Anime & Manga > My HiME - My Otome
Segui la storia  |       
Autore: DezoPenguin    13/04/2017    1 recensioni
Elementary My Dear Natsuki parte quinta. Natsuki si avvicina alla verità sulla morte di sua madre, ma lo sguardo della Corte d'Ossidiana è caduto anche su di lei. Mentre Shizuru accetta di investigare sulla morte di un nobile straniero, ha il suo inizio un gioco di inganni con in palio il destino di entrambe.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Reito Kanzaki, Shizuru Fujino
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Elementary My Dear Natsuki'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

6

Shizuru aveva tentato di incontrare il signor Robert Merridew al club che frequentava, il Bagatelle, dove di solito si recava tra le due e le cinque del pomeriggio e dove spesso si tratteneva per la cena, ma a quanto pareva erano due giorni che non si faceva vivo. Shizuru aveva già scoperto che questo era alquanto preoccupante, un sentimento condiviso dal direttore del club. Anche se le signore non potevano entrare nel club, Stanza degli Ospiti a parte, una mancia generosa aveva rassicurato Shizuru (o almeno le aveva dato la ragionevole certezza) che "il signore non è qui" non era un modo educato di dire "il signore non vuole vederla".

"Da cosa si sta nascondendo?" chiesi alla mia amica mentre la nostra vettura si allontanava dal club.

"Ah! Allora anche voi avete avuto la stessa impressione?" disse, balzando sulla mia scelta di parole. "Ditemi perchè."

"Bè...perchè..." balbettai, chiedendomi perché all'improvviso mi stesse mettendo sotto i riflettori. "Ha litigato col barone Maupertuis, o almeno ha avuto con lui una discussione molto agitata, e ora il barone è morto. Anche la baronessa ha avuto l'impressione che Merridew fosse spaventato da qualcosa. Ora scopriamo che ha cambiato la propria routine e sta evitando l'unico posto pubblico che frequentava abitualmente."

"Non necessariamente 'l'unico posto pubblico'," disse lei.

"Ne avete trovati altri?" sapevamo entrambe la risposta. "Quindi, sì, potrebbero essercene degli altri, ma se non li avete trovati nel giro di un pomeriggio significa che non sono poi così ovvi."

"Sono d'accordo."

"Quindi la questione è, se si sta nascondendo, allora da chi? Era coinvolto in qualche affare sporco assieme a Maupertuis—come la compagnia di Olanda e Sumatra o qualcos'altro—ed ora sta fuggendo dalle conseguenze? L'assassino del barone sta dando la caccia anche a lui? O forse ha ucciso Maupertuis e ora sta fuggendo dalla legge? Però se fosse colpevole probabilmente invierebbe un sicario invece di fare da solo, a questi uomini d'affari non piace sporcarsi le mani."

"Ara, così tante domande."

"E così poche risposte, a meno che non siate a conoscenza di qualcosa che non volete rivelarmi."

"Non in questo caso. Con un po' di fortuna, potremo trovarne a casa sua."

Il che non sarebbe accaduto, almeno non per me. Ero stata messa a morte dal Primo Distretto, non sarei certo entrata nella casa di uno dei suoi membri senza essere assolutamente sicura che ne sarei uscita. Fortunatamente, avevo una buona scusa.

"Scusate, Shizuru; non ci sarà un 'noi', questa volta."

"Ah, il vostro appuntamento col signor Porlock."

"È proprio necessario usare le parole 'appuntamento' e 'Porlock' nella stessa frase?"

Gli occhi scarlatti di Shizuru ridevano.

"Pensavo che il signor Porlock fosse uno dei fedeli compagni di Natsuki."

"Mi appoggio a lui perché è un contatto affidabile. Ma una relazione sentimentale?" tremai. La mia reazione fece ridere Shizuru.

"Molto bene, cercherò di non dirlo mai più."

"Lo apprezzo, così non avrò quell'immagine in testa durante la cena."

