Film > La Bella e la Bestia
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Autore: Trick    12/04/2017    2 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente...
Raccolta di Missing Moments ambientate un po' prima, un po' durante e un po' dopo l'incantesimo della Fata.
[ SPOILER WARNING: Basato sul live-action del cartone animato ]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Adam/Belle, Lumière/Spolverina
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve!

Non scrivevo una one-shot da secoli, ma wow, siamo ancora qui!

Mentre tentavo invano di ultimare le mie mai-terminate fan fiction, sono andata al cinema a guardarmi La Bella e la Bestia ed è stata la fine.

Sto ascoltando Forevermore da tipo due settimane. Sempre. A oltranza. Ormai sono Bestia dentro e fuori.


Detto ciò, non sono riuscita a trattenermi, DOVEVO scrivere qualcosa. Qualunque cosa. Ed ecco com'è saltata fuori questa racconta di one-shot, insomma: con un un tornado di feelings e caos.

Ogni capitolo, quindi, ballerà con sua nonna. Più o meno. Qualcuno sarà ambientato prima della maledizione, qualcuno durante, altri dopo... sono un tornado di feelings e caos, ricordate?

A tutti coloro che non hanno visto il live-action (FATELO SUBITO, È MERAVIGLIOSO), invito a fare attenzioni agli spoiler della fan fiction: non sono particolarmente spoilerosi (non è che il live action abbia fatto comparire alieni e gladiatori, insomma), ma magari ci sono dettagli extra che dovreste gustarvi (GUARDATELO SUBITO, È MERAVIGLIOSO).


Detto ciò, grazie mille a tutti voi. Dico davvero, sapete che sono su EFP da... dieci anni? Wow. Non credevo fossero così tanti.

Quindi grazie a voi che non vi siete mai stufati di leggere la mia roba.



Le Cronache di Villeneuve

*

Il valletto del Re




Se c'era qualcosa che Lumiére rimpiangeva del periodo trascorso al servizio della contessa di Montididier a Parigi, quella era di certo la ricchezza degli eventi mondani che animavano la nobiltà cittadina. I galà, i ricevimenti, il buon vino, la musica nei saloni...

In verità Lumiére non aveva mai avuto modo di varcare i maestosi cancelli dorati dove solo i più alti nobili erano invitati – e anche se avesse potuto, uno come lui avrebbe usato l'ingresso riservato alla servitù – ma conosceva in maniera intima Marìe, una delle cortigiane di Madame de Ludrés. Lumière avrebbe potuto ascoltarla descrivere ogni angolo di quei castelli incantati per l'eternità, con gli occhi socchiusi e l'immaginazione che sfiorava tessuti ben diversi dalle ruvide lenzuola di canapa del letto di Marìe.

Aveva sempre desiderato poter fra parte di quel mondo pieno di piaceri e viziosità. Madame Sevérine de Cantigny, la contessa per la quale lavorava, era una donna di pregevole gusto, ma di rado ospitava nella propria lussuosa dimora importanti ricevimenti. Dopo tanti anni passati a faticare nelle cucine e a ripulire le bocche dei camini, Lumiére si era convinto che diventare finalmente il valletto del nuovo conte lo avrebbe avvicinato a un passo dal suo obiettivo.

Aveva iniziato a lavorare come sguattero al servizio di Madame de Cantigny che non aveva ancora compiuto dieci anni. Il padre, un umile ceraiolo di Parigi, stentava a sfamare anche Lumiére, unico figlio maschio dopo tre sorelle più grandi non ancora sposate, così il ragazzino aveva preso la decisione di arrangiarsi. Talvolta gli altri servitori si divertivano a farsi beffa di lui, dicendo che non poteva essere un caso che fosse alto e magro come una candela e con la testa piena di cera.

Lumiére ne rideva sempre di gusto.

Purtroppo per lui, le sue ambizioni di poter servire una famiglia nobiliare che avrebbe davvero frequentato l'alta società parigina si erano infrante quando aveva capito che Fabien, il giovane e affascinante marito della contessa, non era intenzionato ad abbandonare i ritmi borghesi con i quali era cresciuto. Sposare il figlio di un rosticcere, per quanto indubbiamente di bella presenza, aveva scaraventato Madame de Cantigny in un mondo ben diverso di quello fatto di luci e meraviglie che voleva assaggiare Lumiére.

