Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    08/04/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 22 ~ 
SCIOGLIERSI O SPEZZARSI
 
“So let mercy come
And wash away
What I’ve done.
I’ve faced myself
To cross out what I’ve become
Erase myself
And let go of what I’ve done.”
(Linkin Park – What I’ve done)


 
Per i primi dieci minuti, Briz aveva camminato a testa bassa, a passo di carica, le mani affondate nelle tasche, mordendosi le labbra per non urlare dalla frustrazione; poi, un po' alla volta, la rabbia era sbollita. Si era data mille volte della stupida: era stata troppo insistente, troppo curiosa, troppo saccente! Chi era lei, per giudicare se Pete avesse fatto bene o male a lasciare Tracy? O per pretendere di conoscere i suoi drammatici trascorsi? Come se non lo sapesse, poi, che lui odiava parlare di sé e del suo passato. Ma perché non stava mai zitta, vigliacca galera?
Però… aveva davvero creduto che le cose tra loro fossero cambiate, per questo si era sentita un po’ più libera di dire cosa pensasse; gli aveva pure chiesto scusa, quando si era resa conto di aver esagerato, e lui l’aveva allontanata in malo modo!
Mollò anche lei un paio di lacrimucce, chiedendosi, per la milionesima volta in quegli ultimi tempi, come potesse essere lì, a un passo  dall’innamorarsi di uno come Pete. Lei, che non faceva altro che urlare al mondo che una cosa del genere non le sarebbe capitata mai più! E invece… che le piacesse o no, la cosa strana, ormai, un nome preciso ce lo aveva eccome, anche se lei non si sentiva ancora pronta per pronunciarlo.
Ci provò, almeno col pensiero, come se formulare quella parola servisse ad esorcizzarla, a renderla meno paurosa.
“Innamorata”.
Dio, che follia…
Innamorata… e non di un ragazzo semplice, disponibile, aperto e solare; troppo facile, così!
Innamorata… di uno che aveva più problemi e complicazioni, che capelli in testa – ed era tutto dire!
E il bello era che non desiderava nemmeno che lui la ricambiasse: la sola idea la terrorizzava più che affrontare i Mostri Neri! Ma poi, di cosa avrebbe dovuto aver paura? Tanto lui non si innamorava, lui le ragazze se le portava a letto e basta, e si dimenticava pure come si chiamassero! In alternativa, a questo punto era chiaro che fosse convinto di non essere adatto a una storia seria con qualunque brava ragazza… esattamente come lei, alla fine. E quindi, proprio per questo, era in una botte di ferro. Sapeva che con lei non ci avrebbe mai provato fino a quel punto; un po’ perché sapeva di non essere proprio il tipo di donna che piaceva a Pete, un po' perché in fondo – molto in fondo – avevano davvero finito per diventare anche amici, oltre che compagni di battaglia.
Al diavolo… questa cosa non aveva nessun presupposto da nessuna delle due parti! Doveva passarle e fine.
“I difetti, i difetti! Concentrati sui suoi mille difetti, maledizione!” si esortò, rendendosi immediatamente conto che, porca miseria, non riusciva più a vederli, i difetti, anche quando si palesavano evidenti sotto al suo naso.
Poi era arrivato quel cavolo di messaggino: “Dove sei?” 
La tentazione di rispondergli: “Dove cazzo mi pare!” era stata forte, ma si era controllata e, alla fine, aveva optato per la verità in salsa sarcastica: “Nel Congo!”, come diceva sempre Ale, quando lei piombava in casa cercandolo e chiedendo dove fosse.
Si bloccò di colpo quando, sollevando la testa, si rese conto di aver compiuto il giro del laghetto ed essere tornata al punto di partenza; e lui era lì, appoggiato allo steccato.
Cavolo, non se n’era andato, nonostante lei lo avesse avvertito che stava arrivando… cosa significava? Che, dopotutto, era abbastanza cavaliere da non rimandarla a casa da sola?
Riprese a camminare, indecisa, e i loro sguardi si incrociarono per pochi fugaci attimi. Lentamente si avvicinò allo steccato e vi si appoggiò a sua volta col fondo della schiena, ma rimase a qualche metro da lui, le braccia conserte, senza guardarlo. Non aveva la più pallida idea di cosa dirgli, ma una cosa era certa: se voleva avvicinarsi, che lo facesse lui! Non si sarebbe fatta respingere un'altra volta, non lo avrebbe sopportato.
Pete guardò la ragazza ferma a pochi passi da lui, che sembrava decisa ad ignorarlo; lo stava sfidando ad avvicinarsi, era ovvio, ma lui non si fece nessun problema: la raggiunse con calma e si riappoggiò alla recinzione accanto a lei. Senza nemmeno pensarci, allungò una mano, come per sfiorarle i capelli, ma lei evitò il contatto, spostando bruscamente la testa e voltandogli le spalle.
– Cosa ti fa pensare che se io non devo toccarti, tu possa farlo con me? – gli disse con voce dura.
Pete lasciò ricadere la mano, con aria rassegnata. Beh, che altro avrebbe potuto aspettarsi? Era stato lui a respingerla, prima; e solo perché in realtà, il desiderio di toccarla era stato talmente intenso da spaventarlo. Decise di non arrendersi, e provò un altro metodo.
– Briz… mi dispiace.