Arrivare in anticipo al mio ultimo incontro con Porlock mi aveva permesso di entrare nella trappola prima che mi era stata tesa prima che si chiudesse attorno a me, e sistemare i sicari mentre ne uscivo. Avevo pensato che fosse un bene continuare così, quindi non avevo mentito a Shizuru quando le avevo detto che dovevo prepararmi per il mio appuntamento—Gah! Di nuovo quella parola! Lei non mi aveva fatto notare il fatto che ero molto in anticipo, quindi o aveva pensato che dovessi fare qualche altra commissione prima di andarci, e non voleva essere invadente facendomi domande in proposito, oppure si era fatta un'idea di quello che stavo progettando.

Non ero sicura di cosa mi irritasse di più, che Shizuru pensasse che le stessi mentendo, o che fosse a conoscenza del pericolo che stavo correndo, tanto da capire le precauzioni che prendevo. La linea tra la mia vita privata e quella che condividevo con lei si stava facendo sempre più indistinta, facendomi sentire come se stessi in piedi su un terreno instabile. E non era una posizione in cui volevo trovarmi mentre ero sul punto di concludere le cose con gli assassini di mia madre, sempre che non fossi morta prima.

"Se volete, Natsuki, potrei venire con voi," propose Shizuru. Voleva essere gentile e sostenermi, ma era l'ultima cosa di cui avevo bisogno proprio quando ero nel mezzo di un acceso dibattito con me stessa su quanto profondamente stavo permettendo a Shizuru di vedere nei recessi della mia vita.

"Non sarà necessario," dissi in tono tagliente, troppo tagliente. Lei sussultò, non per le parole ma per l'atteggiamento con cui erano state pronunciate, e feci un profondo respiro. "Perdonatemi. Non volevo sbottare a quel modo, ma è una faccenda personale. Non posso rivelarvi tutti i dettagli, e non voglio che veniate coinvolta nei miei problemi."

"Natsuki ed io siamo amiche, no? Se siete nei guai o avete delle difficoltà vorrei aiutarvi, proprio come voi mi aiutate nei miei casi."

"Shizuru, io non vi aiuto nei vostri casi, vi seguo in modo che abbiate qualcuno con cui parlare e che possa essere impressionato dalle vostre deduzioni. Non è la stessa cosa."

"Ma Natsuki mi è di grande aiuto! Non ricordate il caso del furto del collare di Wortham? Non solo siete stata estremamente utile per aiutarmi a dedurre il modo in cui si era svolto il crimine, ma i vostri contatti ci hanno portate direttamente al ladro. Oltretutto, è molto di più che la vostra assistenza diretta ad aiutarmi. Voi sottovalutate la vostra importanza; le nostre conversazioni mi sono molto più utili per scoprire la verità dello starmene da sola a riflettere.

"Però, più importante della quantità di aiuto che mi date, è il motivo per cui me lo offrite. Non siete un’investigatrice, non venite pagata dai miei clienti, mi aiutate per semplice amicizia al punto di essere disponibile ad affrontare un pericolo lottando contro ladri ed assassini!"

Cossi la testa.

"Sono due cose diverse, Shizuru."

"No, non lo sono. Voglio aiutarvi, Natsuki. Dovete ammettere che sono in possesso di abilità che vi sarebbero utili in quel genere di affari che implicano incontri con un informatore della malavita."

"Lo so," dissi, poi ripetei, "Lo so, Shizuru. Io...Io non voglio trascinarvi in tutto questo. È una faccenda orribile."

"Ho a che fare con questo genere di cose."

Scossi la testa.

