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Autore: vero511    14/04/2017    1 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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“Dobbiamo tornare a New York. Adesso!” Il mio tono non ammette repliche, ma Zack sembra non capirlo. “Wilson, datti una calmata” si passa nervosamente le mani tra i capelli, pare un pazzo dagli occhi infuocati, ma io devo avere un aspetto ancora più inquietante e lo capisco da come mi guarda Alex. “Calmarmi? Calmarmi? Vuoi scherzare spero!” “No, non sto affatto scherzando! E stai anche spaventando tuo figlio!” Stiamo entrambi urlando e Alex sta per scoppiare a piangere. Zack ha ragione e solo per amore di mio figlio, cerco di tranquillizzarmi o quantomeno, smetto di gridare. Mi butto sul letto a peso morto e faccio un respiro profondo. “Ellie, cosa sta succedendo?” Zack si siede accanto a me e posa una mano sulla mia. Non cede di fronte al mio mutismo e continua: “Sai chi era la persona al telefono, non è così?” Lo guardo dritto negli occhi, rassegnata, ma ancora non parlo. “Senti, ti do un’ora per riprenderti mentre faccio giocare Alex. Poi voglio che mi dici cosa diavolo sta succedendo o non ti riporterò a New York e sai benissimo che hai bisogno di me, altrimenti tu e tuo figlio sareste in pericolo da soli”. Non annuisco nemmeno, ma in qualche modo riesce a capire che ho afferrato il concetto. Prende Alex in braccio e lo porta di là, lasciandomi finalmente sola. Ho un assoluto bisogno di riflettere.

Mezz’ora dopo sono ancora seduta così come sono stata lasciata. Sento le risate del piccolo provenire dal salotto e ammiro come Zack, nonostante la probabile curiosità che lo starà attanagliando e la preoccupazione, riesca a prendersi cura di una creatura così fragile ed innocente. Una parte di me è contenta che Alex sia così piccolo: non si rende minimamente conto del pericolo e in questo modo è più semplice gestire tutta questa assurda situazione.
“Lo porto a fare un bagnetto”. Zack compare sulla soglia della camera con in braccio un bambino ricoperto di tempere ovunque, proprio come la maglietta del capo. “Hai bisogno di aiuto?” Chiedo con un filo di voce. “No, dovrei farcela. Una volta ho fatto il bagno ad un cagnolino, non credo sia troppo diverso, no?” Se fossimo in un altro contesto, più gioioso e sicuro, probabilmente sarei scoppiata in una sonora risata e avrei scherzosamente difeso mio figlio per essere stato paragonato ad un animale; ma la vita ha voluto che non fosse questo il nostro destino, così annuisco semplicemente. Scompare, così come è arrivato e poco dopo sento la porta del bagno chiudersi.
L’acqua sgorga rapida dal rubinetto e le lancette scandiscono lapidarie il tempo. Mi trascino in cucina per bere mentre mi guardo attorno. Riesco a vedere bene il pavimento della sala tappezzato di fogli colorati e i pennelli ancora colanti di tempere riposti in un angolo; la copertura del divano è sgualcita e il tappetto non è più nella sua postazione originaria. Alzo di poco lo sguardo e lo porto al livello del tavolo. Forse non avrei dovuto farlo, o forse non avrei dovuto fare quello che faccio subito dopo.

