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Autore: LysL    09/04/2017    2 recensioni
Tutti, in quel piccolo villaggio sperduto sui monti Urali, conoscevano la leggenda; Otabek era cresciuto sentendo raccontare della terribile Regina di ghiaccio e del suo castello, nascosto tra le nebbie della montagna, oltre il bosco innevato, in quelle terre che il sole non riusciva a raggiungere.
Dal testo:
Una mano gli artigliò la spalla e Otabek fu costretto a girarsi per assecondare quel movimento; la mano lo spinse in ginocchio nella neve e Otabek percepì la lama spostarsi dalla propria gola fino alla nuca. Era ancora in posizione di svantaggio, ma almeno adesso poteva parlare.
«Chi sei?» chiese e ricevette un calcio tra le scapole; il colpo gli strappò il fiato dai polmoni e lui si ritrovò a boccheggiare, tossendo del sangue per terra, il sapore ferroso gli riempì sgradevolmente la bocca.
«Chi sei
tu? E come ti permetti di venire qui e parlarmi come se fossi un tuo pari.» La testa gli venne strattonata all’indietro e solo in quel momento Otabek vide chi realmente gli stava parlando.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Mila Babicheva, Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo III

 

Agli occhi di chi gli stava intorno, la vita di Otabek continuava normalmente, come se non fosse successo nulla; lavorava la mattina alla fucina, spesso anche il pomeriggio, e si vedeva ancora con Mila di tanto in tanto. Dormiva nella propria stanza e si alzava all’alba per ravvivare il fuoco al piano di sotto, accompagnava Georgij alla taverna, se questi glielo chiedeva, e continuava ad evitare le domande insistenti e poco discrete di Feliks. Eppure ogni volta che poteva, non importava a che ora o in che giorno, Otabek tornava alla radura e chiamava Yuri.
All’inizio si sedevano lontani, Yuri appoggiato agli alberi di confine e con il pugnale tra le mani, Otabek vicino ad Astra a volte con un piccolo coltello e un ciocco di legno che passava il tempo ad intagliare (ne faceva delle grezze statuette che poi mandava ad Ayzere). Le loro conversazioni, quando non se ne stavano zitti e Yuri non lo ignorava, non erano altro che un susseguirsi di insulti ed affermazioni acide da parte del ragazzo; Otabek cercava sempre di non prenderle sul personale e di rispondere nel modo più tranquillo possibile così che Yuri non si innervosisse e non gli dicesse di andarsene, cosa che era successa un paio di volte.
Ogni volta la sua paura scemava sempre più e sebbene continuasse a non volersi avvicinare agli alberi, ciò non gli impediva di lasciare la spada per terra vicino ad Astra e andare a sedersi sempre un po’ più vicino a Yuri. Lui non dava segni di evidente fastidio, se non qualche sbuffo rumoroso o dei sottili soffi che assomigliavano a quelli di un gatto, quando credeva che la distanza fosse troppo poca. A quel punto Otabek provava ad allontanarsi nel modo meno evidente possibile, o semplicemente rimaneva fermo nella propria posizione, aspettando che Yuri si abituasse a quella nuova vicinanza; Yuri, aveva capito, finiva sempre per abituarsi, lo si notava dal modo in cui le sue spalle si rilassavano e i suoi occhi smettevano di saettare di lato per controllare che Otabek non si muovesse più. Negli ultimi tempi, Otabek era riuscito ad ottenere di sedersi proprio accanto a lui, pur evitando il più possibile di toccarlo: Yuri non sembrava molto incline al contatto fisico diretto o non ricercato, che era molto diverso dal modo in cui aveva toccato, o meglio malmenato Otabek la prima volta che era andato a cercarlo.
Durante quelle ore trascorse insieme, quando finalmente Yuri smise di insultarlo o rispondergli acidamente e a monosillabi, Otabek scoprì che lui aveva molti più anni di quelli che dimostrava e che in virtù di ciò era molto più dell’essere freddo e calcolatore che mostrava di essere; cominciò a sentirsi in qualche modo lusingato che Yuri stesse accettando la sua presenza nella sua vita, senza più tenerlo lontano e non solo fisicamente.
Yuri era molto legato alla foresta, gliel’aveva detto la volta in cui Otabek gli aveva chiesto come mai non se ne allontanasse mai, e aveva anche aggiunto che Otabek, con la sua mente umana, non avrebbe mai potuto capire fino in fondo la profondità di quel legame. Per la prima volta ad Otabek non parve un insulto, quanto più una semplice constatazione. Scoprì anche che quel bosco era stato l’unica casa di Yuri, da quando l’altro riusciva ad avere memoria e tuttavia Otabek aveva avuto la sensazione che non gli stesse raccontando tutta la verità: teneva lo sguardo basso e non aveva alzato gli occhi neanche una volta, in quella maniera nervosa che aveva imparato a riconoscere, ma sapeva di non essere nella posizione di avanzare richieste.
Yuri inoltre, nonostante il carattere brusco e difficile, gli dava l’impressione di essere una persona profondamente sola; Otabek si era perfino ritrovato a chiedersi che fine avesse fatto la Regina o perché Yuri non ne parlasse mai. Anche in quel caso, però, era consapevole di non potersi aspettare nulla da Yuri, così aveva finito per non indugiare su questo aspetto.
 
Più il tempo passava, più la temperatura si faceva mite, ma Otabek continuava a portare con sé un doppio mantello, per potersi sedere a terra senza congelare.