Eh, maledizione, questo no! Pete si stava giocando la carta del pentimento gentile! Se faceva così…! Tentò di spostarsi, ma sentì che lui la tratteneva dolcemente per un braccio.
– Senti, perdonami: sono un idiota.
E così tutte le sue difese andarono a farsi friggere, ma col cavolo che si girò a guardarlo.
– Sì, è vero! Un dannatissimo metro e ottantasei di idiota! – brontolò – Però, sì, ti perdono, se non altro perché so che io, quando mi ci metto, posso essere un intero metro e settantanove di rompicoglioni.
– Mmm… non tutto intero, dai. Solo un po' – concesse lui.
Briz si voltò lentamente, gratificandolo di un'occhiata con un sopracciglio sollevato che era molto eloquente, e lui si affrettò ad aggiungere: – Però, tu… sei la cosa più vicina a un amico che io abbia avuto da quasi sette anni.
– Oh, ma guarda! Ci sei arrivato! – esclamò – Solo che detta così… non so nemmeno se sia un complimento o… boh, qualcos'altro! – e si scostò da lui, rimettendosi le mani in tasca: almeno non avrebbe corso il rischio di allungarle su di lui. Se per il bisogno di toccarlo o di picchiarlo, non lo sapeva nemmeno lei!
“Sei la cosa più vicina a un amico che io abbia avuto…?” Gesù, una roba che Fersen e Lady Oscar fatevi in là!
– Briz, che c'entra… è solo che… già mi sembra dannatamente strano ritrovarmi come migliore amico una ragazza… Figurarsi proprio te!
Ah, okay, si continuava su questa strada, quindi… Bene, buono a sapersi… e meglio così, naturalmente!
– Pensa quanto sembra strana a me, una cosa del genere! Io ero rimasta che eravamo Migliori Nemici! E sul fatto che tu possa essere il mio migliore amico… beh, adesso non esageriamo! Devo ancora lavorarci sopra – esclamò, tentando di fare la sostenuta; poi cambiò argomento e tono di voce, e proseguì: – Allora? Quanto tempo era che non ti facevi un pianto?
– L'ultima volta… avevo diciotto anni: quando è morta mia nonna Rosy – confessò lui.
– Cosa? Non avevi più pianto, nemmeno per i tuoi genitori?
Pete non rispose, si limitò a guardarla di sottecchi e a scuotere appena la testa. Briz sospirò, senza riuscire a immaginare quanto potesse far male, un dolore che ti pietrificava a tal punto; lei, almeno, il conforto delle lacrime lo aveva avuto…
– Okay, Richardson, – sbottò ad un tratto, allargando appena le braccia – io sono qui! Hai appena ammesso che sono qualcosa di simile a una migliore amica, quindi che vogliamo fare? Possiamo prendere la moto, tornare a casa e far finta che non sia successo niente: non insisterò e ti comprenderò. Oppure… ci sediamo dove eravamo prima e vuoti il sacco. Decidi tu, a me va bene comunque.
Pete ci pensò per un po', guardando in basso, smuovendo il terreno con la punta di uno stivale; poi si staccò dalla recinzione e prese Briz sottobraccio.
– Forza, andiamo a sederci: credo che sarà una cosa lunga – sospirò.
E così si ritrovarono esattamente come mezz'ora prima, seduti sotto all'albero, fianco a fianco, ma girati uno verso l'altra.
– Dunque? Che puoi aver fatto di così mostruoso da meritarti la colpa di tutto? – gli chiese lei dolcemente.
– Litigai con mio padre, quella sera.
E poi silenzio… Briz fece un cenno brusco con la testa e con una mano, come per dire: “Okay, vai avanti”.
– Io e mio padre smettemmo di andare d'accordo già da molto prima che finissi il liceo. Erano già quasi due anni che… ogni volta che ci parlavamo, finivamo per discutere, anche pesantemente. La mamma aveva voluto che lo accompagnassimo in quel viaggio di lavoro, sulla Blue Princess, anche per provare a farci riavvicinare… Ma lo sapevo che non sarebbe servito a niente: lui non voleva che io proseguissi gli studi di Archeologia…
– Ma perché?
– Lui… adorava gli aerei; e quando si accorse che io, da bambino, avevo la stessa passione, cominciò a fare progetti, su di me. Progetti che, lo ammetto, io fui più che felice di assecondare; credo di aver costruito più modellini aerei di qualsiasi altro ragazzino sulla Terra: avevo libri, giocattoli, film… Al videogioco col simulatore di volo non mi batteva nessuno! Ne sapevo tanta, lo ammetto senza paura di sembrare presuntuoso: semplicemente, sembravo nato per volare. Eravamo tutti convinti che fare il pilota fosse davvero la mia strada e a sedici anni mi iscrissi alla scuola di volo. Ma nel frattempo avevo cominciato le scuole superiori e… avevo scoperto anche altre passioni: l'Archeologia e la storia antica.
– E Tracy Ballantyne… – suggerì Briz, tentando di sdrammatizzare.
– E Tracy, certo… fu lei a trasmettermi questa passione. Ma non c'era giorno che mio padre non mi dicesse di lasciar perdere: sperava che, finito il liceo, mi sarebbe passata. E invece, una volta che mi fui diplomato ed ebbi ottenuto anche il brevetto di volo… feci una scelta.  