Non so esattamente cosa mi abbia spinta a prendere in prestito la macchina di Zack, non so per quale assurdo motivo io stia scendendo in fretta e furia le scale del condominio dopo essere uscita dall’appartamento come un ladro, abbandonando mio figlio e il mio salvatore; non so se sarò in grado di tornare a New York, non so più nulla ormai.
Arrivata all’ingresso, apro velocemente il portone e trovo subito la macchina che riconosco essere quella con cui sono arrivata qui. Sono talmente presa dai miei pensieri da non accorgermi subito del luogo in cui mi trovo. Ma, prima o poi, devo cercare delle indicazioni per capire come tornare nella Grande Mela. Mi accorgo ben presto che non mi serve alcun cartello per riconoscere questa città: sono già stata qui, o meglio, ho passato in questa cittadina gran parte della mia vita. Montpelier, Vermont.
Ho già percorso la strada verso New York, così so perfettamente cosa mi attende. Sul sedile del passeggero noto il mio telefono, ma decido di non utilizzarlo al momento: sono consapevole che Zack si accorgerà a breve della mia fuga e inizierà a tartassarmi di chiamate. Mentre esco dalla città e mi avvicino sempre di più ai paesini limitrofi, un brivido mi percorre. Mi sento quasi affogare nei miei ricordi quando costeggio il bosco in cui passavo interi pomeriggi durante la mia infanzia. Mi torna alla mente mia madre seduta accanto alla finestra a fissare il vuoto, i suoi sbalzi d’umore, l’improvvisa difficoltà motoria e poi mio padre che, stanco, mangia da solo. I flash vanno peggiorando e non vedo più scene di senso compiuto, ma scorgo solo oggetti: un letto, una valigia ed infine una lettera.
Mi sento quasi colpevole, me ne sto andando come fece una volta mio padre, ma io non ripeterò lo stesso errore, tornerò da Alex. Ma prima, ho delle questioni importanti da risolvere. Scaccio via le lacrime che ormai mi hanno inondato il viso e mordo aggressivamente le labbra che ora non sanno più solo di sale, ma anche di ferro; premo il piede sull’acceleratore e supero luoghi oscuri che so mi tormenteranno per sempre. Sfreccio via e l’unica cosa di cui sono consapevole, è che quando mi ritroverò davanti Allen e il suo complice, il mio labbro non sarà più l’unica cosa a sanguinare.

Mi sono fermata solo ad un autogrill per andare ai servizi, fare rifornimento e prendere qualcosa da mangiare. Le poche persone che hanno incrociato la mia strada hanno tenuto la testa bassa e persino un gruppo di camionisti, dopo aver emesso fischi di apprezzamento nei miei confronti, sono stati pietrificati dal mio sguardo. Non mi ritengo fisicamente più forte di un uomo, ma con la rabbia che pare scorrermi nelle vene e incendiarle, devo essere piuttosto minacciosa.
Lo stato quasi catatonico a cui ero ridotta fino a poche ore fa era solamente la quiete prima della tempesta, o per meglio dire in questo caso, dell’uragano.

Riaccendo il telefono e mentre sono ferma ad un semaforo, scrivo un messaggio ad Allen: ho urgente bisogno di vederti, posso venire da te?
Lo sciocco cade subito nella mia trappola e senza farselo ripetere, mi risponde con il suo indirizzo. Nel frattempo le chiamate di Zack mi stanno facendo impazzire e se non la pianta, credo proprio che il cellulare si autodistruggerà. Al ventesimo squillo, decido che è ora di finirla, così finalmente rispondo. “Dove accidenti sei finita? Ti ho detto che stare fuori è pericoloso, torna subito nell’appartamento!” Non grida, probabilmente per la presenza di Alex, ma il suo tono e furioso ed è ancora più inquietante. “No.” Quasi rido e la mia voce è più strafottente che mai. “Sei ubriaca per caso?” Di follia, vorrei rispondergli. Ma non ho tempo per i giochi. “No.” “Potresti smettere di parlare a monosillabi e riportare qui il tuo bel sederino?” “Grazie del complimento, ma la risposta è sempre no.” “Okay, va bene, vengo a prenderti” lo sento muoversi frenetico dall’altro capo. “Spero tu sappia correre velocemente allora”. Mi trattengo dal ridere e questa mia voglia di scherzare mi porta a pensare che io sia completamente impazzita. “Correre?... Porca…Wilson, dove…” lo sento tirare un respiro profondo, si sta trattenendo dal dire parolacce perché è in compagnia di Alex. “Dove accidenti sono le chiavi della MIA macchina?” “E io come faccio a saperlo?” E scoppio in una fragorosa risata. “Se ti prendo, te ne pentirai” “Ti sto aspettando” gli mando un bacio e chiudo la chiamata.