Il sole riusciva a sciogliere la neve lì alla radura, e la prima, tenera erbetta tentava di far capolino da sotto la coltre fredda e bianca.
Fu durante uno di quei giorni meno gelidi che si chiese per la prima volta cosa stesse facendo.
Yuri era disteso sulla schiena, le mani poggiate sull’addome, e stava osservando una nuvola scura, probabilmente carica di pioggia o neve, che passava di lì e Otabek era disteso di un fianco accanto a lui, la testa appoggiata al braccio e all’avambraccio, piegati a mo’ di cuscino.
«Otabek? Posso farti una domanda?» lo chiamò Yuri e lui alzò gli occhi da una povera formica che arrancava sul terreno congelato in cerca di un foro per tornare al proprio formicaio e li posò sull’altro.
«Dimmi.»
Erano vicini, e Yuri lo stava guardando fisso negli occhi; le sue pupille erano dilatate e inghiottivano quasi il verde delle sue iridi, svelato solo da una sottile linea più esterna. I capelli intrecciati gli si erano arruffati, sembrava genuinamente curioso di sapere qualunque cosa avesse deciso di chiedergli.
«Tu hai una famiglia?» La sua voce suonò insicura, ma non meno interessata.
Otabek rilasciò il respiro che non si era accorto di star trattenendo e corrugò le sopracciglia, stupito da quella domanda. «Sì, c’è mia madre, mio padre e mia sorella Ayzere…» stava per continuare, ma Yuri scosse la testa e lo interruppe. «No, non quel tipo di famiglia. Intendo una famiglia tua.» enfatizzò l’ultima parola, per spiegarsi meglio e Otabek capì; probabilmente era arrossito, se il caldo che sentiva alle guance era di qualche indizio, ma gli rispose comunque. «Oh, no. Perché lo chiedi?»
Yuri scosse la testa e sembrava essere confuso dal suo stesso comportamento. Quando distolse lo sguardo da lui Otabek dovette fermarsi dall’allungare una mano e voltargli la testa verso di sé.
«La donna che chiamavi nel bosco, pensavo fosse lei la tua famiglia.» il suo tono era vago e Yuri strizzava gli occhi come se gli sfuggisse qualcosa che non riusciva a comprendere.
«Mila? No, no lei è una mia amica.» mormorò Otabek, sussultando quando Yuri si girò di nuovo verso di lui, stavolta spostando l’intero corpo ed imitando la sua posizione con il braccio piegato sotto la testa. «Io sono tuo amico?»
Otabek inspirò e fu la prima volta che riuscì a captare l’odore di Yuri; sapeva di fresco, di bosco, ovviamente, ed aveva una nota dolce che Otabek non riusciva ad identificare. Lo guardò in viso: i suoi lineamenti sottili e aggraziati sembravano controllati, ma le sue guance, solitamente pallide come la neve, apparivano più rosee. Otabek gli sorrise. «Tu vuoi essere mio amico?» gli chiese.
E fu in quel momento che Otabek capì di non avere più alcun controllo su qualunque cosa fosse quella che stavano facendo, perché Yuri sorrise. Yuri ricambiò il suo sorriso, ed era la prima volta in assoluto che succedeva. Otabek capì che l’opzione di smettere di vederlo non era più contemplabile, forse non lo era mai stata.
«Io… penso di sì.» rispose Yuri e quella volta sorrise alzando solo un angolo della bocca e scoprendo i denti, poi si distese di nuovo.
Non passò molto prima che parlasse di nuovo; Otabek notò che aveva la fronte corrugata e gli occhi assottigliati, in quell’espressione che aveva imparato a classificare come confusa.
«Mi puoi parlare della tua famiglia?» gli chiese e le sopracciglia di Otabek scattarono verso l’alto e lui prese un profondo sospiro. Rilassò le spalle, mentre Yuri tornava a guardarlo. Come prima, sembrava semplicemente curioso, ma quella volta Otabek percepì qualcosa di diverso nel suo tono di voce e nel modo in cui stringeva le labbra tra loro.
Annuì, lasciando che le parole uscissero senza filtro, con Yuri non serviva. «Io non sono originario del paese più vicino, abitavo più a nord, ma ho dovuto cambiare dimora per lavorare, la mia famiglia è rimasta al mio villaggio natale. Mia madre si chiama Sofiya. È una donna molto bella, ed è sempre stata una madre gentile, un po’ severa, certo, ma ha sempre pensato al mio bene e a quello di mia sorella. Le assomiglio molto, abbiamo gli stessi occhi e lo stesso naso, mio padre dice che abbiamo anche la stessa lingua lunga, – aggiunse con un sorriso e Yuri fece di nuovo quel sorrisetto sghembo – lui è molto più bonario di mia madre, di lui ho il colore dei capelli e, come gli piace dire, “la stazza da lavoratore.”»
A quelle parole, Yuri scosse le spalle per nascondere un singhiozzo divertito. «Beh, di sicuro non parla della statura.» lo prese in giro.
Otabek si finse offeso, portandosi una mano sul petto. «Mi scusi tanto, sua altezza.»
Yuri non gli rispose e continuò a tenersi le braccia sul viso, celando i propri risolini.
«E poi non sei neanche tanto più alto di me.» Otabek chiuse gli occhi, come a mostrare superiorità, senza però nascondere il sorriso che gli stirava le labbra.
