì ancora a fissarla, sorridendo ovviamente.
 «Per le mutande di Merlino, Albus sei snervante» sbottò. Poggiò rassegnata la forchetta, che ancora trafiggeva la patatina. «Se non mi dici che cos’hai giuro che ti uccido» disse con solennità.
Albus non si scompose davanti a quella minaccia.
 «Credevo volessi cenare da sola con me questa sera» disse lui, addentando ancora il polpettone e studiandone il contenuto con fare esperto.
 «Infatti».
Il ragazzo sollevò gli occhi al di sopra degli occhiali e li fisso in quelli della cugina. Tra i pensieri di Rose fece capolino il ritratto di Albus Silente.
Maledetto Albus.
Dopo quella che parve un’eternità, abbassò gli occhi sulle proprie mani congiunte, con fare meditativo e annuì lentamente, poco convinto.
Rose lasciò scorrere qualche secondo che scandì nella propria mente, come gli ingranaggi di un orologio regolano il corso delle lancette. Poi sbottò.
 «Albus!».
Il ragazzo decise di parlare. «Se preferisci posso chiedere a Scorpius di unirsi a noi».
Il cugino la guardava, spalancando i grandi, ammalianti occhi languidi, contornati dalle lunghe ciglia da cerbiatto: l’espressione innocente più irritante che Rose avesse mai visto.
Lei si schiarì la voce e parlò molto lentamente. «Se preferisci posso appenderti alla Torre di Astronomia».
 «Sei sempre più simile a Johanna».
 «E tu a Malfoy».
I due ragazzi si guardarono nel breve silenzio. Poi Albus lo spezzò con un impeto che sapeva più di insolenza Serpeverde che di coraggio Grifondoro.      «Quindi devo piacerti parecchio».
La pagnotta di pane, che riposava nel cestino accanto a loro, fu scagliata come una lancia dalle mani di Rose, attraversò con un tratto letale le due estremità del tavolo, sfiorò la testa del destinatario, prontamente piegato verso il basso, e precipitò alle sue spalle, scomparendo nella folla.
Albus riemerse dai meandri del pavimento, accasciandosi sul tavolo  in una fragorosa risata.
Rose affondò le mani sul duro legno del tavolo e si sporse verso il cugino, guardandolo minacciosa «Ti sei bevuto il cervello?». Le risa del cugino divennero sussulti incontrollati, mentre diverse teste si voltarono nella loro direzione «Finiscila Al».
Il ragazzo raccolse le ultime tracce di ilarità apparse in due piccole lacrime dall’estremità degli occhi e si ricompose. «Scusa, non ho resistito» disse con la voce ancora scossa.
Rose lo guardò profondamente offesa. «Anche tu con questa storia, davvero?».
Albus prese a grattarsi il mento e alzò gli occhi saccenti su di lei «Sono sorpreso, lo ammetto» disse, poi scosse le spalle. «Per lo meno per quello che è successo in Biblioteca e tutta quella storia».
La bocca di Rose si spalancò di diversi centimetri e rimase così per un tratto di tempo talmente lungo che Albus fu costretto ad alzare gli occhi al cielo, sbuffando spazientito e a riprendere la cena in solitudine.
  «Che cosa ti ha detto?» chiese con voce stentata.
Albus continuava ad infilzare con piacere il suo polpettone. «Nulla» biascicò.
 «Albus non ricominciare» implorò lei.
Il ragazzo deglutì e accompagnò il boccone con un lungo, quasi eterno sorso di succo di zucca. Quando tornò alla cugina lei lo fissava con uno sguardo sospeso tra la disperazione e la follia omicida.
 
«Niente» ammise a quel punto. «Scorpius non mi parla di te. A meno che ricoprirti di insulti possa essere considerato raccontarsi a cuore aperto.» spiegò lui.
Rose seguiva appena il vagheggiamento del cugino, mentre la mente avida era pronta a segnalare il primo pretesto per alzarsi e spaccare la faccia a Malfoy davanti a tutto il corpo docenti, con tanto di McGranitt a giudicare l’incontro. Sapeva che le parole del cugino glielo avrebbero rivelato di lì a poco.
 «Smettila con le tue paranoie, Ross» esclamò Albus, in difesa dell'amico. «Ho solo sentito che ne parlavate alla festa dei Grifondoro».
Lei si riscosse dai propri progetti e lo guardò attenta. «Che cosa?» esclamò.
Il ragazzo si schiarì la voce e la abbassò notevolmente, rendendola quasi un sussurro «Se mi vuoi parlare di quello che è successo in biblioteca, io sono qui».
Rose gli riservò un penetrante sguardo truce, che il cugino accolse alzando i palmi delle mani in segno di resa. Afferrò la forchetta che ancora trafiggeva la patatina e divorò questa con rabbia. «Non è successo nulla in biblioteca» ringhiò, premurandosi di riproporre quello sguardo di zia Ginny davanti al quale tutti i maschi Potter fuggivano atterriti.
Albus deglutì e mormorò «E’ evidente».
Passarono diversi secondi di silenzio opprimente. Rose avrebbe voluto sbirciare il comportamento di Malfoy, ma qualcosa nello sguardo del cugino la convinse che quella non sarebbe stata la mossa più saggia per liberarsi dalla sua molesta insinuazione.
Iniziò a maledire quel fatidico giorno in biblioteca in cui qualcosa tra loro era successo e qualcosa in lei era cambiato. Non poteva credere che solo lei fosse stata scossa da quel contatto, che il suo lambire la mano accaldata di Rose, nel modo più sensuale che il suo corpo avesse mai sperimentato, non avesse turbato anche la sua fredda indifferenza.
Lui sapeva sempre come comportarsi, come agire per far crollare le certezze degli altri.
Sapeva demolire anche quelle di Rose, nel gioco spietato e prepotente cui loro avevano dato inizio dal primo anno?
Un gioco che aveva assunto pieghe inaspettate, che era penetrato sotto la pelle, squarciando la carne e trafiggendo il petto. Un gioco che aveva sovvertito ogni regola.
Possibile che lui non ne fosse minimamente scalfito?
La sua risata fresca le annebbiò la mente ed oscurò ogni altro pensiero. Lo osservò piegare la testa all’indietro in un gesto così attraente che Rose desiderò essere lì per accarezzare quei capelli.
  «Se non è successo niente, perché continui a fissarlo?» intervenne Albus con le sue parole rapide e sferzanti, potenti come un secchio di acqua gelata.
Rose odiò il suo sopracciglio alzato e gli occhi semichiusi in un’espressione consapevole. Detestò la sua attenzione, il suo acume, la sua infinita capacità di comprendere gli altri prima che ci riuscissero loro stessi.
  «Dio Albus, dobbiamo parlare di questo per tutta la serata?» sbottò lei, alzando gli occhi al cielo.
Albus le concesse un sorriso indulgente e annuì. «Va bene» disse «Parliamo del perché Joa è la tua nuova compagna di banco?». 
Maledizione.
 

 
- § -
 
 

  «E’ tutta una questione di concentrazione. Mi seguite?».
Diverse risposte affermati fecero da coro alla domanda del professore con un profondo sospiro femminile.
  «L’intenzione della difesa parte dalla mente. Se volete difendervi, potete difendervi» esclamò il professor Perkins, dinanzi al pubblico degli studenti, esibendo le mani in un volteggiare deciso.
