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Autore: Fauna96    12/04/2017    1 recensioni
¡DystopianAU! basato su The Suburbs degli Arcade Fire
La prima sigaretta dell’estate aveva sempre un sapore diverso rispetto a quelle durante l’anno, forse perché era fumata per semplice piacere e non per scaricare lo stress. Non che fosse più buona, insomma, uno mica fuma per il sapore. Era speciale, tutto qui.
[...]
Quell’estate era quella in cui arrivarono i carri armati.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Luglio I
 

Le torce puntateci dritte negli occhi ci facevano lacrimare, mentre venivamo costretti con le braccia dietro la schiena. Non era più doloroso di qualunque cosa mi avesse mai fatto mio fratello, dovevo ammetterlo, e anche la paura e il rumore sordo nelle orecchie mi ricordavano quegli anni lontani che avevo seppellito con cura in un angolino buio della mente. Dopo la nostra grande avventura, ne avevo parlato soltanto due volte: con Ed e Doppia D, qualche tempo dopo, durate una delle nostre serate, perché loro avevano il diritto di sapere dopo avermi assecondato in quella follia; e poi, più recentemente, la sera del Ballo d’Inverno, che aveva compreso quantità massicce di alcol bevute di nascosto, una brutta litigata con la mia ragazza di allora e Lee Panzer. Ma questa è un’altra storia.
Durante giugno non era successo granché, con nostra sorpresa e sollievo: sembrava quasi una normalissima e noiosissima estate, coi carri armati che divennero ben presto parte del paesaggio e da cui ogni tanto spuntavano militari che ci chiedevano i documenti senza un’apparente ragione. Non ci avevano infastidito più di tanto, nemmeno le ragazze; sembravano automi programmati.
Quella sera, eravamo usciti solo noi tre, a piedi per il quartiere: cazzeggio puro e semplice, da quei dodicenni troppo cresciuti che eravamo. Ed aveva persino le tasche piene di caramelle, figuratevi.
Obiettivo della serata era estorcere a Doppia D se avesse concluso o meno con Marie: era ormai un anno e passa che si giravano attorno come un gatto indemoniato e un topolino indifeso; ovviamente, era piuttosto chiaro chi fosse cosa, ciononostante, il corteggiamento non aveva procurato crisi di panico o altro che non fosse un tutto sommato contenuto imbarazzo. Non ero esattamente d’accordo nel vedere i miei amici catturati all’amo da quelle pazzoidi, ma Doppia D alle prese coi propri istinti maschili era sempre stato un bello spettacolo. Per fortuna, uno degli Ed si manteneva libero e sano.
Forse ci eravamo avvicinati troppo al confine del cul – de – sac, distratti dal buio e dalle nostre scempiaggini, e ci eravamo scordati del coprifuoco, dei permessi per uscire, del fatto che fossimo praticamente un avamposto militare...
Ricordo solo che un momento prima Ed e io cantilenavamo come due bambini strapazzando Doppia D, un momento dopo venivamo strappati gli uni dagli altri, le facce premute contro la rete e gli occhi lacrimanti.
Qualcuno mi gridò nelle orecchie qualcosa che, inebetito com’ero, non capii, ricevetti uno scrollone per non aver risposto e sentii Doppia D accanto a me farfugliare il mio e il suo nome. Avevo la faccia voltata, perciò non riuscivo a vedere né lui né Ed, solo le maglie metalliche arrugginite.
- Non abbiamo i documenti – balbettò Doppia D, la voce soffocata. – Siamo usciti solo... solo per... – capii che stava andando nel panico e che io non potevo aiutarlo: mantenere il sangue freddo, purtroppo, non è mai stato uno dei miei pregi, per quanto mi fossi sforzato negli anni.
Saremmo probabilmente rimasti lì come due idioti per tutta la notte se non ci fosse stato Ed. La sua voce era ferma nonostante fosse anche lui schiacciato da probabilmente quattro uomini, considerata la sua mole. – Stavamo solo facendo un giro – disse – Non ci siamo accorti di essere arrivati fin qua –
Calò il silenzio, rotto solo dai nostri respiri affannati e dal tamburo del mio cuore nelle orecchie. Sentivo in bocca il sapore del sangue: dovevo essermi morso la lingua.
La morsa che mi stringeva le braccia si allentò quel tanto da permettermi di respirare e venni voltato dalla parte opposta: un gruppetto di militari ci scrutava, i visi in ombra dietro i fasci delle torce. Ci portarono loro a casa.
 