Fabien de Cantigny, nuovo conte di Montdidier, non aveva bisogno di un valletto, a suo dire, perché il giorno in cui avrebbe dimenticato come infilare da sé i calzoni era fortunatamente ancora distante. Lumiére aveva riso a quelle parole, e in quel momento fu davvero una fortuna che lavorasse per una famiglia fuori dagli schemi come la loro: uno qualunque dei nobili che ambiva di servire gli avrebbe probabilmente mozzato la lingua per la troppa irriverenza.

L'unica occasione in cui non riuscì a ridere fu alla morte della contessa, le cui ricchezze e proprietà – Lumiére compreso – finirono nelle mani di Fabien, che diede presto notizia di non voler rimanere a Parigi. Come se la situazione non fosse già sufficientemente drammatica, Fabien aveva intenzione di investire il patrimonio della contessa per aprire un proprio commercio di vini.

«Siete stato un buon amico, Lumiére. Siete riuscito a farmi gradire questo luogo pieno di stranezze meglio di chiunque altro» si era congedato da lui in un'umida mattina di settembre. Gli aveva teso una busta sigillata con lo stemma della contessa e gli aveva sorriso con calore. «So che amate il vostro lavoro – anche se non capirò come qualcuno possa desiderare di servire per tutta la vita... così ho domandato a qualche conoscente della mia defunta consorte se ci fosse qualche nobile intenzionato ad assumere valletti. Non camerieri, ma valletti».

«Enorme differenza, signore».

Fabien gli aveva appoggiato la mano sulla spalla e aveva insistito affinché prendesse la lettera.

«Spero accetterete il posto di secondo valletto di Sua Maestà Geràld de Barbot di Villaneuve».

Lumière sospirò a quel ricordo e sollevò lo sguardo dalle cinture che stava lucidando, seduto su una delle gigantesche gradinate. Guardò con tristezza il profilo delle montagne che circondavano il castello di Villaneuve: c'erano boschi ovunque, nella Loira. E montagne quando finivano i boschi. Ed era piuttosto sicuro che oltre quelle montagne ci sarebbero stati altri boschi e altre terre sperdute dove nessuno aveva la voglia di fare grandi ricevimenti.

Il Re era un personaggio assolutamente singolare: sembrava trovare particolare godimento nella completa solitudine in cui viveva il suo castello, distante chilometri e chilometri dalle novità di Parigi e del tutto intoccato dalle vicende del paese. Non fosse stato per la Regina Leonora, quel castello sarebbe stato una vera e propria maledizione per Lumière.

«Sembrate pensieroso, monsieur Lumière».

La voce flautata di Plumette lo riscosse dai suoi pensieri. Come se non fosse presente, la giovane cameriera gettò a terra i tappetti che stringeva fra le braccia, ne afferrò uno, lo stese sulla balconata di marmo e iniziò a colpirlo con un battitappeto di canne.

A Lumiére sfuggì qualche colpo di tosse. Plumette lo guardò con aria divertita e ridacchiò.

«A Parìs non eravate abituato alla polvere?».

«Non troppo» rispose lui, mentre riprendeva a lucidare la cintura. «Ma dopotutto, come si dice? Paese che vai, usanze che trovi, ma chére».

«Oh, mais oui, deve essere di certo così».

Lumiére le rivolse un'occhiata interessata. Era poco più che una ragazzina, eppure c'era qualcosa di stranamente adulto nei suoi modi pratici. Forse il fatto di essere cresciuta in un luogo tanto chiuso e provinciale l'aveva tenuta lontana dalle vezzosità che animavano le cameriere di Parigi. Ed era bella, Plumette. Incredibilmente bella. Quando Cogsworth gliel'aveva presentata, non era stato in grado di dire nulla di sensato. Aveva due grandi occhi di un intenso castano con lunghe ciglia, la pelle scura e liscia, i riccioli disordinati che sfuggivano dalla fascia da cameriera e la sua voce sembrava il suono di un usignolo. Qualche settimana prima l'aveva sentita canticchiare nell'ala Est mentre spolverava le armature. Era stata un'esperienza idilliaca.