La risata silenziosa di Yuri si calmò dopo alcuni secondi e solo allora Otabek alzò una palpebra, trovandolo voltato verso di sé. «Come si chiama tuo padre?» gli chiese, ancora.
«Rami.»
L’altro annuì. «È un bel nome. Sai cosa significa?».
Otabek scosse la testa, stranito; non aveva mai pensato che i nomi potessero avere un significato dal momento che, per lui, erano sempre stati solo un modo per riconoscere le persone, una parola associata ad un essere umano e non ad un oggetto. Si tirò a sedere. «Non avevo idea che avesse un significato.»
Yuri imitò il suo movimento e alzò gli occhi al cielo. «Come no?»
Otabek abbassò il viso, nervoso, e prese a grattare il terreno con le unghia. «Ci sono molte cose che non so, Yuri.» disse infine, senza guardarlo. Poteva conoscere l’arte del ferro, essere un buono fabbro, e saper maneggiare una spada se ne avesse avuto bisogno, ma sapeva bene di non essere un letterato; non era nobile e non poteva permettersi di conoscere la storia e la letteratura e fino a quel momento non gli era mai importato, perché non gli era mai capitato di parlare con qualcuno che avesse una cultura superiore alla sua. Yuri parlava spesso di cose che lui non capiva, di cui non aveva mai sentito parlare; quando accadeva, Otabek stava ad ascoltarlo con attenzione, cercando di ricordare quante più nozioni possibili, le avrebbe perfino scritte, se avesse saputo farlo. Incrociò le gambe e affondò un dito in uno dei piccoli solchi che aveva scavato.
Yuri gli era scivolato accanto e adesso Otabek sentiva il suo corpo premere contro il fianco, freddo attraverso gli strati di stoffa che li separavano.
«Amorevole.» gli sentì dire, in un sussurro. «Rami significa amorevole.»
Un piacevole brivido gli corse lungo la schiena, forse per il freddo, forse perché la voce di Yuri era suonata morbida come mai prima di allora. «Amorevole.» ripeté, sperando di ricordarlo abbastanza a lungo da poterlo riferire a suo padre.
«Continui a parlarmi della tua famiglia?» domandò Yuri, a voce bassa.
Otabek sospirò; non aveva smesso di fissare il proprio dito inghiottito dalla terra umida, lo tirò fuori piano, osservando come i granuli di terreno rimanessero attaccati alla propria pelle. Si passò velocemente il pollice sul medio per farli cadere e poi riprese a parlare. «Rimane solo mia sorella minore, Ayzere. È una piccola piaga, e un po’ ti somiglia – si beccò un pugno non troppo forte sul braccio – voglio dire che è capricciosa, non ascolta mai quello che le dico e non perde occasione per prendermi in giro, però le voglio molto bene.» si rese conto di ciò che aveva detto solo quando alzò gli occhi su Yuri. Lo trovò con la fronte corrugata e le mani intrecciate in grembo.
«Tu… mi vuoi bene?» gli chiese allora, cogliendolo totalmente di sorpresa, anche se avrebbe dovuto essere abituato a quel modo di fare che mostrava quanto in realtà Yuri fosse inesperto in fatto di relazioni umane. Un’altra persona non avrebbe mai chiesto una cosa del genere tanto direttamente, ma se c’era una cosa che Otabek aveva capito, era non aspettarsi niente di usuale da parte di Yuri.
Si strinse nelle spalle. «Sì, beh, siamo amici, no? Quindi ti voglio bene.» e a quelle parole Yuri gli sorrise di nuovo, come aveva fatto prima.
Otabek sentì il petto stringersi, si aspettava quasi che Yuri ricambiasse quella frase, ma lui rimase in silenzio e ad Otabek non rimase che cambiare argomento, prima di finire ad indugiare su pensieri che non avrebbero neanche dovuto esistere. Si schiarì la voce. «E Ayzere cosa significa?»
Yuri fece una smorfia, tamburellando con le dita sulla coscia. Ripeté il nome un paio di volte, prima di schioccare la lingua. «Ayzere significa Luna dorata.» Otabek si appuntò mentalmente anche quello, poi la voce di Yuri lo distrasse ancora. «E come comunicate, se loro abitano lontani?»
«C’è un ragazzo giù al paese che scrive le lettere per me, visto che io non so farlo, e poi loro se le fanno leggere da qualcun altro.» gli spiegò. Non ebbe bisogno di sentirgliela dire, perché la domanda che attraversò la mente di Yuri gli si lesse chiara in viso. “Non sai né scrivere né leggere?
Eppure Yuri non parlò, si limitò ad annuire e stringersi di più contro di lui. Otabek rabbrividì, ma gli venne facile attribuire quella reazione all’inesistente calore corporeo del ragazzo che pareva rubargli il proprio.
«Ti piacerebbe imparare?» La voce di Yuri vibrava piano, incerta.
Lo squadrò scettico; aveva sempre sognato di imparare a leggere e scrivere, ma non aveva mai pensato che quel desiderio potesse anche solo lontanamente diventare realtà. Si strinse nelle spalle. «Mi piacerebbe molto.»
Yuri si illuminò, gli occhi che brillavano e Otabek sentì il sangue salirgli alle guance e sperò che Yuri non se ne accorgesse; per sua fortuna l’altro era tutto impegnato a tirarsi in piedi e portarsi un pugno al petto. «Posso insegnarti io!» annunciò, esaltato.
