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Autore: Francine    18/04/2017    2 recensioni
Spagna, Febbraio 1979.
In un paese che si sta risvegliando dalla dittatura franchista, un giovane Shura si rifugia alle pendici dei Pirenei - lì dove è diventato Santo di Athena e dove inizia il Cammino di Santiago - per ritrovare se stesso e placare la mente dagli incubi e dai dubbi che lo tormentano dalla Notte degli Inganni.
Ma esiste davvero un angolo di pace per colui che ospita Excalibur nel proprio braccio?
Pre Episode G
Prima pubblicazione: 12.01.2006
Versione riveduta e corretta.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Capricorn Shura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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Determinazione
 

 
 
Nel regno delle idee tutto dipende dall’entusiasmo,
nel mondo reale tutto si basa sulla perseveranza.

(Johann Wolfgang von Goethe)





Lo squarcio della bolla avviene con un'esplosione che chiazza i muri della cappella di una sostanza appiccicosa e verdastra, e quel che era penetrato nei suoi polmoni Ruy lo scaccia con un colpo di tosse. 
L'Armatura è macchiata di una resina melmosa, ma nulla che non si possa togliere con un po' di acqua saponata, olio di gomito e polvere di oricalco. I cocci sotto i suoi piedi scricchiolano nella notte silenziosa.
Respira a fatica, ingoiando quanta più aria i suoi polmoni riescono a contenere e la rilascia quasi subito. È in piedi, il braccio destro davanti al viso a chiudere la guardia, le ginocchia leggermente flesse.
Don Diego e donna Isabel lo fissano adirati, la spada che brilla truce nell'oscurità della Cappella. Hanno perso tutto quello che avevano di umano: i capelli di lei, dapprima sistemati in complicate trecce oltre le spalle, vagano sciolti come onde grigie in un mare in tempesta. Spettrale è il solo aggettivo che trova per descrivere quei due. Le lunghe unghie di Isabel, ricurve ed acuminate, brillano quando un raggio di luna le illumina, pentendosene subito dopo, così come avviene per i denti di Don Diego che spuntano da sotto la barba sfatta, e sembrano chiamare con insistenza il sangue che scorre nelle vene del giovane Capricorno.

«Sei ancora vivo, dunque, donzello», commenta il cavaliere con la voce cavernosa, mentre mille falene escono dalla sua barba e si diffondono nell'aria, svolazzando fino al soffitto e sparendo nelle ombre. 
«Vivo e vegeto», replica Shura facendo scivolare in avanti la gamba sinistra. «Mi duole ricordarvi che i morti siete voi.»
«Siamo tornati a nuova vita», insiste l'altro mettendosi davanti alla sua amata.
«I morti risorgeranno nel giorno del Giudizio, don Diego, non prima», risponde, pronto a scattare.
«Vorrà dire che noi saremo l'eccezione che conferma la regola.»
«Non credo sarà possibile, don Diego. Almeno non fintantoché io sarò in vita.» 
Nessuno dei due si muove. Il pietrisco smosso durante la prima fase della battaglia ha creato un alone persistente ed una debole concentrazione di pulviscolo che gli alita intorno alle gambe. E la luce lunare non aiuta a rendere nitido un panorama che sembra uscito dalle visioni oniriche di uno schiavo dell'assenzio.
Shura è in piedi, ben saldo sulle gambe, e il suo avversario, un romantico cavaliere di ventura, gli rivolge la spada contro, attendendo una sua carica per poterlo infilzare come un tordo da fare allo spiedo.
È ferito dalla testa ai piedi, il corpo marcito che secerne un umore nero e denso che forma delle chiazze solide sul pavimento dissestato, come fosse la cera sciolta e rappresa delle candele.
Ansima don Diego, mentre con gli occhi neri e ardenti fissa il giovane che l'ha sfidato e che rischia di mandare in fumo il suo sogno.

Arrenditi, non puoi sconfiggermi, sembrano gridargli gli occhi del Capricorno. È una gara di volontà quella che si sta combattendo nella cappella degli Amanti di Teruel.
Determinazione.
Desiderio di piegare il destino alla propria volontà di potenza.
Vivere una felicità negata.
Assolvere il proprio compito.
Aspirazioni che cozzano l'una contro l'altra, come due pianeti che collidono e si annientano. Come quando le zolle della Terra si urtano tra di loro, generando i terremoti. La Terra. Madre, fertile, solida, tranquilla Terra che se ne resta quieta sotto i piedi degli uomini. È lei l'elemento più distruttivo che esista.
Non il Fuoco, che arde luminoso e che palesa chiaramente il suo potere.
Non l'Aria, che permette la vita, ma che quando spira troppo forte scoperchia le case.
Non l'umile Acqua capace di rompere gli argini più alti e resistenti con un solo, furioso impeto.
La Terra è l'elemento che cela in sé il più alto grado di distruzione. L'uomo sembra ignorare che sotto i propri piedi esista un mondo di roccia fusa che ribolle, pulsa e mangia se stessa per ricreare nuova terra.
E lui, Shura, il giovane Capricorno, appartiene alla Terra. Cardinale di Terra.
Quando il Sole esce dalla Nona Casa ed approda alla Decima, nascono l'Inverno e l'ultima Triplicità dello Zodiaco, il cui potere inimmaginabile è condensato nel suo braccio destro, capace di fendere la Terra stessa con un colpo solo, come fosse carta contro il Fuoco, sabbia contro l'Aria, sale contro l'Acqua.
La Terra trema e il braccio sinistro di don Diego si sgretola sotto i colpi dell'avversario, cadendo e disperdendosi come fosse cenere. Il dolore di Isabel, che soffre per i colpi inferti al suo amato, riempie la Cappella con grida disarticolate che nulla più hanno d'umano e s'invola su per l'aria della notte.
Ma non basta ancora. Don Diego, mutilato, resiste in piedi, aggrappandosi con le unghie e con i denti a quella speranza che si va assottigliando sempre di più.
Devo distruggere la fonte del loro potere. Ma quale sarà?, si chiede il Capricorno alzando Excalibur per parare un affondo del nemico. La spada di don Diego pulsa. E lui capisce. È quell'oggetto a dare forza al cavaliere, è quella che gli permette di camminare e di rigenerare il proprio corpo.

