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Autore: The Custodian ofthe Doors    14/04/2017    0 recensioni
Will amava il Texas come niente al mondo, perché significava casa, famiglia, calore, felicità. Amava ogni cosa di quello Stato, del suo Stato, ogni piccola collina e grande prateria, le mandrie e le corse dei cavalli liberi nel caldo luminoso del Sole.
Will ha sei anni, una famiglia numerosa, una madre esuberante che gli annuncia di aver trovato un ranch tutto per loro ed una nuova avventura da intraprendere, che li porterà sulla strada polverosa della Stella di Rame, in un viaggio sorprendente ed una meta inaspettata che un poco si rivelerà un luogo concreto ed un po' solo quel lungo ed infinito correre verso il futuro, tra strade di campagna che si insinuano per l'infanzia e l'adolescenza, alla perenne ricerca di maturità che spesso i bambini ricercano senza rendersi conto di quanto sia magnifica la loro età.
Ma la verità è che ogni strada che decidiamo di percorrere porta a ciò che saremo, a ciò che ha fatto di noi quello che siamo e che sia una lingua d'asfalto o una strada di campagna, per quanto potremmo allontanarci, troveremo sempre il modo per tornare a casa.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Will Solace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C O U N T R Y R O A D


Quarta Parte.

[Maggio]



Il mese delle rose. Questo è quello che gli ripeteva sempre sua nonna. Al ranch in Texas avevano una piccola piantina di rose rosa, sua nonna le adorava ma non era riuscita coltivarne nessun altra che non fosse quella. Da quanto gli era stato detto gliela aveva regalata il nonno quando era nata zia Laura, per festeggiare la prima femmina dopo i due maschi.
Eppure, a Phoenix, non è che c'erano tutte ste' rose in fiore, tanto meno al BI.
Certo, c'era da immaginarselo che con un clima del genere quei delicati fiori avessero problemi a crescere, ma credeva che almeno in quell'angolo di paradiso verde tutto fosse possibile.
Quando aveva fatto presente la cosa ai suoi amici Alexander gli aveva sorriso illuminandosi, uscendosene con un “certo che ci sono” che lo aveva lasciato scombussolato. Perché tanta emozione?

Il perché lo aveva capito quel pomeriggio, quando il bambino lo aveva portato nella serra dell'istituto dove una donna che doveva avere giusto qualche anno in più della sua mamma era impegnata ad annaffiare, potare ed accudire una moltitudine sorprendente di piante.
La signorina Wisteria era probabilmente una delle adulte più simpatiche che avesse mai conosciuto: sapeva i nomi di tutte le piante e ad ognuna di loro, a sua volta, aveva dato un nome proprio. Sapeva di cosa necessitavano, quando e anche come accontentarle. A sentir lei ogni vegetale aveva un'anima, una coscienza propria che andava rispettata e amata, così come ogni essere vivente: impara a conoscere un essere, portagli il giusto affetto e rispetto e questo ti ripagherà con fedeltà e amore.
Gli piaceva come parlava ai fiori e alle foglie, come carezzava i rami e solleticava gli arbusti, soppesandone i frutti e conversando con il fusto su quando sarebbe stata pronta la bacca, sembrava proprio una dottoressa che parla ai suoi pazienti.
Un'altra cosa che apprezzava di lei era sicuramente la voce limpida e fresca, così vivace, e gli occhi di un azzurro particolare, tendente al lilla. Era una donna non troppo alta, dal fisico morbido avvolto in una veste da giardiniera retrò, un vestito verde salvia ed un grembiule bianco un po' impolverato dalla cui tasca spuntavano delle forbici e delle cesoie. Il volto era luminoso e gioioso, anche se la pelle era un po' pallidina e Will poteva giurare di vedere tutte le vene verdi sotto quell'epidermide delicata. Ma ciò che sicuramente aveva colpito di più il bambino, più dei modi allegri e dolci di una mamma, di un'appassionata, più dei vestiti che gli ricordavano le vecchie foto del West e degli occhi azzurro-lillini fu una cosa che, senza ombra di dubbio, era veramente lilla: i capelli.
La signoria Wisteria portava due lunghe trecce morbide e leggermente scomposte, segno evidente del capello mosso, di un perfetto, sgargiante e magnifico lilla glicine.
Will l'aveva fissata imbambolato e la dolce signorina gli aveva sorriso raggiante, come se non aspettasse altro che incontrarlo. Aveva abbracciato forte Alexander e quando il biondino gli aveva allungato una mano per presentarsi aveva abbracciato anche lui.
Era sicuramente una donna molto espansiva.

<< A cosa devo il piacere di questa tua visita piccolo? Volevi mostrare la serra al tuo nuovo amico?>>
Alexander annuì felice, << Will non aveva ancora visto il fiore del mese!>> disse con sicurezza, consapevole che la giardiniera l'avrebbe capito al volo.
<< Ah!>> proruppe allora quella comprensiva, annuendo e facendo cenno di seguirla, << La regina di Maggio è sbocciata da poco nel suo primo fiore, qui da noi, c'è un gran fermento di api, sapete? Vogliono tutte far visita alla nuova nata!>>
Eh si, sembrava proprio che stesse parlando di una bambina!
Il vaso in cui erano ospitati i rami di rosa erano bassi e larghi, i fusticelli spinosi sembravano a pois per colpa di quelle puntine rosse disseminate per la corteccia verde. Sulla sommità fili di una tonalità più chiara reggevano a malapena pesanti boccioli carnosi di diversi colori: rosa, bianchi, gialli, ancora un poco verdini, rossi e anche arancioni. Ma l'unico ad essere fiorito era un tripudio giallo di petali vellutati e lucidi come il raso, costellati di piccole gemme d'acqua che rendevano il fiore luminoso come un gioiello.
Era bellissimo e Will potette giurare di non aver mai più rivisto una rosa bella come quella; venne scosso dalla sua contemplazione da un singulto sorpreso.
Si voltò curioso verso Alexander per chiedergli cosa fosse successo ma rimase di nuovo a bocca aperta: sotto le ciocche nere che gli ricadevano sulla fronte, dietro alla montatura grande degli occhiali le iridi color topazio del bambino risplendevano come il fiore davanti a loro. Migliaia di pagliuzze dorate erano schierate a raggiera attorno alla pupilla dilatata dallo stupore, perfettamente allineate sullo sfondo prezioso di quegli occhi, una pietra levigata e poi intarsiata come i bicchieri di cristallo che ornavano il tavolo della Villa quel Natale.
Sarebbe rimasto per ore a fissarlo se non fossero entrati in quel momento anche gli altri, venuti a cercarli e a salutare la Signorina Wisteria, come se fosse una loro abitudine.

