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Autore: DreamerGiada_emip    10/04/2017    1 recensioni
Attenzione: questo libro è il sequel di Dark Angel, presente anch'esso sul mio profilo, se non si conosce la storia precedentemente nominata sconsiglio vivamente la lettura di questo sequel.
La bella Lilith viene costretta a una vita che non avrebbe mai nemmeno immaginato. Il suo nome, i suoi sogni, le sue perdite di controllo, il suo sangue la legano indissolubilmente a questo nuovo e oscuro regno. La ragazza non sa come uscire da questa situazione che non ha mai desiderato, vorrebbe ritornare in quella che considera la sua vera famiglia, ma un'ombra oscura la tiene incatenata.
Nella villa Sakamaki, i sei fratelli non sanno cosa fare, la loro preda è scomparsa tra le fiamme sotto i loro occhi. Soprattutto il giovane Subaru è alla disperata ricerca di quella che ormai considera la sua unica ragione di vita. È deciso a ritrovarla e riportarla a casa, per tenerla con sé al sicuro per sempre.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angel, Demon or Human?'
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Lilith's P.O.V.

Continuo a fissare il soffitto cercando disperatamente di mettere in ordine questi pezzi di memorie che mi si agitano in testa: mi sono svegliata da poco nel mio vecchio letto, e della battaglia del giorno prima, ricordo solo fino all’estrazione delle ali. Dopo è tutto una massa informe di filamenti di memoria. Ricordo un soave profumo, dolore atroce, il viso di Subaru, una sensazione di morte paralizzante. Appoggio gli avambracci sul materasso e cerco di tirarmi su con il busto. Vedo nero. Una scarica di dolore mi percorre tutto il corpo paralizzandomi. Apro la bocca per urlare, ma dalle mie labbra esce solo un gemito strozzato. Le mie braccia cedono e la mia schiena sbatte sul letto. E questa volta un grido pieno di dolore si libera dalla mia gola. Ansimo violentemente a occhi sbarrati. Mi tolgo le coperte di dosso e osservo il mio corpo. Il mio seno è fasciato stretto da bende candide e pulite. L’idea che mi abbiano visto nuda mi infastidisce, ma il pudore è offuscato e sopraffatto dal dolore proveniente dalla schiena. Mi alzo con estrema lentezza e cautela. Nonostante faccia male, mi obbligo a camminare fino allo specchio attaccato all’anta dell’armadio. Mi volto di spalle e giro la testa per osservarmi. Anche questo semplice movimento mi provoca acute fitte che cerco di ignorare. Le bende sulla mia schiena sono macchiate di rosso scarlatto. Stringo i denti e inizio a togliere le fasce delicatamente, una dopo l’altra, fino a restare completamente nuda dalla vita in su. Socchiudo le labbra per lo stupore. Sulla schiena è rimasta un grossa cicatrice nella parte sinistra, sul cuore. All’improvviso, mi ritorna alla mente tutto lo scontro, le ferite inferte ai vampiri, una mano che sfonda la mia gabbia toracica fino a sfiorare il cuore pulsante, la sensazione del volo, il desiderio maniacale, quasi doloroso, per il sangue di Subaru. Mi si secca la gola. Porto una mano sul collo massaggiandolo leggermente. Lucifero mi deve parecchie spiegazioni. E farò in modo di riceverle non appena tornerò all’Inferno. Mi bendo di nuovo le ferite malamente. Avverto una presenza improvvisamente. Mi volto di scatto e Reiji appare davanti a me un attimo dopo. Ha tra le mani un altro fascio di bende, d’istinto mi copro il seno con quelle che io stringo tra le mani. Lo guardo storto. Se fossi stata ancora umana non l’avrei nemmeno sentito arrivare in tempo per coprirmi.
 
«Devi mettere queste pulite» dice serio avvicinandosi a me. Stringo le braccia intorno al mio corpo nudo. Noto solo dopo qualche attimo che non porta la giacca, sulle braccia ha anche lui delle bende bianche.
 
«Faccio da sola, grazie» rispondo osservando con la fronte aggrottata le fasciature. A quanto pare anche lui non è messo molto meglio di me.
 
«No, non riesci a bendarti adeguatamente quella ferita da sola» insiste il vampiro senza spostare lo sguardo dai miei occhi. Non sembra che la mia nudità lo turbi o attiri. Ci penso un attimo, poi avanzo verso di lui e gli sfilo dalle mani le bende. Lui mi segue con lo sguardo. Sto voltata verso il muro e mi tolgo le bende sporche di sangue coprendo il seno con quelle nuove.
 
