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Autore: Warlock_Vampire    15/04/2017    2 recensioni
"Io, che ho conosciuto molto presto cosa fossero dolore e odio e che solo dopo molto tempo ho compreso l'amore; io, che ho imparato ad uccidere prima ancora di saper vivere; io, che ho vissuto per secoli nella profonda convinzione che ognuno può ottenere ciò che vuole, sempre e comunque, sacrificando tutto, se necessario; dopo così tanto ho davvero bisogno di mettere nero su bianco i fatti."
In queste memorie Katherine Pierce si racconta, dalla sua fragile umanità alla trasformazione in Vampiro, ripercorrendo tutte le tappe più significative della sua lunga esistenza.
AVVERTENZA: La lettura di questa storia è un contributo, una spin off, di The last challenge (il nostro crossover). Pertanto, consigliamo la lettura di The last challenge, anche se non è essenziale.
Inoltre, essendo la "nostra" Katherine, le vicende in cui è coinvolta sono frutto dell'immaginazione degli autori e nulla hanno a che vedere con la Katherine di The Vampire Diaries, pur ricalcandone l'aspetto e il carattere.
Precisato questo, buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elijah, Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Madrid, Malaga, Cuba - 1519
 
Nel 1492 Cristoforo Colombo scoprì il continente americano e in Europa si sparse la voce delle immense ricchezze che custodiva, nonché di certe popolazioni selvagge che nei decenni successivi vennero trucidate dai conquistatori europei durante le loro spedizioni alla scoperta del Nuovo Continente.
Nel mondo soprannaturale, la scoperta dell’America portò al fiorire di innumerevoli leggende su creature magiche e oggetti oscuri che i selvaggi nascondevano. In particolare, si diffuse in tutta Europa una voce in merito all’esistenza di un Diamante Oscuro dai poteri non meglio identificati.
Ero in Spagna quando ne sentii parlare e maturò in me il desiderio di partire per l’America. Sarei stata forse se non la prima, comunque tra le prime donne europee a compiere un simile viaggio. Volevo quel Diamante, non tanto per usarlo, quanto perché era un oggetto oscuro e desiderato da molti, e avere un asso nella manica in più non ha mai fatto male a nessuno.
Rose in quegli anni non era con me. Aveva continuato a girovagare per l’Europa da sola dopo quanto accaduto a Firenze e la nostra precipitosa partenza. Io, del resto, avevo bisogno di tempo e del giusto spazio per riprendermi dalla burrascosa separazione da Lorenzo. Mi era inoltre giunta notizia della sua morte e questo non aveva fatto altro che incrementare il mio desiderio di separarmi da Rose e stare da sola per un po’.
Forse questo era ciò che volevo ottenere tramite il viaggio in America che avevo progettato; volevo sentirmi di nuovo viva, ritrovare la vecchia me, dimenticare il passato e soprattutto il dolore per Lorenzo.
Nel 1511 gli spagnoli avevano conquistato Cuba, nelle Antille, ed era ormai di dominio pubblico in Spagna che Hernan Cortés avrebbe guidato una nuova spedizione alla conquista del Messico. Era mia intenzione raggiungere Cuba e poi da lì iniziare la ricerca del Diamante.
Come di consueto, avevo preso alloggio presso dei ricchi nobili vicini alla famiglia reale spagnola, così da prendere parte con loro ai vari ricevimenti di corte. Si parlava spesso di Cortés e dell’America in quelle occasioni e del denaro che la corona spagnola avrebbe investito nelle spedizioni nel Nuovo Mondo, in particolare di una che sarebbe partita di lì a qualche settimana per Cuba, per portare rifornimenti alle truppe di Cortés già sul luogo e per consentire ad un gruppo di scienziati e intellettuali di raggiungere il Nuovo Mondo e iniziare gli studi di questa terra prima sconosciuta.
Era l’occasione perfetta per me per iniziare la ricerca del Diamante Oscuro.
 
