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Autore: AlnyFMillen    18/04/2017    1 recensioni
"Da che ne ho memoria, la mia vita è sempre stata colorata dal profumo delle rose, abbellita dei più magnifici fiori. Eppure nell'istante esatto in cui voi entrate a farne parte, ecco che la mia completa esistenza viene ribaltata!
Non riesco più a percepire la bellezza del mondo, poiché perdo attimi infiniti nel pensare a voi.
Non rimango concentrata più a lungo di quanto già non mi sia permesso, perchè immagino tempi assieme che mai potranno esistere.
Non prendo sonno, la notte, persa nel ricordo dei vostri occhi.
Voi e solo voi.
Non so cosa accade ma al solo percepirvi il tremore pervade le mie membra, gli zigomi si tingono di rosso e lo stomaco rugge feroce.|...|
Una domanda allora mi tormenta: è forse così palese l'amore, tanto eterno quanto ingiusto, che io provo nei confronti di quest'uomo?"

Parigi, 1750.
Marinette Dupain-Cheng, figlia di una delle più importanti famiglie aristocratiche del tempo, si aggira furtiva per i sobborghi francesi.
Uno scontro, due occhi verdi, menzogne, danze e lacrime: madames et messieurs, la vie en rose!

"Siete voi, non è vero? Colei cui ho sottratto l'incompleta ma necessaria metà. Quello stesso cimelio dorato custodito con tanta cura, ora spezzato"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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❦Narcisse❦ 

 
La donna scostò lievemente le tende pregate che incorniciavano le finestre così da poter osservare la carrozza allontanarsi. Col dito tracciò un percorso sinuoso sul vetro appannato per la condensa, quasi a voler sfiorare il mezzo di trasporto, fin quando quello non fu più visibile. Sospirò sovrappensiero.
Aveva insistito perchè non andasse ma alla fine era stata costretta a cedere di fronte alla realtà dei fatti: assecondare sua figlia, affinchè agisse col proprio consenso, o negarle il permesso, così che disubbidisse volutamente. Inutile dire che, non essendo successo ancora nulla di tanto pericoloso da costringerla al castigo, l'unica cosa che restava da fare fosse cercare di proteggere l'unica primogenita con ogni mezzo disponibile. Il che equivaleva a tempestarla di raccomandazioni, ma nemmeno così tante da farla sentire soffocata, e incaricare l'abituale scorta di controllarla.
Sabine Dupain-Cheng, rinomata per la sua temperanza e pazienza, sapeva bene come gestire lo spirito libero quale era sua figlia. Darle le giuste permissioni, certo senza esagerare, avrebbe permesso una convivenza pacifica e una vita più piacevole. Rispettava la volontà di Marinette quando si trattava di respingere con forza ogni più piccola cosa in grado di reprimere la sua libertà, a patto che accordasse questa sua parte più ribelle con quella più pacata e rispettosa, spesso sua caratterizzante.
Quella ragazza era una miscela perfetta tra lei e suo marito. Impacciata e sicura, dolce e decisa, maldestra e aggraziata. Talmente tanto che persino lei faceva fatica a concepirne la complessità, molto più di quanto equilibrata e semplice si mostrasse. Era quello il motivo principale che la preoccupava. La preoccupava molto.
Forse alle volte potevano essere stati dei genitori severi ma mai gli era passato per la testa di poter essere una cattiva madre. Certo, di dubbi ce ne erano stati e continuavano ad esserci, aveva fatto tutte le scelte che riteneva migliori per sua figlia e, vedendo la giovane donna quale era diventata, si rincuorava.
Quella cui stavano andando incontro, però... Era una decisione troppo affrettata, troppo poco pensata. Sempre, fin da quando aveva ritenuto Marinette capace di intendere e di volere, aveva chiesto un suo parere. Ora invece...
Una mano le si poggiò sulla spalla e, prima ancora di alzare il volto, riconobbe la stretta rassicurante e familiare dell'uomo che amava. Di riflesso, poggiò il palmo sul dorso della sua mano.
Thomas aveva sempre avuto il potere di conferirgli una calma innaturale. Sin da quando si erano incontrati la prima volta, aveva sentito una specie di calore al petto nel vedere quell'uomo grande e grosso farsi in quattro solo per vederla rasserenata. Alla morte della fratello, cagionevole di salute fin dall'infanzia, era stato l'unico veramente in grado di capirla e risollevarla. Nemmeno i genitori avevano potuto dove lui era invece riuscito con successo a farla andare avanti. Lo amava, così come amava sua figlia.
Senza che dovesse dir nulla, presto si ritrovò stretta tra le braccia del marito, in uno dei loro personali abbracci al sapore di casa. Nonostante gli anni passati nell'alta società, riflettè, il profumo che gli impregnava abiti e pelle non era cambiato.
Farina e cannella, di questo sapeva.
Sembrava solo un attimo prima avesse preparato qualche prelibatezza da offrirle, solo un'ora fa avesse indossato il grembiule macchiato della panetteria all'angolo tra le due piazze, solo ieri si fosse rimboccato le maniche per lavorare. Eppure ne era passato di tempo, non erano più due ragazzini che si incontravano di nascosto per aiutare la povera gente così che potesse arrivare almeno a fine mese. Lei non cuciva più per la vecchina dei quartieri bassi, lui non sfornava più le pagnotte di pane fresco per sostituire il proprietario ammalato. Non avevano più bisogno di nascondersi nè di fuggire dai genitori di uno o dell'altro, entrambi assolutamente allergici all'elemosina. Erano felici ora, avevano una casa ora, una famiglia, fin troppi soldi. Ma Marinette? Lei cosa aveva? Levarle persino quel poco di giurisdizione sembrava un affronto imperdonabile. Ingiusto.
Loro avevano sempre odiato le ingiustizie.
"Andrà tutto bene, Sabine" la rassicurò Tom sorridendo il quel modo confortante che spesso l'aveva soccorsa nei momenti più bui.
Sperò che anche quella volta aiutasse a fare la scelta giusta.