Si alzò dalla postazione d’onore che la scrivania soprelevata gli conferiva, la arginò e si posizionò al centro dell’aula, permettendo agli occhi attenti che lo studiavano di non perdere un solo gesto delle sue mani affaccendate. Gli sguardi assorti e sognanti delle studentesse seguirono il movimento del professore, ma, a discapito dell’intenzione di quest’ultimo, il loro interesse era rivolto avidamente a tutt’altro che le sue nobili mani.
  Qualche collo si allungava più di quanto fosse stato concesso al copro umano con squittì gioiosi e malgraditi dai ragazzi, che informavano della loro opinione a riguardo con rantoli cavernosi.
  «Non mi interessa una classe di spettatori» dichiarò il professore. Agitò le suddette mani sceniche, proponendo un elegante ma energico sollevamento dell’aria, seguito, come da consuetudine, da diversi sospiri eccitati. «In piedi».
  Solo alcune tra le ragazze balzarono dalla loro sedia per procurarsi i posti in prima fila. La maggior parte, ancora intontita, abbandonava il viso privo di qualunque forza o contatto con la realtà sul palmo della mano aperto, pronto a sorreggere il dolce peso dell’infatuazione. Quando si riscossero, la corsa frenetica che ne seguì fu pari alla fuga delle anime dalle fauci dell’Inferno.
  «E’ una cosa patetica» dichiarò Malfoy in piedi con le braccia incrociata e le gambe leggermente divaricate in un atteggiamento sfacciato. Arrogante era lo sguardo che occasionalmente rivolgeva ai dettami del professore. Voltò la testa verso l’amico alle sue spalle alla ricerca di sostegno.
  «E’ il mondo femminile» spiegò semplicemente Albus, scuotendo le spalle.
Rose al suo fianco lo incenerì con lo sguardo.
  «E tu che ci fai qua?» le chiese Malfoy, scrutandola dal basso verso l’alto. «Sono sorpreso di non vederti in prima fila, strappandoti la maglietta, tutta eccitata».
Il calcio poderoso di Albus lo colpì sullo stinco e lui si piegò a tastare l’arto ferito, gemendo.
  «Questo è quello che intendevo quando ti pregavo di “non esagerare”» soffiò Albus al suo orecchio, abbassandosi per raggiungere l’amico agonizzante.
Rose si sporse appena per osservare il ragazzo contorcersi dolorante e sorrise clemente, pensando che per quella giornata poteva esonerarsi dal mandarlo al diavolo.
Albus, approfittando della distrazione dell’amico, si rivolse in un sussurro alla cugina. «Sono davvero così identici?» chiese.
Rose lo guardò confusa, poi seguì il suo sguardo e incrociò il volto del professor Perkins e capì. Annuì con espressione seria. «Ti dico che sono la stessa persona».
  L’espressione che si dipinse sul volto di Albus fu di sgomento misto a terrore. Albus era sempre preoccupato per le conseguenze. Di azioni, parole, gesti ed espressioni. Albus esaminava e ponderava, rifletteva e dubitava e forse a quel punto agiva.
  Per questo Rose non si sorprese della sfuriata che lui le scaraventò contro come una tempesta  di vento e fulmini, quando lei ebbe finito di raccontarle la storia del diario e delle sue conseguenze.
  «Se non ci credi te lo posso mostrare» sussurrò Rose, «O meglio, te lo può mostrare».
Il cugino guardava fisso davanti a sé, mordendosi il labbro, nervoso. Le lanciò un’occhiata fugace, sufficientemente eloquente. Non le ci volle molto per capire che non aveva gradito la proposta.
  «Sei totalmente irresponsabile, te l’hanno mai detto?».
Sì, mia madre e … mia madre e lo zio George. Ma non credeva che lo zio intendesse il giudizio in un’accezione negativa.
  Rose gli strinse la mano vicina alla propria «Per questo ho bisogno della tua guida, Sev» mormorò in un sussurro suadente e appena udibile.
Albus si passò stancamente una mano sulla fronte esausta «Non ci provare nemmeno» disse e poi abbassò lo sguardo sulla mano delicata e candida di lei, che lo stringeva in una muta, intima richiesta di protezione. «Mi limiterò a tenere d’occhio Vincent, se questo può tranquillizzarti».
  «Sarebbe fantastico» disse Rose in un sospiro.
  «Vincent è mio amico, Rose».
  «Lo so».
Gli occhi di lui si inabissarono in quelli azzurri di lei, ma erano fermi e severi. «Vacci piano». Rose annuì in silenzio e sciolse l’intreccio delle mani.
  Una risatina sommessa e acuta la informò che Kate Hastings era stata scelta dal professore per dare prova alla classe di come si praticasse un perfetto incantesimo di disarmo. Rose fece un paio di passi in avanti e si fermò accanto a Malfoy.
  «Adesso avrai un buon motivo per odiare Perkins» disse lei, senza staccare gli occhi dalla Hastings che portava una mano a coprire la bocca e uno squittio, in un gesto civettuolo e sensuale.
  Lui la guardò di sbieco, un po’ confuso, quando la vide avvicinarsi e piegò le labbra in un mezzo sorriso al suono delle sue parole. «Che c’è, sei gelosa Weasley?».
  «Di chi dovrei esserlo?» domandò con tono di sfida.
Riportò gli occhi sulla figura di Perkins e indugiò su di essa con ostentazione, non prima di aver visto la sorpresa invadere gli occhi freddi di Malfoy, poi il dubbio e una sfumatura di rabbia che li aveva fatti vibrare, mentre ancora la fissavano.
Lui tornò a guardare Perkins con maggiore odio.
 
Il dormitorio di Grifondoro era deserto alle 4 del pomeriggio, dopo la lezione di Difesa.
Rose si barricò nel proprio letto, chiudendo le tende del baldacchino, come i cancelli di una fortezza. Avvolta nelle cortine rosso fuoco, liberò il diario di Penelope da quel vincolo di segretezza e vi si inabissò.
Penelope setacciava i corridoi bui del Castello, la spilla da Prefetto ben in vista. Procedeva con passo spedito, sembrava smaniosa di terminare la ronda il prima possibile. Con la bacchetta stretta in pugno illuminava le aule vuote senza guardarle veramente.
  Rose avvertì un rumore proveniente dal fono del corridoio. Penelope allarmata alzò la bacchetta ma proseguì in quella direzione senza il minimo indugio. Qualcuno la afferrò per le spalle e lei lanciò un urlo, voltandosi di scatto. Rose si avvicinò per vedere meglio il viso di Isidore illuminato dalla bacchetta.
  «Davis, potrei procurarti una bella punizione. Non dovresti andare in giro a quest’ora di notte».
  «Ne è valsa la pena, di correre il rischio» lui le accarezzò le braccia e la attirò a sé «Sapevi che sarei venuto».
Una smorfia seducente seguitò quell’invito e lei non esitò nella sua provocazione «Ci speravo» disse in un sussurro.
  Isidore si avvicinò maggiormente alla ragazza ma questa si ritrasse con un sorriso. Lui la guardò confuso e lei gli prese la mano senza parlare. Si guardò intorno ed entrò nella prima aula vuota che riuscì a raggiungere. Lì dentro al buio, poggiò le labbra su quelle del ragazzo, mentre lui la conduceva verso il muro più vicino e a questo la bloccava con il proprio corpo.
