Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Makil_    16/04/2017    13 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
Castellano: figuro (molto spesso un esperto) incaricato di reggere, in vece del sovrano al quale è subordinato, un altro regno, un piccolo borgo o una cittadina appartenente all'uomo cui giura lealtà. 

___________________________________________


«Risolto un dilemma, ne sorge spontaneamente un altro.» soleva dire Dalton Kordrum, l’irremovibile ed incontrastabile signore di Sette Scuri. E ora Bartimore, per quanto avesse sempre pensato che la sua teoria fosse del tutto insensata, si trovò a considerare quella frase più che veritiera. Se iscriversi al torneo era stata un’operazione impegnativa, trovare il fabbro che Wolbert Dorran gli aveva consigliato, l’unico presente al campo, lo fu sette volte di più. Se fosse stato a casa sua, Bartimore non sarebbe mai andato in un luogo consigliatogli da un palese nemico della corona, ma in questo caso – e perché non aveva altra possibilità se non quella che gli era stata mostrata – il cavaliere decise di seguire le uniche indicazioni che conosceva.
La notte non era troppo fredda quel giorno, e un solo un pizzico di gelo frizzante riusciva a permeare nell’aria. Bart passò con fare indaffarato tra i vari padiglioni ammassati nel campo. Il terriccio attorno al viale in cui camminò era stato bagnato a lungo da numerose secchiate d’acqua, tante quante ne servivano per renderlo malleabile. Sparse sul terreno giacevano le orme dei passanti, altrettanto impegnati nel muoversi, mischiate a quelle dei cavalli e dei mastini. La strada si contorceva a sud-est e svoltava dietro ad un padiglione enorme dalla forma pentagonale, viola come un livido tumefatto sul corpo. Due delle fiancate della tenda erano ornate con cuciture dorate che rappresentavano le figure stilizzate di un uomo nudo in combattimento con un leone, nella prima, e lo stesso uomo con il leone sulle spalle, nelle rimanenti. La cortina era semiaperta, giusto quel poco che bastava per proiettare fuori un minimo della luce che inondava l’interno. Bart non aveva mai visto un padiglione tanto sfarzoso. “Deve appartenere a qualcuno di veramente importante” constatò. “Ma di certo non può essere un fabbro”.
Bart aveva conosciuto il padiglione da guerra di Dalton Kordrum, il quale gli aveva raccontato numerose volte che, come la sua armatura e la sua spada ancestrale, era appartenuto al padre di suo padre e al loro zio prima di lui. Ricordava vagamente anche la forma di quella tenda: circolare, tutto un’unica gradazione di colore; il porpora. Impresso sul tetto spiovente c’erano due semilune incrociate e ridenti, che stavano a simboleggiare la costante ilarità del padrone. Eppure, quel padiglione non era stato mai in tutta la sua vita splendido tanto quanto quello che Bart aveva appena visto.
Aumentò il passo e voltò a sinistra. Nel girare l’angolo, senza che neppure se ne fosse accorto, Bart si scontrò corpo a corpo con un uccello planante su di lui. A quell’attacco repentino sul petto, stupefatto non poco per la velocità dell’impatto, Bart rispose con un gemito.
«Ragazzo!» chiamò una voce lontana. «Sta’ fermo. Non muoverti o gli farai del male.»
L’uccello aveva una delle zampette incastrata nella sua camicia, e più la tirava verso di sé più batteva le ali con vigore, graffiando il petto di Bart come se gli stessero passando delicatamente sopra la punta di una lama. Fu solo quando l’uccello iniziò a beccare il suo polso che Bart sollevò lo sguardo verso la voce che lo aveva richiamato. Lungo la strada stava correndo un ragazzo alto, muscoloso ed in forma. I capelli dello stesso colore dell’ebano gli incorniciavano il volto lungo e spigoloso, rendendolo quasi appuntito sul mento. Il ragazzo correva reggendo una lanterna con la mano sinistra, dentro la quale un lumino stava ardendo flebilmente, e nella destra cingeva una gabbia di legno e ferro lucido.
«Non muoverti e non abbassare il braccio, per favore». Il ragazzo si piantò dinanzi a Bart ed afferrò un piccolo uncinetto dalla tasca. «Non vi farò del male.»
Poi si piegò giusto un po’ verso di lui e, servendosi dell’uncino, scavò giusto un po’ la cucitura della camicia di Bart, assicurandosi di portare fuori le unghie del suo uccello. Non appena il rapace fu libero, volò a ringraziare il suo padrone con un cinguettio bizzarro e planò sul dorso del suo avambraccio, già dritto e rigido, pronto ad attenderlo. 
«Dovrai scusarmi, amico.» iniziò il ragazzo alto. «Non mi capita spesso di lasciarmelo scappare in questo modo.»
«Non è successo nulla» rispose Bart scuotendo il capo.