Arrivai a Malaga qualche giorno prima della partenza, da dove sarebbe salpata la nave spagnola diretta a Cuba.
Quando mi recai al porto per intraprendere il mio viaggio era mattino presto e lì si trovavano solo i membri dell’equipaggio e coloro che sarebbero partiti, tra cui si contavano quegli scienziati e quei letterati curiosi di scoprire il Nuovo Mondo.
Il fatto di essere una donna mi aveva costretta a soggiogare tutti per poter salire anche io a bordo, questione di cui mi ero occupata nei giorni precedenti alla partenza.
Salpammo dopo poco. Le acque erano agitate e il vento sferzava, ma era assolutamente meravigliosa quella distesa blu che occupava tutto l’orizzonte. Mi rimandò al viaggio compiuto decenni prima per scappare da Nikolaj a Venezia, alla vita febbrile a bordo della nave, ai tramonti che coloravano il mare di arancio e alle albe rosate.
Non passarono molte ore, purtroppo, prima che una tempesta atlantica ci investisse in pieno. Fu un’esperienza terribile, a parte per il vento e la bufera, per tutta quella presunta virilità che era sulla nave con me e che era scossa da conati di vomito e urla. Li avrei volentieri ammazzati tutti.
Passata la tempesta il viaggio proseguì pressoché tranquillo e in un mese e mezzo circa sbarcammo sulle coste cubane, un afoso pomeriggio di settembre. Solo Dio poteva sapere quanta voglia avevo di nutrirmi come si deve.
Mentre il resto dell’equipaggio si occupava della nave e gli intellettuali si aggiravano stupiti sulle spiagge, io mi incamminai per raggiungere il villaggio più vicino.
Il colore di quel giorno era rosso. Non riuscivo a vedere altro. Rosso sangue.
Grazie ai miei sensi sviluppati individuai un villaggio che distava circa due ore da lì per un umano. Ma per me che ero un Vampiro, non ci vollero che pochi minuti. Senza che nessuno se ne rendesse conto –nemmeno io-, i muscoli si tesero al massimo e mi spuntarono i canini. Mi avventai su chiunque incrociasse il mio cammino, mordendo e succhiando avidamente il sangue delle mie povere vittime.
Il loro sangue aveva un nonsoché di diverso dal sapore del sangue di noi europei. Era buono.
Dopo un’ora non restava anima viva in quel villaggio. Avevo ucciso uomini e donne. I bambini li avevo visti fuggire via chissà dove, forse diretti al villaggio più vicino. Non vado fiera di quello che ho fatto, ma questa è la mia natura. Io sono un Vampiro, un predatore, e mi comporto di conseguenza. Inoltre non mi nutrivo così bene da molto tempo e il mio fisico iniziava a risentirne. Ora ero finalmente sazia, al massimo delle mie capacità, e potevo concentrarmi sul mio vero obiettivo.
Per prima cosa, cercai la dimora di Cortés. Era una residenza colonica piuttosto spartana, anche se era mille volte meglio delle capanne in cui abitavano gli indigeni. Vi entrai, indisturbata, e captai subito la presenza del Conquistatore.
Lo trovai seduto alla scrivania del suo studiolo e mi diressi subito verso di lui, con l’intento di soggiogarlo. Aveva i capelli raccolti in un codino sulla nuca, neri come la barba. La sua imponenza si indovinava già da seduto, le spalle larghe e i muscoli scolpiti sotto la sottile camicia di lino. Levò gli occhi scuri su di me e balzò in piedi, stupito.
Con uno scatto a velocità vampiro lo raggiunsi e dissi: «stai calmo, non ti farò nulla se mi aiuterai».
«No, mia cara. Questo con me non funziona» mi interruppe lui con nonchalance, la sorpresa ormai sfumata dai suoi tratti.
«Ah, prendi la Verbena» osservai, cercando di non mostrarmi stupita, «vorrà dire che ti dissanguerò».
Ma Cortés reagì d’improvviso; prese la candela che aveva sul tavolo e me la lanciò contro. La cera sciolta mi ustionò la pelle delle braccia e il vestito prese fuoco. Mentre ero intenta a spegnere le fiamme, Cortés prese un paletto di legno, mi trapassò lo stomaco e finii bloccata contro il muro. Mai nessun umano era riuscito a cogliermi così di sorpresa.