Otabek si mordicchiò un labbro per non sorridere ancora più ampiamente, scuotendo la testa in un tentativo di liberarsi da quell’iniziale incredulità; non avrebbe mai pensato che Yuri potesse arrivare a proporgli qualcosa del genere, eppure eccolo lì, mentre accettava che Yuri gli facesse da tutore.
«Grazie, Yuri.»
Yuri alzò un sopracciglio e calciò un po’ di terra, le labbra strette tra loro quando mugugnò un “Ringraziami quando avremo finito.” Al quale Otabek non poté che rispondere con uno sbuffo divertito e un sorriso sincero.
 
***
 
Yuri mantenne la propria promessa, e già dalle volte successive a quella loro conversazione prese a portare con sé dei libri e delle pergamene ingiallite.
Come insegnante non aveva molta pazienza, ma Otabek si impegnava più che poteva; avevano iniziato con i nomi, il suo, quello dei suoi genitori, di sua sorella e così via, in modo che gli venisse più semplice associare i suoni parlati ai simboli scritti nella grafia stretta e vagamente disordinata di Yuri, anche se il ragazzo gli aveva assicurato che faceva del suo meglio per renderla più leggibile.
Non era difficile come aveva creduto, anche se doveva spesso fermarsi a riflettere su quale lettera leggere, soprattutto quando si trattava di parole nuove. Ricordava la prima volta che Yuri gli aveva scritto qualcosa da leggere: era il suo nome, ma Otabek non l’aveva mai visto scritto prima d’allora, e confondeva ancora la yu con la effe, così quando, con voce incerta e balbettando, lesse “Fri”, Yuri scoppiò in una risata incontrollata e tutta di pancia, per poi correggerlo e spiegargli che si leggeva proprio “Yuri”.
Era diversa dalle sue solite risatine di gola, spesso roche, e Otabek si disse che avrebbe potuto sopportare d’essere preso un po’ in giro, se avesse significato vedere Yuri ridere a quel modo.
Otabek aveva fatto molti progressi, e aveva iniziato a leggere un poema insieme a Yuri. Lui gli aveva detto che si chiamava Cantare delle gesta di Igor, ed era uno scritto anonimo. Raccontava la storia di un certo Igor Svyatoslavich, principe che aveva guidato una campagna militare contro i Polovcy, senza però riuscire a vincere.
Ormai erano arrivati alle battute finali, dove la giovane sposa dell’eroe, Yaroslavna, cantava il proprio dolore per la lontananza dell’amato.
Stavano seduti ai piedi di un albero e Otabek teneva le pergamene aperte sulle gambe distese, mentre seguiva con il dito lungo la riga di lettere che avevano finalmente un senso ai suoi occhi. Pensare che fino a qualche settimana prima non avrebbe neanche saputo da dove cominciare a leggere gli dava i brividi, e non vedeva l’ora di riuscire a ricordare tutti i simboli alla perfezione, così da poter scrivere la sua prima lettera alla sua famiglia.
Un venticello freddo gli scompigliava i capelli e lo faceva rabbrividire, ma continuò a leggere, balbettando quando non sapeva qualche parola, e allora Yuri lo aiutava, indicandogli la lettera, la corretta pronuncia e ripetendola fino a quando lui non fosse riuscito a pronunciarla bene e sbuffando di tanto in tanto quando ci metteva troppo tempo. Otabek non se la prendeva, perché sapeva che Yuri voleva solo che lui diventasse bravo in fretta: aveva preso molto a cuore il suo desiderio di scrivere ai suoi genitori e alla sua sorellina.
«… “O větrě, větrilo! Čemu, gospodine, nasilĭno věẹši?” » Otabek rivolse un’occhiata a Yuri, per essere sicuro di star pronunciando tutto nel modo giusto e vide che l’altro annuiva, per poi fargli cenno di continuare.
Otabek prese un profondo respiro, continuando a passare il polpastrello lungo la fitta fila di simboli. « “Čemu myčeši chinovĭskyya strělky na svoẹyu netrudnof krilcyu na moẹya lady voi?” » Fu a quel punto che la voce di Yuri si fece sentire; il ragazzo sbuffò e portò una mano ad afferrargli il polso e glielo portò qualche parola indietro.
«No, no! Otabek devi concentrarti.» gli disse, sporgendosi verso di lui, le guance quasi a contatto. Posò il proprio indice su quello di Otabek, stringendogli delicatamente la mano e facendo scorrere quel dito su una parola in particolare. «Rileggi qui.»
Otabek aggrottò le sopracciglia, guardando bene ogni lettera, poi esordì, sicuro. «Netrudnof.» Ma non ebbe bisogno di guardare Yuri per sapere che aveva alzato gli occhi al cielo.
«Piano, leggi più lentamente.» La presa sul suo indice si fece meno forte, ma Yuri non gli lasciò la mano e si premurò di far passare il polpastrello sotto ogni singola lettera, mentre lui scomponeva la parola.
«Ne-t-r-u-d-no-f... si accorse subito dell’errore non appena pronunciò l’ultima lettera, dandosi mentalmente dell’idiota per non essersene accorto. – No… no… è netrudno-yu.» si corresse e stavolta Yuri parve soddisfatto.