<< Buon giorno Signorina Wisteria, come state lei e le piante?>> Chiese cortese Arabelle entrando per prima. La seguì a ruota Turan che non appena mise piede nella struttura di vetro sembrò alzarsi come un fiore che saluta il nuovo giorno, gonfio di felicità.
Wisperia sorrise gentile alla bambina e lanciò uno sguardo d'intesa all'altro che le rispose con uno dei suoi sorrisi smaglianti.
<< Sono nate le regine?>> chiese infatti tutto entusiasta.
<< E' Maggio Turan, certo che son nate. >>
La voce di Rise anticipò quella della donna che rivolse anche agli altri quattro lo stesso sorriso materno che aveva regalato a loro. Ma non ebbe di nuovo il tempo di rispondere che Alexander era corso letteralmente tra le braccia della sorella.
Quando alzò il volto per poter osservare la bambina non fu solo Will a rimanere incantato: sembrava che il Sole in persona fosse sceso in terra portando con se i suoi raggi più dolci per racchiuderli al sicuro negli occhi del moro. Risplendevano di luce propria e ammaliavano chiunque vi posasse lo sguardo e furono anche i fautori di un impresa che da un po' di settimane non riusciva a nessuno. Rise osservò il volto del fratello impassibile, cercando qualcosa che gli altri non vedevano, non comprendevano, per poi evidentemente trovarlo ed in fine sciogliersi dalla patina composta che aveva riassunto dopo la partita di basket e piegare le labbra in quello che doveva essere un sorriso trattenuto ma che risultò a tutti dolce come il miele.

<< Giallo Rise, che ne dici del giallo quest'anno? Non sarebbe bello?>> strinse forte le mani della sorella e poi si voltò verso la Signorina Wisperia, << E' lei vero? E' la nostra?>> chiese sovreccitato da quella possibilità. E la donna gli sorrise felice che l'avesse effettivamente riconosciuta, annuendo con vigore e facendo ondeggiare le trecce lilla.
<< Complimenti fiorellino! E' proprio la vostra rosa quella.>>
Il sorriso di Alexander si fece così grande che Will non si stupì di sentir Jajeck borbottare che secondo lui gli sarebbe presa una paralisi.
Lo vide poi voltarsi ancora verso la sorella che sbuffando divertita, annuì:
<< E giallo sia.>>
Le grida di gioia del bambino si sentirono anche da fuori delle spesse pareti trasparenti e tutti gli altri non poterono far a meno di essere contagiati da ciò.

Ma poi, gli domandò quella sera a tavola Summer, mentre gli raccontava degli eventi della giornata, per cosa sarebbe andato il giallo?
Ah, bhé, di questo Will non ne aveva la più pallida idea.

Probabilmente se ci avesse riflettuto un attimo invece di stringersi nelle spalle e rituffarsi nel budino al cioccolato, si sarebbe ricordato che quel mese era molto speciale.
Ripensandoci in futuro, come spesso gli capitava, avrebbe potuto affermare con certezza che lo sarebbe stato anche più di quanto non si sarebbe mai aspettato, ma mai troppo come quello successivo.

<< O mamma, davvero?>> chiese sconvolto il biondino al suo compagno di banco.
Andrew annuì posando la Guida sul tavolo, l'aprì con attenzione e a colpo sicuro trovò la pagina che gli interessava.
In bella grafia, quella di Turan, con un pennarello arancione, era vergato un titolo molto importante: “Compleanni e feste speciali”. Sotto di questa, con una penna di un colore diverso per ogni persona, erano riportati in ordine cronologico tutti i compleanni dei bambini e subito dopo, divise da una linea, tutte le altre feste importanti.
Il primo era in verde ed era il compleanno di Turan, a Febbraio. Poi in rosa quello di Arabelle a fine Marzo; subito dopo, Rise e Alexander a Maggio, rispettivamente in rosso Ferrari e in blu. E si, c'era da specificare che il rosso fosse “Ferrari” perché lei e Jajeck si erano litigati quel colore fino alla morte, o almeno finché Andrew non aveva proposto al giovane Royale di prendere un arancione molto tendente al colore che desiderava, asserendo che fosse un bellissimo color “fuoco” e mettendo così fine alla discussione. Subito dopo c'era proprio il castano, agli ultimi di Giugno, con un bel celeste con cui era stato risolto il problema del “dobbiamo avere tutti colori diversi”. Era proprio Will il quinto della lista, a cui era stato appioppato il giallo senza possibilità di replica, perché era biondo e perché era nato ad Agosto, quando c'era tanto sole.

E “no, Will, il celeste ce l'ha Ryan. Sta zitto Ryan, ho detto che il celeste no, non m'importa che il tuo sia azzurro. Anzi, sai che ti dico? Andrew il celeste te lo prendi tu. No, non mi importa neanche che tu volevi il verde limone e se provate ancora a rompere le scatole vi prendete il turchese e il viola, mh? Chi vuole?”

Dopo quella sequela di compleanni c'era una pausa di due mesi e poi si ricominciava con Jajeck ad Ottobre e, con sua grandissima sorpresa e anche immenso divertimento, chiudeva la fila Ryan, il più piccolo di tutti, a fine Novembre.

Con il broncio classico di chi si è dimenticato una cosa importante e al contempo è ancora indispettito per un torto subito, Will si rese conto che, effettivamente, il compleanno dei gemelli era vicino, anzi, era praticamente lì.
Ma un momento:
<< Ma Rise e Alex non sono davvero gemelli, lei è nata prima no? Come facciamo? Festeggiamo prima una e poi l'altro? >>
<< Certo che no! La festa è una sola.>> ribatté tranquillo.
<< Ma non si può spegnere le candeline prima che sia davvero il proprio compleanno!>>
<< Infatti non lo fanno.>>
<< E quando si festeggia?>>
<< Il giorno del compleanno di Alex.>>
Will guardò sbalordito l'amico: quindi ogni anno Rise non festeggiava il suo compleanno il vero giorno del suo compleanno per festeggiarlo assieme ad Alexander il giorno del suo di compleanno? Mh, troppi compleanni in un solo pensiero e si era anche vagamente perso.
<< E come fa Rise?>>
Andrew allora lo guardò davvero stupito e con sicurezza dettata dal trovare quella risposta estremamente scontata disse solo: << Aspetta.>>

Tragedia.
Aspetta?
Lui a mala pena riusciva a dormire e non rimanere sveglio fino a mezza notte per poi poter aver la scusa che “è il giorno del mio compleanno, è appena scattato” e poter aprire i regali!
Ma come poteva fare Rise? Era un mostro quella ragazzina, altro che problemi di gestione della rabbia!