Marinette riteneva la mattina uno dei più bei momenti, che si trattasse dell'alba o di mezzodì. Se ad inizio giornata poteva osservare il sole sorgere pacato e sfidare la notte in una danza tinta di rosso, pian piano gli era data la possibiltà di scoprire quali angoli più remoti del paese la luce potesse illuminare. Era un gioco di ombre che si accorciavano e uccellini che si risvegliavano. O almeno lo sarebbe stato, se non fosse per il temporale che la notte precedente aveva intaccato l'usuale calma cittadina. Non era una cosa fuori dal comune, certo, troppi giorni senza pioggia costituivano un'eccezione alla regola, ma l'insolita foschia piovigginosa che impregnava l'aria di quel giovedì rendeva il clima parigino molto più simile a quello londinese, non fosse stato per la palese mancanza del grande orologio. Il Big Ben, lo avrebbero chiamato anni avanti, e subito le immagini di tale costruzione sarebbero circolate per l'intero continente. Il progetto della famosa torre di Gustave Eifelle, poi, rende oggi ancora più inavvicinabili i paesaggi urbani delle due nazioni: impossibile confonderle. Eppure, in un'epoca come quella in cui si trovavano intrappolati gli abitanti del 1750, ancora lontana da simili capolavori dell'architettura, quella nebbiolina sinistra restava inalterata, svettando silenziosa sopra i tetti delle case.
Nonostante il tempo poco propizio, la ragazza non si era però vista intenzionata a rinunciare all'ormai abituale gitarella. Lasciò scivolare lo sguardo sul gruppetto di bambini che giocava saltando nelle pozze di pioggia poco distanti, poi sull'ombrello che le riparava il capo.
"Potremmo farlo anche noi, se lo volessimo" la rimbeccò una voce ben conosciuta, quasi leggendole nel pensiero.
Arrossì di colpo, colta sul fatto.
"Si, non negate. Ho visto quello sguardo da cane bastonato che avevate stampato in volto solo pochi secondi fa"
La voce rise, attenta a non farsi udire da orecchie indiscrete. Non era consono parlare in tal modo nei confronti di una dame, soprattutto se si apparteneva a una classe nobiliare più bassa. In fondo, però, si conoscevano da molto ormai e la futura duchesse aveva ripetuto più e più volte di parlarle amichevolmente. Inoltre, se avesse usato troppi titoli avrebbe rischiato di far saltare la loro copertura.
Marinette, infatti, si limitò ad arricciare il naso in una smorfia fintamente offesa per poi ridacchiare a sua volta.
Alya Césaire era davvero la migliore amica che si potesse avere.

L'aveva conosciuta qualche anno prima, durante una cena di gala nella residenza dei Bourgeois alla quale entrambe erano state bellamente costrette a partecipare. Il motivo era semplice: Chloè, proprietaria di casa nonchè ragazzina più viziata dell'intera Francia, non era proprio tutta questa grande simpatia e gentilezza: certo era che non le avesse invitate per piacere personale. Bastava che venisse contraddetta anche solo minimamente che subito perdeva le staffe e un primo malcapitato finiva prontamente sulla sua lista nera. Se per Marinette non si conosceva bene il perchè di tutto l'odio profondo che la bionda si divertiva a riversarle addosso, per quanto riguardava Alya i dubbi erano ben pochi. Basti dire che, mentre la neoasiatica possedeva una certa quantità di autocontrollo ed era propensa a non inimicarsi nessuno ma, anzi, cercava per quanto possibile di andare più o meno d'accordo con tutti, l'altra non si faceva il benchè minimo scrupolo nel dire papalmente quel che pensava. Se per esempio trovava assolutamente irrispettoso o anche semplicemente antipatico il comportamento della reginetta di turno, non se ne stava certo in disparte ma, al contrario, si presentava davanti la diretta interessata e illustrava la sua opinione senza molti convenevoli. Quanti grattacapi aveva potuto portare alla famiglia agendo in tale modo? Abbastanza, per essere figlia di un comte. Eppure era riuscita sempre a cavarsela. Aveva questa sua capacità di credere tanto intensamente nei suoi principi da riuscire a far ragionare chiunque per portarlo sulla via della giustizia. Ovvio che anche lei fosse propensa alla parità tra individui e non le andasse a genio quell'aria da superiori che appestava figure come quelle del Duc Bourgeois e prole, ma tra l'educazione che le era stata impartita e quella timidezza insicura che già le apparteneva, finiva sempre per cercare di riappacificare le acque senza far torto a nessuno. Che poi davanti a Chloè persino lei si urtasse, era un'altra storia.