Mi rendo conto di non essere un granché come narratore, ma l’intellettuale del gruppo è sempre stato Doppia D; sono bravo a indorare la pillola e a chiacchierare e raggirare, ma raccontare richiede una certa organizzazione mentale che evidentemente io non possiedo. Questo per dire che forse avrei dovuto iniziare dal vero inizio, cioè dall’11 settembre 2001.
Siccome immagino non abbiate passato gli ultimi anni in Antartide, saprete cos’è successo quel giorno, ma saprete quel genere di cose che scrivono i giornali: misure altissime di sicurezza prese in tutti gli Stati, provvedimenti vari eccetera; potrete solo immaginare come questo abbia influito sulla vita di un americano medio e, nel nostro caso, su quella di ragazzini che non sapevano neanche il significato di “kamikaze” (con una notevole eccezione). Non ho voglia di elencare tutti i minimi cambiamenti: vi basti sapere che la nostra prima adolescenza era passata sotto una cappa di paura e sospetto, dove ogni faccia nuova era accuratamente studiata, specie se non appartenente alla razza caucasica.
Fin qui, prevedibile; non bello, non giusto, ma prevedibile e, soprattutto, poco rilevante a Peach Creek, dove, ripeto, non avevamo nemmeno un metal detector a scuola perché, sinceramente, non si capiva quale terrorista avrebbe mai potuto prendere di mira uno squallido liceo di periferia. Le cose avevano iniziato a prendere una brutta piega con le proteste in città (proteste giustificate, a mio avviso), proteste che fecero presto a diventare pestaggi e guerriglia urbana. A noi ragazzi fu proibito uscire dai nostri confini di periferia e le notizie si fecero molto più vaghe: era come ricevere bollettini di guerra da un remoto stato africano, mentre in realtà avremmo potuto tuffarci nella mischia con venti minuti di macchina.
Ora, non saprei proprio dire se questa nostra lontananza dal pericolo ci abbia fatto bene o male. Non so nemmeno dire se, ci fossimo noi trovati in mezzo alla guerriglia, saremmo sopravvissuti, cosa saremmo diventati. Non mi ero nemmeno formato un’opinione quando Rolf ci annunciò che si sarebbe unito all’esercito, e la cosa mi aveva mandato seriamente in confusione. Ricordo bene le parole di Ed: - Non credo che vorrei mai diventare un soldato, anche se mio padre vorrebbe. Rolf sbaglia - . Non era un mistero che il padre di Ed pensasse che una sana scuola militare avrebbe trasformato suo figlio in un vero uomo; io pensavo che invece ne avrebbe tratto più beneficio Sarah, ma quella era solo la mia umile opinione. Comunque, Ed non aveva mai espresso una totale condanna sulla carriera militare, fino a quel momento. – Non voglio fare del male alle persone, specie se hanno ragione – aveva detto, guardandoci con i suoi occhi blu da bambino.
E in quel momento, mi sentii veramente, veramente una merda a confronto di Ed, che poteva essere tonto e tutto quello che volete, ma aveva dei principi in quella sua testa di lampadina, sapeva cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Doppia D, ovviamente, avrebbe potuto tenermi un seminario di etica ed era comunque una brava persona, una volta eliminata la pedanteria.
E io? Io non lo sapevo, se ero una brava persona. Probabilmente sì, nonostante il fatto che mi piacesse mentire e imbrogliare; per la cronaca, erano anni che avevo lasciato perdere le truffe ai danni dei ragazzini del quartiere ed ero anche migliorato parecchio a livello personale. Ma c’erano cose che... non so. Forse ero troppo simile a mio fratello per essere una brava persona.
Una cosa, però, mi era chiara: noi non eravamo dei terroristi, non meritavamo di essere immobilizzati e minacciati. Lo feci presente, in modo più volgare, la mattina dopo ai miei amici, quando la paura si era ormai scolorita nel sole e mi sentivo incazzato abbastanza da andare a prendere a calci in culo quei manichini in uniforme.
- Eddy, non gridare – mi sibilava Doppia D, supplicante. – Potremmo scrivere una denuncia formale –
- Denuncia?! – berciai, mentre Ed lanciava a Doppia D uno sguardo di compatimento; almeno qualcun altro era consapevole del fatto che le formalità ormai esistevano solo per sentito dire. Non che fossero mai servite a qualcosa comunque.
- Doppia D, quelli non sanno nemmeno leggere, te lo dico io! –
I nostri discorsi sull’argomento si erano ridotti a un cane che si morde la coda, dato che, oggettivamente, non potevamo fare nulla al riguardo e quindi ce la prendevamo l’uno con l’altro.
Una o due volte mi era balenata l’idea di prendere e andare in città: a fare cosa non lo sapevo con certezza, ma qualunque cosa, la violenza, il sangue, sarebbe stato meglio della cappa afosa che gravava sopra le nostre case, che sarebbe esplosa senza preavviso; almeno in città quello era uno stato costante, non so se mi spiego. Probabilmente no, e infatti non ero riuscito nemmeno ad articolare la mia idea ai miei amici.
 