"Voi credete nella giustizia, Shizuru. Nel rimettere a posto le cose e nel proteggere gli innocenti e nel simpatizzare con il dolore di un amore perduto. Nel mio passato ci sono state molte occasioni in cui, se mi aveste incontrata, la vostra prima reazione sarebbe stata quella di mettermi in prigione. Le mie abilità nella lotta, le armi da fuoco, la raccolta di informazioni, lo scassinare serrature e penetrare nelle case non sono uscite dal nulla. Questo va oltre l’amicizia o perfino il rischio. Sarebbe diverso, sapete, se questo fosse un romanzo gotico e io stessi dando la caccia a un vampiro per il bene dell'umanità. Ma non si tratta di qualcosa di così puro e nobile." Tesi la mano ed appoggiai la mia mano guantata sul suo braccio, stringendolo con affetto.

"Non ho il diritto di farvi questo, e non lo farò."

Cercando di addolcire l'impatto del mio rifiuto, mi costrinsi a sorridere e dissi, "Apprezzo l’offerta, comunque. So che è sincera e… non sono abituata ad avere persone che siano disposte a fare questo per me. Significa molto per me. "

Strinsi di nuovo il suo braccio, poi lo lasciai andare. Shizuru non discusse. Infatti, non disse un’altra parola finché non tornammo a Baker Street.

 

~X X X~

 

"Mai" è un ristorante di Limehouse, quella zona dei moli dove i membri delle varie comunità asiatiche di Londra si sono riunite per costruire le loro case lontano da casa. La comunità cinese è la più numerosa e conosciuta, ma ne esistono anche altre, all'interno di pochi isolati fra i milioni della più grande città del mondo occidentale. Il ristorante in realtà ha un nome proprio ma nessuno lo usa, il motivo per cui la gente va a mangiare lì è la cucina di Mai Tokiha. Ogni volta che mi viene voglia di cibo giapponese vado da Mai, e oltretutto lei era la mia amica più stretta prima che incontrassi Shizuru.

A pensarci bene, questo diceva parecchio (e nulla di lusinghiero) riguardo la mia capacità di farmi degli amici, perchè anche se fra noi c'era dell'affetto, la mia relazione con Mai era interamente superficiale.

A volte penso che mi veda come un altro gattino randagio di cui prendersi cura, pensai, poi mi scusai mentalmente con lei. Mi scusai due volte: una per il modo in cui pensava a me, e una seconda per aver ridotto la sua natura generosa e premurosa a qualcosa di cui ridere.

A dire il vero, a volte mi sentivo a disagio attorno a Mai, perché la consideravo una persona migliore di me. Aveva i suoi difetti, incluso un grave complesso materno, ma era una delle poche persone che conoscevo di cui potevo dire con sicurezza che erano 'buone'. Il mondo aveva bisogno di più persone come Mai, mentre avevo il sospetto che una sola Natsuki fosse più che sufficiente. Quei pensieri deprimenti però non erano il punto. Il problema più pressante era che il ristorante di Mai era un luogo che frequentavo con regolarità. Avevo il sospetto che fosse per questo che Porlock l'aveva scelto—dopo il nostro ultimo incontro, non voleva portarmi in un posto in cui mi sarei sentita a disagio. Gentile da parte sua. Ma anche problematico.

Il fatto è che una donna condannata a morte non può permettersi di essere prevedibile. Non avevo notato sorveglianti attorno al nostro alloggio, il che, sospettavo, aveva a che fare con Shizuru. Non era molto intelligente mettere una spia sotto gli occhi della più grande detective di Londra, non avrebbe certo potuto starmi dietro mentre Shizuru investigava su di lui o gli metteva la polizia alle calcagna. Ma il ristorante era un'altra storia. Se fossi stata al posto della Corte, avrei di certo messo degli scagnozzi lì attorno, perché mi trovassero, e forse per organizzare un'imboscata.

Scoprii che avevo ragione. Il mio modo di vestire mi aiutò in quella situazione, optai per avvolgermi in un mantello informe e farmi strada nelle vie di Limehouse con l'aspetto di uno dei suoi inquilini meno fortunati, non come me stessa. Ce n'erano almeno due che sembravano possibili spie: un perdigiorno che bighellonava in un vicolo e che sembrava fin troppo attento a chi entrava dalla porta del ristorante, e un mendicante i cui occhi attenti non cercavano possibili fonti di guadagno, ma continuavano a fissare la porta.

