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Autore: sofimblack    09/04/2017    1 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tame

 

 

Metà Febbraio



R

 

Era tornata verso la palazzina barcollando, con la testa leggera e ridacchiando tra sé. Era certa che Elle si sarebbe arrabbiato moltissimo. In realtà non c'era niente di male in quello che aveva fatto, era più che maggiorenne, consapevole e soprattutto non era la prima volta che si ubriacava a quel modo... eppure, chissà perché, sapeva che lui non avrebbe apprezzato. Combatté con le chiavi per quello che le parve un tempo infinito prima di riuscire ad entrare nell’appartamento. Ondeggiando paurosamente si tolse le scarpe ed il cappotto, gettandoli da qualche parte per poi buttarsi sul divano. Provò a chiudere gli occhi. Pessima idea. All’improvviso, nonostante i sensi appannati, ebbe la consapevolezza che lui la stesse osservando. Si girò di scatto (di nuovo, pessima idea) fissando un punto preciso dettatole dall’istinto e, per la prima volta, notò qualcosa di strano… si alzò per controllare. Ah! C’era una minuscola telecamera ben nascosta in uno degli scaffali. Avrebbe dovuto immaginarselo... da quando era diventata così sciocca? O forse lo era sempre stata, ma essendo circondata da persone più sciocche di lei non se n’era mai accorta… 

«Ehi Elle. Sei un vero maniaco del controllo sai!? Forse non te l’hanno mai detto ma esiste una cosa chiamata privacy». 

Lo aveva detto guardando dritto nella telecamera, divertita e baldanzosa, come una bambina beccata a compiere qualche marachella ma abbastanza sfacciata da non lasciarsi intimidire. Era davvero molto tardi - quasi le 5 del mattino - ma lei era sicura che lui fosse da qualche parte nel suo hotel e la stesse guardando. Rise tra sé, chiedendosi che espressione potesse avere in quel momento. Avrebbe pagato per vederla.

Dopo un po’ uscì a maniche corte sul balcone; l’aria fresca la fece rabbrividire ma le schiarì un poco la mente, mentre tentava maldestramente di girarsi una sigaretta. Il buio pesto della notte iniziava vagamente a schiarirsi, anche se era più una percezione che non un vero e proprio cambiamento visivo. In realtà quella di ubriacarsi doveva essere stata una sorte di azione inconscia per spegnere il cervello, per impedirle di pensare a Kira, agli shinigami, alla strana ragazza del sogno… aveva cominciato con una birra durante la cena in un localino dove suonavano musica dal vivo, poi aveva continuato con un paio di cocktail e alla fine si era ritrovata a parlare con una coppia di inglesi in vacanza, coi quali aveva bevuto un numero imprecisato di shot brindando ai Beatles e al tè delle cinque. Non aveva ben chiaro neppure come fosse riuscita a tornare a casa… Era davvero un bel po’ che non beveva, non era più abituata a reggere l’alcool - e certo non aveva bevuto poco. Per un momento si adombrò, riportata ad un passato che ormai pareva lontanissimo, nel quale frequentava brutte compagnie, si ubriacava tutte le sere, giravano droghe, andava a letto con persone di cui a malapena ricordava il nome… Scacciò i ricordi dalla mente, inspirando una boccata di fumo. Senza una reale motivazione pensò ad Elle, ma non con l’irritazione che a volte le provocava o con l’ammirazione per le sue deduzioni, e nemmeno con lo strano senso di fiducia e protezione che inspiegabilmente riusciva ad infonderle. Per la prima volta lo pensò nel modo in cui una ragazza può pensare ad un ragazzo, soffermandosi con la mente sulle sue mani mai ferme, i capelli arruffati e così neri, i pantaloni larghi, le labbra che dovevano essere dolcissime come tutte le caramelle ed il cioccolato che ingurgitava, magari zuccherate… e i suoi occhi, quegli occhi che l’avevano colpita fin da subito. Il campanello suonò, riscuotendola dalle fantasie sconnesse e discutibili che quel mix letale di bevute le stava provocando.