<< No, non gli faremo dei vestiti coordinati Arabelle! E' un compleanno, che schifo è ricevere dei vestiti!>> Ryan era a dir poco indignato, seduto a gambe incrociate sul tappeto della sua cameretta. Avevano deciso di riunirsi da lui subito dopo la scuola, quando il biondino si era offerto di riportare tutti lui, mentre i gemelli tornavano al Maniero. Si, c'era rimasto male per loro, a quanto pare anche la Signora Providence era dovuta partire ed entrambi si erano ritrovati dai nonni.
<< Sei solo tu quello che trova l'idea orribile!>> ribatté la bambina ancora più indignata dell'altro. << Ara, davvero, quei due non sono tipi a cui piace ricevere vestiti, lo sai che hanno entrambi dei gusti difficili.>> provò all'ora Turan sorridendole gentile, <>
Will inarcò le sopracciglia, si, entrambe, non aveva ancora convinto Rise ad insegnargli a farlo con una sola, e lanciò una muta richiesta di spiegazione agli amici.
<< Sono gemelli, ricordi?>> fece Jajeck con un gesto vago delle mani, << quindi come tutti i gemelli si vestono in coordinato. O almeno lo fanno per il loro compleanno.>>
<< E quest'anno si vestono di giallo!>>
Oh! Ecco per cosa poteva andare il colore, non per le decorazioni ma per i vestiti!
Annuì comprensivo e poi riportò l'attenzione sul foglio al centro della stanza, vicino al vassoio bianco e blu su cui erano poggiai i panini dolci della loro merenda ed i bicchieri di succo.
Cosa si poteva fare a due bambini così diversi e al contempo così simili?
<< Ma dobbiamo per forza farglieli uguali?>>
<< Eh si, se no se poi a uno piace di più il regalo dell'altro?>>
<< Se li scambiano?>>
Ryan scosse la testa, << Io non lo farei mai, il regalo è il mio e me lo tengo.>>
Fu il cugino a rifilargli una gomitata e guardarlo storto, << Disse quello che lo scorso Natale si è messo a piangere perché voleva la mia di macchina e mi ha costretto a scambiarla con la sua.>>
Il volto del biondo divenne di una curiosa sfumatura color fragola, boccheggiando senza sapere cosa dire per difendersi ed optare alla fine per un << Non era l'anno scorso! Avevo solo tre anni, ero piccolo!>>
Andrew alzò gli occhi al cielo come solo di rado gli si vedeva fare e lasciò perdere il discorso, concentrandosi su altro, << L'anno scorso gli abbiamo regalato le mazze da hockey, no? Con tutto il resto dell'attrezzatura.>>
Will lo fissò curioso << Che vuol dire con tutto il resto dell'attrezzatura? Sanno andare sui pattini da ghiaccio? E dove ci vanno con questo caldo?>>
I suoi amici ridacchiarono divertiti facendolo sentire un po' preso in giro ed automaticamente facendolo imbronciare, << Da me non ce ne sono molti di centri del genere...>>
<< Vuol dire che non sai pattinare? Diamine allora dobbiamo rimediare!>> Jajeck era saltato in piedi come solo lui sapeva fare quando qualcosa lo emozionava, sporgendosi verso il biondo e facendo il filo al vassoio che Turan si sbrigò a spostare di lato.
<< Andiamo domani a pattinare, tutti quanti, anche i gemelli. Così magari giochiamo ad hockey e vediamo se Rise vuole fare quello di sport o se torna a pattinare!>>
Ancora sorpresa sul volto del bambino, tirato in piedi dal rosso e abbastanza imbarazzato dal fatto che continuasse a tenerlo per mano.
<< Ma c'è una cosa che non sappiate fare?>> domandò allibito.
Ci fu un attimo di silenzio.

<< Stare zitti vale?>>


Andare al pala ghiaccio della città, l' Ice Phoenix, fu piuttosto semplice e Will si sorprese di non aver mai collegato la struttura imponente al centro sportivo. Fu ancora più sorpreso di vedere come i suoi amici sapessero perfettamente dove andare e a chi rivolgersi, procurandogli in poco tempo dei pattini a lama mentre loro indossavano i propri. Notò divertito che tutti quanti avevano gli stessi scarponcini bianchi, ma che ognuno di questi aveva delle lettere impresse sulla caviglia, probabilmente per evitare che i bambini, nella confusione, se li scambiassero e finissero per prendere quelli degli altri, a quanto pare qualunque sport praticassero diveniva il momento ideale per fare tutto quel chiasso che normalmente contenevano in precisa educazione e insegnamenti rigidi.
Albert se ne stava seduto sulla panca con il piede di Jajeck poggiato in grembo mentre cercava di districare il nodo che il bambino aveva fatto al laccio tentando di fare “un nodo superstrettissimo che non si sarebbe mai più sciolto”.
<< E credo tu ci sia riuscito in pieno. >> aveva commentato l'uomo mentre Nathan, l'amico del piccolo Royale, incastrato per quella giornata di ghiaccio, borbottava allacciandosi i suoi di pattini, chiedendosi per la millesima volta perché si era fatto convincere e perché doveva scendere in pista con loro.
<< Perché mi vuoi bene Nat, e perché sai che se cominciamo a correre sei l'unico che ci può riafferrare senza ammazzarsi assieme a noi!>> gli disse felice il bambino allungando una manina per stringere il braccio del giaccone e beccandosi un occhiata sbieca dall'adolescente che finì con lo scuotere le testa e dargli ragione.
Will intanto cercava il coraggio di mettersi in piedi, non aveva mai pattinato in vita sua, gli unici pattini che aveva a casa dei nonni erano quelli a quattro ruote, sua madre gli ripeteva che quelli in linea li avrebbe potuti mettere solo da più grande e quindi non sapeva se sarebbe stato capace di reggersi su due lame così fine.
<< Vuoi una mano?>> Si voltò verso Rise, rimanendo di nuovo stranito nel vederla in pantaloni e felpa sotto al piumino sportivo. Teneva i capelli legati in una coda bassa, fatta probabilmente in quel momento per comodità. Sembrava una bambina normale a vederla così, con i jeans scoloriti sulle ginocchia come se avessero visto centinaia di cadute e corse, con la felpa rosa scuro con al tasca unica in cui teneva infilate le mani coperte dai guanti senza dita e leggermente logori sui bordi. Si ritrovò improvvisamente a pensare che quelli dovessero essere i suoi vestiti preferiti e che probabilmente li aveva comprati con i suoi genitori, magari erano quelli che indossava quando d'inverno la mamma e il papà la portavano alle partite. Era un bel pensiero che gli mise allegria: quella era la vera versione di Rise, ora anche nell'aspetto e non solo nel carattere.