Forse ce n'erano altri, dopotutto non ero Shizuru, ma comunque avevo i miei metodi per scoprire le cose. Feci il giro dell'isolato e imboccai il vicolo in cui era nascosto il primo, alle sue spalle, liberandomi del mantello e tirando fuori il mio coltello dallo stivale. Mi incamminai cercando di essere il più silenziosa possibile. Il che significa che fui molto silenziosa—ero brava in queste cose—e il tipo non era bravo nel proprio lavoro. Prima che si accorgesse che ero lì, avevo passato il mio coltello nella sinistra e gliel'avevo puntato alla gola mentre con la destra gli torcevo il braccio dietro la schiena in modo che non tentasse scherzi.

"Cerchi qualcuno?" chiesi gentilmente.

"Che-che stai facendo? Chiamerò—"

"E sarai morto prima del tuo prossimo respiro. So cosa stai facendo qui, quindi come puoi vedere non sono dell'umore giusto per i giochetti."

"Io non ho—"

Affondai la punta del coltello più in profondità e lui tacque all'istante. Lo considerai un progresso.

"In quanti siete?"

"Io non—"

"Quanti?"

"Due!" ansimò. Potei vedere il sudore imperlargli il viso.

"Chi altro?"

"Kenton. È vestito come un mendicante, mezzo isolato più giù."

"Per chi lavorate?"

"L-Lautrec. Jules Lautrec."

Quello poteva essere utile.

"E lui per chi lavora?"

"Non lo so! Il capo non ce l'ha detto! Aveva paura che avremmo fatto da soli."

"Uomo intelligente."

Lo colpii sulla nuca con l'impugnatura del coltello, e lui cadde come un sasso. Usai le sue bretelle per legarlo mani e piedi, e lo imbavagliai col suo fazzoletto.

Non potevo usare la stessa tecnica con Kenton, almeno non in strada sotto gli occhi di tutti. Limehouse non era certo Park Lane, ma i suoi cittadini avrebbero senz'altro reagito al vedere una donna attaccare un mendicante. D'altra parte, lui non avrebbe tentato di accoltellarmi in strada. Avrebbe cercato di portarmi fuori vista e—come i tre scagnozzi di Whitechapel la sera precedente—in un posto dove avrebbero potuto sopraffarmi grazie alla superiorità numerica. Gli avrei dato quell'opportunità.

Scivolai lungo la strada, mantenendomi il più possibile vicina agli edifici, e feci cadere una moneta nella tazza di Kenton. Lui alzò lo sguardo su di me, sorpreso, e quella sorpresa crebbe quando si rese conto che corrispondevo alla descrizione che gli era stata fatta del suo bersaglio. Cercò di nasconderla, e socchiuse gli occhi.

"Grazie, miss."

"Ti piacerebbe guadagnarne il doppio?" chiesi, visto che gli avevo dato mezza sovrana, questo attirò la sua attenzione con la stessa facilità con cui avrebbe attirato l'attenzione del mendicante che interpretava.

"Mi piacerebbe. E come?"

"Mi sembra che tu abbia una buona vista. Dovresti farmi il favore di stare qui e cercare una persona."

"Chi?" chiese lui, insospettito. Forse stava recitando, forse no, forse il suo accento era finto. Risposi recitando anch'io, guardandomi intorno con aria circospetta.

"Non qui. Troppe orecchie."

"Dove, allora?"

Finsi di rifletterci su.

"Quel vicolo là." Feci un cenno nella sua direzione. "È bello tranquillo."

"Mi sta bene," rispose, com'ero sicura che avrebbe fatto. Dopotutto, il suo bersaglio lo stava invitando proprio dove il suo collega era in attesa, un'occasione perfetta per un'imboscata. Avevo idea che Kenton e l'altro fossero lì con il compito di osservare, più che di eliminarmi, ma di sicuro non avrebbero perso l'occasione di ricevere una ricompensa dal loro boss per aver concluso il lavoro non appena si fosse presentata l'opportunità.