Ma quella non era Parigi e Lumière si era ripromesso che avrebbe tenuto le mani alla larga da qualunque cameriera. La vita caotica di Parigi gli aveva sempre concesso il lusso di poter facilmente evitare e dimenticare ognuna delle sue amanti prima che la situazione gli sfuggisse di mano... ma lì? Nell'estremità dimenticata della Francia non avrebbe potuto scappare da nessuna parte. Come se non bastasse, quel vecchio brontolone di Cogsworth sembrava essersi fatto di lui la peggiore delle opinioni, perché non appena si era congedato da Plumette, gli aveva afferrato un orecchio e lo aveva minacciato di fargli subire qualche strana tortura medievale, se solo si fosse azzardato a gettare il disordine nel castello.

Ma Plumette era così bella...

«Com'è Parìs?».

Lumiére fece un sospiro nostalgico e posò nuovamente lo sguardo sul profilo delle montagna della Loira in lontananza.

«Oh, Parìs... Parìs è magica. Ci sono musicanti e danzatrici per le vie di Montmartre, e le vie della città sono sempre gremite da viaggiatori giunti da ogni dove per ammirarne le bellezze. Nei mercati si respirano centinaia di odori diversi, puoi toccare stoffe che giungono dall'Arabia o spezie che arrivano dalle Indie. E i colori... oh, i colori di Parìs! Quando il sole si tuffa nella Senna ogni cosa sembra brillare come fatta di puro cristallo».

Plumette aveva chiuso gli occhi e si era appoggiata con grazia al parapetto di candido marmo. Lumiére si incantò a guardare la serenità del suo volto, la tenera intensità del suo sorriso distante mentre la sua fantasia correva laddove non era mai stata, in quella città di musica e confusione che si ergeva solo nella sua mente.

«Cogsworth ha visitato Parìs con Clothilde, diversi anni fa» disse lei. «Quando è tornato, ha detto di non aver mai visto un tale pandemonio di miserabili e disgraziati. “Parola mia, Plumette: la civiltà è ancora un distante miraggio per ogni uomo o donna che si dica parigino”».

Lumiére rise alla sua passabile imitazione.

«Sapevo che mentiva» continuò la ragazza. «Cogsworth mente su ogni posto che vorrei vedere perché teme che abbandoni le mie mansioni per andare alla scoperta del mondo». Plumette rise, ma non c'era più alcuna traccia di vivacità nella sua voce delicata. «Come se esistessero molte cameriere in partenza per l'avventura, non credete?».

«So che qualche nobile si è arrischiato ad andare alla volta delle Indie con l'intera servitù al seguito» disse Lumiére. «Perlopiù piccoli baroni con modesti possedimenti in cerca di più gloriose fortune nelle selvagge terre dell'Est...».

«Credete siano selvagge?».

«Mais oui, come altro dovrei chiamare una terra i cui abitanti corrono nudi nelle foreste e brandiscono lance per procacciarsi animali? Non è esattamente il mio ideale di tartare di carne». Lumiére inarcò un sopracciglio. «Ma ho come l'impressione che a voi piacerebbe...».

Plumette sorrise.

«Una volta Vostra Grazia mi ha sorpresa a sbirciare uno dei mappamondi della Biblioteca mentre facevo le mie pulizie mattutine... credevo si sarebbe arrabbiata per avermi scoperta con le mani in mano» raccontò con dolcezza. «E invece lei mi raccontò il lungo viaggio fatto da bambina con il padre, che aveva un ricco commercio di pellicce con le terre delle Americhe... so che commerciava di nascosto anche con gli inglesi».

«Il padre della Regina era un commerciante?».

«Oui, ma nessuno nel castello l'ha mai conosciuto. Nemmeno Cogsworth» specificò con enfasi Plumette. «Oh, ma forse voi che venite da Parìs trovate inadatto il matrimonio fra ceti sociali differenti...».

«Al contrario. Vi prego, continuate».

Plumette si portò un ricciolo nero dietro un orecchio. Era un gesto di incredibile naturalezza, ma Lumiére rimase affascinato dai suoi movimenti.

«Non c'è altro da raccontare. Non sono partita per le Americhe e non partirò per le Indie. Sono già fortunata se Cogsworth mi permette di accompagnare Mrs. Potts al villaggio, di tanto in tanto». Lisciò distrattamente il tappeto. «Oh, ma non dovete pensare che io sia triste!».

«No?».

«No!».

«Oh».

«Vi sembro triste?».