Quando aprì rimase sorpresa: come materializzato dai suoi pensieri davanti a lei c’era proprio Elle, che senza dire niente entrò nell’appartamento togliendosi le scarpe e si accovacciò sul divano, guardandola. Rae chiuse la porta ed andò a sedersi a gambe incrociate accanto a lui, lo sguardo attratto - per un qualche inspiegabile motivo - dalle labbra di lui, ovviamente prive di quello zucchero che si era immaginata.

«Gradirei che tu non facessi uso di alcool o di sostanze, almeno non durante il caso Kira» disse infine lui, tagliente.

«Beh, ha parlato Mr Glucosio… lo sai vero che lo zucchero dà assuefazione?» 

Elle non raccolse, non era venuto lì per scherzare con lei.

«Questo non è un gioco. Se non sei in grado di capirlo puoi tornartene in Inghilterra, posso prenotarti un volo per domani.» 
Glaciale.
«Non ho fatto niente di male, sai? Inoltre sono perfettamente in grado badare a me stessa» rispose lei, piccata. 
No, non sarebbe mai tornata in Inghilterra, non prima di aver ottenuto la sua vendetta incastrando Kira. Tuttavia lo sguardo che Elle le lanciò, carico di delusione e di un qualcosa che non seppe riconoscere, la fece ammutolire.
«Ho bisogno che le persone attorno a me siano totalmente concentrate sul caso, non posso mettermi a preoccuparmi anche per te.» 


Preoccuparsi per lei? Le parole di Elle avevano infine sortito l’effetto per il quale erano state pronunciate, ovvero quello di farla vergognare e, forse, di farla tornare almeno un po’ lucida. Era vero, non poteva comportarsi come una bambina. Osservandolo con attenzione poteva vedere quanto fossero sempre più profonde le sue occhiaie, quanto quel caso lo stesse impegnando giorno e notte… e lei che faceva? Si ubriacava. Che idiota.

«Scusami.» 

Era sincera, nonostante l’annebbiamento della sua mente; anzi, a maggior ragione proprio per quello: aveva letto da qualche parte che i pochi davvero sinceri sono i matti, i bambini e gli ubriachi. Continuò ad osservarlo mentre se ne stava zitto accanto a lei, presa da uno strano bisogno… qualcosa che aveva sotterrato dentro di sé da tanto, troppo tempo.

«C’è qualcos’altro che vuoi dirmi, lo vedo. A questo punto credo che tu possa dire quel che ti pare.» 
Lei esitò, incerta.
«Non mi arrabbierò, davvero… A cosa pensi, Rae?» 

«Io…»

Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, quasi dolcemente, lontano anni luce dalla freddezza con cui l’aveva apostrofata poco prima, sbriciolò definitivamente ogni sua eventuale remora. 

Sciolse con qualche difficoltà la posizione delle gambe, mettendosi a quattro zampe sul divano come un gatto curioso ed avvicinandosi a lui, scrutandolo mentre si irrigidiva nella sua posizione. Lei si muoveva con cautela, come se avesse avuto a che fare con un animale selvatico, poi avvicinò lentamente il naso al suo collo e lo annusò, sfiorandogli appena i capelli e la pelle. 

Sentì profumo di bucato fresco, di fiori e di buono, con una nota stranamente esaltante di… non sapeva esattamente di cosa, probabilmente poteva definirsi soltanto come “Elle”. 

In tutto ciò lui era rimasto lì, perfettamente immobile, senza scostarsi. Una statua.

«Vorrei abbracciarti» disse lei dopo un po’, persa dietro a tutte le emozioni che le affollavano la mente e lo stomaco e il cuore e tutto quanto.