Kenton si alzò in piedi, raccogliendo la propria tazza e infilandola negli stracci che indossava. Mi chiesi se si sarebbe intascato quei soldi o se lo avrebbero costretto a dividerli con i suoi compagni. Mi seguì dall'altra parte della strada, oltrepassando numerosi giapponesi, sia uomini che donne, sia vestiti all'europea che nei loro abiti tradizionali, e diversi occidentali, in genere marinai. Stava un passo dietro di me quando entrammo nel vicolo, visto che non potevo impedirglielo senza risultare sospetta.

"Eh, Harry, do—" cominciò il mendicante, poi si accorse che il suo amico non era dove si era aspettato che fosse. L'attimo seguente lo vide svenuto in fondo al vicolo. Un uomo più intelligente avrebbe fatto due più due, rendendosi conto che il suo collega era stato steso dal bersaglio, cioè la sottoscritta, visto che ero venuta a cercarlo e lo avevo portato lì, ma il tipo non era così sveglio.

"Harry, ma che—?"

Fece due passi avanti di riflesso, mentre io ne facevo uno all'indietro per poi saltargli addosso. L'impugnatura del coltello fu di nuovo un eccellente surrogato di un manganello, aumentando la mia collezione di scagnozzi svenuti a due.

Usai gli stracci di Kenton per legare e imbavagliare anche lui, poi li perquisii entrambi. Ognuno di loro aveva in tasca un coltello, e Kenton ne aveva un altro infilato nella manica, mentre Harry aveva anche un manganello. Buttai le armi in fondo al vicolo, in modo che non potessero usarle per liberarsi, poi li lasciai alla mercè dei malfattori del quartiere, mentre attraversavo la strada per entrare nel ristorante.

Nel momento in cui attraversai la soglia i profumi deliziosi che venivano dalla cucina mi avvolsero, facedomi venire l'acquolina in bocca mio malgrado.

"Natsuki!" disse una voce acuta e infantile. "È una vita che non ti vedo!" aggiunse in giapponese.

Si chiamava Mikoto Minagi; aveva circa quattordici o quindici anni, capelli corti fatta eccezione per due lunghe ciocche sulle tempie, che portava strette in due trecce. Era il classico caso dell'immigrata che non aveva trovato in Inghilterra una famiglia ad attenderla, così aveva cominciato a vivere per strada quasi come un animale, prima che Mai, essendo Mai, la prendesse con sé. Era devota a Mai come chiunque poteva aspettarsi, aiutava al ristorante ed era sempre di un buonumore inossidabile, nonostante tutto quello che aveva passato.

"Ciao, Mikoto, come stai?"

"Bene! Takumi incontrerà i genitori di Akira questo weekend, quindi Mai chiuderà il ristorante e mi porterà a fare un picnic a Hampstead Heath!"

Le sorrisi.

"Sembra divertente."

"Mmm-hm! Non vedo l'ora. Vieni, c'è un sacco di spazio al bancone."

"A dire il vero, Mikoto, devo incontrare una persona. Potremmo avere uno stallo, e che sia il più privato possibile?"

"La signorina Viola?"

"No, un uomo."

Inclinò la testa da un lato, guardandomi incuriosita.

"Natsuki ha un gentiluomo che le fa la corte?"

Sbuffai.

"Certo, come no. Si tratta di affari."

"Oh. Okay." La mia risposta sembrò rasserenarla. "Vieni, da questa parte."