<< Non so se riesco a reggermi, ma siamo sicuri che ci si pattini bene? Solo così fini.>>
Lei scosse la testa, qualche ciuffo scappato dall'elastico lento le scivolò sul volto.
<< Certo che ti reggono, anzi, ti ci troverai benissimo. E poi sul ghiaccio non ci puoi mica andare con le ruote, girerebbero e allora si che perderesti l'equilibrio.>>
<< Tu sei mai caduta?>> Domandò afferrando la mano che gli stava porgendo e facendosi tirare lentamente in piedi, ancora non del tutto convinto che ce l'avrebbe fatta. Però Rise stava dritta come se poggiasse i piedi a terra no? Non doveva essere così difficile.
Il verso di scherno che lo raggiunse gli avrebbe fatto alzare gli occhi al cielo se non fosse stato così occupato a cercare l'equilibrio perfetto.
<< Certo che no. Io ci so andare sui pattini, l'unica volta che sono caduta mi ha trascinato Jajeck perché era arrabbiato che io non fossi mai finita con il sedere per terra. Così poi gli ho fatto lo sgambetto e l'ho mandato di nuovo giù.>> Glielo disse quasi come se fosse orgogliosa di aver risposto a quell'affronto e Will non dubitò che lo fosse davvero, così come non dubito che avessero discusso per tutto il tempo per poi finire per azzuffarsi e cinque minuti dopo comportarsi come nulla fosse. Era questo il rapporto assolutamente incomprensibile di Rise e Jajeck, loro ridevano e scherzavano, si facevano i dispetti e si provocavano a vicenda, si arrabbiavano e facevano a pugni, poi però tutto tornava normale, come se picchiarsi fosse il loro modo di sistemare tutto. E guai se qualcun altro provava a fare lo stesso, era una cosa solo loro.
E spesso anche di Ryan, ma lui aveva Andrew che lo guardava male e gli impediva di buttarsi a capofitto nelle baruffe altrui.
Continuando a tenere strettamente le mani della bambina Will si fissò i piedi un po' in ansia.
<< Se cado mi riprendi?>> chiese speranzoso.
<< No. >> gli rispose secca, << se cadi ti lascio finire con il sedere per terra così impari a non farti male quando ti succede.>>
Okay, forse a logica ci stava, come quando a scuola era venuto un maestro di arti marziali e gli aveva insegnato che per prima come un bravo combattente sapeva cadere. Però non gli avrebbe fatto schifo avere una piccola rassicurazione.
Rise dovette rendersene conto perché sbuffò sonoramente e si voltò trascinandoselo dietro, << Però poi vengo a tirarti su.>>

L'hockey non avrebbe mai fatto per Will e a quanto pare non faceva neanche per Andrew e Arabelle, e pure Alexander aveva i suoi bei problemini a resistere alle spallate senza pietà degli altri.
I quattro erano appoggiati al bordo della pista, dall'altro lato Albert sorrideva divertito tenendo comunque sempre un occhio sui bambini che sfrecciavano a destra e sinistra, buttandosi occasionalmente di pancia sul ghiaccio ormai segnato. Persino Turan sembrava piuttosto divertito dal doversi scontrare con gli altri, nonostante Will ricordasse perfettamente la sua faccia arrabbiata e dolorante dopo lo scontro con Rise sul campo da basket.
<< Avrei preferito che non cominciassero subito a giocare ad hockey, così magari potevamo starci anche noi.>> il borbottio di Arabelle fu superato dalla mezza imprecazione trattenuta di Nathan quando Ryan gli diede la mazza sul polpaccio e poi dalle risa degli altri tre.
<< Ma praticamente ci siamo solo noi, pensavo che in un posto caldo come questo se ci fosse stato un pala ghiaccio sarebbe stato pieno… >> gli fece notare il biondo ricevendo un ennesimo borbottio.
<< Di solito c'è più gente, ma visti i precedenti abbiamo prenotato la pista.>>
Ormai Will non si sorprendeva più di niente, sapeva che i suoi amici erano piuttosto ricchi e l'idea che avessero prenotato l'intera pista non aveva nulla di sorprendente, no , okay, un po' lo sorprese come sempre, ma fu ben altro che attirò la sua attenzione.
<< Che vuol dire?>>
<< Che l'ultima volta Jajeck ha rotto il naso a un tizio perché gli ha dato la mazza in faccia dopo che quello gli aveva detto che “ i mocciosi non possono giocare ad uno sport da duri come hockey” e che quindi doveva togliersi dalle scatole. A Ryan è partita la brocca e la mazza gliel'ha rotta in testa, ad un altro ovvio. Turan gli ha lanciato il disco in testa e Rise ha direttamente caricato uno dei ragazzi della squadra giovanile di Phoenix e lo ha mandato addosso alla rete rompendola.>> Ora Will era scioccato.
<< Aspetta: vuoi davvero farmi crede che dei bambini di…?>>
<< Cinque anni Ryan, Jajek e Rise e sei Turan, io dovevo ancora farli, è successo a gennaio dell'anno scorso.>>
<< Okay, quindi dei bambini di cinque anni hanno buttato giù una squadra di hockey di liceali?>> Era impossibile! I ragazzi del liceo erano mille volte più forti dei bambini dell'asilo! Insomma, avevano tutta quella storia delle palline impazzite che gli giravano per il corpo e gli facevano crescere la barba, che gli facevano uscire i brufoli e che li facevano puzzare di sudore, non potevano essere messi k-o da dei bambini. Di cinque anni poi!
Arabelle parve leggere lo sconcerto nel suo sguardo e si strinse nelle spalle.
<< E' più facile che siamo noi piccoli a fare male che i grandi, da loro te lo aspetti e sei pronto a reagire, da noi no, e poi cosa potresti fare a dei bambini? Mica ci puoi rispondere per le rime. Senza contare che una capocciata in pancia è sempre una capocciata in pancia, e che se con tutta la mia forza alzo una mazza e te la do' in testa o sul naso ti faccio comunque male. E Turan ha una buona mira e il fatto che il disco sia di metallo aiuta tanto.>> si fermò un attimo pensierosa, indecisa se le mancasse qualcos'altro. << E poi quando ci arrabbiamo abbiamo tutti il deplorevole vizio di diventare violentemente forti.>> Annuì soddisfatta e poi fece qualche passo avanti mettendosi le mani sui fianchi:

<< Okay! Direi che per oggi è abbastanza! Posate quella roba e fate pattinare anche me!>> Un coro di “no” generale si alzò dagli altri che la ignorarono bellamente continuando a menar mazzate contro il ghiaccio.
Arabelle scosse la testa ed assottigliò lo sguardo,
<< Perfetto, lo avete voluto voi.>>


<< … e allora Arabelle ha detto: “Perfetto, lo avete voluto voi” e ha preso un respirone e poi ha urlato fortissimo! Dovevi esserci nonno! Si sono tutti fermati per tapparsi le orecchie e quando le hanno risposto per le rime si è avvicinata a Ryan, gli ha tolto la mazza di manto e gliel'ha data in testa! Andrew per poco non sviene lì e Nathan aveva la faccia di uno che voleva fare una strage. Si è caricato Arabelle su una spalla e l'ha portata fuori dalla pista dicendogli cose tipo “avevate promesso che non l'avreste rifatto, che devo dire ai vostri genitori? Che adesso che non ci sono ragazzi più grandi da picchiare lo fate tra di voi? Ma chi me lo ha fatto fare? Jajeck ti scordi che ti ci riporto!” E tutto così, borbottava a più non posso e intanto Albert cercava di non ridere e Albert è grande eh nonno, non quanto te, ma la era così divertente che sembrava uno spettacolino del teatro! E come ridevano anche gli altri! Ryan non, lui si lamentava solo e il cugino, Andrew, invece diceva che gli serviva del ghiaccio per la testa. E allora sai cosa ha fatto Rise? Visto che Ryan protestava tanto gli ha fatto lo sgambetto, lo ha mandato con il sedere a terra e poi gli ha fatto premere la testa sul ghiaccio della pista!>>
Will continuava a parlare a macchinetta da minimo trenta minuti, il nonno, dal lato opposto della cornetta, annuiva ridacchiando di quanto in quanto come aveva fatto Albert quel pomeriggio.

<< Secondo me se li conoscessi ti piacerebbero tanto! Alle volte somigliano tanto agli zii!>>
<< Ah si? E a chi somigliano?>> chiese sempre più divertito.
<< Oh! Zio Benny è un miscuglio tra Andrew, Alexander e anche un po' Ryan! E poi zio Anthony ha qualcosa di Turan, che è sempre calmo ed è il più grande, anche se certe volte è come Jajeck! Ma Andrew e Turan assomigliano anche a zia Laura! E Risie è identica a zio Eric! Giuro! E Arabelle, mischiata con Alexander e di nuovo Turan e pure un po' Ryan è tanto simile a mamma!>>
<< In effetti anche tua madre aveva il brutto vizio di picchiare i giocattoli in testa ai tuoi zii quando non le davano retta.>> l'uomo rise di cuore portandosi dietro il nipotino che come se fosse la cosa più normale del mondo annunciò sereno,
<< Certo! Mamma non si fa mettere i piedi in testa da nessuno! Lei è forte e invincibile!>>
Immediatamente il nonno smise di ridere e sospirò pesantemente.
<< Come- come sta lei?>>
<< Benissimo!>> rispose sicuro, poi ci pensò su, << Un po' triste alle volte, tipo quando squilla il telefono, salta sempre e mi chiede se voglio rispondere io. Io le dico sempre di si, perché mi piace rispondere al telefono, però poi non siete voi a chiamare ma qualcuno che vuole parlare con mamma e un po' mi vergogno.>>
Un altro sospiro, << Lo so Willy, lo so. Vedrai che si sistemerà tutto.>>


Il giorno tanto atteso si stava avvicinando e loro non avevano ancora trovato il regalo perfetto per i gemelli. Will si sorprendeva sempre di come gli venisse naturale pensare dei due bambini come veri fratelli e quanto poco invece pensarli semplici amichetti, insomma, come potevano due semplici amici essere così in perfetta sincronia?
Così quando quella mattina Alexander arrivò a scuola da solo, salutando tutti come suo solito e sedendosi al suo banco da solo, Will non ebbe neanche per un momento il dubbio che Rise potesse esser malata o aver qualche altro problema, lo avrebbe avuto di certo anche il "gemello" se no.
<< Dove se l'è svignata Risie?>> chiese Ryan sporgendosi dal banco affianco al suo.
<< Oggi nonno l'ha portata a Baltimora, zio è lì per un paio di giorni e poi riparte per il Medio Oriente, non ci sarà al nostro compleanno così Rise è andata da lui oggi.>>
Gli altri annuirono e Will dovette frenarsi dal chiedergli prima chi fosse suo zio e poi perché non fosse andato anche lui,
<< E tuo papà ci sarà alla festa?>>
Il bambino si voltò verso di lui accecandolo, un sorriso smagliante ad illuminargli il volto e gli occhi celesti come il cielo che brillavano di felicità, senza neanche un ombra a scurirli. Il bambino avrebbe giurato di riuscir a vedere quasi le code bianche delle nuvole dove la luce si rifletteva sulle iridi cerulee, superando la barriera degli occhiali.
<< Si! Non vedo l'ora di fartelo conoscere! E' il miglior papà del mondo!>> Disse tutto eccitato.
Un versetto di scherno partì da tutti gli altri bambini che lo guardarono scettici.
<< Come no.>>
<< Credici.>>
<< Certo, certo.>>
<< Se, proprio il migliore.>>
<< Rassegnati Alex, nessuno batte il mio!>>
Cominciarono a battibeccare su quale dei loro papà fosse il migliore, ricordando a tutti gli altri episodi forse vissuti assieme o già raccontati che potessero dimostrare che il genitore migliore era il loro. In tutto ciò Will ridacchiava sotto i baffi, divertito in parte ma anche malinconico: chissà com'era il suo di papà, se era un bravo lanciatore, se sapeva guidare un aereo o se quando raccontava le favole aveva una voce così bella da farti immaginare tutto alla perfezione. Probabilmente non lo avrebbe mai scoperto visto che sua madre non era rimasta in contatto con quell'uomo, ma se c'era una cosa che Will desiderava tanto, soprattutto quando sentiva parlare gli altri, era aver l'opportunità di poter anche solo vedere in foto suo padre.
Non che la mamma gli facesse mancare qualcosa, questo no, e poi tra il nonno e gli zii poteva quasi dire di averne quattro di papà, però…