Lui la guardò e basta, restando in silenzio. Rae allora, temeraria ed impulsiva come sempre - e soprattutto ancora sbronza - , lo interpretò come un tacito assenso e gli si avvicinò ancora di più, inginocchiandosi sul divano e mettendogli le braccia attorno al collo con cautela, stringendolo a sé, affondando infine il viso tra i suoi capelli ed il suo odore. Si era scoperta desiderosa di un contatto fisico e affettivo dopo così tanti mesi - forse anni - che non ne sperimentava uno, sorprendendosi da sola. Era lontana migliaia di chilometri da casa, suo padre era morto, Kira era reale e probabilmente esistevano gli dei della morte. Forse aveva semplicemente bisogno di un gesto rassicurante, un impulso del tutto naturale ed umano. Dopo un lasso di tempo che le parve infinito percepì un movimento appena accennato da parte sua; pensò che volesse scostarsi da lei, che avesse osato troppo, ed invece - dopo un attimo di esitazione - sentì le braccia di Elle che si stringevano lente ed incerte attorno alla sua schiena, le mani aggrapparsi alla sua felpa, il mento di lui appoggiato sulla sua spalla. Gli ci volle un altro po’ di tempo per rilassarsi completamente ed abbandonarsi a lei, che a quel punto si era ormai totalmente assuefatta al suo odore, un lieve sorriso che le aleggiava sulle labbra, il cuore che tamburellava con insolita intensità. Forse, per una volta, aveva semplicemente bisogno che quello strano ragazzo la stringesse a sé, tenendo insieme la miriade di pezzi in cui rischiava di sbriciolarsi.

 

 

 

La ragazza bionda tornava a trovarla tutte le notti nei suoi sogni. Detta così sembrava quasi una cosa romantica; nella realtà Rae non riusciva mai ad abituarsi alle spiacevoli sensazioni che le trasmetteva. Erano vagamente simili a quelle che aveva provato vedendo Kira, anche se senz’altro meno intense. Ogni notte cercava di rimandare il più possibile il momento di addormentarsi, finché non crollava esausta ed incontrava di nuovo quei terribili occhi rossi. Sperava di non dare nell’occhio: sapeva che Elle la controllava e che non si lasciava sfuggire nessun dettaglio, perciò lei tentava sempre di mostrarsi naturale e rilassata. Era sfiancante però, erano passate più di due settimane dalla prima volta che l’aveva sognata e tenersi dentro costantemente una roba così, col pensiero di non lasciarsi sfuggire nulla neppure mentre dormiva, certo non diminuiva il suo stress. Eppure, il suo dannato istinto continuava a suggerirle di non dire ancora nulla… certe volte si sarebbe mandata a quel paese da sola. Le sue dita martoriate chiedevano pietà. Decise di concedersi una passeggiata per trovare un po’ di pace mentale ed un caffè di quelli giganti; ormai riusciva a mettere in fila qualche parola di giapponese e iniziavano a venirle spontanei pure i piccoli inchini in risposta a quelli di commessi, camerieri e quant’altro. Cominciava ad apprezzare quell’antica cultura nella quale si era catapultata così, da un giorno all’altro… Arrivò nel quartiere di Ikebokuro, un caos di strade e di negozi, e soprattutto di giapponesi smaniosi di fare shopping. Si infilò dentro ad uno Starbuck’s per ordinare un frappuccino gigante [nda disonore e vergogna! Bah, ‘sti stranieri e la loro assurda concezione di “caffè”.-. e lo dico da teinomane eh!]; anche in queste occasioni forniva sempre un nome falso, misura forse eccessiva ma che aveva il potere di infonderle sicurezza. Inoltre “Emily” era un nome che le piaceva, le ricordava una canzone… Quando uscì di nuovo in strada, pensando di tornarsene a casa, quasi le venne un colpo. Si bloccò, del tutto dimentica del caffè che teneva in mano. Davanti a lei c’era la ragazza del sogno, i codini biondi, un sorriso sulle labbra. Rae era rimasta lì a fissarla, ferma, in mezzo di strada, mentre i passanti la scansavano un po’ infastiditi. No, non era lì in carne ed ossa, in tal caso probabilmente le sarebbe venuto un colpo: la sua immagine a grandezza naturale campeggiava su un cartellone pubblicitario, ammiccante e seducente mentre, in bikini, pubblicizzava una bevanda energetica; aveva ovviamente occhi normalissimi - niente a che vedere col rosso inquietante del sogno- eppure era lei, non c’erano dubbi. Ecco perché aveva un’aria familiare! Doveva averla vista su qualche cartellone ma semplicemente, essendo poco interessata alle pubblicità, non le aveva prestato molta attenzione. Col suo giapponese stentato chiese a qualche passante chi fosse, ma nessuno seppe risponderle. Decise di farsi furba ed aspettò un po’, finché non adocchiò un gruppetto di ragazzine ridacchianti passare di là: magari era una di quelle teen-idol che in Giappone erano tanto popolari, perciò perché non chiedere direttamente a delle “teen”?