«Ok» dico semplicemente. Sento i suoi passi avvicinarsi a me. L’idea di avere un contatto così intimo con lui non mi mette proprio a mio agio, eppure sono consapevole che abbia ragione. Sento che prende le bende restando dietro di me. Inizia a fasciarmi la ferita, io sto attenta a non lasciare andare le bende. «Come mai le tue ferite non sono ancora guarite?» chiedo a bruciapelo. Mi volto verso di lui per osservare la sua espressione che non cambia di una virgola.
 
«Solo quelle che mi hai inflitto grazie alle tue corna non sono guarite, a quanto pare esse rallentano il nostro processo di guarigione» risponde tranquillo. Stringe lievemente di più le bende facendomi stringere i denti per il dolore. Probabilmente per ripicca.
 
«Capisco» sussurro chiudendo gli occhi. Non sento più le mani di Reiji sulla mia schiena così mi volto. «Cosa è successo esattamente?» chiedo abbassando per un attimo lo sguardo. Mi sento in colpa. Il controllo sui miei poteri mi è sfuggito di mano e ho lasciato che il demone e l’istinto di sopravvivenza mi sopraffacessero dominandomi liberamente. Per di più non ricordo nemmeno cosa ho fatto esattamente.
 
«Hai più forza di quanto pensassi nel tuo corpo, non ti avevamo preso sul serio, solo alla fine ci siamo resi contro di ciò che tu sei diventata veramente» risponde scannerizzandomi dalla testa ai piedi. Incrocia le braccia e mi accorgo che accarezza leggermente le bende con la punta delle dita.
 
«Chi mi ha procurato questa ferita?» chiedo quando un’altra fitta mi fa irrigidire visibilmente. Reiji mi fissa negli occhi senza cambiare espressione.
 
«Sono stato io» non si sente in colpa o altro, lo vedo. Probabilmente l’ha fatto solo per difendersi. Non me la prendo per la sua freddezza ormai ci ho fatto l’abitudine.
 
«Vorresti dirmi il motivo? Per curiosità» continuo a osservarlo negli occhi inespressivi. Questa volta sono io dalla parte del torto, li ho feriti e probabilmente anche in modo grave e loro si stanno comunque occupando di me, anziché buttarmi fuori di casa. Questa cosa mi destabilizza, e non poco.
 
«Per evitare che tu mordessi Subaru» risponde semplicemente, per poi voltarsi e iniziare a camminare raggiungendo la porta. «E ora sdraiati, non fare movimenti bruschi o quella ferita si riaprirà per l’ennesima volta» ordina con voce grave. Io annuisco semplicemente. Lo vedo aprire la porta.
 
«Reiji» lo chiamo prima che esca. Il vampiro si volta mostrandomi il profilo del suo viso. «Come stanno gli altri?» domando sedendomi sul letto attentamente. Schiude le labbra come per voler dire qualcosa, ma poi le unisce nuovamente.
 
«Se ti interessa davvero, vai direttamente da loro a chiedere» risponde uscendo e chiudendosi la porta alle spalle. Prima mi dice di restare a letto, poi mi consiglia di andare da loro? La coerenza è un optional. Sospiro. Decido che forse è meglio andare a controllare, inoltre… voglio verificare di persona che lui stia bene, che non gli abbia fatto del male, che non abbia perso a tal punto il controllo da ferirlo gravemente. Infilo la prima maglietta che mi capita sotto mano dall’armadio e lancio un’ultima occhiata al resto del vestiario, i pantaloncini di tuta morbida mi coprono fino alle ginocchia. Esco dalla stanza a piedi scalzi, tengo la schiena lievemente piegata in avanti per il dolore che continua ad assillarmi. Raggiungo per prima la stanza di Ayato, quella più vicina alla mia. Busso ed entro soltanto quando lui mi da il permesso. Dopotutto i maleducati sono loro, non io.
 
«Ma guarda chi si vede» mi sorride maligno restando seduto scompostamente su una delle poltrone della sua stanza. «La giovane combattente che ha messo su una bella tecnica senza nemmeno un buon allenamento alle spalle» dal modo in cui lo dice sembra più un’accusa che altro. Roteo gli occhi.
 
«Sei davvero un ragazzino» sospiro camminando nella sua direzione. Lui solleva un sopracciglio e mi mostra tre dita della mano destra per ricordarmi i suoi trecento anni di vita. «Gli anni di vita non corrispondono necessariamente agli anni che il tuo cervello dimostra di avere» gli faccio l’occhiolino prendendolo in giro.
 
«Sempre velenosa…» constata lui con una smorfia. Mi avvicino e mi fermo in piedi di fronte a lui, scannerizzo con lo sguardo tutto il suo corpo individuando alcune bende sulle braccia e un profondo taglio orizzontale sul petto. Allungai una mano per scostare la camicia e osservare quella ferita. Sfioro con un dito la ferita e lui sussulta sotto il mio tocco chiudendo gli occhi in una smorfia.
 