Lumiére aprì la bocca per rispondere di sì, ma si bloccò di colpo e la guardò con maggiore attenzione. Aveva un viso innocente, le labbra arricciate in un delizioso sorriso, il collo lungo come quello di una meravigliosa colomba... i suoi occhi scuri lo fissavano con intensa curiosità.

«Non triste...» disse infine. «Solo un po' annoiata. Dunque è una fortuna per voi che sia giunto io. Avete bisogno di un vento fresco, frizzante, vitale».

Plumette sbatté un paio di volte le palpebre, poi scoppiò in una risata divertita.

«E voi sareste il mio vento fresco?».

«Mais oui!» esclamò Lumiére, scattando in piedi con un sorriso spavaldo e raggiungendola. «Se vorrete, potrei essere anche tempesta, ciclone, uragano...». Le prese una mano, la allontanò dalla balaustra e le fece fare una piroetta su se stessa, scatenando ancora di più la sua ilarità. «O anche terremoto, se così preferirete!».

«Mon Dieu, no! Preferisco tenere i piedi per terra, io» rise Plumette, mentre continuava a danzare senza musica insieme a lui e la gonna bianca si attorcigliava attorno alla sua vita stretta come i petali di un fiore. «Inizio a capire per quale motivo Cogsworth mi abbia messo in guardia da voi con tanta insistenza...».

«L'ha fatto davvero? Piuttosto scortese da parte sua».

«O forse molto accorto».

«Non è con Cogsworth che sto danzando: siete voi che dovreste essere accorta, ma chére» le sussurrò lui, avvicinandola a sé con gentilezza.

«Monsieur Lumière, state giocando con il fuoco».

«Voi credete?».

«Io lo credo eccome» li interruppe una voce divertita.

Plumette si allontanò di colpo dal giovane valletto e finse di lisciarsi una piega del grembiule con espressione imbarazzata. Lumiére tossicchiò appena e rivolse a Mrs. Potts a un largo sorriso.

«Stavo mostrando a madamoiselle Plumette qualche passo di valzer».

«Oh, sul serio?» lo rimbeccò allegramente la donna, spostando il cesto di vimini da un braccio all'altro. «Anche io e il mio caro Jean amiamo danzare durante le feste di Villaneuve... confesso di non aver mai visto un valzer tanto serrato».

«Era ovviamente un valzer parigino».

Mrs. Potts rise.

«Sembra che Parigi sia diventata la tua scusa per spiegare ogni situazione strana, Lumière. Scommetto che se domattina vedessimo le argenterie lucidarsi da sole, avresti la faccia tosta di dire che a Parigi si usa farlo già da anni...!».

«Al contrario, Mrs. Brick: credo che darei le dimissioni e fuggirei via terrorizzato».

«E dire che credevo foste un uomo dall'animo coraggioso...» lo prese in giro con candore Plumette, mentre tornava alle sue faccende domestiche.

«Per niente».

«Plumette, mia cara, vorresti accompagnarmi al villaggio a comprare qualche uova fresca? Il padrone si è svegliato con un gran desiderio di créme bruléè».

Il viso della cameriera si illuminò di gioia.

«Oh, mais oui! Corro a chiedere il permesso a--».

«A Cogsworth ho già pensato io» la anticipò con un sorriso. «Ma vai a prendere subito qualcosa per coprirti o ti verrà un malanno seduta sul carro accanto a Chapeau».

Plumette afferrò con incredibile rapidità i tappeti e se li sistemò maldestramente fra le braccia sottili. Per un attimo Lumiére si convinse che le sarebbero caduti entro pochi passi, ma la giovane sembrava abituata a portare carichi più ingombranti di quanto non ci si sarebbe aspettato di vedere. Era tanto entusiasta che quasi corse per raggiungere il salone d'ingresso. Si voltò sull'uscio e gli rivolse un sorriso genuino.

«Mercì, Lumière. È stato bello danzare alla maniera dei parigini».

La sua risata cristallina si perse nella vastità delle stanze del castello. Lumiére rimase a fissare il punto dov'era svanita per diversi istanti, fino a quando Mrs. Potts, con un sospiro, non gli schioccò le dita a pochi centrimeti dall'orecchio.

«Pardòn. Ero distratto».

«L'ho notato».