Mi guidò attraverso la stretta stanza, oltre i clienti che sedevano ai tavoli affollati o negli stalli, persone di tutte le razze e vestite in mille modi, delle più svariate classi sociali. La combinazione di prezzi accessibili e buon cibo attirava un gran numero di clienti. Uno stallo in fondo, nell'angolo, era libero. Era troppo vicino al bancone per essere perfetto, ma la porta della cucina era lì vicino, il che significava che le uniche persone che avrebbero ascoltato la nostra conversazione sarebbero stati i camerieri, che certamente non erano coinvolti on la Corte D'Ossidiana. Mentre aspettavo l'arrivo di Porlock osservai gli avventori e sorseggiai il mio tè; nessuno dei clienti mi insospettì, e il pensiero di Porlock mi fece venire il mente Shizuru, il modo in cui si era offerta di venire con me, e il fatto che avevo rifiutato il suo aiuto.

Grazie al cielo Porlock fece il proprio ingresso nel locale prima che avessi la possibilità di affondare nei miei pensieri deprimenti troppo a lungo. Il suo sguardo esaminò il locale e si posò su di me; Mikoto gli si avvicinò mentre entrava, ma lui le disse qualcosa e fece un cenno nella mia direzione. Lei sorrise e si allontanò, mentre l'uomo si avvicinava al mio stallo.

"Porlock."

"Kuga. Devo dire che questo non me l'aspettavo." Si accomodò.

"Pensavi che fosse una specie di taverna dove mangiare solo bistecche?"

"In quei locali mi è capitato di mangiare il miglior cibo del mondo—e il peggiore. Questo è un ristorante vero e proprio. L'unico sporco che c'è è sui clienti."

Mi strinsi nelle spalle.

"Mai potrebbe trasferirsi nel West End, decuplicare i prezzi e diventare ricca in un mese. A volte credo che le piacerebbe, ma qui ha la famiglia e gli amici."

Mikoto arrivò con una teiera e una tazza per Porlock.

"Visto che il tuo amico è arrivato, volete ordinare?"

"Sì. Portaci due ciotole dei ramen speciali della casa e sakè caldo."

"Okay!" rispose, e corse via.

"Cos'è la specialità della casa?"

"Che c'è, hai paura che, adesso che siamo nel mio ambiente, ti abbia ordinato qualcosa di ultra piccante o di strano? Rilassati. La verità è che non ho idea di cosa ci sia nel ramen speciale di stasera, visto che ogni sera è diverso, anzi, può cambiare durante ogni serata man mano che cambiano gli ingredienti. In pratica, Mai prende tutti gli ingredienti che ha in cucina, pesce, carne, verdure, quello che c'è, e lo usa per preparare lo speciale. Si può essere sicuri di due cose: che non saprai mai cosa ci troverai dentro, e che sarà sempre buonissimo."

Sorrise e allargò le braccia.

"Sono nelle tue mani, Kuga. E poi, viste le circostanze, credo che né tu né io siamo dell'umore di metterci a discutere della cena."

"Hai ragione," dissi in tono acido. "A proposito, la prossima volta che chiedi di incontrarmi, non potresti essere un po' meno enigmatico?"

"Sei qui, no?"

"Solo perchè Shizuru ha decrittato il tuo dannato codice. Non avevo mai sentito parlare di un Vigenere prima di oggi."

"Ha decifrato il codice?" sembrava impressionato.

"Bè, ha capito cos'era, e io ho indovinato la parola chiave."

"Ah, così va meglio. Speravo avresti capito il mio piccolo messaggio."

"Per quanto riguarda la chiave sì, ma ti è sfuggito il resto. Se non avessi mostrato il tuo messaggio a Shizuru, non ci saremmo incontrati, oggi. Il che significa che sono stata costretta a condividere con una terza parte i miei affari privati."

Mi rivolse uno sguardo strano.

"Kuga, mi stai dicendo che non hai detto nulla alla signorina Viola riguardo la Corte d'Ossidiana e tutta questa faccenda? Ma stai cercando di infilare il collo nel cappio?"

"Sto cercando di tenerlo lontano dal collo della mia amica."

"Allora farai meglio a sperare che il Primo Distretto non faccia la stessa supposizione che ho fatto io."