I due ragazzi iniziarono a muovere le labbra più freneticamente, bramando altri baci, mentre le loro mani esploravano il corpo dell’altro.
  «Non immagini quanto ti desideri» sussurrò Isidore all’orecchio di Penelope mentre con le labbra percorreva i tratti del collo fino a raggiungere il petto. La ragazza piegò la testa di lato per agevolare il percorso della sua bocca e inarcò la schiena quando lui fece combaciare perfettamente i loro corpi. Isidore la sollevò per le natiche e la fece sedere su un banco continuando a baciare ogni singola parte del suo viso.
  L’eco di passi li fece separare di colpo.  Penelope aprì di poco la porta mentre Isidore si riallacciava la camicia. 
  «Dobbiamo andare. Sta arrivando qualcuno» bisbigliò lei e insieme percorsero il corridoio in silenzio.
Un miagolio li fece sobbalzare: la gatta di Gazza li guardava con i suoi grandi occhi e miagolava per chiamare il padrone.
  «Mrs Purr, dove sono?». Risuonò la voce gracchiante del custode.
I ragazzi corsero freneticamente, ridendo all’immagine del vecchio custode che si affaticava alle loro spalle. Raggiunti i sotterranei, Penelope lasciò un bacio frettoloso sulle labbra di Isidore.
  «Dove pensi di andare?».
Isidore le afferrò la mano e la fece tornare tra le sue braccia. Lei accetto volentieri le sue labbra morbide e la lingua che lambiva dolcemente le proprie.
  «Devo andare».
  «Non stanotte».
Senza abbandonare le labbra di Penelope, aprì l’ingresso della Sala Comune di Serpeverde e la trascinò con sé.
 
Improvvisamente le immagini si confusero tra loro e Rose perse di vista i due ragazzi.
Ritornarono nitidi nel prato del campo da Quidditch, cosparso di foglie autunnali. Rose capì che questa serie di ricordi erano precedenti a quello che aveva visto la prima notte.
  «Lo devo ammettere, sei davvero negata».
Isidore era disteso sull’erba, le braccia dietro la testa e con un ghigno divertito guardava la ragazza che si divincolava su una scopa.
  «Come osi?» esclamò «La scopa si è alzata in aria, non vedi? Sto volando» disse lei entusiasta.
Isidore scosse la testa divertito «Sì, se stessi andando su un’altalena» dichiarò e poi si piegò sui gomiti per meglio osservare la scena e conferirsi un certo tono. «Chiudi le gambe, incurva la schiena. Le mani  più avanti e raddrizza i piedi».
Penelope cercò di seguire tutte le correzioni e per poco non perse l’equilibrio. La risata di Isidore contribuì ad accrescere il suo imbarazzo.
  «Per carità scendi, sei un’offesa per ogni manico di scopa. Persino quelle della scuola sarebbero imbarazzate se ti potessero vedere» sghignazzò lui.
  «Perché non mi aiuti invece di stare lì a fissarmi?». Penelope toccò terra rassegnata e si avvicinò al ragazzo brandendo la scopa come un’arma. «Mi inibisci e mi irriti con i tuoi commenti» si lamentò. Quando tentò di colpirlo, lui bloccò il colpo, afferrò il manico e lo tirò verso di sé, lasciando che la ragazza atterrasse sul suo corpo.
  «Perché sei troppo carina quando ti impegni in qualcosa che non sai fare» sussurrò.
 Invertì la posizione e si sistemò sopra la ragazza, baciandole il collo.
  Penelope scoppiò a ridere e tentò di allontanarlo.«Vai via, sono ancora arrabbiata con te» esclamò, in un vano tentativo di ristabilire il suo contegno.
Lui abbandonò il collo e passò a sfiorare delicatamente le guance con le labbra.
  «Ti prego non smettere di ridere, credo di non poter vivere senza il suono della tua risata e il profumo della tua pelle ... » iniziò ad annusarle il collo «... e il sapore delle tue labbra» e su di esse si fermò.
  «Sei sempre il solito» disse Penelope con un sorriso che coinvolgeva anche i suoi occhi solitamente freddi. Con la mano vagava fra i capelli del ragazzo, lasciandoseli scorrere fra le dita.
  «Quale incantesimo mi hai fatto? Mi hai rubato il cuore e l’anima ».
Rose fu certa di aver colto gli occhi della ragazza illuminati da una luce di beatitudine prima che le immagini si confondessero nuovamente.
 


 
- § -
 

 
Quella coltre buia tempestata di stelle rischiarava l’oscurità della biblioteca, trafiggendo le ampie vetrate con i suoi mosaici di colori incastonati.
  Rose strinse con forza le dita intorno ai cerchi dorati del portone di quercia antica. Poi rilassò le mani e sciolse la stretta. Fece qualche passo indietro, ma si riscosse subito e avanzò nuovamente. Le mani tornarono ad avvolgere il ferro gelido degli anelli, ma indugiarono ancora un po’. Forse un po’ troppo perché qualcuno dall’interno spinse le due ante, che le finirono addosso e lei fu costretta a ridestarsi e a farsi forza.
  A quel punto non poteva più tirarsi indietro, perché Malfoy, poggiato contro il tavolo in fondo al corridoio, la stava guardando. Agitava la bacchetta con una noia sfacciata e lasciava che gli utensili disposti disordinatamente sul tavolo si affaccendassero nell’accurato compito di esaminare la pianta di Centinodia.
  Madama Pince scrutò perplessa la marcia dignitosa di Rose verso il tavolo, a suo dire troppo vigorosa per essere ammessa nella culla della sapienza e della riflessione. Il suo volto si contorse in un’espressione oltraggiata quando Rose scaraventò la propria borsa e tutto il suo pesante contenuto sul tavolo, dove lo spettacolo inscenato dal ragazzo proponeva la stessa quiete che si sarebbe avuta ad una festa di paese.
  Malfoy, che intanto aveva seguito con lo sguardo i suoi sfrenati movimenti, sobbalzò e lasciò andare l’incantesimo che sorreggeva gli oggetti animati, i quali caddero al suolo con un tonfo improponibile.
Il gemito di dolore della bibliotecaria li convinse a prendere posto, per riproporre una parvenza di ordine.
Rose prese a frugare nella sua borsa, tirò fuori una dozzina di fogli di pergamena che affiancò ad un grosso libro e iniziò a confrontarli. Poggiò davanti a sé una grossa clessidra, che scandiva il tempo attraverso l’inevitabile corsa dei suoi granelli di sabbia.
  «Buonasera anche a te» mormorò Malfoy in un sussurro morbido e fermo.
Rose alzò la testa dalla pergamena solo per afferrare un altro libro. Condusse per un istante i propri occhi ad incontrare quelli di lui, ma ritornò l’attimo dopo alle proprie faccende.
  Eccone un altro che la salutava come se nulla fosse accaduto, proprio come Nott il giorno prima.
Questi ragazzi Serpeverde mi faranno diventare matta.
  Malfoy sbuffò ed emise un verso altezzoso, evidentemente indignato da quel trattamento. Rose provava particolare piacere nel constatare la debolezza del suo tentativo di palesare indifferenza, quando i geni di altera superiorità prendevano il sopravvento.