Finalmente riesco a scorgere i grattacieli di New York: passo tra le ormai famigliari vie e mi affretto verso il St. Regis. Quando arrivo all’attico e apro la porta, ad attendermi con le braccia incrociate e sguardo indagatorio, trovo Matt. “Cosa ci fai in casa mia?” Domando subito. “Cosa ci fai tu qui?” Stiamo parlando normalmente, l’aria è tesa, ma nessuno dei due pare essere arrabbiato con l’altro. “Sono tornata dal mio viaggio” tento. “So che eri con Zack, mi ha telefonato”. “Ovviamente.” “Ellie, è preoccupato per te”. Queste parole mi fermano dal compiere tutto ciò che sto facendo. “Dici?” È l’unica sciocca cosa che riesco a dire. “Eccome. Non so per quale motivo, ma si è catapultato in questa impresa ed è davvero intenzionato ad aiutare te e Alex”. “Senti Matt, c’è una cosa che devo fare. Io ringrazio tutti voi per il supporto, ma ora devo continuare da sola. Ho lasciato mio figlio con Zack perché so che lui può proteggerlo. Digli di restare dov’è per il bene di entrambi. Ti prego.” La mia rabbia ora si è quasi completamente smorzata e a parlare non è più una giovane donna furiosa e delusa, ma una madre preoccupata. “Non fare nulla di avventato” sospira infine. “Promesso”.
Matt mi lascia con queste ultime parole e posso cambiarmi per indossare qualcosa di più adatto di una tuta e scarpe da ginnastica. Devo far sì che Allen sia a suo agio o quantomeno ho la necessità di averlo in pugno. Dopodiché posso risalire in macchina e dirigermi al suo appartamento.

Mi trovo in una zona periferica della città e i grattacieli hanno quasi completamente lasciato il posto a delle villette a schiera e a delle piccole case; ed è proprio in una di quest’ultime che trovo il mio ex ragazzo. “Ellie! Che piacere averti qui, non mi aspettavo che volessi vedermi a casa mia. Accomodati pure.” L’interno non è particolarmente accogliente e la prima cosa che noto, sono delle lattine di birra vuote nell’angolo del salotto. “Vuoi qualcosa da bere?” “No, grazie.” “Sei bellissima” dice dopo alcuni attimi di silenzio. “Ti ringrazio” gli sorrido il più sinceramente possibile. “Pensavo portassi Alex” sembra deluso. “Oh, ecco, lui ha la febbre. Non mi sembrava il caso di spostarlo da casa” “Hai fatto bene, allora”. Sembra andare tutto bene e pare stia credendo a tutto ciò che gli dico. “Cosa volevi dirmi?” Coraggio Ellie, adesso. “Ecco…mi chiedevo… per caso tu hai avuto più notizie di mio padre?” Alla mia domanda, inizia ad agitarsi: vedo la sua fronte imperlarsi di sudore mentre prende tempo e si muove scompostamente sulla sedia. “P-Perché me lo chiedi?” “Um…nulla, solo…un po’ di nostalgia, ecco” assumo un’aria malinconica e il suo nervosismo viene messo in secondo piano. “Ehi piccola, tutto bene?” Non mi chiamava così da un’eternità, anche se negli ultimi anni della nostra relazione, lo faceva di meno dato che sa quanto io odi quel nomignolo. “Si…scusa, è solo che…” respiro e mi prendo un attimo per cercare di non scoppiare in lacrime, o almeno questo è quello che voglio lasciargli intendere. “Recentemente ho ritrovato alcune vecchie foto…” Avevo pensato di raccontargli di essere stata a Montpelier, ma avrei rischiato di mettere in pericolo Alex e Zack. “Sai, nonostante se ne sia andato, certe volte mi manca.” Mi osserva a lungo senza dire niente, come se stesse pensando a qualcosa. “Aspettami qui.” Improvvisamente si alza e scompare in un’altra stanza, resto interdetta per un momento, ma subito mi riprendo e inizio a ripassare mentalmente il mio piano. Ad un tratto, sento una presenza alle mie spalle e poi  un dolore lancinante, non vedo più nulla se non il buio. 



-N/A-
Buongiorno! Ecco un aggiornamento a sorpresa fato che le vacanze mi hanno permesso di avere un po' di tempo in più per scrivere :) Spero che il capitolo vi piaccia e come al solito vi prego di farmi sapere cosa ne pensate. Infine vi invito ad entrare nel gruppo whatsapp e vi ringrazio per tutto. Baci :)
  
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