«Maledetto moccioso!» ringhia don Diego mentre dal busto spunta un nuovo braccio, rinascendo come la coda di una lucertola.
«Rassegnatevi. Non posso permettervi di proseguire oltre. Ho tentato di farvi ragionare, ma non è stato sufficiente. Assumetevi le vostre responsabilità.»
«Taci! Io non sono ancora sconfitto! Ho battuto predoni, mori, pirati e cavalieri ben più forti di te! Ho piegato persino la morte pur di riabbracciare la mia amata Isabel! Come potrei soccombere di fronte ad un ragazzino disarmato?»
«Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere», replica Shura con gli occhi incollati alla spada dell'avversario. «Nel mio braccio riposa la Sacra Spada, dono di Athena. Il mio braccio è la mia arma. Il mio braccio è Excalibur.»

Scalza l'avversario che perde l'equilibrio e il Capricorno scatta tagliando lo spazio davanti a sé in blocchi quadrati. E come con il roseto, la Sacra Spada cala inesorabile su tutto ciò che trova sul proprio cammino: suppellettili, fiori, ex voto rimasti intatti, candele e i corpi dei due amanti fin quando non incontra la spada di don Diego.
Excalibur si alza, i muscoli si tendono e il Cosmo si concentra lungo il filo immaginario della spada che dorme nel suo braccio destro. Carne e sangue diventano acciaio temprato che si abbassa veloce a colpire l'arma tra le mani deformate di don Diego.
Un lampo di luce, il pavimento segnato dalla corsa di Excalibur brilla d'oro e la spada del cavaliere di ventura va in mille pezzi. Don Diego esplode in mille pezzi, mentre Isabel non può far altro che abbracciare quel che resta del suo amato prima di cadere a terra e diventare cenere insieme a lui. Tutto tace.
Possibile?, si chiede non essendo abituato alle cose troppo semplici.
Per aspera ad astra, ripeteva Javier durante l'addestramento, e lui resta vigile per qualche momento a fissare la cenere ammonticchiata dove erano fino a pochi istanti prima i due Amanti.
«Polvere sei e polvere ritornerai», mormora il ragazzo, prima d'ispezionare la Cappella: è ridotta ad un campo di battaglia, un ammasso di rovine sbatacchiate qua e là.
Nessun segno dei due Amanti, né della pianta che ha cinto per giorni l'assedio al Mausoleo, ma solo un mare di terra e cenere, come se non fossero mai esistiti. Cerca in giro le tracce dei due fidanzati rapiti dalla pianta e li trova in un angolo, sepolti dai detriti di varia natura. 
Respirano. Lei è pallida da far spavento, le labbra secche e il vestito stracciato, le calze con una vistosa smagliatura e le scarpe perse chissà dove. Lui sembra riaversi per primo, ma cade svenuto subito dopo aver trovato lei con lo sguardo. Respira a fatica, ma gli sembra che stiano bene.
Dovrò fare più di un viaggio, pensa prendendo con delicatezza la ragazza tra le braccia.
Fuori, il bubbolio di un tuono.