  «Fa’ come vuoi, Weasley» sibilò gelido.
Rose arrestò la corsa frenetica della piuma sulla pergamena, davanti a quella che aveva tutta l’aria di essere una minaccia. Lentamente arrivò a fissare il volto rilassato di Malfoy, ma ovviamente lui non la guardava.
  «Non mi è mai servito il tuo permesso per farlo».
Lui alzò gli occhi al cielo «Questo lo so benissimo».
  Rose grattò con la punta della piuma l’estremità più scura della pergamena, lasciando piccole tracce del proprio nervosismo «Almeno hai fatto qualcosa di utile in mia assenza?»
  Malfoy indicò la pianta e tutta l’attrezzatura che la circondava «Questo ti sembra niente? Ho monitorato Petunia e le ho versato il Composto per la Rigenerazione come avevamo stabilito l’ultima volta» chiarì lui, guardando fiero il proprio lavoro. «Tra una mezz’ora potremo iniziare ad osservarne gli effetti».
  «Non ci sarà bisogno di aspettare».
  «Come?».
Rose continuava a sfogliare le pagine del tomo di Erbe Fantastiche & Dove Trovarle. Rilesse un paio di volte un concetto particolarmente difficile e poi pensò di rispondere alla domanda del suo compagno di studio. «L’ho già fatto io questa mattina».
  «Come?» disse con un tono di voce sempre meno simile ad un sussurro.
  «Sei ripetitivo Malfoy e abbassa la voce, disturbi la gente».
Rose vide con la coda dell’occhio le dita chiudersi a pugno, mentre i muscoli del braccio si contraevano sotto la leggera camicia.
  «Perchè diavolo non mi hai avvisato?». Le iridi verdi si accesero di una luce irata, sciogliendo il ghiaccio che le intrappolava.
Rose sbuffò e si girò verso di lui con aria seccata. «Perché a te non importa di niente e di nessuno. Affidarti una responsabilità è stata la cosa più stupida che abbia fatto» disse lei, mentre avvertiva il calore raggiungerle le gote e colorarle. Respirò profondamente e concentrò la tensione sui piedi, che presero a tamburellare sotto il tavolo.
Malfoy si abbandonò sulla sedia e si fermò a guardarla sorpreso.  «Si può sapere che cosa ho fatto questa volta?».
La prima risposta di Rose fu un grugnito. Poi arricciò le labbra e biascicò un severo «Niente».
  «Forse saresti un po’ più convincente se riuscissi almeno a guardarmi».
Lo sbuffo con cui Rose mise un punto alla prima pagina di pergamena fu carico di irritazione. Si voltò verso Malfoy e lo trovò completamente disteso contro la sedia, mentre un braccio era inaspettatamente finito ad avvolgere lo schienale di Rose. Si premurò di rivolgere un’occhiataccia all’arto che le sfiorava le spalle e gli rispose «Niente di nuovo, Malfoy».
  Lui soffiò una risata scettica, poi si passò una mano incerta tra i capelli. «Non posso credere di stare facendo una conversazione del genere con te» disse. Rose intanto era tornata a dedicare la propria attenzione al libro di Erbologia. Il ragazzo si piegò verso di lei e con un unico, deciso colpo lo chiuse davanti al suo sguardo allibito. «E’evidente che il tuo niente voglia dire che ce l’hai a morte con me».
  Rose lasciò che le sue labbra si dischiudessero in un’espressione sbigottita, mentre lo guardava come se fosse impazzito. «Già, allora è tutto nella norma» disse lei. «Perché d’un tratto ti interessa?».
  «Perché tu fai di tutto per farmelo pesare» disse lui, guardandola con serietà. Si sporse ancora di più verso di lei e quando furono abbastanza vicini, sussurrò «Stai chiedendo attenzioni».
  «No, non è vero» protestò lei. Una mano si poggiò sul suo petto duro, accarezzando le pieghe del maglione e con forza lo spinse via da sé.
Questa volta la sua risata fu più potente e il suo suono fresco scompigliò i pensieri di Rose.
  «Sei irritante e impossibile, lo sai?» sospirò lui con un sorriso divertito a dipingergli il volto. «Sei più irritante di tutte quelle che mi fanno scenate da fidanzate o mi perseguitano alle festa ...».
  «Sì ti prego, ricordamelo ancora» sbottò lei con un tono di voce che non riuscì a controllare. La testa di Madame Pince comparve tra due scaffali, portando con sé uno sguardo ammonitore e facendo sobbalzare Rose. Solo in quel momento realizzò di aver dato voce ai propri pensieri.
  «Cosa hai detto?» esclamò Malfoy.
  Il panico iniziò a divorarla come una lenta e cocente lingua di fuoco, che dal pavimento si sprigionava infuocandola tutta.  Prima che raggiungesse le sue gote traditrici, allontanò da sé quei due occhi beffardi e assunse un’aria indifferente.
  Aprì nuovamente il libro e con un estremo sacrificio cercò di decifrare le parole incomprensibili che le saettavano davanti agli occhi, mentre lo sguardo insistente di Malfoy la conduceva sempre più lontano dalle Capacità Straordinarie della Pianta di Centinodia.
  Le dita delicate del ragazzo le accarezzarono il braccio per richiamare la sua attenzione. Il proprio balzo inaspettato e lo schianto della sedia contro lo scaffale alle proprie spalle furono la prova che l’autocontrollo di Rose stesse cedendo sempre di più.
  «Devi smetterla di fare così» urlò.
  «Così come?» chiese lui. «Che cosa ho fatto?».
Madama Pince sembrava aver superato il livello di tolleranza e si manifestò da dietro uno scaffale con tutta la propria alterigia. Sembrò particolarmente turbata nel constatare quel comportamento molesto da parte della sua alunna preferita. «Signorina Weasley, per tutti i Calderoni!» brontolò, aggiustandosi con mano tremolante gli occhialetti sopra il naso adunco. «Non vorrà costringermi a cacciarla».
  Rose, in piedi davanti alla sedia rovesciata, le rivolse uno sguardo vitreo.
La bibliotecaria la guardò preoccupata, poi si affacciò dietro le sue spalle per scorgere la figura di Malfoy tutto rilassato, stravaccato sulla sedia ad osservare lo spettacolo. Soffiò un gemito indignato, scuotendo la testa, prima di allontanarsi.
  «Siediti, squilibrata» fece lui, indicandole la sedia che cingeva con un braccio.
La ragazza studiò a malincuore le pieghe della camicia in tensione, mentre avvolgevano il suo braccio forte. Quella mano, protesa verso di lei, era più grande di qualche anno fa e lungo il dorso si distendeva una chiara peluria: era una mano da uomo.
  Le dita di Rose si chiusero sul suo avambraccio in una stretta istantanea e cocente; lo ricacciò verso il resto del suo corpo e si impossessò nuovamente della propria sedia, che si premurò di allontanare di qualche centimetro.
  Malfoy si schiarì la voce con una bassa risata. «A costo di rischiare qualche maledizione, io ho bisogno di dirtelo» sussurrò lui. «Tu sei tutta matta»
La rabbia tradì ogni suo proposito e si voltò a guardarlo. «Sei coraggioso per essere un Serpeverde».
