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Autore: vero511    09/04/2017    2 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Continuiamo a tenere d’occhio il ricevitore, nel caso in cui ci fossero novità. Il mio cellulare è ancora impossibile da usare a causa del segugio Zack che mi tiene sotto stretta osservazione. Da quanto ho capito in poco più di ventiquattr’ore, anche lui utilizza il telefono solo il minimo indispensabile: manda dei messaggi di tanto in tanto a Matt, come per assicurarlo che sta andando tutto bene. Quest’ultimo, pare non sapere che io sia qui; tutti credono che sia tornata a casa per dare l’ultimo saluto ad un parente molto malato.
“Quando potrò uscire?” Chiedo sbuffando al mio coinquilino. “Tanto per cominciare quando il diluvio universale sarà finito, a meno che tu non voglia prenderti l’influenza. E in secondo luogo, quando sarò certo che siamo al sicuro”. Mi lascio cadere di peso sul divano, rassegnata. “E tu invece quando la smetterai di lamentarti e alzare gli occhi al cielo?” “Magari quando sarò finalmente libera e non in prigione come sono ora” alzo di poco la voce. “Sai, questa prigione serve a salvare la vita tue e di tuo figlio, in caso non te ne fossi accorta!” Sta gridando anche lui adesso, ci guardiamo in cagnesco ed entrambi cerchiamo una lite, ma un pianto isterico ci interrompe. Senza degnarlo di uno sguardo, mi trascino in camera dove avevo lasciato Alex a dormire. Deve aver fatto un incubo e mi ci vuole circa un quarto d’ora per calmarlo definitivamente, inoltre, i tuoni e i lampi che imperversano fuori dalle finestre non aiutano. “Va tutto bene?” Zack è appoggiato allo stipite della porta, e la rabbia che aveva prima ad incendiargli lo sguardo sembra essersi dissolta. “Sì, credo sia stato solamente un brutto sogno”. “Vado a farmi una doccia prima di cenare, hai bisogno del bagno?” “No”. L’aria tra noi è palesemente tesa dopo la discussione di prima. Forse ho davvero esagerato, dopo gli chiederò scusa. Infondo nessuno lo ha costretto a immischiarsi in questa faccenda che sembra essere più pericolosa di quanto pensassimo. Magari, più semplicemente, ora che è in ballo non vuole avere vite sulla coscienza; in ogni caso sono in debito con lui.

Ho preparato la cena così da rendere Zack di buon umore, scusarmi non sarà per nulla semplice e sicuramente dirà qualcosa che rischierà di farmi infuriare, meglio essere a pancia piena e il più rilassati possibile. “Z-Zack…io…ecco…” attiro la sua attenzione e ora mi guarda incuriosito. “…volevo scusarmi per prima…ho sbagliato a dire quello che ho detto” abbasso la testa colpevole, ma fiera di me stessa per essere riuscita ad ammettere i miei errori. Non è sempre facile riconoscere di aver sbagliato. “Ho le mie responsabilità anche io” sospira poi, alzandosi. “Non volevo farti sentire in prigione, ma ho bisogno che siate al sicuro. Hanno aggredito me, non credo servano molte motivazioni o forza per attaccare una giovane donna e suo figlio”. Ora capisco appieno di essermi comportata come una bambina, dovrei davvero smettere di parlare a sproposito e senza pensare. “Resterò qui tranquilla, ma ti prego, se pensi che io possa uscire, anche solo per pochi minuti, lasciamelo fare”. “Te lo prometto”. Quello che ci scambiano in seguito, è un cenno quasi fraterno che decreta la fine della nostra guerra verbale.