– Bene, hai scelto Tracy e l'Archeologia: c’era qualcosa di tragico in questo? – si stupì Briz.
– Secondo me no: ero innamorato di tutte e due! Mentre mio padre le detestava, tutte e due; secondo lui, Tracy mi aveva… traviato: diceva che la dovevo piantare di giocare a Indiana Jones e non potevo buttare al vento il mio brevetto e il mio talento a causa di una ragazzetta secchiona. Ma quella sera, sulla nave, gli dissi che poteva scordarselo, che avrei rinunciato ai miei studi, tantomeno a Tracy; che non si sognasse mai più di offenderla, che avevo vent'anni e la mia vita dovevo sceglierla io! Volare sarebbe comunque rimasto un piacevole diversivo, ma non ne avrei fatto una professione. Devo avergli detto anche qualcosa di molto offensivo, del tipo… che era un vecchio fossile, e che se l'Aviazione, trent'anni prima, lo aveva scartato, costringendolo ad accontentarsi di venire arruolato dalla Marina Mercantile per ritrovarsi a comandare quella bagnarola, non poteva pretendere che prendessi io il suo posto e che i suoi fallimenti ricadessero su di me. E credo anche di averlo mandato dove non si dovrebbe mai mandare un genitore… e di essermene andato sbattendo la porta. Insomma, cose che non avevo mai fatto in vita mia… Fra l’altro era il portellone della sua cabina… insomma, feci un bel po’ di casino, quella notte… ero davvero fuori di me.
– Uhm… Vabbè, forse ci sei andato giù un po' pesante, però… tua madre cosa diceva, di tutto questo?
– Lei… lei mi appoggiava: era felice che mi piacesse studiare. La incrociai, appena fuori dalla cabina di mio padre, mentre me ne andavo arrabbiato nero e, quando lei lo raggiunse, io mi fermai in corridoio e li sentii litigare violentemente. Mia madre gli urlò che doveva smetterla di rovinarmi la vita, che io dovevo seguire la mia strada e che gliel’avrebbe fatta pagare; gli disse che appena rientrati da quel viaggio… avrebbe chiesto il divorzio, così gli avrebbe impedito di fare la stessa cosa anche con Tom. A quel punto scappai, letteralmente, nella cabina che dividevo con mio fratello, pensando che non avevo mai sentito mia madre così furiosa. Non credevo che le cose tra i miei genitori fossero a quel punto, e io ci avevo messo il carico da undici. Mio padre pretendeva da me qualcosa che io non volevo dargli; e mia madre voleva lasciarlo… per lo stesso motivo: a causa mia!
Pete si interruppe, come se non avesse più le forze per andare avanti.
– Questo è… tutto quello che è accaduto prima della tempesta? Insomma, quella notte tuo padre si è rifugiato nell'alcool, perché aveva litigato con te e con tua madre?
– Immagino di sì. Lui non era uno che beveva, non aveva mai avuto quel vizio, per questo mi sono sempre chiesto… quanto male dovevo avergli fatto, per farlo arrivare a quel punto?
– È comprensibile, ma… nessuno ha mai provato a farti vedere le cose da un altro punto di vista?
– E chi mai avrebbe potuto farlo? Tu sei la prima persona al mondo a cui racconto questa… cosa. E comunque io la rigiri… non vedo altro colpevole che me stesso, per aver dato il via a tutto.
Briz rimase per un po' in silenzio, valutando quell'orribile storia. Poi sollevò il viso e incrociò lo sguardo di Pete: aveva di nuovo gli occhi lucidi e li distolse da lei, che invece gli si appoggiò con la spalla alla gamba piegata. Tacque un altro po', poi gli disse, a voce bassa:
– Prima mi hai detto che io non c'ero, sulla nave. È vero, non c'ero; forse per questo il mio punto di vista, ora che mi hai raccontato tutto, è più spassionato del tuo. Che posso dirti? Non sei stato certo il primo ventenne che ha litigato col padre per le sue scelte e che lo ha chiamato vecchio fossile e mandato… diciamo al diavolo; e non sarai stato nemmeno l'ultimo. Non mi sembra un litigio così grave da giustificare una fuga dalla realtà tramite l'alcool. Magari la causa del suo gesto è stata la decisione di tua madre di chiedere il divorzio…
– Ma lei voleva lasciarlo per colpa mia! – la interruppe Pete.
– Non puoi saperlo per certo: forse difendere te era solo un pretesto. Il problema di fondo non eri tu, Pete, era tra di loro. E poi… insomma, d’accordo, avevi disatteso i sogni e le aspettative di tuo padre, ma volevi diventare archeologo, mica un delinquente! Perdona le mie parole, perché mancare di rispetto a chi non c’è più mi fa schifo, ma stordirsi con l'alcool per una delusione del genere, o per un litigio con la moglie, non mi sembra certo una reazione da persona forte e saggia, soprattutto in quel momento e per uno con il suo ruolo di comandante.