Il paletto era intinto nella Verbena e sentivo la carne a contatto sfrigolare, mentre il mio corpo si indeboliva sempre di più.
«Vorrei almeno conoscere la vostra identità, prima di uccidervi, mia signora».
«Katerina Petrova» replicai a denti stretti, «e solo un altro uomo è riuscito a mettermi al muro in questo modo, ma per ben altro…».
«Be’ effettivamente sarebbe un peccato sprecare un potenziale così alto...» disse Cortés, squadrandomi con occhio critico e malcelato desiderio.
Ne approfittai per reagire; con un calcio ben assestato lo feci volare dal lato opposto della stanza, poi estrassi il paletto dal mio stomaco e mi diressi verso Cortés, che era ancora a terra. Lo sollevai prendendolo per il collo e dissi: «già, sarebbe proprio un peccato. Ho cento anni, pensi davvero che un paletto intriso di Verbena possa bastare per sconfiggermi? Ma lo ammetto, bella mossa».
Cortés ghignò, forse indovinando già che non l’avrei ucciso. Non quel giorno almeno.
Allentai la presa e lui si divincolò, restando in piedi a fissarmi.
«Visto che non mi avete ucciso, deduco che vogliate qualcosa da me» esclamò, dopo un paio di respiri profondi che gli servirono a riprendersi dal mio contrattacco. Si diresse verso la poltrona della scrivania e mi indicò una sedia all’altro capo del tavolo. Presi posto e risposi:
«Sì, mi serve il tuo aiuto per trovare un oggetto occulto che, secondo ciò che si dice, si trova a Tenochtitlàn. Ne sai qualcosa?».
«Un momento. Perché vi dovrei aiutare?».
«Perché potrei accidentalmente aver scatenato le ire degli indigeni che tu faticosamente avevi portato dalla tua parte e potrebbe servirti il mio aiuto… un aiuto soprannaturale» risposi, fissandomi le unghie delle mani, perfettamente perfette, come se quello scontro avvenuto qualche minuto prima non fosse mai esistito.
«Che cosa avete fatto?» ringhiò Cortés, stringendo i pugni sui braccioli della sua poltrona.
«Ho sterminato un villaggio. Avevo fame, sai com’è» risposi, con un sorriso sfrontato.
«Sei completamente pazza, tu non sai quello che hai fatto! Avresti dovuto informarti sulle leggende locali prima di fare una cosa simile! Non hai solo messo a repentaglio i miei piani di conquista, ma le nostre stesse vite…» urlò Cortés, lisciandosi i capelli con le mani, quasi incapace di mantenere la calma.
«Cosa vuoi dire?».
«La gente del posto adora il Giaguaro. La leggenda narra che il Giaguaro protegga le persone dai demoni e dalle forze del male. Purtroppo per te, anche qui conoscono i Vampiri e pare che rientrino nella categoria di quelle forze malvagie. Tra non molto gli indigeni si mobiliteranno e chiederanno aiuto al Giaguaro».
«Questa è solo una stupida leggenda» ribattei, piccata.
«Molta gente crede che Vampiri e Licantropi siano solo leggende. Il Giaguaro, nel Nuovo Mondo, è il corrispondente del Licantropo in Europa… pensi ancora che sia una stupida credenza popolare?».
Effettivamente quello che diceva Cortés era plausibile, anzi, molto plausibile. E poi, chi è un Vampiro per dire che la leggenda del Giaguaro è mera finzione?
«Bene, abbiamo un accordo allora. Io aiuto te e tu aiuti me».
«Sì, un Vampiro mi farebbe comodo, considerando che l’ultima volta sono morti trenta uomini per ammazzare un solo Giaguaro» replicò Cortés, forse col vano intento di spaventarmi.
«Non mi fanno paura quei gattini» ribattei.
Cortés sorrise, un senso di sfida si leggeva nel suo sguardo.




Con questo capitolo vi auguriamo buone vacanze di Pasqua! Un grazie speciale a chi continua a seguire le avventure di Katherine, buona lettura e buona Pasqua <3

Warlock&Vampire
  
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