“Hai fatto tu il quadro appeso sopra al letto?” Gli chiedo per cambiare discorso. “Cosa te lo fa pensare?” È come se il suo sguardo avesse assunto un’ombra cupa, un po’ come quando sta per arrivare il temporale e il cielo si riempie di nuvole grigie. “Sesto senso?” Cerco di sdrammatizzare per evitare che scoppi un altro litigio. “Qualche anno fa, l’ho dipinto per svago. Sono stato in una galleria e non ho trovato nulla che mi piacesse, avevo bisogno di riempire la parete e così l’ho fatto. Niente di più”. È come se il suo discorso implicasse che c’è sotto dell’altro, ed è stato proprio lui a darmi quest’idea, arricchendo la sua risposta con dettagli che non gli avevo richiesto; ed è assolutamente ovvio che una spiegazione così nervosa e febbrile non desiderata, serve a mascherare qualcosa. “Non me ne intendo molto, ma è veramente bellissimo” finalmente mi decido a guardarlo e lo ritrovo come immerso nei ricordi, finché non realizza le mie parole e allora mi osserva stupito. “Grazie” solleva di poco un angolo delle labbra, in un sorriso appena accennato e assume l’aria di un bambino che, ingenuamente, si sottovaluta. “Perché proprio le mani? Cioè è una cosa tipo nessuno si salva da solo?” Non lo facevo molto romantico, ma forse mi sbagliavo. “Non proprio, insomma, non sono uno da frasi fatte… solo…non lo so neanche io con esattezza. Non credo che da soli non potremmo farcela, ma forse avere qualcuno può essere d’aiuto. Ci sono solo le mani, ma non solo perché volevo accentrare l’attenzione su di esse, ma anche perché non volevo rappresentare una situazione in cui fosse obbligatorio pensare che la persona nella parte superiore stesse salvando la vita dell’altra.” Lo osservo in silenzio ragionando su ciò che ha appena detto. Probabilmente fraintendendo la mia mancanza di parole, continua: “è complicato, lo so. L’arte è molto soggettiva e non sempre è facile capire le interpretazioni altrui, proprio perché magari non le condividiamo”. “Oh no, invece ho capito e credo che tu abbia ragione, solo…stavo pensando a quanto sia affascinante il fatto che delle semplici mani possano significare così tanto.” Ora è il mio turno per perdermi nei meandri della mente: ripenso alla mia vita e al fatto che d’ora in poi, comincerò a fare più attenzione ai dettagli.
“Sai…dovresti fare un quadro anche per il mio appartamento, in effetti è un po’ spoglio” ridacchio. “Ci penserò, cosa vorresti che disegnassi?”, “Aspetta…ma sei serio?” “Certamente” “Allora direi io e Alex”. I suoi occhi sono puntati nei miei e senza sapere come, ci ritroviamo davvero molto vicini; le mie palpebre si fanno pesanti e seppur il nostro contatto visivo sia stato interrotto, la vibrazioni che esalano i nostri corpi rendono l’aria elettrica. All’improvviso, un pianto ci interrompe proprio come qualche ora fa. Mi alzo di scatto e, un po’ per la tensione di poco fa e un po’ per l’azione avventata, perdo per un momento l’equilibrio; subito due forti braccia mi cingono la vita e mi rimettono dritta “g-grazie”, poi insieme ci affrettiamo verso la camera da letto. Alex sta urlando a squarciagola e temo abbia fatto un altro incubo, ma quando lo prendo in braccio, mi accorgo che è piuttosto caldo e le sue gote sono più arrossate del solito. “Ha la febbre” constato. “Cosa posso fare?” Zack sembra leggermente allarmato e probabilmente non ha mai avuto a che fare con un bambino febbricitante. “Innanzitutto devi stare calmo, poi potresti prendere un panno e bagnarlo con dell’acqua fredda” gli sorrido riconoscente e compassionevolmente, ricordando quando fui per la prima  volta nella sua situazione ed entrai nel panico più totale.

Dopo una mezz’ora buona passata a porre delle salviette bagnate sulla fronte del piccolo e riscontrando, come unico risultato, un semplice affievolimento della sua agitazione, decido che servono assolutamente delle medicine. “Zack, ho bisogno che resti qui e che continui ad accudirlo. Devo andare in farmacia”. “Non se ne parla, ci vado io”. “Non sai cosa devi prendere”, “Chiederò al farmacista”. Non vuole sentire ragioni e così, pregandolo di fare il più presto possibile, lo osservo usciere e chiudersi la porta alle spalle.