– Lo so! – l'esclamazione di Pete fu quasi un urlo – È per questo che ho fatto dell'autocontrollo e della disciplina il mio modo di vivere! Non si trasgrediscono le regole, Briz! Cinque morti, compresi loro due, e George Blackwood, il suo secondo, in coma probabilmente irreversibile! La verità è che odio mio padre per quello che ha fatto! E odio mia madre perché voleva lasciarlo! E odio me stesso, per tutto questo rancore che provo per loro… e per essere stato la causa scatenante di tutto! Li odio… eppure mi mancano… mi mancano in modo intollerabile, Briz! Dio solo sa quanto vorrei che fossero ancora qui! E invece adesso… loro sono morti! E io sono vivo… Perché?!
Quell'ultima domanda rimase lì, sospesa tra di loro, nel silenzio che seguì; nemmeno Briz aveva una risposta. Con un sospiro, scosse la testa e gli accarezzò il viso.
– Miseriaccia, Richardson: tu sei persino più incasinato di me.
Pete annuì appena, senza allontanarla.
– Benvenuta nella mia vita – mormorò, sarcastico e avvilito.
– Guardami, Pete – gli ordinò con dolcezza, prendendogli il viso tra le mani.
Lui si costrinse ad affrontare gli occhi verdi di Fabrizia, e a ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di nuovo di esondare.
– Devi fartene una ragione, in qualche modo: a volte le cose, semplicemente, accadono. E noi non possiamo fare niente per cambiarle; possiamo solo… accettarle, e sperare di trovare da qualche parte quel minimo di serenità per imparare a conviverci.
Con sua sorpresa, Pete le prese le mani e gliele abbassò, ma senza lasciarle; con gli occhi bassi, rispose con una frase che lei conosceva: – “Concedimi, Signore, la serenità per accettare le cose che non posso cambiare; la forza e il coraggio per cambiare quelle che posso…” – si interruppe, sentendosi di nuovo la gola chiusa, e fu Briz a concludere:
– “…e la saggezza, per riconoscere la differenza”. Non sapevo che la conoscessi anche tu.
– L'ho imparata da te, anche se indirettamente: me l’ha passata Sakon, e anche lui mi ha detto, qualche tempo fa, che ci sono cose, nella vita, che non possiamo tenere strette per sempre; che a un certo punto dobbiamo… lasciarle andare. Sono mesi che ci rimugino sopra, che ci provo… ma non ci riesco – ammise, sollevando di nuovo lo sguardo.
Briz gli rivolse un sorriso un po' triste, che gli fece mancare un battito di cuore.
– È saggio, il nostro Sakon – disse Briz – E anche tu lo sei quanto basta, per vedere la differenza tra le cose che puoi cambiare e quelle che non puoi. E il tuo passato… lo sai che non puoi.
– Avrei bisogno di un po’ di pace interiore per accettarlo, quindi… Ma non so dove andarla a cercare… – affermò Pete.
– Sì… lo capisco. Ma se può servirti a vedere le cose da un altro lato ancora, prova a chiederti questo: sei sicuro al cento per cento che se tuo padre fosse stato sobrio, le cose sarebbero andate diversamente e lui sarebbe riuscito a salvare tutti? Nessuno può esserlo, Pete. Hai anche detto che lui non aveva il vizio del bere: se non era abituato all'alcool, forse gli è bastato poco per passare il limite, e magari non era quello che avrebbe voluto. E ti sei mai chiesto se tua madre non abbia detto quelle cose solo sull’onda della furia del momento? Magari non lo pensava veramente, di divorziare. Non lo saprai mai, è vero, ma puoi lasciar loro il beneficio del dubbio. Per questo non ti resta che una strada.
– Quale? – le chiese lui, sopraffatto da quei ragionamenti e quelle ipotesi che gli erano spesso balenate in mente, ma che non era mai riuscito, o non aveva mai voluto, prendere in considerazione con la dovuta profondità.
– Il perdono, Pete: qualcosa di cui disponiamo tutti e che usiamo troppo poco. Forse i tuoi genitori hanno sbagliato, ma hanno pagato, e tanto. Perdonali… e continua ad amarli, perché so che una parte di te non hai mai smesso di farlo, nonostante tutto; e quando sarai riuscito a perdonarli… lasciali andare. E alla fine, perdona anche quel ragazzo ventenne convinto di essere la causa di tutto: ha pagato anche lui, non credi?
– Io… avrei pagato? Sono qui, sono ancora vivo!
– Sei qui, sì: perché tua madre, come tutte le madri del mondo degne di questo nome, ha ritenuto che la vita dei suoi figli fosse più importante della propria. Ricordi il nostro primo incontro dai cavalli, quando ci dicemmo a vicenda quello che vedevamo l'uno nell'altra? Io ti dissi che, secondo me, tu vivevi una vita che non era la tua. A quanto pare ci avevo preso: hai rinunciato all'amore, hai rinunciato alla passione della tua vita, hai ucciso tutti i tuoi sogni… per fare quello che avrebbe voluto tuo padre; e lo hai fatto anche dannatamente bene! E secondo te, non hai pagato? Non stai pagando? È anche per questo che ci sei tu, sul Drago Spaziale a rischiare il culo! Direi che è un ottimo motivo per il quale il destino, sotto le spoglie di tua madre, ti ha lasciato in questo mondo. Chi ci sarebbe, se tu non ci fossi?
– Qualcun altro, Briz, è semplice.