«Meglio così.» sorrise lui. «La scorsa volta mi hanno sequestrato il fringuello perché era finito nella tenda di Theodas Wadpayn. E due giorni fa hanno ferito il mio allocco con una freccia. Questo è un falco pescatore, se può interessarti, il più docile tra le mie creature piumate. Loro sono come dei fratelli per me.»
«È davvero molto bello.» disse Bart. A quell’affermazione, come se avesse capito il loro linguaggio, il falco spalancò le ali e si fece gli occhi più scuri. Coronato da tanta bellezza, l’uccello chinò il capo e si lasciò accarezzare, ripiegando soltanto dopo le lunghe ali sul dorso.
Il ragazzo indossava una lunga faretra sulla spalla, e dal bacino pendeva il fodero di un’altrettanto lunga spada dal pomolo disadorno. “Forse lui sa dove posso trovare il fabbro.”
«Conosci il fabbro Garmold, per caso?» chiese Bart.
«E me lo chiedi? Chi non conosce Garmold?» fece lui. «Oh, ma è ovvio! Sei anche tu un cavaliere? È un onore, allora, fare la tua conoscenza. In tempi come quelli che corrono, la cavalleria è ricoperta da disonestà e lussuria. Ma tu mi sembri proprio il tipo con cui poter bere un calice di vino in santa pace. Che ne pensi, ser…?»
«Bartimore.» disse Bart.
«Ser Bartimore! Ti andrebbe di bere qualcosa? Dopotutto ti devo un favore, sei stato molto cordiale con lui e con me. Posso permettermi di accompagnarti nella tenda del mio signore?»
«Dipende, cavaliere.» rispose Bart con tutta l’aria di dissentire.
«Dipenda da cosa, se posso?»
«Dalla persona per cui combatti». Questo Bart non avrebbe mai voluto dirlo, malgrado fosse essenziale un tempo. Eppure, tutti quei discorsi che aveva udito nella torre di Wolbert Dorran lo avevano scosso a tal punto da farlo dubitare di ogni sconosciuto.
Il ragazzo si fece guardingo, girò il capo prima a sinistra e poi a destra, come per accertarsi che non ci fosse nessuno oltre loro su quella strada, e infine rispose: «Hollard Norstone, ragazzo. Per lui e nessun altro. E il mio nome è Dayn. Ser Dayn.»
Bartimore fu consolato non poco da quella risposta. “Ringrazio le Grazie per questo.” I Norstone di Vento Burrone erano un’antica casata di bravi galantuomini e fedeli governatori, che amavano l’ospitalità e la cordialità più di qualsiasi altra cosa. E anche loro, come Bart, provenivano dalle Terre dei Venti.
Bart tesa la mano verso il ragazzo. «Sette Scuri.»
«Lo so bene» disse Dayn che nel frattempo si era piegato per terra per far sì che il suo falco rientrasse nella gabbietta. «Ti ho parlato liberamente solo perché lo sapevo.»
«Come facevi a saperlo?» domandò Bart.
«È tutta una questione di accenti, ti dico. Noi del sud siamo facilmente riconoscibili.»
Dayn si rimise in piedi e si sistemò la maglia che calzava al petto. «Allora, vuoi seguirmi?»
«Sarà per un’altra volta, ser Dayn. Ho delle faccende da sbrigare prima. Spero di non risultare scortese.»
«Scortese, ser Bartimore?» domandò retorico lui. «Lasciami dire che noi del sud non conosciamo quella parola. Vedrai che avrai modo di rifarti prima della fine delle giostre. Quando lo vorrai, le morbide poltrone di Hollard Norstone saranno nella sua tenda ad aspettarti. Ecco, vedi, è quella col tetto dalla punta rossa.»
Bart l’avvistò in lontananza, sgargiante nei suoi colori gialli e arancioni, sormontata da una punta rosso fuoco.
«Oh, quasi dimenticavo!». Ser Dayn si spostò di lato, il braccio puntato verso nord. «Lassù, vedi? È lì che troverai il fabbro che cerchi. Ha una piccola e malandata casupola in legno, tutta piena di pezzi di ferro rattoppanti e travi di metallo. E poi è tutta dipinta di bianco. Non puoi sbagliarti, amico.»
E, di fatto, Bartimore non si sbagliò. 
 
___________________________________________

Note d'autore
Il fatto che domani - giorno previsto per la normale pubblicazione - sarà un dì festivo, mi ha costretto a pubblicare oggi pur di non rimandare a tardi l'aggiornamento. Si tratta di un capitolo molto breve, di rapida lettura serale, che non funge solo da passaggio, ma introduce un nuovo personaggio: ser Dayn, un carattere che sarà molto importante più avanti. Continuiamo a seguire Bartimore nelle varie tappe, sapendo però che il cavaliere ha tra le mani un ordigno pronto ad esplodere da un momento all'altro. Cosa pensate di tutta questa storia? Come credete che si svilupperà la vicenda d'ora in avanti? Per qualsiasi domanda, comprendendo chiaramente che molti discorsi e molti termini possano risultare alieni alla lettura, io sono qui. 
Colgo l'occasione per scusarmi della mancata risposta alle recensioni dello scorso capitolo - rimedierò non appeno avrò un minuto di tempo - ma vi ringrazio tutti, lettori silenziosi, passivi ed attivi, e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento. Augurandovi di trascorrere al meglio queste festività, vi saluto,
Makil_

 
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Makil_