«Scusa» dico lanciando un’occhiata veloce al suo viso. Lascio andare i lembi della sua camicia e mi allontano. Sto per fare un passo indietro, quando lui mi afferra un polso tirandomi in avanti verso di lui. Un urletto di dolore esce incontrollato dalle mie labbra, stringo occhi e denti. Il movimento improvviso ha strattonato la ferita sulla schiena. Ayato strofina il viso contro l’incavo del mio collo.
 
«Sai, tesoro, ci hai fatto perdere molto sangue durante il combattimento, quindi mi sento piuttosto assetato in questo momento… non ti conviene starci troppo vicino» prende tra le labbra un lembo di pelle e succhia leggermente. Mi scosto da lui con uno strattone provocandomi un’altra fitta che mi fa barcollare.
 
«Sta lì buono, torno subito» esco dalla sua stanza per raggiungere nuovamente la mia e recuperare dai cassetti del bagno una pomata per le ferite da taglio davvero miracolosa. Ritorno dal rosso.
 
«Già di ritorno? Pensavo fossi scappata via» dondola avanti e indietro la gamba a penzoloni dalla poltrona. Roteo gli occhi. La sua sfacciataggine è senza fine, ma in questo ci assomigliamo. Sorrido e prendo un po’ di crema sulle dita.
 
«Sta zitto, rosso, e vedi di non fare troppe storie» mi siedo sul bracciolo della sua poltrona e sposto di lato la camicia per mettere in mostra il suo petto. Lui mi guarda con un ghigno tra il malefico e il malizioso. Ignoro i suoi occhi puntati su di me appoggiando la crema fresca sulla ferita arrossata. Sento il suo corpo irrigidirsi al mio tocco. «Ma come? Un vampiro di trecento anni come te che soffre per una feritina come questa?» lo schernisco ridacchiando. Spalmo attentamente il medicinale sul taglio stando attenta a non fargli davvero male. Apre la bocca per rispondere.
 
«Guarda che così ci farai ingelosire, anche noi vogliamo le tue attenzioni, sgualdrinella» non mi volto nemmeno a sentire la sua voce. So perfettamente dell’arrivo di Raito e Kanato, forse attirati dal profumo della mia ferita ancora parzialmente aperta. Finisco di medicare il taglio di Ayato e mi volto verso di loro.
 
«Non mi chiamare “sgualdrina”, Raito, quante volte te lo devo ripetere?» lo guardo male. Li squadro entrambi da capo a piedi, non sembrano riportare gravi ferite. «Avanti, fatemi vedere le vostre ferite, vedrò se posso fare qualcosa anche per voi»
 
«Ti preoccupi per noi? O ti preoccupi per noi per paura di ricevere una punizione per quello che hai fatto?» chiede Kanato cupo con il suo immancabile orsetto tra le braccia. Gli mostro un lieve sorriso.
 
«No, Kanato, mi sembra giusto che io ripari dove ho fatto un danno» rispondo tranquilla. Mezza verità. «Inoltre, non ho affatto paura delle vostre punizioni, dovreste saperlo ormai» continuo sollevando un sopracciglio. Verità assoluta.
 
«Coraggiosa la nostra bambina» sussurra malizioso Raito con gli occhi socchiusi. Due fessure verde smeraldo. Mi avvicino a lui.
 
«Non fare il bambino e lascia che ti aiuti con le ferite» sbuffo stufa dei suoi giochetti infantili. Finalmente lasciarono entrambi che io curassi le loro ferite senza fare troppe storie. Passiamo una decina di minuti tra cure e provocazioni. Non appena finito, mi avviso per uscire.
 
«Ehy, Lilith, mi spieghi perché tiri sempre frecciatine?» mi chiede Kanato con una voce lagnosa da bambino. Prendo la maniglia e la abbasso, per poi voltarmi verso di lui a osservarlo con la coda dell’occhio.
 
«Perché se tiro i coltelli mi mandano in carcere» rispondo sorridendo divertita. Esco dalla stanza di Ayato a passo svelto. Finalmente è il suo turno. Quando mi ritrovo a pochi metri dalla porta della sua stanza, vedo che si apre. Trattengo il fiato. Ma non è la sua figura a spuntare, dalla sua camera esce una ragazzina magrolina e dai capelli biondi. Traballa e la sua pelle è spaventosamente pallida. Mi blocco di punto in bianco e la fisso senza espressione, solo con gli occhi sbarrati. Ha i vestiti sporchi di sangue scarlatto. Lei mi guarda per un attimo stupita, poi mi fa un lieve inchino e cammina velocemente lontano da me. La seguo con lo sguardo. Chi è? Quando è arrivata? È sicuramente un’umana, non c’è alcun dubbio, ma perché è qui? E soprattutto, cosa ci faceva lei nella sua stanza?
   
 
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