«Esatto.» lo lodò, con una punta d’orgoglio nella voce; Yuri si mostrava sempre molto contento dei suoi progressi e non mancava di dimostrarglielo, anche in modi meno convenzionali, come ammettere che infine Otabek non era “così stupido come pareva”, frase a cui Otabek rispondeva rimarcando quanto neanche lui non fosse l’insegnante ideale e a quel punto Yuri solitamente gli pizzicava un braccio e gli intimava di stare in silenzio.
Continuò a leggere, interrotto di volta in volta da Yuri, che correggeva la sua pronuncia o la sua intonazione, o anche solo gli spiegava il significato di parole che Otabek non aveva mai sentito prima.
Era bello essere capace di capire ciò che qualcun altro aveva da dire, ma che non poteva riferire di persona; c’era qualcosa di affascinante nel sapere che nel passato, da qualche parte, qualcuno aveva deciso di mettere per iscritto i propri pensieri e che adesso lui aveva il privilegio di riuscire a conoscerli e magari, tramandarli. Finì di leggere, pronunciando l’ultima frase con voce incerta e sperando che Yuri non lo correggesse di nuovo; con sua somma sorpresa, Yuri non disse niente e si limitò a guardarlo con l’accenno di un sorriso sulle labbra.
Otabek lasciò che i propri occhi scivolassero sul suo volto sereno per poi posarsi proprio su quelle labbra. Erano socchiuse, chiare e sembravano morbide, perfino più morbide di quelle di Mila.
Non si accorse del momento esatto in cui era successo, non era consapevole di volerlo fino a quando non se ne rese conto, di colpo e senza alcun preavviso, e il desiderio di toccarle, passarvi le dita per constatare che fossero davvero soffici come apparivano, si fece strada in lui senza che potesse fermarlo. Strinse una mano a pugno, serrando i denti in modo da non farsi sfuggire niente di compromettente, mentre il suo intero corpo si faceva più immobile di una statua.
Yuri respirava piano e quando Otabek tornò a guardarlo negli occhi lo trovò confuso. Non capiva cosa gli stesse succedendo: aveva sempre avuto amici maschi, non era una novità, li aveva al suo villaggio e li aveva al paese eppure mai, mai, ricordava di aver provato un’emozione di quel genere. Deglutì e distolse lo sguardo. Non potava rimanere in quella posizione, con Yuri premuto sul suo fianco, il suo respiro profumato che gli soffiava sulla guancia e le sue labbra chiare che lo confondevano. Sì tirò in piedi bruscamente, strappando a Yuri un verso contrariato, mentre anche lui si alzava veloce.
«Otabek?» lo richiamò Yuri quando vide che lo ignorava. Si spazzolò con una mano la polvere dalla veste chiara, le pergamene abbandonate per terra, e si sporse in avanti afferrandogli una spalla. «Cosa succede?»
Otabek si arrestò nei propri passi, il tocco della mano che gli pesava sulla spalla, tentò di riacquistare il controllo del proprio respiro, fingendo di non sentire il battito forsennato del proprio cuore che non ne voleva sapere di calmarsi.
Mise su un sorriso nervoso, prima di voltarsi verso di lui. «Nulla. Mi sono solo ricordato che ho delle… cose da fare alla fucina.»
Otabek sperò che Yuri non riuscisse a leggere quella bugia, perché sentiva solo l’impellente bisogno di mettere distanza tra se stesso e quella radura, di pensare da solo, di farlo anche in fretta, prima di fare qualcosa di cui si sarebbe pentito e rischiare di perdere Yuri.
Yuri ritirò la mano. «Oh. Capisco. Domani verrai?» e sembrava così tanto speranzoso, ogni volta che glielo chiedeva e ogni volta Otabek gli rispondeva che sì, sarebbe tornato l’indomani, se ne avesse avuto la possibilità.
Annuì. «Certo.»
Yuri indietreggiò e Otabek lo osservò mentre si accovacciava per terra a raccogliere le pergamene; quando tornò in piedi i suoi occhi cercarono la figura di Otabek. Si sporse in avanti, come se volesse seguirlo, indugiando qualche attimo in quella posizione, poi però si ritirò verso gli alberi. «Va bene, a domani allora.» la sua schiena sparì tra la boscaglia e Otabek fu libero di salire su Astra e tornare al paese.
Sentiva la testa pesante e non sapeva cosa gli stesse succedendo, né perché, sapeva solo che Yuri, con i suoi modi bruschi, con le parole taglienti e gli occhi più affilati del suo pugnale, era riuscito a farsi strada nella sua vita e nel suo cuore in un modo che era pericoloso, spaventoso a tratti, ma bello, terribilmente bello.
 
 
Era tornato nel tardo pomeriggio ed era salito dritto nella propria stanza subito dopo aver lasciato Astra nella stalla. Non sapeva nemmeno da dove cominciare a riflettere su quello che gli stava succedendo, perché per la prima volta nella sua vita non aveva termini di paragone; il tempo passato con Yuri apparteneva ad un’altra dimensione, dove lui poteva fermarsi, disteso su di un mantello, a chiacchierare di qualunque cosa gli venisse in mente, o semplicemente a stare in silenzio, guardando il cielo e, di sfuggita, il ragazzo accanto a lui. Yuri sembrava pensarla allo stesso modo: gli aveva detto che lui era il primo umano con cui parlava, il primo di cui si fidasse, gliel’aveva detto guardandolo negli occhi e Otabek era riuscito a leggere tutta la sincerità di quelle parole. Se ne sentiva lusingato, come se l’amicizia di Yuri lo rendesse speciale. Qualche volta avevano anche duellato, per semplice divertimento, ma Otabek rimaneva incantato vedendo il modo in cui il viso di Yuri si trasformava. I suoi occhi, quando si scontravano, esprimevano tutto il loro potenziale; sembrava proprio che Yuri fosse nato per la battaglia: il modo in cui si muoveva era ipnotico, sinuoso e Otabek si era ritrovato spesso con le spalle al muro perché invece di difendersi aveva preferito rimanere a guardarlo, solo per essere preso in giro a causa di quello stesso motivo.