  «Ho i miei momenti».
I granelli di sabbia iniziarono a farsi sentire, precipitando verso il fondo di vetro con un lieve tintinnio. Il tempo stava trascorrendo ad un ritmo troppo celere, mentre loro, avvolti dalla polvere degli alti scaffali e soffocati dal silenzio doveroso, pensavano a tutto fuorché al loro compito.
  Malfoy riprese a fissarla intensamente; le candide mani di Rose voltavano le pagine ingiallite; lo sguardo di lui premeva con insistenza, mentre le dita di lei tradivano irrequietezza.
Rose lasciò abilmente che i capelli le danzassero sul viso, solleticandone la guancia arrossata e in un attimo tutto il suo imbarazzo fu celato. Non avrebbe mai potuto prevedere le sue dita scattanti che si avvolgevano intorno a quelle ciocche del colore dell’autunno, per riporle con una cura meticolosa dietro all’orecchio.
  «Malfoy, ma che fai?» sbottò lei più sorpresa che infastidita. «Smettila di toccarmi, smettila di fissarmi, smettila di fare il cretino» Il suo tono di voce quasi stridulo tradiva il disagio che provava.
  «Sei arrossita».
Rose strabuzzò gli occhi. «Non mi farò domande sul tuo strano interesse epidermico...».
  «Perché sei arrossita?» domandò senza veramente attendere una risposta.
Rose chiuse il libro che inutilmente aveva tentato di decifrare e si voltò con sguardo arcigno. «Ho la pelle molto sensibile e la polvere la fa irritare» sbuffò. «Puoi aggiungerci che la tua presenza è una considerevole fonte di stress».
Il ragazzo rise di gusto e annuì soddisfatto. Poi si grattò il mento con l’indice e il medio, in un gesto che non aveva nulla di artificioso, ma che chiariva una sottile tensione. «Oppure io ti piaccio» buttò fuori in una risata stentata.
  I suoi occhi si piantarono su di lei con avidità e Rose li sentì infiammarle la pelle e penetrare nelle sue iridi stravolte. Lo sgomento la confuse, tanto che rimase imbambolata per troppo tempo, non sapendo quale strategia adoperare. Infine assunse un’espressione inorridita dinanzi a quell’aria superba e convincente, e decise di proseguire su quella strada. «Ti hanno mai diagnosticato un grave e degenerativo danno cerebrale?».
  Lui non sembrava sorpreso da quella risposta, piuttosto rimase in silenzio, come riflettendo su tale possibilità, poi aggiunse in un sussurro «E’ assurdo».
  Rose si lasciò sfuggire un impercettibile sospiro di sollievo. «Vedo che la ragione non ti ha abbandonato del tutto» disse. «Questa è una fortuna, perché il fatto di avere un decerebrato per compagno di studi, non credo possa bastare ad Arrows come giustificazione per la nostra inconcludenza».
Il silenzio fu la sola risposta che ricevette, mentre lo sguardo del ragazzo era ancora perso nel vuoto.
  «Io non sono mai stato serio» disse infine.
  «Ho avuto modo di appurarlo in questi anni».
  «Non sono mai stato serio» continuò, non prima di averla messa a tacere con uno sguardo. «quando ho insinuato un tuo interesse nei miei confronti. Lo facevo solo per irritarti» disse, tornando a fissarla con la stessa intensità con cui si interrogava.
  Rose sostenne il suo sguardo senza battere ciglio. «Vuoi un premio per questo?» disse. «Rimani un idiota e uno stronzo e non mi congratulerò con te solo perché mi stai rivelando di aver conservato un barlume di lucidità» sibilò, portando le braccia ad incrociarsi al petto.
  Malfoy sembrò non averla sentita. Poggiò il braccio sul tavolo, avvicinandolo tanto che Rose lo ritrovò all’altezza del proprio seno. Insieme ad esso protese il busto, arrivando al margine dalla propria sedia, così che non ci fossero ostacoli ad impedirgli di guardarla attentamente. Quando lei sciolse le braccia, la mano che andò a poggiarsi sul tavolo fu intercettata dalle dita del ragazzo, in un tocco appena accennato. Solo nel momento in cui quelle dita esitanti provarono ad approfondire il contatto, Rose si allontanò e balzò in piedi.
  «Ti piace fuggire da me?».
Rose si accostò allo scaffale dietro di sé e si voltò per non vedere Malfoy mentre si alzava. Lo avvertiva dietro di sé, anche se non sentiva né i passi, né il tocco, né il respiro.
  Con le dita sfiorò il dorso delle copertine di tanti libri che sfilavano tra i suoi polpastrelli; cercò di calmarsi in questo modo, respirando lentamente, ma non udiva altro che il palpitare del proprio cuore impaurito. Lui sapeva e la avvertiva che il proprio nemico, il loro nemico, era lì e lei gli offriva le spalle inermi.
  Decise di voltarsi ad affrontarlo, e di riprendere il controllo di se stessa, riportando quell’opprimente senso di impotenza ad essere solamente un ricordo del suo primo anno ad Hogwarts.
  Quando incontrò il suo volto, questo era terribilmente vicino al proprio. Gli bastò compiere un passò perché Rose indietreggiasse e andasse a sbattere contro la libreria, bloccata tra essa e il ragazzo che avanzava.
  «Fai un altro passo e ti ammazzo».
Lui piegò le labbra in un flebile sorriso sghembo, come se i muscoli facciali avessero agito istintivamente al suono della sua voce, ma gli occhi rimasero seri ed assorti completamente nella contemplazione del suo volto, dei suoi capelli, che sfiorò, lasciandoseli scorrere tra le dita, accarezzandoli e compiacendosi dell’espressione beata di lei.
  «Posso farti una domanda?» chiese, mentre poggiava la mano contro lo scaffale, all’altezza della testa di lei.
La sua fronte bianca arrivava proprio sotto le labbra di lui, ma la ragazza inclinò il capo all’indietro così da non perdere di vista i movimenti di Malfoy.
  Lui guardò il legame cromatico che la luce tenue instaurava tra quelle onde rosse, calde e affondò il naso tra di esse, inspirandone l’odore buono, fresco, un odore di shampoo e di bambina: era un odore innocente e delicato, un vero contrasto con l’aggressività di quella chioma.
Rose non si ritrasse da quell’intimità, per la prima volta chiuse gli occhi e lasciò che lui fosse padrone del proprio corpo. Annuì lievemente, attenta a non perdere il suo volto tra i propri capelli.
  La voce di Malfoy era un sussurro che le solleticava l’orecchio. «Pensi ancora di volermi ammazzare?» Quel soffio caldo e sensuale le fece girare la testa e per poco non le sfuggì un gemito.
Una gola gracchiante le giunse all’orecchio libero e si interpose tra la mente di Rose e il sospiro di Malfoy.
  «Scusate l’interruzione» pronunciò una voce dura e profonda.
Rose tornò alla realtà con una velocità che Malfoy non accettò di buon grado, considerando che si scostò svogliatamente e si pose di fronte al disturbatore, palesando, senza troppe remore, la propria irritazione.