– Semplice? Io sul Drago non ci metterei piede, senza te ai comandi. E questo non lo dico perché ora siamo amici: l’ho sempre pensato, fin dall’inizio, anche quando mi stavi pesantemente sulle scatole. Dragonheart puoi essere solo tu, esattamente come Balthazar posso essere solo io! E poi… hai Tom: non è una buona ragione per la quale essere ancora qui?
– Sono stato il fratello peggiore che si possa avere…
– Rimedierai, Pete; prima o poi ne avrai l’opportunità. Finché si è vivi, tutto è possibile.
– Se lo dici tu, fanciullina… – commentò Pete, poco convinto.
Distolse per l'ennesima volta lo sguardo, poi le lasciò le mani e si portò le sue al viso.
– Maledizione, no! Non un'altra volta! – si lamentò, strofinandosele sugli occhi, tentando invano di arginare un'altra piena.
Briz obbedì all'istinto e, con un gesto lento e delicato lo attirò a sé e lo abbracciò, decidendo di correre il rischio di venire di nuovo respinta. Ma non accadde nulla del genere: Pete chiuse a sua volta le braccia intorno a lei e affondò il viso tra i suoi capelli, esattamente quello che avrebbe voluto fare prima, invece di cacciarla via malamente. Ed eccolo, il profumo dolce e fresco di biancospino, che gli piaceva tanto: in quel momento gli sembrò un balsamo per il suo cuore confuso e ferito.
– Smetti di trattenerti, stupido orgoglioso, e non vergognarti del fatto che ami ancora tua madre e persino tuo padre: è per questo che riesci finalmente a piangere! Fallo uscire, tutto questo dolore che ti porti dentro! Se non lo butterai fuori, una volta o l'altra ti spezzerà davvero il cuore!
– Briz… Un giorno mi hai detto che quando fosse arrivato quel momento, avresti voluto esserci… e che avresti riso tanto. Beh, credo che tu stia per essere accontentata, perché… merda, non ce la posso fare… non ero mai stato così male.
– Sono contenta di esserci, ma non mi viene da ridere, stanne certo.
Briz si tenne la testa bionda di lui contro la spalla, senza riuscire ad evitare che una frase si formasse nella sua testa.
“Oddio, Pete, povero amore mio”.
Eccole di nuovo, quelle parole che facevano tanta paura: “Amore mio”. Erano belle… e terrorizzanti! Costrinse la propria mente a non dirle più, e seppe che non avrebbe mai permesso che raggiungessero le sue labbra. Accantonò di nuovo la questione in un angolo del suo animo: non era lei quella che, al momento, aveva bisogno di conforto e di coraggio.
 
 
Briz-Pete-abbraccio-parco
– Pete, il tuo cuore non si sta spezzando: è un Cuore di Drago, dopotutto, no? Non ti rendi conto di cosa sta accadendo? Tutte queste lacrime… è il ghiaccio che si sta sciogliendo. Otto anni di arretrati e interessi: per forza fa male.
Pete non riusciva a crederci! Briz aveva davvero tirato fuori la teoria del cavolo che lui stesso aveva ipotizzato poco prima, riguardante lacrime arretrate e relativi interessi!? Se non fosse stato che non riusciva a smettere di piangere, gli sarebbe venuto da ridere! E anche se gli sembrava impossibile, quel pensiero riuscì davvero a farlo sentire un po' meglio: persino l’idea che le lacrime fossero il ghiaccio che si scioglieva, aveva un certo fascino. Era proprio… una cosa da Briz. La ragazza gli aveva davvero fatto vedere un punto di vista diverso, più lucido e distaccato; poteva esserci qualcosa di vero, o forse no, ma in quel momento non importava, gli bastava stare lì fra le sue braccia, e sentire le sue mani che gli accarezzavano i capelli e la schiena. Era così dolce… rilassante. Gli sembrò quasi di tornare bambino, quando la vita era ancora bella, spensierata, senza guerre… e fatta solo di famiglia, amici, studio e primi amori.
– A volte vorrei una macchina del tempo per tornare indietro. Se solo…
– Ma si capisce! – esclamò lei, scostandolo un pochino per guardarlo in faccia – Una bella DeLorean, come quella di Ritorno al Futuro! Smetti di torturarti, Pete: e se, e se, e se…! E se mia nonna aveva le palle, era mio nonno!
– Te e le tu espressioni colorite! – esclamò lui, tirando su col naso, senza riuscire a trattenere un accenno di sorriso, a quell'uscita assurda.
– Scusa, è una battuta che si usa dalle mie parti, mi è venuta così. E stupida, però ti ha fatto sorridere.
– Comincio ad abituarmi ai tuoi strani modi di dire… e di fare. Io… proverò a pensarci ancora, alle cose che mi hai detto, che, se non te ne sei accorta, sono anche quelle una bella serie di se… Ma ciò non significa che mi sentirò meno responsabile, anche se posso ammettere che parlarne mi ha sollevato un po’, e non lo avrei mai creduto possibile; soprattutto che l’avrei fatto… con te.
– Già, rasenta il ridicolo, a pensarci bene: io sono il giullare di corte, quella che spara solo bischerate. Coraggio, musone, adesso ripigliati e chiudi i rubinetti!
Briz si affidò all’ironia prima di scompigliargli i capelli e staccarsi da lui per alzarsi, anche se a malincuore. Doveva allontanarsi: abbracciarlo aveva fatto sorgere in lei l'intenso desiderio di assaggiare il sapore di quelle lacrime, che erano scivolate lungo il volto di Pete ed erano andate a fermarsi sulle sue labbra.