<< Smettetela con queste stupide gare.>> la vocetta di Alexander lo ridestò dai suoi pensieri: il bambino lo fissava dispiaciuto, il cielo nei suoi occhi improvvisamente plumbeo.
<< Scusa Will, non lo dico più.>>
Lo fissò sorpreso rendendosi conto troppo tardi di aver gli occhi lucidi e tanta voglia di piangere. Gli altri lo guardavano preoccupati e Andrew si sporse verso di lui per abbracciarlo forte, Jajeck si allungò e gli assestò una pacca sulla schiena:
<< Non devi essere triste! Hai una mamma fantastica che riesce a farti anche da papà! E poi se ti serve un papà per fare cose da uomini ci sono sempre i nostri che ti possono aiutare o anche noi! Io sono forte sai? Il mio di papà mi addestra quando torna qui, così posso diventare un vero Marine anche io! Quindi sono praticamente un uomo anche se non sono ancora alto e non ho il vocione.>> Lo sguardo scettico di Arabelle e anche quello di Alexander valsero più di mille parole ma ridiedero comunque il sorriso a Will che annuì arrossendo, << Grazie Jajeck.>>
Il bambino annuì gonfiando il petto orgoglioso, prima che la maestra entrasse in classe e li richiamasse all'ordine.

Ma a Will era venuto un dubbio: se Jajeck era già praticamente un uomo e i papà erano uomini, questo significava che tutti gli uomini erano papà? E quindi anche lui lo era? E se la sua mamma gli faceva anche da papà, voleva dire che anche lo donne sono papà? O loro sono sia papà che mamme?

Summer cadeva un po' troppo spesso dagli sgabelli del bancone della cucina, scossa dalle risate per i dubbi esistenziali di suo figlio che neanche lui stesso capiva. Tutto quell'intreccio di uomini che sono papà, papà-uomini, mamme-donne che diventano papà, ad esser sinceri lei non lo aveva minimamente compreso, ma in tutto ciò era felice che Will avesse degli amici che lo sostenevano anche in una cosa delicata come i rapporti famigliari, anche se, bhé, probabilmente neanche loro c'avevano capito molto.
Alla fine, quella scuola di principini, le stava dando molte più gioie di quanto avrebbe mai immaginato, così come ne stava dando a Will, se solo il suo di papà avrebbe potuto vedere la gioia negli occhi del nipote senza barricarsi dietro alle sue stupide convinzioni come il mulo testardo che era.


Fare una festa di sabato era una delle cose più intelligenti del mondo. Per prima cosa non c'era la scuola la mattina, non dovevi preoccuparti dei compiti il pomeriggio e potevi tornare a casa tardi la sera. Will annuiva soddisfatto dei suoi ragionamenti davanti allo specchio dell'ingresso de Villa Clara, la casa di Rise che il bambino aveva già visitato quel Natale, solo che questa volta non c'erano tutti i festoni di mille colori festivi a decorare il salone gigantesco ed il camino spento, ma un tripudio di bandierine gialle, oro, canarino, color senape o anche solo vagamente aranciate, ghirlande di girasoli e margherite gialle grandi quanto una palla da baseball erano appese alle pareti o sulle porte, vasi piedi di quelli che sua madre gli disse essere narcisi erano posti sui bolidi dell'anticamera ed il tappeto bianco con la macchia di caffè-latte era pieno dei brillantini dorati persi dalle decorazioni appese al lampadario che si muovevano ogni volta che la porta di casa veniva aperta. Anche questa volta ad accoglierli c'era stato Alber che aveva preso loro le giacche e gli aveva dato il benvenuto con un'adorabile camicia color pulcino, e nessuno poteva osare dire il contrario, ed un cravattino a righe bianche e gialle.
Gli altri erano già arrivati e in una perfetta replica di quell'inverno correvano a destra e sinistra scansando adulti che parlottavano e portavano cibarie varie sull'enorme tavolata anch'essa gialla.
A quanto pare il desiderio di Alexander si era avverato.
Il bambino lo raggiunse saltellando felice, con una camicetta giallo limone ed i pantaloni grigi a cui erano attaccate delle bretelle color miele, persino gli occhiali avevano la montatura del colore della festa! Will lo osservò scettico, pensando a quanto lui sarebbe dovuto star male con tutto quell'accecante miscuglio di tinte addosso, i suoi capelli certo non avrebbero aiutato.
Trascinato praticamente dal bambino c'era anche un uomo, alto e magro, con il naso adunco e la faccia spigolosa ma gentile e rilassata. Aveva un taglio scompigliato, come se non vedesse un parrucchiere da un po' di tempo e gli occhi di un marrone caldo in perfetta accoppiata con i capelli. A Will, ad esser sinceri, sembrava che dovesse cadere da un momento all'altro, aveva anche paura che appena qualcuno avesse riaperto la porta l'uomo sarebbe volato via assieme ai brillantini delle decorazioni. Ma la stretta salda di Alexander probabilmente non lo avrebbe fatto smuovere neanche con un terremoto.

<< WILLY!>> sorrise raggiante come quel bellissimo miscuglio di sfumature che erano i suoi occhi, gialli come quella volta nelle serre della scuola e luminosi come il sole del mezzogiorno. << Che bello, sei arrivato finalmente! Non volevamo iniziare a giocare senza di te, ma Jajeck e Ryan sono due guastafeste e si sono messi a tirar la coda ad Arabelle che si è arrabbiata e li sta rincorrendo ovunque.>> si fermò davanti a lui, tenendo l'uomo dietro di sé come se potesse nasconderlo; quando poi notò il suo sguardo curioso il suo sorriso divenne ancora più ampio, come se poi fosse possibile, e se lo tirò di fianco per presentarglielo ormai impaziente.
<< Lui è il mio papà, si chiama Louis. Papà, lui è Will, il nostro nuovo amichetto che si è trasferito da Texas quest'anno.>>
L'uomo gli tese la mano e gliela strinse con inaspettata delicatezza e fermezza al contempo, Summer gli ripeteva sempre quanto una stretta di mano salda fosse un buon segno in una persona e Will si sentì immediatamente più tranquillo.
<< Piacere di conoscerla Signore!>>
<< Piacere mio Will, ma per favore, potresti chiamarmi per nome?>>
Il bimbo annuì e Louis gli sorrise gentile, << Texas, eh? Mi capita spesso di andarci per lavoro, di dove sei di preciso?>>
<< San Angelo signo- Louis!>> si riprese in contropiede e gli restituì il sorriso prima di notare una nuvolette gialla avvicinarsi a loro.
<< Risie!>>
La bambina sembrava una di quelle bambole da collezione versione gigante, con i capelli legati in uno strano intreccio che le girava attorno a tutta la testa come una ghirlanda di fiori ed il vestito con la gonna a palloncino da cui usciva un bordo di bianco tulle che la facevano sembrar vestita di meringa.
Mh, meringa...ai gemelli piaceva, chissà se ce n'era in giro…
<< Hai conosciuto zio? >> l'uomo annuì posandogli una carezza in testa e poi congedandosi per andare a presentarsi a Summer.
<< Si, anche se non ti assomiglia molto, sai Alex? Tu sei tanto simile alla tua mamma.>>
<< Io glielo dico sempre e zio ripete che è solo una fortuna, che c'è già lui che sembra uno spaventapasseri e che basta e avanza.>> Rise fece un cenno vago con la mano e poi lo afferrò per un polso, << ma le presentazioni non sono ancora finite! Devi conoscere altre due persone!>>