La donna appoggiò il cesto vuoto sulla balaustra e alzò lo sguardo verso il cielo azzurro. Lumière la imitò: un paio di candide colombelle sfrecciarono su di loro a incredibile velocità. Non poté fare a meno di pensare alla gonna di Plumette.

«Come ti trovi qui con noi, Lumiére?».

«Davvero molto bene, Mrs. Potts» mentì d'istinto il ragazzo. «Adoro la calma e il silenzio di questo...». Agitò una mano a mezz'aria, fingendo di non trovare la parola adatta. «Bosco».

«In realtà il bosco di Villeneuve è pieno di lupi».

«Rassicurante bosco».

Lei ridacchiò, poi rimasero in silenzio qualche altro secondo.

«Anche Parigi era piena di lupi» confessò con un sorriso storto Lumiére. «Potrei averne esagerato le lodi mentre ne parlavo con Plumette, ma dopotutto... nessun posto ci sembra bello quanto il luogo in cui siamo nati, non trovate?».

«Il mio caro Jean lo ripete in continuazione».

«Voi non siete d'accordo?».

«No: io credo che nessun posto sia davvero bello come casa propria» rispose con serenità.

«Sagge parole».

«Oh, sì. Scoprirai presto che so essere molto saggia... soprattutto quando do consigli a giovani valletti che provengono da Parigi».

Lumiére sospirò.

«Mrs. Potts, io e Plumette non stavamo facendo nulla di male. Mi è ben chiaro che voi e Cogsworth non mi avete esattamente in simpatia, ma--».

«Caro, non mettermi in bocca sentimenti che non sento nel cuore» lo interruppe lei con un sorriso. «Cogsworth non ti ha decisamente in simpatia... ed è il motivo per cui mi piaci tanto». Aggiunse con una risatina complice. «Ma devo avvertirti: in questo castello il tuo carattere allegro avrà vita difficile. Il padrone non è uomo avvezzo né ai ricevimenti né alle feste... né al rumore. Sono già stupita che un valletto chiacchierone come te abbia conservato la lingua per tutte queste settimane...».

Lumiére rise.

«E parlando di Plumette...» ricominciò con più severità la donna. «Stai attento a ciò che fai. È giovane, curiosa e non sa ancora nulla della vita: le tue storie su Parigi rischiano di spezzarle il cuore. Capisci cosa intendo?».

«Non vorrei mai che accadesse nulla di simile».

Mrs. Potts parve notare la sincerità nella sua voce. Gli appoggiò la mano sulla spalla con un amabile sorriso sulle labbra.

«Credo sia meglio che mi affretti a raggiungere Chapeau» si congedò quasi distrattamente. «O non troverò che gusci vuoti con i quali preparare la mia speciale créme brulée. Dovresti assaggiarla anche tu, Lumiére: sono pronta a scommettere la mia migliore cuffia che non potresti mangiare nulla di più delizioso nemmeno a Parigi».

«Con vero piacere, Mrs. Potts».

Rimasto solo, Lumiére tornò al proprio lavoro, ma lucidava le fibbie dorate con lo stesso sguardo distratto di poco prima. Ripensava alla risata di Plumette, a quanto fosse rimasto colpito dalla sensazione delle mani appoggiate ai suoi fianchi magri mentre ballavano. Era solo uno scherzo – o questo almeno era ciò che si era raccontato fin dal primo istante in cui l'aveva incontrata.

Forse lei non aveva tutti i torti: stava davvero giocando con il fuoco.

«Che cosa stai facendo?».

Incredulo, Lumiére strabuzzò gli occhi e scattò in piedi come un fiero soldatino. Ai piedi della scala che conduceva ai giardini c'era il piccolo Principe Adam, che avrebbe presto compiuto otto anni.

Aveva gli stessi capelli del Re, un intenso biondo cenere che gli incorniciava il volto pallido, ma i lineamenti erano delicati e incantevoli come quelli della Regina. Nonostante l'età puerile, mostrava già i segni di chi nei tempi a venire sarebbe diventato un giovane ben più che affascinante.

«Che cosa stai facendo?» chiese ancora il bambino.

Lumiére arricciò perplesso le labbra, incerto su come rispondere a un bambino che avrebbe potenzialmente potuto scegliere del suo destino. Decise di rivolgergli un largo sorriso accomodante.