E che cavolo, aveva ragione lui, era incoerente: dove erano finiti tutti i suoi ragionamenti di poco prima? Si strinse con le dita la radice del naso, sentendo gli occhi che bruciavano.
– Briz, non aprire i rubinetti anche tu, ti prego! Se no facciamo traboccare il laghetto.
– Ah-ah! Spirito di patata – ridacchiò lei, tendendogli una mano – Avanti, alza le chiappe: credo sia ora di tornare verso casa.
Pete afferrò la sua mano e si tirò in piedi, ritrovandosi a pochi centimetri da lei. Rimase per qualche secondo a fissarla e lei si ritrovò a respirare male: lo tsunami sembrava essere rientrato, anche se aveva lasciato gli occhi di Pete lucidi, arrossati e un po' gonfi; le ciglia, così umide, sembravano più scure e più lunghe del solito: Briz lo trovò comunque meraviglioso.
Purtroppo, o per fortuna, Pete le lasciò la mano e fece un passo indietro, incamminandosi poi verso l'uscita del parco; a lei non restò che seguirlo, ma si sentì libera di prenderlo sottobraccio, cosa che lui accettò con naturalezza.
– Senti… so che tuo padre si chiamava William… e tua madre, invece? – gli chiese, per rompere quel silenzio.
– Elizabeth. Elizabeth McBride, ma la chiamavano quasi tutti Liz.
– È un bel nome, dall'aria un po' antica…
– Disse quella che si chiama Cuordileone!
– Già, ma nella mia famiglia i nomi altisonanti si sprecano. Pensa che mio nonno materno apparteneva a una nobile e antichissima famiglia toscana, di cui non resta più nemmeno il nome, visto che mia mamma era la sua unica figlia, l'ultima discendente: si chiamava Serena Monforte di Roccabruna. Quanto al nonno, con un cognome così, si è ritrovato a portarsi addosso un nome come… Alberico.
– Wow! Quello di mia madre è niente, al confronto. I nomi dei tuoi famigliari sembrano quelli dei protagonisti di una saga medievale: dame, cavalieri e soldati di ventura.
– Vero? L'ho sempre pensato anch'io. E come se non bastasse, la mamma ha finito per sposare Andrea Valentino Cuordileone; non aggiungo altro. E adesso voglio sapere come ti chiami di secondo nome.
– Come sai che ho un secondo nome?
– Quasi tutti gli americani ne hanno uno: Tom si chiama Matthew, no? E sul calendario dei turni di guardia sei registrato come Peter J. Richardson. Quella J. vorrà pur dire qualcosa: James, Joshua, Jeremy, o che so io…
– Nessuno di questi: mi chiamo Jonathan.
– Wow, bello! Come “Il gabbiano Jonathan Livingstone”: sa di avventura.
– Beh, di certo quella non ci manca. E tu ce l'hai un secondo nome, Fabrizia Cuordileone?
– Certo che sì, anche se in Italia raramente il secondo nome viene registrato all’anagrafe. Ho un nome da principessa, ovviamente: quello della “Bella Addormentata nel Bosco” di Walt Disney.
– Aurora… Dici sul serio? Effettivamente è proprio… fiabesco, anche se devo dire che…
Briz terminò per lui: – …che proprio per questo non si addice a una bestiola selvatica come me, vero?
– No, perché? È solo che tu sei bella, ma addormentata nemmeno un po'! Né nel bosco, né da qualche altra parte!
– Uhmm… è un complimento, o che? – fece lei indecisa, arrossendo.
Pete si fermò, anche perché erano arrivati alla moto, e le rispose in tono noncurante:
– Boh, fai tu. Per quanto, la bestiola selvatica, col bosco, sposa abbastanza bene.
– Andava proprio detto… – bofonchiò Fabrizia.
Stava per rispondergli qualcosa di pungente, ma ci ripensò, gettandogli un'occhiata di sottecchi: Pete aveva ancora gli occhi segnati e irritati, stava passando un gran brutto momento; tuttavia, si stava sforzando di scherzare con lei.
– Come ti senti? – gli chiese, osservandolo mentre si toglieva di tasca la chiave della moto.
– Ho gli occhi che bruciano, il naso chiuso e un mal di testa micidiale. A parte questo… tutto sommato mi sento uno schifo, grazie – ammise lui.
Briz assentì, con gli occhi bassi; poi gli si avvicinò e, con un gesto repentino, gli tolse di mano la chiave.
– Che diavolo fai?
– Guido io!
Pochi secondi ed era a cavallo della moto, il casco in testa e la chiave nel quadro; a Pete, allibito, non restò che infilarsi il casco e salire dietro di lei. Bene: se Briz avesse guidato molto male, allora l'avrebbe stretta più forte, decise cingendole la vita sottile con le braccia.
Nel giro di due minuti, Pete aveva appurato che stringerla fosse sicuramente una buona idea: non perché guidasse male, anzi, era uno spettacolo e se la cavava più che bene! L'unica cosa che sperava era di non incappare nella Polizia, perché Briz andava sparata, divertendosi un mondo! E anche lui si stava divertendo tantissimo, doveva ammetterlo, pur essendo la prima volta in vita sua che, in moto, faceva il passeggero e addirittura con una ragazza che guidava!