Torno da Alex, nel tentativo di fargli mangiare qualcosa, un qualcosa che poco dopo essere stato ingerito, finisce direttamente sulla mia maglietta e sull’asciugamano che era accanto a lui sul letto. Mi alzo e decido di cercare una salvietta pulita per poter tornare a immergerla nell’acqua ghiacciata: non ho famigliarità con questo appartamento e non ho la più pallida idea di dove trovare quello che cerco, così vago aprendo la prima porta che trovo e resto ferma sulla soglia, spaesata. Davanti a me si estende una piccola scrivania e poco più in là c’è un cavalletto con una tela posta sopra ad esso. Le pareti sono cosparse di schizzi di tempere e fogli, a terra ci sono quelle che sembrano bozze accartocciate e tutto è un tripudio di carta e colori. Mi avvicino alla tela e raffigurata trovo un’ombra scura dall’aria minacciosa, con una mano sollevata; è un paesaggio notturno, le stelle sono coperte dalle nuvole e la vegetazione intorno cresce selvaggia e indomita. È stato Zack a disegnare tutto questo? Probabilmente sì. Scioccamente mi perdo a curiosare ancora un po’ qua e là, cercando di lasciare tutto com’è.
Ad un tratto, scorgo un disegno che attira la mia attenzione più di qualsiasi altra cosa al mondo: una donna giovane con i capelli legati in una coda di cavallo che sorride ad un bambino paffuto dall’aria famigliare. Questi siamo io e Alex. Vederlo me lo fa tornare subito alla mente e nonostante l’immensa gioia e sorpresa nel sapere che Zack ha deciso di rappresentare proprio noi, non posso fare a meno di essere invasa dalla preoccupazione per le condizioni di mio figlio. Zack non è ancora tornato con  i medicinali, la febbre del bambino sta salendo, esattamente come la mia ansia. E se gli fosse successo qualcosa? Ho giusto il tempo di sviluppare questo pensiero, perché la porta si apre e spunta Zack con il fiatone. Mi allunga una busta contenente l’antipiretico e lo somministro ad Alex mentre l’uomo si riprende. “È successo qualcosa?” “Qualcuno, non so come, sa che siamo qui.” “È per questo che ci hai messo tanto?” “Sì, ho fatto un giro più lungo perché non trovassero l’appartamento”. Mi si gela il sangue e dei brividi attanagliano il mio corpo, Zack sembra accorgersene. “Ehi, andrà tutto bene” cerca di rassicurarmi e devo ammettere che in buona parte ci riesce. Con lui mi sento piuttosto al sicuro, ma purtroppo non siamo soli e la paura per l’incolumità di mio figlio viene prima di ogni altra cosa. “Non possiamo restare qui” affermo decisa. “Stavo pensando la stessa cosa, ma come ci hanno trovato qui, ci troveranno anche altrove”. “Quindi cosa pensi di fare?” “Dobbiamo capire cosa ha in mente Allen e scoprire chi ci ha traditi.” Tutte le sue affermazioni sono corrette, ma il problema è metterle in pratica. “Ci servirebbe proprio un intervento divino” e ridacchio in modo isterico. Come se davvero qualcuno mi avesse ascoltata, il ricevitore inizia ad emettere uno strano suono. “Che significa?” Guardo Zack perplessa, in attesa di una risposta. “Significa che Allen sta ricevendo una telefonata” si fionda ad alzare il volume dell’apparecchio, così da poter sentire meglio cosa dirà il mio ex ragazzo. Ma quando la chiamata inizia, non è la sua voce a giungere alle nostre orecchie, bensì quella di qualcun altro: quella del nostro traditore, di cui ora sappiamo l’identità.




-N/A-
Buongiorno! Ecco il nuovo capitolo che spero davvero vi piaccia, vi prego di farmi sapere cosa ne pensate perchè per me la vostra opinione è molto importante! Colgo l'occasione per ringraziarvi per tutto e niente, un bacio.
  
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