La notte prima, quando i soldati ci avevano riportato ciascuna a casa propria, ero filato in camera mia col cuore che batteva contro le costole e i palmi sudati e brividi gelidi lungo la spina dorsale. Era sempre così: il contraccolpo arrivava dopo, per me, come se durante il momento esatto dello shock non riuscissi a catalogare con precisione le mie emozioni. Oppure era un residuo di quando ingoiavo le lacrime per ore, a volte, non so: non sono mai andato da uno psicologo, escludendo Doppia D che si basava giusto su qualche trattato del dottor Freud.
Il fatto che ci avessero divisi peggiorava solo la situazione; vidi Ed fare un mezzo gesto nei miei confronti come se avesse voluto avvicinarsi, ma lo stavano già spingendo verso casa sua e io non volevo certo aggrapparmi a lui come un moccioso in lacrime, per quanto ne sentissi il bisogno. Avevo letto su internet che le persone nella “mia situazione” evitano il contatto fisico; io invece lo cercavo, anche se solo di alcune persone e in modo discreto. La presenza di Ed e Doppia D era sempre confortante e sentirli fisicamente accanto a me durante certi periodi... mi aiutava, ecco.
Per fortuna, non dovetti stare troppo da solo, almeno non virtualmente. Qualche anno prima, Doppia D era riuscito in qualche modo a modificare le nostre linee telefoniche per permetterci di parlare tutti e tre contemporaneamente, e per fortuna io avevo il mio telefono personale in camera: ero riuscito a stento a sfuggire alle grinfie dei miei.
- Tutto bene, Eddy? –
- Sì – risposi, stupendomi per primo della fermezza della mia voce. – Voi? –
- Qualche ammaccatura – ammise Doppia D, mentre Ed gli parlava sopra, creando un’interferenza che probabilmente riuscivano a sentire per tutto il quartiere. Alzai gli occhi al cielo e sorrisi, grato del buio che mi avvolgeva: persino nella mia stanza, mi sentivo sempre più al sicuro nell’oscurità, con i contorni delle cose smussati, illuminati appena dalla mia vecchia lava-lamp.
Una delle cose che mi è sempre piaciuto fare sono le chiacchierate senza né arte né parte che saltavano fuori con gli altri: potevano avvenire di pomeriggio o a tarda notte, ma avvenivano sempre quando ne avevo bisogno. Non penso di aver mai detto a quei due quanto avessi bisogno di loro, ma penso anche che lo sapessero meglio di me.
 
 




Ahem, in questo capitolo credo di aver trattato degli argomenti pesantucci, soprattutto il trauma (?) di Eddy. Ammetto di non essere un’esperta, quindi mi sono mantenuta sul vago, però è chiaro che crescere terrorizzati dal proprio fratello maggiore non è granché come esperienza.
All’inizio, avevo pensato di dividere la storia in tre capitoli (giugno, luglio, agosto) ma ho dovuto dividere questo per forza a metà, visto che c’è ancora parecchio di cui parlare; e probabilmente dividerò in due anche agosto.
Grazie mille a Elis_06 e karma neutral che si sono presi la briga di recensire! E a chiunque abbia letto :) A presto!
  
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