La ragazza spalancò gli occhi e arrossì violentemente quando distinse la figura alta e severa di Isidore, che vestiva i panni del professore intransigente come mai prima di allora. Stringeva tra le dita un piccolo libro, di lettura probabilmente, le cui pagine erano interrotte dall’interferenza di un suo dito, messo lì per non perdere il filo della narrazione.
  «Forse non vi siete resi conto che questa è una biblioteca.» disse duramente. «Qui si viene per studiare. Se dovete fare altro, accomodatevi fuori».
Rose, ancora appoggiata alla libreria, non riuscì ad incontrare quel volto irrigidito. Si allontanò il più possibile dal ragazzo accanto a sé, come a voler negare ogni tipo di coinvolgimento: non sapeva se la mortificasse di più il fatto di essere stata trovata in quel modo con Malfoy o che a scovarli fosse stato Perkins.
  «Per questo ci troviamo qui» rispose prontamente Malfoy con una sicurezza più simile all’arroganza che alla sfacciataggine. «Per studiare» disse, incrociando le braccia al petto.
Nonostante l’innata compostezza del ragazzo, Rose non si sarebbe meravigliata nel vederlo strapparsi la camicia e scuotere il petto con i pugni tesi, in una dichiarata prova di superiorità fisica rispetto al rivale.
  Le iridi ambrate del professore furono coperte da un’ombra, mentre i lineamenti disegnarono una smorfia scettica. «E’ uno studio molto appassionato».
Malfoy scrollò appena le spalle e piegò il bracciò verso la direzione di Rose «Ti fa appassionare proprio a tutto».
  Quelle parole sapevano di succulenta provocazione e caricano l’aria di una energia fervente e soffocante, tanto che Rose avvertì i brividi lungo il dorso delle braccia, fino ai capelli che poco prima avevano accolto il suo volto; e nuovamente quella morsa stringente al basso ventre sembrò divorarla tanto da farle male.
  «Allora spero che non le manchi mai lo stimolo, signorina Weasley» disse, guardando Rose per la prima volta.
  «Questo non è affar suo». Fu la voce fredda di Malfoy a replicare.
Isidore si voltò lentamente verso di lui e lo guardò sorridendo. «Sta parlando con me, signor Malfoy?».
  Questa volta lui non rispose. Ignorò quell’irritante modo di trattenere il respiro che aveva la ragazza quando fremeva dal bisogno di dire la propria; piegò le labbra in un linea dura, tenendo per sé ogni replica.
  «Professore» intervenne Rose con voce serafica. «Stiamo svolgendo un compito per il professor Arrows, è una punizione in realtà» si affrettò a spiegare. Era una giustificazione la sua?
  «Forse una sola punizione non è sufficiente per farvi capire qual è il giusto comportamento» disse lui guardando ancora Malfoy.
  «Professore la prego, ci dispiace molto».
Questa volta Rose aveva compiuto qualche passo nella sua direzione, volgendo le spalle verso Malfoy ed estraniandolo da quella complicità che esisteva solo tra lei e il professore.
  Isidore, come Rose si aspettava, si addolcì. «Perché non terminate qua il vostro studio e uscite dalla biblioteca? Io farò finta di non aver visto niente» disse.
Qualcosa richiamò l’attenzione della ragazza, non appena le ultime parole del professore si ebbero dissolte nell’aria: Vincent Nott li guardava da lontano, sostava in attesa sulla soglia del portone, avvolto dall’ombra del corridoio e solo fiocamente illuminato dalla lanterna della biblioteca, creando un’immagine spettrale.
  Rose annuì brevemente e ritornò al proprio tavolo. Si scontrò con lo sguardo di ghiaccio carico di collera di Scorpius Malfoy.
Lui poggiò una mano sul libro di Erbologia e lo trattenne dalla presa rapida della ragazza. «Non ho intenzione di andarmene» disse con risolutezza, esigendo lo sguardo di Rose, non sbattendo quelle lunghe ciglia ambrate.
  «Se almeno questo è affar mio, signor Malfoy, le consiglio di seguire le decisioni della sua amica» continuò Isidore in un sussurro beffardo. «A proposito, 15 punti in meno a Serpeverde: non avrò visto niente, ma ci sento benissimo.» disse, prima di riporre il libro che ancora stringeva tra le mani e scomparire tra gli scaffali.
  Rose si affrettò a riporre il proprio materiale nella borsa, ma la mano grande e irrigidita di Malfoy afferrò la tracolla con un gesto brusco, facendo rivoltare alcuni tra gli oggetti. «Un giorno di questi dovrai dire addio al bel faccino del tuo ragazzo» ringhiò.
La ragazza gli rivolse un’occhiata truce e tirò nuovamente verso di sé la borsa, senza riuscire però a liberarla dalla sua presa. «Non è il mio ragazzo, idiota»
  Lui con estrema indulgenza allentò la forza della stretta, per concedere a Rose quella piccola vittoria, ma si assicurò di non perdere il controllo dell’oggetto o della questione. «Secondo te perché mi ha tolto tutti quei punti?».
Rose avvertì il calore tingerle le gote. Afferrò la borsa di Malfoy e gliela lanciò, quindi sistemò Petunia sul davanzale. «Perché non puoi fare a meno di sfidarlo a chi ha la bacchetta più lunga».
  Malfoy seguiva facilmente la sua rapida corsa verso l’uscita. «Vuoi dire che ce l’ha più lunga lui solo perché ha dalla sua il potere?» chiese lui, proprio mentre sfilavano sotto lo sguardo di Madama Pince diviso tra la preoccupazione e l’indignazione. Si risistemò gli occhialetti sul naso, decidendo, in ultima analisi, che il sollievo di essersi liberata di loro inficiasse persino la loro sconcezza.
  Arrivati davanti al grande portone, Rose si bloccò e si sposto per permettere a Nott di entrare.
  «Buonasera»
  «Ciao Vins».
Nott storse il naso nell’udire quel diminutivo che, a quanto sembrava, non doveva essergli molto gradito. Questione alla quale Malfoy, come da previsione, non dava alcun peso.
  «Cosa fate qua?» chiese Nott.
  «Studiamo, è una biblioteca. Cos’altro vuoi fare?» intervenne Rose, aggressiva.
Il silenzio interminabile che nessuno dei due interlocutori si premurò di colmare la disse lunga su quanto fosse cospicua la lista delle attività da svolgere in una biblioteca.
  A conferma dei sospetti di Rose si aggiunse l’affermazione di Nott, che la guardò come se dubitasse del suo quoziente intellettivo. «Mi riferivo al fatto che vi trovate qui insieme».
Rose, sentendosi come se fosse stata appena scoperta a girare un film porno, decise all’istante che non avrebbe più messo piede in biblioteca.
  «L’intento era quello di studiare» si aggiunse l’annoiata voce di Malfoy.
  «E l’esito?».
  «Beh …» cominciò il ragazzo.
  «Quello di perdere tempo» sbraitò Rose, sempre più indignata dalla tranquillità con cui si stava affrontando tale questione.
Nott annuì con un breve movimento del capo, e storse il naso in un’espressione regale che gli conferì l’assoluta certezza di aver ben compreso la faccenda. Una volta appurato ciò, si allontanò senza degnarsi di salutare nessuno o di avvertire del proprio congedo. Rose sbuffò spazientita, chiedendosi ancora una volta cosa spingesse Albus ad essergli amico.