In effetti non erano proprio altre due persone, o meglio, una era una persona, l'altra decisamente no. Nel giardino di Villa Clara, verde e rigoglioso come Will ancora si stupiva di vederne in Arizona, la signora Providence se ne stava tranquilla seduta su una panchina di vimini bianca, a parlare con la mamma di Turan, con quella di Ryan e anche con la sua. Le donna lì riunite però erano quattro.
La quarta era una donnina piccina, forse alta giusto un metro e sessanta, ma che senza ombra di dubbio guadagnava almeno dieci centimetri per l'enorme massa di capelli che le copriva il volto come una tenda. Aveva la pelle abbronzata tendente caramello e quando si voltò verso di loro, richiamate a gran voce da Rise, lo scrutò con dei magnifici, limpidi e penetranti occhi blu.
Un pensiero gli attraversò la mente come un fulmine: ma lì avevano tutti occhi così belli? Ma cos'era? Una congiura contro i suoi poveri e semplici occhi azzurri?
<< Clary.>> La donna allungò un braccio verso di loro, qualche riccio nero rimbalzò sulle sue spalle e sul volto sereno, dedicando un sorriso a tutti loro.
Lei sembrava una di quelle bambole di porcellana di sua nonna, con i capelli tutti in piega e gli occhi dipinti di cobalto, se non fosse stato per il fisico palesemente allenato e le fasciature che teneva al braccio ancora in grembo, Will l'avrebbe quasi scambiata per un ninnolo versione gigante. Si, davvero bella. Ma chi era?
E soprattutto: chi diamine era Clary?

<< Mamma lui è Will, il figlio della Signora Summer!>> Rise trotterellò verso la donna, lasciandosi stringere in un mezzo abbraccio e poi sistemare i capelli.
<< Oh, e così sei tu il famoso Willy, piacere di conoscerti caro, io sono Tory, la mamma di Clary.>>

Cosa?
Quella era la mamma di Rise? Quindi Rise era Clary? Ma non si chiamava Katrina? Ma cos'era tutto quel miscuglio di nomi?
Avvicinandosi lentamente ed un poco in imbarazzo sorrise e porse la mano alla donna,
<< Piacere mio signora Rivallie.>>
<< Chiamami pure per nome, ho già plotoni di soldati che mi chiamano “signora”, almeno a casa vorrei essere solo Tory, che dici?>>
Will annuì ancora più imbarazzato, la manina piccola e delicata stretta nella presa ferrea ed un po' ruvida di quella mano che non assomigliava minimamente a quella della sua mamma.

<< Mamma, zio è andato a prendere Ares?>> chiese di punto in bianco al bambina strappandolo dai suoi pensieri.
Summer alzò un sopracciglio e guardò confusa le altre donne che le sorrisero scuotendo la testa.
<< Certo che si, è in garage, vai pure da lui, ma assicurati che non spaventi Will.>>
Rise annuì felice e stringendo un ultima volta le braccia attorno al collo della madre, che le diede un bacio sul capo, corse verso il lato sinistro della casa, incitando gli altri a seguirla.
Da quel poco che ricordava dalle lezioni di scuola, Ares era tipo un personaggio della mitologia, un guerriero o roba simile all'incirca. Forse un principe? Un re? Non ne aveva la più pallida idea ad esserne sinceri, però qualcosa di vago gli diceva.
Il suo sesto senso gli suggeriva che doveva essere un uomo imponente, magari di quelli che correvano sulle moto con i giubbotti di pelle come avrebbe voluto fare zio Eric o come facevano i protagonisti dei film, quelli “forti”, magari aveva davvero una moto! E in effetti non c'andò troppo lontano: Il garage era uno spazio ampio che sembrava quasi più un miscuglio tra una sala giochi ed un officina, c'era una parete piena di strumenti e aggeggi strani, un tavolo da lavoro e all'angolo quella che secondo Will era palesemente una motosega , in piedi vicino ad un accetta. Poi c'erano degli armadi grandi con degli adesivi sbiaditi appiccicati qui e lì, l'attrezzatura da Hockey e anche delle mazze da golf, due tavole da surf, dei pattini a rotelle, delle bici ed uno skate. Ma la cosa più sorprendente erano le quattro macchine, più un posto vuoto. Una era una jeep, nulla in contrario, un'altra però era così bassa che Will ci sarebbe potuto salire comodamente senza doversi arrampicare, e poi era di un colore così cangiante che non sapeva proprio come non potesse disturbare gli altri guidatori in strada.
<< E' una Maserati, gliel'ha regalata nonno a papà quando è diventato Tenente, ma lui dice che quando cresco posso guidarla io.>>
Il bambino sbatté le palpebre accecato, << Arancione?>>
<< Qualcosa in contrario?>> lo sguardo minaccioso di Rise gli fece passare la voglia di controbattere e continuò a guardare le altre macchine: una sembrava nera con i brillantini, era lunga ed elegante, mentre l'ultima era palesemente una decappottabile. Dietro alla Jeep un telo grigio copriva un paio di oggetti che Will non riuscì ad identificare, o almeno non ci perse troppo tempo. << Allora? Chi dobbiamo incontrare?>>
Gli altri bambini, rimasti in silenzio fino a quel momento, ridacchiarono prima che Jajeck se ne uscisse con un ovvio:
<< Ma Ares ovviamente!>>
Al solo pronunciare quel nome un suono di maglie metalliche che sbattono le une contro le altre si diffuse per l'ampio spazio. Will deglutì avvicinandosi inconsciamente a Rise che però lo ammonì bonariamente,
<< Non credo ti convenga nasconderti proprio dietro di me, sai?>>
Non fece in tempo a chiedergli perché, un'ombra gigantesca saltò fuori da dietro le macchine, balzando con un tonfo sordo davanti a loro per poi scattare rapido verso Rise, una massa rossa come il sangue che lanciò per tutta la sala il suo basso e potente ringhio.