Altre volte invece Yuri gli aveva parlato di come si prendeva cura del bosco, di come dovesse essere sempre attento ai confini, perché non voleva che gli uomini lo distruggessero e quando Otabek gli aveva chiesto come facesse a controllare tutto il perimetro della foresta, che copriva la maggior parte della montagna e della vallata, Yuri gli disse che usava gli animali, spesso lupi, e chiedeva loro di scoraggiare chiunque tentasse di entrare. Gli disse anche, con il suo solito tono pungente, di ritenersi fortunato che volesse passare del tempo con lui, invece di mandargli i lupi alle calcagna e Otabek aveva provato una piacevole sensazione di calore allo stomaco, eppure non riusciva liberarsi dal sospetto che ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo in cui sentiva quando stava con Yuri.
Quella mattina non era stata diversa. Si erano visti, si erano salutati e si erano semplicemente seduti per terra a leggere, come facevano già da un po’ di tempo. C’era stata quiete, un’atmosfera quasi familiare, d’intimità. Otabek ne era confuso, perché non riusciva a capire come fosse possibile che in così poco tempo, Yuri avesse raggiunto, e forse superato, il livello di confidenza che aveva con Mila. Sentiva di potersi affidare a lui e pensare che durante il loro primo incontro Yuri non aveva fatto altro che minacciare di ucciderlo e puntargli la sua stessa spada alla gola gli sembrava ormai assurdo. Non credeva possibile riuscire a provare così tanto affetto per una persona così diversa da coloro con cui era abituato ad aver a che fare.
Si passò una mano sul volto, al ricordo del suo viso vicino al proprio, del suo profumo fresco ed invitante e delle sue labbra di quel color rosa lieve.
Tutto in Yuri parlava di una delicatezza intrinseca, eppure Otabek non si sarebbe mai sognato di definirlo delicato, o debole, anzi se c’erano due aggettivi che potevano descrivere Yuri, erano sicuramente combattivo e fiero. Yuri era… era totalmente diverso da chiunque altro avesse mai incontrato e non rientrava in nessuna delle categorie che Otabek conosceva. Ed era bello, era bello e Otabek non sapeva cosa fare a riguardo; era bello in modo diverso da come poteva esserlo Mila: lei aveva le forme morbide di una donna e non c’era da chiedersi perché fosse bella, Yuri invece era alto e asciutto, un fascio di muscoli scattanti e movenze a tratti aggressive e scomposte a tratti ipnotiche ed aggraziate, ma che si adattavano perfettamente al suo carattere.
Tuttavia, Otabek non riusciva ancora ad arrivare al nocciolo della questione e tutta quella confusione, tutto quel riflettere su qualcosa che non capiva, l’aveva solo stancato e gli aveva provocato un forte mal di testa.
Quasi cadde giù dal letto quando due colpi secchi alla porta lo strapparono a forza dai propri pensieri, come un sonnambulo svegliato di colpo. Si alzò velocemente, sistemandosi la camicia e aprì la porta; trovò Mila, infuriata come non l’aveva mai vista, che gli diede un colpo sul petto non appena lo vide. «OH! Sei vivo allora!» esclamò. Lo spinse di lato per entrare e si andò a sedere sul bordo del suo letto.
«Ciao anche a te.» borbottò lui, ma Mila non era dell’umore giusto per sopportare il suo sarcasmo e gli rivolse un’occhiata di fuoco. «Spero tu abbia una spiegazione per non esserti fatto vedere in questi giorni. Eppure Feliks mi ha detto che ti ha dato anche più tempo libero.»
Otabek richiuse la porta; i suoi pensieri avevano già cominciato a correre per trovare una soluzione a quella situazione scomoda in cui si era cacciato. Di sicuro non poteva dire a Mila di Yuri, ma come spiegarle dove se ne andava ogni pomeriggio e sera?
Ma Mila, cosa che non aveva messo in conto, ormai aveva imparato a decifrare perfino le sue più piccole espressioni, i minimi cambiamenti nel suo volto.
La ragazza assottigliò gli occhi, piegando la testa di lato. «Beks, stai arrossendo?» gli chiese curiosa.
Non le rispose, e probabilmente divenne ancora più rosso, perché Mila si mise a ridere. «Oh… tu hai incontrato una ragazza! E Beks, stai arrossendo! Quindi hai incontrato una ragazza che ti piace
Otabek scosse la testa. «N-no! Smettila di dire idiozie!» reagì e capì di aver sbagliato nello stesso momento in cui l’ultima parola gli lasciò le labbra, perché il sorriso di Mila si fece ancora più grande e lei posò una mano sul letto, facendogli cenno di sedersi accanto a lei. «Ah! Otabek Altin, non mi freghi più! Chi è? La conosco?» quando vide che Otabek non le rispondeva, né si muoveva, sbuffò rumorosamente. «Smettila e parlami di lei.»