«Lucido alcune delle fibbie di Sua Altezza Vostro Padre, mio Principe».

Anche il Principe Adam sorrise.

«Nessuno mi chiama mai così» gli disse con voce soddisfatta, risalendo a piccoli balzi i gradini e avvicinandosi a lui con aria furbesca. «Principino. Padroncino. Signorino. Un sacco di -ino. Ma ormai io sono grande...».

Lumiére fece un grande sforzo per non ridere della sua espressione composta.

«Avete tentato di sollevarvi sulle punte delle scarpe, mio Principe? A occhio e croce potreste guadagnare almeno quattro o cinque centimetri».

Adam sembrò valutare attentamente quanto aveva appena sentito. Rimase in silenzio per così tanto tempo che Lumiére iniziò a rimpiangere quanto detto e a temere le conseguenze della sua irriverenza. Poi, come un fulmine a ciel sereno, il bambino scoppiò in una risata argentina e travolgente.

«No, non ho mai provato!» rispose fra le risa. «E se salissi su uno sgabello?».

«Un'ottima idea, mio Principe. Potremmo posizionare lo sgabello sulla cima delle scalinate del salone da ballo, così sembrereste probabilmente il più alto del regno».

Incapace di contenere la propria entusiasta vivacità, il bambino si sedette sul primo gradino con le gambe incrociate. Lumiére sorrise appena: a Parigi non aveva mai visto un nobile comportarsi in modo tanto genuino e sereno – a nessuna età.

Dopo essersi a sua volta accomodato, il valletto continuò a lucidare la fibbia nonostante la strana sensazione provocata dall'attenzione del principe.

«Perché le devi lucidare?».

«Perché Sua Altezza Vostro Padre non può andare in giro per il regno con la fibbia opaca».

«Mio padre non gira mai per il regno. La gente non gli piace».

«Temo non sia un motivo valido per avere la fibbia opaca, mio Principe».

«Io odio le cinture. Mi stringono sempre troppo, ma Cogsworth dice che tutti i principi portano le cinture».

«Ha ragione. E se accidentalmente vi cadessero i calzoni? Non credo si sia mai sentito di un principe che rimane senza calzoni solo perché odia indossare le cinture. Anche se, in effetti...». Lumiére si finse pensieroso. «A Parigi si raccontava di un Conte che girava sempre senza scarpe».

Adam ridacchiò.

«Non è vero. Mi prendi in giro».

«Affatto, mio Principe! Lo si riconosceva sempre perché aveva i piedi più neri e sporchi che ogni parigino avesse mai visto... e Parigi è famosa per i suoi piedi neri e sporchi, sapete?».

«E come si chiamava?» domandò Adam con tono di sfida.

Lumiére sorrise malandrino.

«Il Duca Piedòn de Calzeròt, naturalmente».

Questa volta le risate fecero comparire due enormi lacrime ai lati degli occhi azzurri del Principe. Lumiére si lasciò trascinare dal suo divertimento e fu incapace di nascondere un ghigno mentre terminava di lucidare la penultima fibbia.

«Tu cosa fai qui? Non ho mai visto nessuno lucidare le cinture di mio padre».

«È compito di ogni buon valletto».

«Il tuo lavoro è lucidare le cinture?» si informò Adam, evidentemente molto perplesso. «Ne abbiamo così tante?».

Lumiére non fu in grado di trattenersi oltre e scoppiò a ridere.

«No, mio Principe. Un buon valletto si assicura che il proprio signore abbia sempre ciò che gli serve: abiti pronti e adatti ad ogni occasione, scarpe pulite, cinture lucidate...».

«Oh» mormorò il bambino. «Mia madre non vuole che io mi faccia vestire dai servitori. Dice che ogni uomo deve imparare a gestire da solo i propri interessi, che sia un fornaio o un principe... ma mio padre non ascolta mai ciò che dice. Lui non ascolta nessuno». Scrollò le spalle, risparmiando a Lumiére la fatica di trovare qualcosa di opportuno con cui rispondere. «E cosa fate dopo averlo vestito?».

«Mi occupo delle faccende private che Sua Altezza Vostro Padre non può fare da sé».

«Quali faccende?».

«Ad esempio...» iniziò Lumiére, grattandosi una guancia e scoprendosi incredibilmente in difficoltà. «Controllo che i polsini di ogni camicia siano perfettamente inamidati. O che i tacchi di ogni sua scarpa siano ben levigati».