  Credendo che fosse un atteggiamento abituale tra i Serpeverde, si mise alle calcagna di Nott, senza premurarsi di avvertire Malfoy del proprio cambio di programma, ma a quanto sembrava, le regole della maleducazione non avevano alcuna valenza per lei.
  «Weasley, dove diavolo vai?». La voce spazientita del ragazzo la bloccò e lei si voltò a guardarlo, mentre attendeva fuori dalla biblioteca.
  «Senti Malfoy, ho delle faccende da sbrigare. Prenditi il resto della serata libera».
Rose ripercorse il lungo corridoio sotto lo sguardo ora decisamente allarmato di Madama Pince, che si tolse definitivamente gli occhialetti e passò un fazzoletto umido sul volto accaldato.
  Rose setacciò con discrezione ogni meandro della biblioteca, sbirciò verso tutti i tavoli, ricevendo occhiate astiose dagli studenti. Infine individuò Nott in fondo ad un corridoio, intento a discutere animatamente con Isidore. Si intrufolò nel corridoio adiacente, nascondendosi tra numerosi libri e da lì cercò di ascoltare la conversazione.
  Una voce alle proprie spalle la fece sobbalzare e per poco non liberò un urlo di terrore. «Che cos’hai tu che non va?» chiese Scorpius Malfoy, appoggiato contro lo scaffale opposto, le braccia incrociate al petto, mentre con lo sguardo la studiava incuriosito.
  «Malfoy, che cosa ci fai qui?» sbraitò Rose, una mano ancora sulla bocca per soffocare lo spavento. «Vattene via».
Lui sorrideva divertito nel vederla paonazza e spaventata. «La curiosità mi sta divorando: ho bisogno di sapere perché sei accovacciata in quel modo ridicolo».
  La ragazza sbuffò sonoramente, poi, nell’arco di qualche secondo, prese una decisione istintiva, folle e, molto probabilmente, del tutto sbagliata. Non sapeva se fosse stata guidata dall’esigenza del momento o dal bisogno di abbandonarsi ai propri impulsi, ma in quei pochi istanti che la situazione le aveva concesso ebbe solo il tempo di porsi una breve domanda e si rispose che non desiderava altro.
  Afferrò Malfoy per il braccio e lo trascinò accanto a sé, in un angolo del corridoio, contro la parete della libreria, si rannicchiò accanto a lui, per nascondere i loro corpi.
  «Ti odio» sussurrò al suo orecchio.
Estrasse con delicatezza un paio di libro, creando un’apertura che offriva una chiara visuale sulla conversazione che si stava tenendo nell’altro corridoio.
  «Non ci posso credere» mormorò lui indignato. «Stiamo spiando quell’idiota».
  «Sei tu che mi hai seguito».
  «Sei davvero una disperata, Weasley» disse lui inferocito.
Rose poggiò una mano sulla sua bocca. Voleva metterlo a tacere e allo stesso tempo necessitava di percuoterlo o semplicemente di toccarlo, per dare sfogo alla propria irritazione. Lui sgranò gli occhi sorpreso, poi afferrò la mano resistente e con essa l’altro braccio, provocandola affinché perdesse l’equilibrio.
  In quello stretto angolo si ritrovano ad inscenare una tenue e buffa lotta avvolti dal silenzio denso di tensione, che si ricompose solo quando Rose atterrò con il sedere sul pavimento.
  «Allora, quanto ci vorrà ancora?». La voce dura di Isidore si era fatta più acuta, incrinata dal nervosismo.
  «Forse un mese, non so dirtelo» fu la risposta di Nott. Il ragazzo non guardava il suo professore ma era poggiato su un tavolo e sfogliava un libro svogliatamente.
  «Un mese è troppo».
Nott continuava a voltare le pagine. Inarcò le sopracciglia e sorrise scettico. «Tu non hai idea di quanto sia difficile» disse con voce asciutta. «Ti sei dimenticato che devo rubare dalle scorte di Madama Chips e di Arrows?».
  «Parla piano» Isidore si guardò intorno, la fronte imperlata di sudore. Gli si poteva leggere negli occhi l’agitazione crescente ogni volta che Nott parlava. «Io non ce la faccio più, sono costretto a rimanere in infermeria di notte, fingendo qualche malanno».
  «Farò quanto prima» replicò semplicemente il ragazzo. «Per quanto riguarda l’altra faccenda, ci sono novità?»
  «Ci sto lavorando» disse Isidore e questa volta il suo tono di voce era più freddo.
  «Cosa vuol dire che ci stai lavorando?». Il solito volto inespressivo di Nott si contorse, la mascella si irrigidì.
  «Che ci vuole del tempo per verificare quello che mi hai detto.» rispose Isidore «Adesso ho una lezione da preparare, se mai riuscirò a tenerla».
Isidore afferrò la propria borsa dalla sedia e si allontanò dal tavolo al quale era appoggiato Vincent Nott.
  Rose strinse il braccio di Malfoy allarmata e il ragazzo capì al volo il pericolo.
Nott chiuse di scatto il proprio libro, facendo sobbalzare l’uomo, che lo aveva fronteggiato fino ad un attimo prima, e i due ragazzi rannicchiati. Alzò lo sguardo verso Isidore, prestandogli per la prima volta attenzione. Sul volto gli si dipinse un’espressione assente, mentre gli occhi sgranati guardavano il vuoto.
  «Di cosa parlerà la tua lezione?» chiese con voce incerta, così discostante dalla sua melodiosità.
Rose non comprese quella improvvisa inclinazione della voce, né il turbamento che trapelava, ma si limitò a sospirare di sollievo, perché Nott, la sua preoccupazione e la sua inutile domanda le stavano offrendo una via di fuga per non essere scoperta dal professore.
  Se anche non avesse creduto che lei li stesse spiando, essere scoperta nuovamente vicino a Malfoy le sembrava davvero troppo.
Si sollevò , seguita dal ragazzo, e si precipitò fuori dalla biblioteca. Percorsero correndo tutto il corridoio del primo piano, raggiunsero le scale e si fermarono solo quando arrivarono al secondo piano con il fiato corto.
  Malfoy afferrò Rose per il braccio e la spinse verso una panca vuota, in un angolo deserto.
  «Di che diavolo stavano parlando Perkins e Vincent?» chiese ancora esterrefatto. Né lui né Rose si sedettero, ma restarono a guardarsi l’uno di fronte all’altra.
  «Non ne ho idea» rispose sinceramente Rose.
Il cuore le batteva all’impazzata, le orecchie emettevano fischi assordanti e la mente ripercorreva le parole che aveva udite, cercando di smembrarle e di riordinarle, per ricomporre quel mosaico di misteri.
  «Un’idea devi avercela se li hai seguiti per spiarli» disse lui, la voce velata da un leggero sarcasmo.
Poco prima l’aveva derisa e accusata di spiare Isidore e invece ora sembrava aver capito che qualcos’altro si nascondeva sotto quella patina di menzogne.
  «Volevo seguire Nott, non avevo idea che si stesse intrattenendo con Korbin».
  «Perché seguivi Vincent? Perché ce l’hai tanto con lui?».
Rose lo guardò, esitando per un momento. Era giunto il momento in cui avrebbe dovuto affrontare le conseguenze delle proprie scelte impulsive.