"Finora non l'hanno fatto, e sto cercando di mantenere la situazione così come sta," sbottai.

"Va bene, ma non ho intenzione di scusarmi per il messaggio. Sei in una situazione molto pericolosa, e non ho voglia di finire coinvolto."

"Sei quasi stato coinvolto."

Prese la propria tazza di tè.

"Gradirei una spiegazione per questo."

"C'era una coppia di sicari a tenere d'occhio il ristorante," dissi, "a quanto pare stavano aspettando che mi facessi viva."

"Hm."

"Li ho sistemati, comunque. Uno di loro mi ha confessato che lavora per un boss chiamato Jules Lautrec. Puoi aggiugere il nome al conto, perché voglio sapere chi lo sta pagando. Con un po' di fortuna, sarò in grado di seguire la catena alimentare fino a quello che dà gli ordini, invece di seguirli."

"Lautrec," mormorò Porlock, rigirandosi il nome nella mente. "Dev'essere di qui, quelli di Whitechapel non sanno come muoversi a Limehouse o viceversa, e suoi padroni sono tanto intelligenti da capire la differenza."

Pensai che "non sanno come muoversi" fosse un'esagerazione, ma in generale non aveva torto. La conoscenza del territorio era una ricchezza per un criminale: dove trovare le vittime, dove nascondersi dopo il crimine, dove piazzare la merce rubata a un ricettatore e così via. I due di cui mi ero sbarazzata erano scagnozzi di bassa lega, non il tipo di professionisti qualificati che sanno muoversi ovunque.

"È quello che pensavo."

"Farò qualche indagine. Non dovrebbe essere troppo difficile rintracciare un boss francese qui a Londra. Probabilmente era un ex marinaio, o un contrabbandiere. Dammi un paio di giorni."

"Potrei non avere un paio di giorni."

"No, io—"

Porlock fu interrotto da una voce allegra, dal forte accento giapponese. A differenza di Shizuru e della sottoscritta, Mai non era cresciuta bilingue quindi il suo inglese parlava delle sue origini, in particolare le R e le L occupavano quello spazio indeterminato fra le due lettere che era la R giapponese.

"Ecco, qua, due speciali e il vostro sakè." Mise sul tavolo il vassio con il sakè e due ciotole di brodo fumante.

"Stasera è a base di maiale, va bene?" chiese a Porlock.

"Mi sono allontanato dalla comunità, ormai non mi mantengo più kosher," rispose lui sorridendo.

"Oh, bene. Però mi assicuro sempre che la gente sappia gli ingredienti, prima che cominci a mangiare. Buon appetito!"

"Non sapevo fossi ebreo," dissi a Porlock, mentre Mai si allontanava.

Lui prese la forchetta che lei gli aveva lasciato assieme alle bacchette.

"Non vado a dirlo in giro. In certi quartieri fa male agli affari. E poi sono praticamente il figliol prodigo."

"Ah." Sapevo quando era il momento di non insistere.

"Comunque, questa roba come si mangia? L'odore è ottimo, ma non c'è il cucchiaio."

"Il ramen è semplice. Mangi tutta la roba che c'è dentro, poi prendi la ciotola e bevi il brodo."

"Sul serio. Direttamente dalla ciotola?"

"Uh-huh. Vedi quel tipo là? E quell'altro laggiù?" indicai con le bacchette un paio di clienti giapponesi.

"Ho capito. Bene."

Pescò un pezzo di uovo dal brodo e se lo mise in bocca.

"Presumo che qui non ci siano regole di etichetta che proibiscono di parlare d'affari mentre si mangia?"

"Non me ne fregherebbe anche se ci fossero" dissi, risucchiando tagliatelle. In generale, preferisco il cibo europeo a quello giapponese, ma la cucina di Mai fa eccezione.

"Bene, perché hai bisogno di sapere contro chi ti sei messa."

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > My HiME - My Otome / Vai alla pagina dell'autore: DezoPenguin