«Scusate… sono inglese e vorrei un’informazione (lezione 5, “Formule utili”). Sapete dirmi chi è lei?» chiese loro, indicando il cartellone.

Le ragazzine la guardarono con espressioni a metà tra il divertito ed il sorpreso.

«Ma certo! È Misa Misa! È così bella…»

Si fece scrivere il nome sia in kanji che in caratteri occidentali - fortunatamente a scuola insegnavano le lingue straniere - e le ringraziò con un inchino. Finì il frappuccino in pochi sorsi, incendiata da una nuova determinazione. Adesso che aveva un nome sarebbe stato tutto più semplice, soprattutto perché questa Misa Misa pareva avere una certa fama tra le adolescenti. Le serviva un computer, ma non poteva certo usare quello che aveva in casa; sospettava che Elle le controllasse pure quello, e la sensazione di non dovergli rivelare nulla si faceva sempre più forte ad ogni passetto che compiva nelle sue indagini “segrete”.

Entrò in un internet point e si prese un’altra tazza di caffè gigante, piazzandosi davanti allo schermo di un pc libero. Google. Misa Amane. Davanti a lei comparve la ragazza che aveva sognato, stavolta però in mille pose e vestiti diversi, seducente o ingenua, allegra o drammatica. Come aveva sospettato era una teen-idol, attrice e modella, e al momento viveva a Osaka. Scorrendo la sua pagina di Wikipedia apprese che era stata scoperta da un talent scout quando era appena una ragazzina di 12 anni, e che i genitori erano morti entrambi l’anno precedente. Aprì un’altra pagina per calcolare quanto Osaka fosse distante da lì. Col treno ci volevano quasi quattro ore, per un totale di otto tra andata e ritorno. Senza contare il tempo necessario per rintracciarla. Un’assenza del genere non sarebbe certo passata inosservata. Rae, tormentandosi distrattamente una ciocca di capelli e sorseggiando il suo caffè, era totalmente presa dai propri ragionamenti. Cosa poteva avere a che fare una teen-idol col caso Kira? Che si fosse sbagliata? Impossibile, l’aveva sognata troppe volte di fila. Forse, se l’avesse incontrata, avrebbe avuto nuove percezioni. In fondo, quando aveva visto Kira, era stato come se un fiume in piena di sensazioni l’avesse travolta… Ma che scusa avrebbe potuto inventarsi per andare a cercarla? Un giretto turistico? Improbabile, inoltre non aveva molti soldi. Magari però Misa sarebbe potuta venire a Tokyo per lavoro, doveva solo informarsi sui suoi spostamenti con discrezione, stando bene attenta a non far capire i propri piani. Sì, avrebbe fatto così.

 

 

Aprile, seconda settimana


L

 

Andare all’Università era una gran bella seccatura. Le lezioni erano del tutto superficiali e generiche, prive di stimoli o di nozioni che già non sapesse, inoltre stare in mezzo a così tanta gente lo sfiancava… eppure la sua era stata un’ottima mossa, perciò avrebbe continuato su quella strada. Svelare la propria identità a Light Yagami, sapendo che aveva bisogno del nome per uccidere, oltre che del volto, gli aveva garantito una sorta di protezione, almeno per un po’; se anche fosse riuscito ad ucciderlo tutti i sospetti sarebbero ricaduti su di lui. Inoltre aveva scelto appositamente il nome di Hideki Ryuga, una famosa star la cui morte non sarebbe certo passata inosservata nel caso in cui Kira avesse tentato di usare quel nome… ma era sicuro che Kira non era uno sciocco e non avrebbe mai azzardato una mossa del genere. Probabilmente si sarebbe preso questo rischio anche senza la conferma da parte di Rae sugli elementi che servivano a Kira per uccidere ma, siccome era ancora vivo, quello era un ulteriore elemento a favore della credibilità delle premonizioni di Rae. La sua prossima mossa sarebbe stata semplice: aveva deciso di chiedere a Yagami di aiutarlo con le indagini a proposito di Kira, mettendo apparentemente tutte le carte in tavola e rivelando i suoi sospetti. La tattica migliore era precedere tutte le sue mosse, in modo da non fargli prendere l’iniziativa. In realtà, sapendo che Kira era lui, quello era un ulteriore modo per incastrarlo: averlo costantemente sott’occhio gli avrebbe permesso di capire meglio come ragionava la mente Kira, possibilmente permettendogli di capire come fregarlo. Lo avrebbe dovuto dire a Rae però, e probabilmente quella sarebbe stata la parte più difficile, soprattutto considerando la reazione che lei aveva avuto semplicemente nel vederlo passeggiare per strada. L’idea di una loro collaborazione l’avrebbe sconvolta di certo… 