Quando arrivarono alla base, di fronte alla rimessa, Briz spense il motore, fissò il mezzo sul cavalletto ed entrambi si tolsero i caschi. La ragazza passò la gamba destra sul davanti della moto, rimase seduta di fianco e osservò l’amico; probabilmente era stata una buona idea, guidare lei, perché era evidente che la corsa in moto fosse piaciuta anche a lui: i suoi occhi erano ancora arrossati, ma avevano un'espressione decisamente divertita.
Il dottor Daimonji aprì la porta del retro della base, proprio a ridosso della rimessa, per uscire, ma sentì le voci dei due ragazzi. Indeciso, si fermò e li vide: Pete a cavallo della moto, con una faccia strana, un po'… stropicciata; Fabrizia davanti a lui, seduta di traverso.
Non voleva interromperli, e nemmeno origliare… ma finì per rimanere lì.
– Ti senti ancora uno schifo? Perché capisco di averti un po' scombussolato la vita, oggi – disse Briz.
– Non fartene una colpa, dovrò imparare a convivere con il mio passato in modo un po' meno… devastante. Nessuno mi aveva mai dato una visione dei fatti come quella che mi hai dato tu.
– Grazie tante, non ci voleva molto: sono l'unica a cui li hai raccontati, i fatti!
– E Dio solo sa il perché! – esclamò Pete alzando gli occhi al cielo; poi proseguì, cambiando discorso: – Avrei dovuto immaginarlo, che la moto la sapessi guidare, e anche bene! Per la pilota di Balthazar, portare questo catorcio è come per Valentino Rossi guidare un triciclo!
– Ritiro: non è un catorcio, l’hai tenuta benissimo e si guida una meraviglia. Avevo solo bisogno di una scusa per non salirci, ma ho cambiato idea. Certe cose vanno esorcizzate, in qualche modo.  
– Con chi andavi in giro in moto? Con Diego?
– Ma che palle, la pianti di tirare fuori Diego ogni due per tre? Io e Alessandro ne avevamo una: a sedici anni abbiamo preso il patentino e andavamo spesso in giro insieme. Dopo che è morto, non ci sono più salita, non ne avevo il coraggio; così l'ho regalata alla figlia di Filippo, il mio vicino.
– Così anche tu, oggi, hai finito per fare qualcosa che non facevi più da un pezzo.
– Io non andavo in moto da due anni e mezzo, tu non piangevi da otto! Credo proprio che sia andata meglio a me: io almeno mi sono divertita! Tu un po' meno, mi sa.
– Già…  Ehi, aspetta! – esclamò all’improvviso – Hai preso il patentino a sedici anni? Ma a quell’età si prende per la cilindrata 125! Questa è un 600! Hai guidato senza patente?  
– Oops! – fu l’unica risposta di Briz.
– Ma quanto sei pazza, da uno a dieci?
– Boh… dodici, tredici… fai tu. Ti immagini? La pilota di Balthazar che si becca la multa perché guida senza la patente giusta!
– Ma cosa devo fare, io, con te? – le disse con un mezzo sorriso, scuotendo la testa e abbassando la voce, prima di accarezzarle lievemente il volto.
Piegò appena la testa di lato, avvicinandosi, ma Briz, all'ultimo momento, girò bruscamente il volto dalla parte opposta: le labbra di Pete incontrarono solo la pelle liscia della sua guancia. Lei lo respinse con una mano sul petto, anche se con una certa gentilezza, e scese dalla moto.
– Piantala, dai… anche stamattina ci hai provato, a fare il bietolone con me: non voglio baciarti.
– Sicura? – disse Pete, scendendo anche lui dalla Yamaha.
– Sicurissima, bel presuntuoso, sono cose che tra noi non hanno ragione di essere. Sono stufa di giocare: il fatto di, eventualmente, desiderare qualcosa, per gioco o per sfizio, non significa sempre che sia giusto farla. Da non crederci! Devo essere proprio io a insegnartelo?
Pete sospirò, sentendosi vagamente sconfitto, ma le fece un lieve sorriso stanco.
– Hai sempre una risposta per tutto, ma hai ragione.
– Sì, capita spesso che sia così – gli rispose lei allegramente, con una cameratesca pacca sul braccio a mo' di saluto – Grazie per aver pagato il veterinario, e per il giro in città… e avermi fatto guidare la moto…
– A te, fanciullina, per tutto… anche se di piangere avrei fatto a meno. E comunque, per la cronaca, volevo baciarti davvero sulla guancia, solo per ringraziarti.
Briz lo guardò perplessa, con la sensazione di aver fatto l'ennesima figura del cavolo.
– ‘key… – biascicò, voltandogli le spalle per dirigersi verso l'entrata della base; lui la richiamò.
– Fabrizia!
– Che c'è ancora? – fece lei, girandosi a guardarlo.
– Io sono uno stronzo bastardo, non innamorarti di me: non voglio spezzarti il cuore.
Fabrizia non riusciva a credere alle proprie orecchie; cosa avrebbe mai potuto rispondere a una frase così? “Troppo tardi, già fatto”? Decisamente no. Era ovvio che lui stesse scherzando, così scoppiò in una risata allegra, copiandogli la battuta di quel pomeriggio:
– Richardson, ma tu ci studi anche sopra, per tirare fuori queste bischerate? Perché puoi fare a meno, fidati! E… te l’ho già detto, vero, che sei un presuntuoso?