Will urlò senza ritegno, ma anche gli altri parvero presi di sorpresa perché poté giurare di aver sentito anche Arabelle, Andrew e Ryan gridare, non come lui, certo, ma un bell' “Ah” sonoro l'avevano cacciato.
Qualcuno lo afferrò per un braccio e lo tirò via, Turan se lo portò alle spalle facendogli da scudo con il proprio corpo, affiancato subito da Jajeck che lo aiutò a nasconderlo.
A buttare a terra la bambina però non fu un uomo: l'enorme massa rossiccia non era altro che il pelo di un cane, un cane davvero grande c'è da specificare, che teneva le zampe delle dimensioni di due delle loro mani premute sulle spalle di Rise, intento a leccarle la faccia come se non la vedesse da secoli.

<< Buono, Ares, per favore, dai, mi sono lavata questa mattina, mi riempi di bava.>>
Rise cercava di opporre una blanda resistenza, ridendo e facendo smorfie, cercando di voltare il viso per evitare di beccarsi un bel bacio felice.
Il cane abbaiò in risposta, come se l'avesse capita, e cominciò solo a strusciarle la testa contro i petto, sul collo o contro la sua stessa testa, facendole delle feste degne di un compleanno.
<< Okay, okay, però ora basta dai. Ti devo presentare una persona e poi non hai salutato gli altri.>> Ares le tolse le zampe di dosso e abbassò il muso verso le sue braccia per farsele passare attorno e aiutarla a rialzarsi. Poi come se fosse normale passò ad uno ad uno a leccargli una mano e strusciarglisi contro come un gatto, riservando giusto giusto ad Alexander più feste e abbaiandogli contro i suoi auguri.
Rise si affiancò al cane e fece cenno ai due amici di scansarsi, lasciando Will a vista.
Osservandolo meglio, con una punta di terrore, il bambino si rese conto che quello non era un semplice cane, somigliava troppo ai coyote che vedeva alle volte nelle praterie, ma aveva anche una struttura più grande e massiccia, con quel pelo rosso come la terra del canyon poi, e gli occhi gialli come quelli di Jajeck, non aiutava certo a mitigarne la figura, tanto meno la catena che gli donava lenta il collo come una collana gigante. La bocca semiaperta mostrava una corona di zanne affilate e lucide di bava, le orecchie a punta erano ritte sulla testa ed il codone gigantesco ondeggiava lento e guardingo. Quello non era decisamente un cane.
<< Lui è Will, ed è un nostro nuovo amico, tu non lo hai conosciuto perché eri nei boschi a farti gli affaracci tuoi come sempre- lo guardò con rimprovero- ma si è trasferito lo scorso settembre.>>
Poi si voltò verso di lui:
<< Lui, Will, invece è Ares, il mio lupo.>> Al suono di quella parola l'animale piantò bene le zampe a terra, alzò il muso vero l'altro e lanciò l'ululato più potente e anche il più vicino, che Will avesse mai sentito.

Ecco, lui lo aveva detto che non era un cane.


La fine di Maggio ormai era prossima, avrebbe portato con sé la promessa delle vacanze sempre più vicine e quella dei suoi amichetti di portarlo a visitare i posti più belli di tutta l'Arizona in un viaggio “coast to coast” ma senza “coast”. Cosa significasse per lui era ancora un mistero.
Era seduto al tavolo della cucina, i piedi che si muovevano a tempo con la canzoncina che sua madre canticchiava a mezza bocca, il quaderno di matematica aperto davanti a lui ma ancora mezzo vuoto. Forse avrebbe dovuto accettare l'aiuto di Rise, lei era davvero brava con i numeri, superava persino Alexander e Andrew! Stava giusto per chiedere a sua madre se il calcolo che stava facendo fosse giusto, quando il telefono squillò e lui fece per alzarsi,
<< Non ci provare Willy, devi finire i compiti, vado io a rispondere.>>
Il bimbo si strinse nelle spalle brontolando un poco che quelle addizioni proprio non gli venivano, mentre la voce allegra e gioviale di sua madre rispondeva all'apparecchio con un sonoro “Hello?” . Gli ci volle ben poco per rendersi conto che la telefonata non era gradita, che sua madre si stava già pentendo di non aver lasciato rispondere lui, quando la vide sbiancare e cercare un appiglio nel mobile a lei più vicino.
Accigliato posò la matita e scese con attenzione dalla sedia, avvicinandosi lentamente ma mantenendo sempre una certa distanza.
Summer annuiva di tanto in tanto, poi rispondeva con un flebile “si”, con un “d'accordo”, “com'è successo?”, ed in fine:
<< Saremo lì il prima possibile.>>
Attaccò la cornetta e prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi e poggiandosi una mano sulla fronte.
<< Mummy?>> provò piano il bambino senza ricevere subito una risposta.
Summer prese l'ennesimo respiro e si chinò verso di lui, sorridendogli tirata e prendendogli le mani nelle sue.
<< Will, tesoro, ascoltami bene e non preoccuparti okay?>>
Annuì.
<< Era zia Laura, al telefono, mi ha detto che oggi il nonno era a cavalcare con degli amici e che ha avuto una svista.>> Rimase per un attimo in silenzio scegliendo le parole giuste, << Si è sentito poco bene ed è caduto da cavallo. Ora è in ospedale e sta bene -s'affrettò a dire davanti alla sua faccia spaventata- davvero Will, ci sono i dottori e hanno già risolto tutto, solo che deve stare a riposo e non si può alzare per un po'. >>
Will la guardò pensieroso e preoccupato come gli aveva detto di non essere, cosa poteva fare? Lui era così piccolo, poteva consolare la sua mamma? Come si faceva a consolare un adulto? Si ricordò d'improvviso di quello che gli aveva detto Jajekc tanto tempo prima: tutti quanti erano diversi ad arrabbiarsi ma anche a consolare, ognuno di loro aveva bisogno di qualcosa di specifico, di personale, che lo aiutasse a calmarsi e a stare in piedi.
Guardò sua madre dritta negli occhi ,quegli occhi azzurri tanto simili ai suoi e disse per la prima, ma non ultima volta, le esatte parole che un famigliare di un paziente avrebbe voluto sentirsi dire. << Prepariamo una borsa al volo e andiamo da lui, vero?>>

L'Arizona era una bolla perfetta che era appena scoppiata.

[F I N E Q U A R T A P A R T E]
   
 
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