No, non glielo avrebbe detto per confidarsi o perché sentisse di doverle alcunché, e neppure aveva intenzione di farle incontrare Yagami: semplicemente, se lei lo fosse venuto a sapere - e c’era un 87% di possibilità che ciò accadesse - molto probabilmente lo avrebbe considerato come un tradimento e avrebbe smesso di aiutarlo. Elle sospirò, vagamente turbato. Relazionarsi in modo così stretto con una persona, preoccupandosi dei suoi sentimenti, era una cosa del tutto nuova per lui. Anche interessante per certi versi, almeno finché non andava ad influire sul suo modo di ragionare. Solitamente quando lavorava ad un caso mentiva, raggirava, ricorreva a mezzi discutibili… ma con Rae non poteva né doveva fare niente di tutto ciò, lo sapeva bene. 

«Devo dirti qualcosa che non ti piacerà.»

Rae alzò gli occhi al cielo, sbuffando sarcastica.

«Ah, perché invece solitamente mi dici cose carine o piacevoli?»

Come sempre erano accoccolati sul divano nell’appartamento di Rae, lui nella sua solita posizione accovacciata e lei a gambe incrociate, tra di loro un pacchetto di merendine al cioccolato. A lui sarebbe piaciuto fare una passeggiata, magari in un qualche parco nei dintorni, ma non poteva assolutamente rischiare di farsi vedere in giro con lei. Già il mostrarsi in pubblico a scuola, nonostante nessuno sapesse chi lui fosse in realtà, era stata una mossa azzardata… ma se qualcuno degli agenti lo avesse visto, o peggio, se Light Yagami fosse venuto a conoscenza dell’esistenza di Rae… no, dovevano starsene chiusi in quell’appartamento, uscire era fuori discussione. La osservò guardarlo con curiosità e lieve preoccupazione, immersa in una felpa di almeno tre taglie più grande di lei. Elle ovviamente lo aveva notato subito: pareva non volesse mettersi in mostra come le altre ragazze della sua età, che si curavano nell’abbigliamento in modo da far risaltare il proprio corpo; lei sembrava cercasse di passare inosservata, nascondendosi in maglioni oversize o dietro occhiali da sole scuri, che impedivano a chiunque di vedere quel suo sguardo penetrante… Rae studiava tutti, tentando però di non dare nell’occhio, di non essere lei stessa oggetto di analisi… e sembrava riuscire nel suo intento, nonostante a Elle sembrasse un’assurdità. Lei aveva il fascino discreto delle cose tristi, ma a giudicare da quanto era sola pareva che nessuno lo notasse. “Il fascino discreto delle cose tristi”? Da quando in qua faceva certi pensieri smelensi? Basta. Concentrazione.

«Ho intenzione di chiedere a Light Yagami di aiutarmi nelle indagini, quando sarà il momento.»

Se le avesse detto che aveva intenzione di mollare tutto e andare a fare lo spogliarellista probabilmente lei avrebbe reagito con meno stupore.

«Cosa!? CHE COSA??? Hai intenzione di farti aiutare da un assassino - che sai essere colpevole - a risolvere il caso di cui lui stesso è l’artefice?»

«Esatto.»