A cosa stavo pensando quando ho deciso di coinvolgerlo? 
  «Per colpa sua ho litigato con Candice. Voglio fargliela pagare».
Malfoy scosse la testa spazientito e i capelli sfilarono sui suoi occhi verdi. Sbuffò con amarezza e parlò «Non mi raccontare stronzate. Tu e Morgan avete litigato a causa del tuo atteggiamento verso Vincent».  
  «E tu come fai a saperlo?» chiese Rose esterrefatta, immaginando il volto di Albus Potter.
Malfoy si avvicinò ancora un po’ a Rose e la guardò intensamente. Piegò appena la testa di lato con il volto contratto per la concentrazione.
Poi parlò e sembrò che tutto intorno a loro fosse stato pietrificato in una dimensione eterea e sospesa che il tempo inesorabile aveva scandito. 
  «Spiegami che sta succedendo. Rose, puoi fidarti di me».
 


 
- § -
 

 
Le scale si mossero un’ultima volta e andarono a combaciare con il breve sentiero in pietra che conduceva al ritratto della Signora Grassa.
Rose percosse a grandi falcate gli ultimi gradini,  li superò con un passo troppo rapido e quando le sembrò di stare correndo, cedette con esitazione e si affrettò a ripristinare un’andatura consueta. Non voleva dare l’idea di stare fuggendo da qualcosa o da qualcuno.
  Altri passi più rilassati e controllati la seguivano. Si voltò, quando il respiro rantoloso della Signora Grassa dormiente si fece più distinto.
Scorpius Malfoy la guardava con attenzione; aveva poggiato le mani nelle tasche dei pantaloni con la solita compostezza, come se quella fosse la situazione più normale del mondo.
  «Non c’era bisogno di accompagnarmi fin qui» disse Rose con un tono incerto, non sapendo se accennare gratitudine  o intimargli di non far ripetere mai più l’accaduto.
  Lui alzò gli occhi al cielo. «Frena la fantasia, Weasley. Non iniziare ad interpretare anche questo» disse. «Non l’ho fatto per galanteria».
  Rose nascose la mano destra dietro alla schiena e affondò le dita nel palmo contratto. Avvertì il calore divorarle il volto, facendola sentire ancora più stupida di quanto già non ci provasse Malfoy.
   «Non c’è pericolo» disse lei. «La galanteria non fa parte del tuo dizionario».
  «Non di quello che conosci tu» disse Malfoy. La guardò con il suo verde intenso, velato da un’ombra pericolosa ogni volta che voleva estrarre del turbamento dal volto di lei.
Pensi che mi interessi se con le altre sei un galantuomo?
  «Quindi abbiamo finito per questa sera?» chiese Rose «Sono molto stanca, se non ti dispiace».
Malfoy ignorò le sue parole, richiamando un’abitudine irritante che aveva adottato recentemente.
  «Ti ho accompagnata perché altrimenti saresti fuggita e non mi avresti raccontato nulla di questa storia» disse con serietà.
Rose cercò nella propria mente colma di repliche taglienti, di frasi opportune e di spiegazioni delucidanti, una semplice risposta a quella semplice verità. Vagò per un attimo nel vuoto della propria consapevolezza e quando scopri la propria bocca arida di parole, lasciò che il silenzio scorresse tra loro due e li avvolgesse per un’ultima volta in quella corrente di trasparenza e sincerità.
  «Ti darò una mano». Fu lui a spezzare il silenzio e lo fece fendendolo in due con una lama affilata come i propri occhi. Il sangue che ne sgorgò era intenso come quel verde e scarlatto come quel fuoco che divorò il cuore di Rose.
  Le pareti si incrinarono in un basso ruggito, mentre i fregi lungo di esse si distendevano , liberando il ritratto della Signora Grassa da quel vincolo di pietra. Il quadro era pronto a disgiungersi dalla roccia e da quell’apertura nascosta qualcuno sarebbe uscito, trovando lei, Rose Weasley, in tarda serata, fuori dal proprio dormitorio, in compagnia di Scorpius Mafoy.
  Nessuno avrebbe mai potuto comprendere la bizzarra situazione. Chiunque a questo mondo sarebbe giunto alla più probabile conclusione, vedendoli lì insieme.
Una frizzante chioma rossa fece capolino. «Ciao Rose» disse con allegria. «Ciao Scorpius» aggiunse con lo stesso tono.
Chiunque tranne suo fratello Hugo.
  Le motivazione potevano essere diverse e tutte ugualmente plausibili. Hugo Weasley non apparteneva ai Grifondoro, come si premurava di chiarire la sua cravatta blu-argento e, cosa ancora più importante, Hugo Weasley non era in nessun modo paragonabile a nessun altro abitante del pianeta.
  Questo era appurato, ma il fatto che salutasse così calorosamente Malfoy, lasciò Rose nello stesso stato di turbamento che avrebbe provato in seguito ad una dichiarazione di eterno amore nei confronti di Albus Potter da parte di suo fratello maggiore.
  «Ciao Hugo» rispose il ragazzo.
Rose questa volta rischiò di cadere stramazzante al suolo. Una possibile amicizia tra suo fratello e Malfoy era decisamente troppo per quella sera.
Decise che avrebbe dovuto interessarsi maggiormente alla vita del fratello minore. Se Albus era irrimediabilmente perduto, ciò non significava che non si potesse intervenire per il fratellino.
  «E’ questa l’ora di uscire da un dormitorio che non è il tuo?» chiese Malfoy con fare complice.
Rose trattenne un conato di vomito e sostituì l’espressione disgustata con un’occhiataccia al ragazzo, che con snervante superficialità non aveva considerato come anche la sua presenza a quell’ora della notte, davanti ad un dormitorio che non era il suo, potesse essere facilmente oggetto di battute allusive.
  «Lily è stata lasciata da uno dei suoi ragazzi e ho dovuto consolarla» rispose semplicemente lui con un largo sorriso raggiante, che poco si confaceva alla drammaticità della situazione.
Malfoy annuì comprensivo, poi aggiunse «E’ meglio che vada. La lascio nelle tue mani, mi raccomando». Lanciò un’ultima occhiata complice a Hugo e strizzò l’occhio verso Rose, accompagnando il gesto con un lento e seducente sorriso, sotto lo sguardo inferocito della ragazza.
  «Malfoy, un'ultima cosa» lo chiamò lei, costringendolo a voltarsi. «Ricordati che io vorrò sempre ucciderti» disse.
Lui la guardò per un attimo confuso, poi gli occhi si accesero di comprensione, le labbra si piegarono in un sorriso divertito e soddisfatto.
Forse era quella la risposta in cui aveva sperato sin dall’inizio.
  Rose si voltò a guardare il fratello, che ancora lì immobile davanti al ritratto assisteva alla scena. Lo osservò, cercando di cogliere un’espressione ambigua o una domanda impertinente in riferimento alla smorfia allusiva di Malfoy e al suo comportamento, ma tutto ciò che Hugo disse fu «Rose, non mi sembra una cosa molto carina da dire».
  Sospirò sollevata e divertita, baciò il fratello sulla guancia e varcò il ritratto.
Adorava quello strano e fantastico ometto.






Francese. Tecnico che ripara un guasto.






 
  
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