È uno spettacolo curioso ed insolito quello cui assiste la frangia estrema degli irriducibili abitanti di Teruel, mentre la pioggia scroscia dal cielo come se fosse una liberazione.
«L'incubo è finito!», sembra canticchiare tutta quell'acqua che si riversa sulle teste degli abitanti della città.
Il sergente García è il primo a notare la figura nera che emerge dalla foschia.
«Madre Santa!», esclama segnandosi ed indicando qualcosa con le sue dita grassocce. «Guardate! Laggiù!»
Hernán e Gregorio avanzano con delle coperte tra le mani dopo aver riconosciuto il Santo della Decima Casa.
«Come state?», chiedono riparando entrambi.
«Bene. Stanchi, ma bene. Allertate il Pronto Soccorso che mandino un'ambulanza in Calle Bartolomé Esteban numero 19. Torno subito», e affida loro la ragazza dopo averla imbacuccata per bene.
«Dove andate?», gli urla dietro Gregorio, senza ottenere altra risposta che lo scroscio della pioggia.
«Via, sbrighiamoci. A stare sotto quest'acqua si prenderà un malanno, e poi dobbiamo mandare un'ambulanza in… in… Calle…»
«Calle Bartolomé Esteban numero 19. Forza, forza, forza!», completa Gregorio e Hernán lo segue con la ragazza infagottata, le gambe che spuntano dall'orlo della coperta.
Il militari li guardano perplessi. Nessuno ha mosso un dito quando i due uomini, protetti da un paio di cappe grigio scuro come se fossero due membri di un ordine monastico, hanno superato con un salto atletico le barricate e sono corsi verso la figura cornuta che era appena apparsa. Ora, però, li tengono sotto tiro, pronti a premere il grilletto ad un cenno del loro comandante. 
«Abbiamo la ragazza!», urla Gregorio perché la sua voce non sia coperta dallo scroscio dell'acqua. «Chiamate un'ambulanza!»
Il comandante fa segno di abbassare le armi. «E il ragazzo dov'è?», domanda con un tono ancor più gelido dell'acqua che li sta penetrando fin nel midollo.
«Non saprei. Credo che forse il nostro signore sia andato a prenderlo. Abbiamo…»
«Forse? Lei crede che forse il vostro signore sia andato a prenderlo? Non è sufficiente un semplice forse per far muovere i miei uomini come se fossero i vostri burattini.»
«Non ha sentito?», gli domanda Hernán mentre il suo compagno affida Isabel ad un soldato. «Il nostro signore è tornato indietro. Forse il fidanzato di questa ragazza è ancora lì, ma quello che importa…»
«È che io non muoverò un solo dito per voi sin quando la missione non sarà completata fino in fondo», sibila il pupazzo in verde, tutto gongolante delle mostrine che sfoggia sul petto.
Gregorio sta per dare aria alle corde vocali per produrre una risposta estremamente sgradevole, quando qualcuno alle sue spalle lo precede.
«Missione compiuta, Comandante», e Shura affida Diego alle braccia di Gregorio. «E adesso vuol chiamare le due ambulanze che mi occorrono?».
«Due?»
«Sì. Due.»
Rodrigo si avvicina e fissa i suoi occhi in quelli del militare.
«Una dovrà andare in Calle Bartolomè Esteban, al numero 19. Troveranno un'anziana allettata con l'influenza, ed un bambino di dieci anni», spiega con il tono di chi sta per perdere la pazienza e vuole che gli altri se ne accorgano. «La seconda, invece, dovrà venire qua con un medico a bordo ed il necessario per curare una ragazza malata di scarlattina che sto per andare a prendere. Subito. Non vorrei che quelle tre persone morissero perché la Guardia Civil non si è dimostrata efficiente e non ha sgombrato del tutto l'area in questione, lasciando dei civili in una zona pericolosa. Sarebbe seccante, lei non trova?»
Il Comandante digrigna i denti e tace.
«Chiami le ambulanze e faccia sgomberare le transenne. Io sarò di ritorno prima di subito», e scatta verso il borgo vecchio, mentre un sorriso soddisfatto si dipinge sui volti di Hernán e Gregorio.
«Sergente García!», urla istericamente l'uomo prima di andarsene ed affidare al suo sottoposto boteriano quegli strani personaggi che gli hanno tolto le castagne dal fuoco.
«La prego, chiami due ambulanze…», e l'ometto annuisce da sotto il suo ombrello nero mentre Gregorio ripete gli ordini di Shura.
«Subito, subito! Rodriguez, avverti l'ospedale. Muñoz, prendi tre uomini e smonta le barricate», e se ne va spronando i soldati e assegnando loro le mansioni. 
«Sta a vedere che è davvero finita?», dice Hernán sollevato, mentre la pioggia gli rimbalza addosso.
«Sarà veramente finita quando il nobile Shura sarà tornato, avrà stilato il rapporto per il Sacerdote e tu ed io ce ne staremo al caldo al Santuario.»
«E all'asciutto…», aggiunge Hernán osservando la pioggia cadere. Né lui, né Gregorio si sono accorti che c'è qualcun altro che ha rivolto il suo naso al cielo, qualcuno che ha osservato tutta la scena dall'alto dei tetti, e che adesso tiene gli occhi incollati sulla formica d'oro che sta correndo veloce per le strade di Teruel con una gamba rotta. 


 
 

 









Note:  Torno dopo un periodo di forte stress. Mi scuso per essere sparita, ma noi paguri campiamo così: ci rintaniamo nella conchiglia quando soffiano i marosi e rimettiamo fuori le chele se e quando la brezza accarezza la spiaggia.

Capitolo più breve, ma le descrizioni pedisseque dei combattimenti mi annoiano da morire. "Colpì lì", "Ferì là", "Rispose facendo questo e quello". No, dai. C'è un mondo intero che ci aspetta e la vita è troppo breve per perderci appresso a queste cose, no?
   
 
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