– Sì, me lo hai detto: poco fa e anche altre volte – rispose lui, sollevato da quella risposta.
– E poi lo sai, – aggiunse lei più seria – me l'hanno già spezzato, il cuore: ho già dato – finì, voltandosi per entrare.
Per poco non si scontrò con il dottor Daimonji appena uscito che, da attore consumato, finse di essere arrivato lì in quell'attimo.
– Ehi, ragazzi, tutto bene? Pete, che ti succede, hai avuto un attacco di allergia al polline?
– Hmm, sì, una specie… – rispose lui, sfregandosi gli occhi, non sapendo se arrossire o mettersi a ridere.
– In realtà, è stato più un problema di rubinetti rotti – commentò Briz, senza pietà.
Doc decise di non infierire: qualcosa capace di far piangere Pete, doveva essere quanto meno eclatante, ma, dai discorsi che aveva udito, poteva immaginare che l'argomento fosse stato il naufragio in cui avevano perso la vita i suoi genitori. Aveva sempre pensato che solo Briz potesse riuscire a tirargli fuori qualcosa e, a quanto pareva, non si era sbagliato.
– Beh, capitate a fagiolo – disse, cambiando argomento – Volevo dirvelo da un po', ma non mi è mai capitata l'occasione, in questi ultimi tempi così difficili. So che ultimamente gli eventi non vi hanno più consentito di passare insieme molto tempo, come vi avevo costretti a fare, ma direi che ormai ho ottenuto quello che volevo: mi sembra che siate riusciti a costruire un rapporto decente, quindi siete sciolti dall'obbligo di frequentarvi per forza.
Due occhi azzurri e due verdi lo fissarono, sgranati e increduli: Fabrizia e Pete si guardarono per qualche istante con un'espressione ancora più sconcertata, prima di tornare a guardare lui.
– V-vuol dire che… non dobbiamo più passare insieme… – cominciò Briz.
– …il nostro tempo libero? – concluse Pete.
Doc non si stupì più di tanto di quella reazione e si affrettò a correggersi, in tono piuttosto burbero, come se si stesse rivolgendo a due bambini un po’ tardi:
 – Ho detto che non siete più obbligati, non che non potete passare del tempo insieme se ne avete voglia!
L'espressione di sollievo e il sospiro che i due mollarono quasi all'unisono, furono davvero divertenti. Doc scosse la testa facendo il sostenuto e, trattenendo una risata, si diresse nel garage, dal quale uscì pochi secondi più tardi, al volante di una jeep.
– A volte Doc mi preoccupa – fece Pete, grattandosi la nuca e osservando l'auto che si allontanava.
– Lui preoccupa te? Io credo che siamo noi, tutti quanti intendo, a far diventare matto lui! Sai, penso che Doc veda, in ognuno di noi, i figli che non ha avuto… Senti, – disse poi Briz all'improvviso, in tono leggero – Vieni su da me, stasera intorno alle undici e mezzo.
Pete la fissò, basito.
– Prego? Mi hai appena detto di venire nella tua stanza di notte? Dopo tutte le storie che hai fatto per un bacetto? Ma guarda che sei un bel fenomeno!
– Cribbio, Pete! Ma perché voi maschi non avete un po' di elasticità mentale? I vostri pensieri vanno sempre a battere . Cosa credi, che voglia sedurti, dopo quello che ci siamo detti poco fa? È solo una questione di… fuso orario.
– Fuso orario? Sei davvero delirante!
– Sì, ormai me lo avrai detto un milione di volte! Alle undici e mezzo, allora. Non ti salterò addosso, promesso, anche perché a mezzanotte comincio il turno di guardia e non ci sarebbe il tempo: non amo le cose frettolose – concluse, con un ghigno malizioso.
– Altro che fuso orario… qui l'unica cosa fusa sei tu! – commentò lui, sarcastico.
– E anche questa non è una novità. Fidati di me, ti aspetto.
In pochi istanti, Briz era sparita dietro la porta; per un attimo Pete pensò: "Alleluja, che silenzio!"
E poi, subito dopo, si sentì quasi sopraffatto da un inquietante senso di solitudine.

> Continua…




Note dell’autrice:
Siete padronissimi di non credermi, ma il nome del nonno di Briz è un omaggio al mio nonno: si chiamava davvero Alberico, classe 1911, ed era Capitano di Cavalleria. E non è nemmeno l’unico nome strano, nella mia famiglia: il fratello del nonno si chiamava Ignazio, ho uno zio Tarcisio e avevo una zia Stanislaa, una bisnonna Doralice e una trisnonna Prasséda (sì, sì: proprio Prasséda, non Prassede).
Quanto ad Aurora e Jonathan… non sono miei avi, come Alberico, ma miei discendenti. Da quando li ho partoriti, mi hanno sconvolto la vita. Ma questo è un altro discorso…

Grazie come sempre a tutti e… ma secondo voi, ci va davvero, Pete, nella stanza di Fabrizia all’ultimo piano, dove alloggiano le ragazze? Prima di mezzanotte? A fare che? Non siete un po’ curiosi? Dai…
  
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