Otabek la fissò; non poteva dirle di Yuri, si ripeté. Eppure, si disse, forse Mila gli stava porgendo la soluzione su un piatto d’argento, forse parlarle di Yuri, anche se indirettamente, l’avrebbe aiutato a capire cosa gli stava succedendo. Non era sicuro che questa discussione gli avrebbe dato le risposte che cercava, e non era sicuro che tali risposte sarebbero state facili da accettare, ma con un sospiro sconfitto si andò a sedere accanto a lei. «Non so cosa dirti.»
Mila gli posò una mano sulla spalla. «Sei così imbarazzante, amico mio. Comincia a descriverla, poi vedrai che ti verrà tutto molto naturale.» gli sorrise, incoraggiante.
Anche se con qualche riserva, Otabek prese un profondo sospiro. «Beh, ha dei begl’occhi, e anche un bel viso…» Mila inarcò un sopracciglio. «Solo questo? Com’è fisicamente?»
Otabek la guardò, consapevole di cosa Mila gli stesse chiedendo e cosa si aspettasse, ma lui non poteva descrivere qualcosa che non esisteva; non che Yuri non avesse un bel corpo, per quanto gli sembrasse strano ammetterlo, ma di sicuro Mila voleva sentir parlare di seni, e al massimo di gambe, niente a che vedere con spalle larghe e grandi mani dalle dita lunghe che giocherellavano con un pugnale. Scosse le spalle e Mila alzò gli occhi al cielo. «Giusto, dimenticavo chi ho davanti. Continua pure.»
Otabek non sapeva se sentirsi offeso o meno da quel commento, ma decise di ignorarlo. «Mi trovo bene con lei, mi piace parlarle, perché non devo stare troppo attento a ciò che dico… e mi piace ascoltare quello che ha da dire, soprattutto.» Si guardò le mani e si ricordò delle prime volte che aveva visto Yuri. «È un po’ scontrosa, a volte. Però è… non so, non ho mai conosciuto nessuno come lei, non sembra nemmeno appartenere a questo mondo.» si trovò a sorridere, senza neanche accorgersene.
Mila gli passò un braccio attorno al busto, poggiandogli la testa sulla spalla. «Il mio Beks si è innamorato!» esclamò lei, ignara dell’effetto che avrebbero avuto quelle parole su Otabek.
Lui la guardò mentre cercava di processare quell’ultima frase. «Cosa?» perché non poteva essere, doveva aver capito male per forza.
Mila alzò gli occhi al cielo e gli strinse il braccio. «Innamorato, Beks. Amore. “È bella, non ho mai conosciuto nessuno come lei, mi trovo bene con lei e mi piace ascoltarla” e dovresti vedere la tua faccia.» sospirò lei prima di sorridergli. «È una cosa bellissima, Otabek. Perché non volevi dirmelo?»
Otabek scosse la testa. «Io non credo che… sia amore.» Non poteva assolutamente essere amore, affetto sì, amicizia senza dubbio, ma amore? L’amore era qualcosa di molto più profondo e soprattutto era qualcosa che un uomo provava verso una donna.
«Io credo di sì, invece. In realtà non c’è nemmeno bisogno di guardati per capirlo, basta sentirti parlare. Si sente che tieni molto a lei e ti piace stare con lei, vero?» Mila parlò a voce bassa e in tono dolce, mostrando di nuovo tutta quella gentilezza ed empatia di cui era capace.
Otabek ne era intimorito, proprio perché sapeva quanto Mila fosse brava a leggere le persone, quasi come se riuscisse a percepire le loro emozioni e per questo sapeva anche di poter far finta che lei non gli avesse detto nulla. Mila aveva ragione: Otabek teneva a Yuri, anche troppo, e gli piaceva stare con lui.
Sospirò e annuì, scacciando via la lieve sensazione di panico che gli faceva pizzicare la nuca, e cercando di aprirsi alla possibilità che ciò che provava per Yuri si trattasse realmente di amore.
Mila gli sorrise e continuò. «E ti piace lei. Ti piace il suo aspetto, giusto?» ancora una volta, Otabek si ricordò del sorriso di Yuri, o del modo in cui teneva il pugnale alzato di fronte al viso, mentre scattava di lato per provare un affondo e non riuscì proprio a frenare la propria reazione, quando il cuore gli accelerò e lo stomaco gli si strinse al solo pensiero. E nonostante tutto, tentò ancora di creare una scusa. «Mila, ma mi piace stare anche con te, e mi pare di averti detto mille volte che ti trovo bella.»
La sua amica fece del suo meglio per non alzare nuovamente gli occhi al cielo e borbottò tra sé e sé. «Perché ci provo ancora?» prima di portare quella conversazione su un altro livello. «Lo so che tieni a me, Beks. Ma non è la stessa cosa, ecco perché ti voglio fare un’altra domanda.»
«Quindi?» Incalzò lui, a quel punto impaziente di sentire cosa stesse passando per la testa rossa di Mila.
Il sorriso furbo che si aprì sul suo volto quasi lo spaventò. «Ti è mai venuta voglia di baciarla? E non intendo un bacio stupido come quello che hai dato a me quando ci siamo conosciuti, intendo un bacio di quelli seri, quelli belli.» e dopo quelle parole, Otabek era certo di essere diventato scarlatto.