Calmo, serafico, quasi disinteressato mentre addentava la sua terza merendina. In realtà le avrebbe volentieri riso in faccia, divertito dall’espressione incredula che aveva in quel momento. Lei si prese qualche istante per riflettere, osservandolo sottecchi, cercando di tranquillizzarsi. Poi…

«Va bene, ti ringrazio di avermi informata.»

Lui alzò appena un sopracciglio, sorpreso. Si arrendeva così facilmente? Quella ragazza era davvero curiosamente imprevedibile. Rae dovette capire ciò che lui stava pensando, perché si affrettò ad aggiungere «Tanto farai lo stesso come ti pare, che io disapprovi o meno. Oltretutto sono tranquilla, non ho percezioni negative riguardo alla vostra collaborazione». Assunse un tono meditabondo, come riflettendo tra sé mentre si appoggiava al bracciolo del divano. 

«Anche perché ancora…».

Si zittì subito, mordicchiandosi il labbro inferiore e guardandolo preoccupata. L’espressione che assumeva ogni volta che temeva di essersi lasciata sfuggire qualcosa di troppo. Cosa diamine aveva visto, di preciso, su di lui? Sicuramente gli sarebbe accaduto qualcosa di brutto… forse lo aveva visto morire? Forse avrebbe fallito nel risolvere le indagini? Forse sarebbe stato Kira ad ucciderlo? Lei aveva detto che si sarebbe impegnata affinché ciò che aveva visto non si sarebbe realizzato. Beh, che ciò comprendesse la sua morte o qualcos’altro di terribile, lui non si sarebbe certo opposto ai suoi piani. Eppure, era incredibilmente frustrante non sapere, ed era conscio del fatto che non avrebbe potuto costringerla a dirgli nulla in alcun modo. Le probabilità che Rae avesse visto la sua morte erano almeno del 73%. 

Lasciarono cadere il discorso, avvolti da un silenzio denso che però piano piano si fece rilassante, entrambi chiusi ognuno dentro i propri pensieri, finché non la sentì appisolarsi accanto a lui, rannicchiata su se stessa con la testa sul bracciolo. Elle dopo un po’ si alzò rimettendosi le scarpe e le si avvicinò, studiandola incuriosito. Da quella distanza poteva osservare le vaghe occhiaie che le adombravano lo sguardo, la pelle screpolata delle labbra, le lievi lentiggini che le coprivano il volto; tutte cose che aveva già notato ma che adesso poteva letteralmente studiare in tutta calma. Aveva un odore buono, rassicurante e delicato, un odore che aveva già respirato quando si erano abbracciati ma che, si rese conto, gli era mancato… le si avvicinò ancora di più, sfiorandole i lunghi capelli con la punta delle dita, assorto nell’analizzare tutto ciò che gli passava per la testa. Qualcosa si agitava dentro di lui, tra il petto e lo stomaco. Perché si sentiva così? Era questo quello che la gente chiamava “attrazione”? O era qualcos’altro? Si riscosse dai propri pensieri, non del tutto sicuro di voler trovare una risposta, e si allontanò bruscamente uscendo dall’appartamento e chiudendo la porta dietro di sé, senza far rumore.

 

 

 

 

OOOOk, spero di aver compensato col capitolo precedente, direi che questo sia di una lunghezza più che dignitosa!Giusto? Comunque ^^’…ehm. Dunque. Che dire. In realtà questa storia nella mia mente ha una direzione ben precisa (più o meno), eppure realizzarla… AIUTO! In questo capitolo ci sono un sacco di momenti fluff, lo so, e vi assicuro che è strano cercare di immaginare Elle in queste vesti… spero quindi di non essere andata troppo OC (al di là del fatto che probabilmente già la situazione in sé è un po’ OC… uhm)… comunque, as always, sono aperta a suggerimenti e critiche! Il fatto che continuiate a leggere questa storia un po’ mi rassicura, ma come ormai avrete capito non posso evitare di farmi sempre un sacco di viaggioni mentali ansiosi… gaaaah! Bene, basta, chiedo scusa. Come sempre ringrazio sia i lettori silenziosi che quelli che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite *-* graziegraziegrazie!
Love ~

sofimblack 

  
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