Adam fece una smorfia confusa.

«Perché non può farlo da sé?».

Lumiére trattenne a stento un gemito e guardò il bambino con espressione desolata.

«Perché, se lo facesse, io non avrei più un lavoro, mio Principe».

Dapprima Adam fece solo un piccolo soffio, poi prese nuovamente a ridere. Quando si fu calmato, scosse il capo.

«Quando sarò Re, tu sarai il mio valletto?».

«Solo se sarà vostro desiderio, mio Principe».

«No, io posso vestirmi da solo» disse con franchezza. «Cos'altro sai fare?».

«Ben poco, mio Principe. Se non avrete bisogno dei miei servigi, temo che nel mio futuro si prospetti un triste destino da sguattero. O, con un po' di fortuna, potrei fare il cavallo e trasferirmi nella stalla».

Adam questa volta non rise. Sembrava piuttosto concentrato.

«In questo castello c'è qualcuno per ogni cosa, ma non c'è mai nessuno con cui giocare» ragionò a voce alta. «Ho letto dei libri che parlano della corte di Re Artù: loro si divertono. Vanno a caccia, fanno feste e banchetti... esiste qualcuno per fare questo?» chiese con voce lamentosa.

Lumiére sbatté un paio di volte le palpebre.

«Qualcuno per... intrattenervi, mio Principe?».

«Sì».

«Mais oui, ma certo che esiste qualcuno».

Adam saltò in piedi eccitato e lo fissò come se non credesse alle proprie orecchie.

«Davvero? Non mi stai prendendo in giro di nuovo, vero?».

«Non mi permetterei mai, mio Principe. A Parigi i più grandi nobili organizzano i proprio svaghi grazie all'esperienza del proprio maitré».

«Che tipo di svaghi?».

«Qualunque cosa possa esservi di gradimento, mio Principe: balli, ricevimenti, galà... esistono molti modi in cui si può festeggiare».

Adam sembrava fuori di sé dalla gioia.

«Quando sarò Re, sarai il mio maitré!» proclamò con allegria. «Puoi farlo, per favore?».

Lumiére rimase esterrefatto a quell'improvvisa richiesta. Era perfettamente consapevole che le parole di un Principe bambino restavano sempre le parole di un bambino, ma l'idea che proprio a Villaneuve avrebbe un giorno potuto sfiorare ciò che non era riuscito a conquistare a Parigi lo entusiasmava.

Il maitré Lumiére, maestro delle cerimonie del Regno di Villaneuve, disse fra sé e sé. Suonava bene. Si ritrovò a sorridere senza nemmeno rendersene conto.

«Per me sarà un immenso onore e un grandissimo piacere, mio Principe».












COME SONO PROFESSIONALE CON QUESTE NOTE DI FINE STORIA, MAMMA MIA.
1. I nomi dei nobili sono TUTTI completamente a caso. Ho semplicemente aperto Wikipedia e digitato nobiltà francese e boom, ho preso gente a caso e l'ho citata a caso. A parte la contessa Séverine Bonnet de Cantigny e il suo bel marito, che nella mia fan fiction sono i primi nobili al servizio dei quale lavora Lumière, della quale ho effettivamente letto due righe giusto per sembrare seria.

2. All'inizio mi stavo incasinando l'esistenza nel tentativo di incastrare un principe delle fiabe infilato nella Francia di Re Luigi XVI. Non proprio una passeggiata. Avevo pensato a un paio di soluzioni, dalla possibilità che l'appellativo di principe fosse una mania del padre della Bestia, oppure un vezzeggiativo della madre che poi gli era rimasto addosso... poi ho pensato: «Dai, ma chissenefrega. La Disney ha detto che è un principe. Fine della storia. Letteralmente». Quindi alla fine ho eliminato la famiglia reale per lasciar posto ad Adam. Ho scelto il cognome Barbot perché è uno dei cognomi dell'autrice della favola e... beh, mi ricorda la barba. ROAR.
3. Ho scelto di usare i nomi originali, anche se solitamente li chiamo sempre Spolverina e Mrs. Brick, perché in originale c'è quel... je ne sais quoi. LOL
4. Plumette ha sedici anni, Lumiére ventidue. Così, giusto per dire.



   
 
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