Fece una smorfia, borbottando senza neanche provare a nascondere l’imbarazzo. «Ma che razza di domanda è?» Il suo volto doveva essere uno spettacolo ridicolo, a giudicare dall’espressione di Mila, ma lei sorrise ancora più ampiamente. «Rispondi.»
Otabek si prese del tempo prima di risponderle. A dire la verità non aveva mai provato il desiderio di baciare Yuri, o meglio – anche se era difficile ammetterlo persino a se stesso – si era vietato di provarlo, però quella mattina si era soffermato ad osservargli le labbra; di nuovo, sentì qualcosa smuoversi nel suo stomaco e forse, se non se ne fosse andato di fretta e furia, forse avrebbe voluto baciarlo.
«Non lo so. Forse.»
«Devi incontrarla domani?» gli chiese Mila. Otabek scrollò le spalle, rispondendo con un fievole “sì” e Mila si illuminò. Si alzò in piedi e batté le mani. «Allora cerca di capirlo, e se sarà così – si posò una mano sulle labbra, come se gli stesse svelando un segreto – cosa che credo, promettimi che le dirai tutto!» gli fece l’occhiolino.
«Ci proverò.» fu la sua mezza promessa, confuso com’era sul come avrebbe mai potuto dire una cosa del genere a Yuri senza spaventarlo o allontanarlo per sempre.
«Va bene, però promettimi anche un’altra cosa.» l’espressione di Mila si fece triste e lei mise su un broncio; Otabek non era sicuro di voler sapere cosa stesse per dirgli.
«Promettimi che non mi lascerai mai più sola per una settimana intera! Brutto idiota, pensavo di aver fatto qualcosa di male!» sbottò.
Otabek sentì un grosso peso scivolargli via del petto, perché non avrebbe mai voluto ferire Mila, allungò un braccio verso di lei facendole cenno di avvicinarsi e abbracciandola quando fu a portata di braccia. «Adesso fai il carino? Non funziona così, mio caro!» strillò lei, ma stava ridendo. Otabek sorrise con lei, perché alla fine Mila sarebbe stata sempre sua amica, e forse un giorno avrebbe potuto davvero parlarle anche di Yuri.
 
 
 
 
Traduzione:
O větrě, větrilo! Čemu, gospodine, nasilĭno věẹši? Čemu myčeši chinovĭskyya strělky na svoẹyu netrudnoyu krilcyu na moẹja lady voi?
O vento, venticello! Perché, signore, soffi nemico? Perché porti le frecce unne sulla tua ala leggera contro i guerrieri del mio sposo?
 
Note finali:
Holaa~
Questo capitolo è stato un parto! L’ho modificato fino ad un momento prima di pubblicarlo e non ne sono ancora del tutto convinta T_T
Precisazioni (come al solito): sebbene io non abbia scelto una data precisa per lo svolgimento dei fatti, nella mia testa il tutto si svolge nel 1200 circa, in una zona nella parte sud dei monti Urali, quasi sull’attuale confine tra Russia e Kazakistan. In quel periodo, lì ci stavano i Bulgari, e per gentile concessione della mia beta, ho scoperto che utilizzavano il cirillico come lingua corrente (essendosi fusi con le varie popolazioni slave preesistenti) e che qualche anno dopo sono stati dominati dai Bizantini.
A tal proposito, il poema citato “Cantare delle Gesta di Igor” (titolo originale: Slovo o Pŭlku Igorevě) esiste realmente, ed è stato scritto da un autore anonimo nel XII secolo ed è l’unico dannatissimo testo di letteratura slava antica che sono riuscita a trovare su internet! Ho quasi pianto di gioia quando ho scoperto che si incastrava bene con lo spazio-tempo della storia!
Se vi interessa saperne di più, vi lascio il link al sito qui!
L’errore che fa Otabek quando legge è uno degli errori che facevo io quando ho iniziato ad imparare l’alfabeto cirillico, ossia confondere la lettera yu (Ю che, per correttezza, andrebbe translitterata come ju) e la lettera effe (Ф e lo so che è praticamente una “fi” greca, ma il mio cervello deformato da cinque anni di scientifico ci vede solo il flusso di campo elettrico e magnetico, sorry)
Ovviamente i nomi della famiglia di Otabek sono tutti inventati, ed in particolare il nome Rami è stato scelto perché io nutro un amore profondo verso l’attore Rami Malek (qui), che è una persona adorabile e bellissima.
Passando ad altro: questo capitolo è stato un parto, sì, ma ha anche dei momenti che ho adorato scrivere, come ad esempio Yuri che insegna ad Otabek come si legge. È qualcosa che volevo assolutamente inserire, perché mi piace che entrambi si aiutino a vicenda in questo rapporto, tirando fuori il meglio l’uno dell’altro :)
Detto ciò, grazie a chiunque abbia letto e spero che vorrete lasciarmi un parere, anche critico, li apprezzo tutti!
Come sempre, un grazie va alla mia beta, che ormai conoscete tutti, e a Silvar tales e Kiarana che hanno recensito lo scorso capitolo! Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite!
Comunicazione: sono sotto esami! Devo dare una materia tra meno di quindici giorni, quindi l’aggiornamento della prossima settimana salterà, perché non riuscirò a sistemare il capitolo, purtroppo *sigh*
Quindi alla prossima!
LysL
  
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