Si sporse leggermente verso destra, rischiando seriamente di scivolare e battere la testa sul terreno bagnato, ma miracolosamente mantenne l'equilibrio e continuò a setacciare il viale Avenue des Champs-Elysées. Troppe persone erano uscite di casa nonostante la pioggia e questo non facilitava certo la sua ricerca. Aveva riflettuto a lungo sui fatti dello scorso sabato e sulle sorprese che ne erano conseguite fin a raggiungere una conclusione. Doveva assolutamente ritrovare quel ragazzo. Non per qualche suo secondo fine, no, solo per potersi far restituire ciò che aveva perso. Sempre che l'avesse lui ovviamente.
Tornata in Place du Tetre per cercare il cimelio smarrito e il mercante a cui saldare il debito, infatti, non aveva trovato nè l'uno nè l'altro, nonostante l'aiuto dell'amica cui aveva raccontato- omettendo particolari che le avevano risparmiato una buona mezz'ora di occhiatine provocanti- la vicenda. L'unica soluzione era che l'anziano venditore si fosse trasferito per affari in qualche altra via, avrebbe semplicemente dovuto aspettare che tornasse nella piazza per poterlo pagare. Quale fine avesse fatto il cimelio, invece, poteva saperlo solo il ragazzo dai magnifici occhi verdi.
"Forza, ditemi cosa vi passa per la testa. Avete tutta l'aria di star cercando qualcuno" sussurrò Alya scrutandola attentamente.
Era stata così persa nelle sue ricerche da non accorgersi dello sguardo che aveva seguito ogni suo singolo movimento ed ora attendeva in attesa di spiegazioni mentre un sorriso poco rassicurante si dipingeva sul volto dell'amica.
"Oooh non volete dirmi che c'entra un qualche ragazzo" scandì ammiccando nella sua direzione.
Marinette avvampò in modo preoccupante.
"M-Ma no, che dite!" esclamò tanto veloce da inciampare nelle sue stesse parole.
"Mh mh"
"E' solo che..."
"Si..."
"Non è come pensate, insomma"
"Non lo è, dite?"
"N-No"
"Suvvia, potete dirlo"
"Non c'è nulla da dire"
"Non c'è?"
Abbassò il viso mentre si faceva scudo con la semplice borsa di cuoio nero che aveva recuperato così da poter portare con sè i blocchi da disegno tanto amati.
"Dame Marinette Dupain-Cheng!" disse la mora sette ottave più in alto del suo abituale tono. Lei le fece cenno di tacere.
Che incosciente era ad urlare, potevano riconoscerle! Vero, si trovavano in un quartiere piuttosto agiato, non le sarebbe stato permesso passeggiare tanto tranquillamente per i bassi fondi, ma c'era pur sempre una buona percentuale di rischio.
A quel punto Alya aveva arrestato il passo, si era incamminata a passo lieve verso le due guardie e, raggiunte, l'aveva indicata parlottando. Infine, era tornata da lei.
"Se vuole, abbiamo il permesso di allontanarci per una decina di metri ma dobbiamo restare visibili" rispose allo sguardo interrogativo dell'amica e, prima che quella potesse domandarle come avesse fatto a farsi concedere quella piccola permissione, accennò ad una serie di metodi infallibili tra i quali rientravano le fatidiche parole "cose da donne".
Scivolarono lente fin al punto che sembrava loro più consono, accanto un tiglio dall'aria massiccia.
"Dunque" iniziò indagatrice la primogenita del comte Cèsaire "Deduco ve ne siate invaghita..."
"N-non lo conosco neppure"
"Ammettete quindi che ci sia un qualcuno!" trillò sorridente.
"Cielo..."

Intanto, un'ombra si stava aggirando furtiva fra gli alberi. Le osservava attenta, pronta a scattare. Seguì il dondolare pacato della borsa lontana dallo sguardo distratto della sua proprietaria e si avvicinò circospetta, fondendosi con quelle poche persone che riempivano la via. Aggirò la sorveglianza in incognito, passò accanto alla prima ragazza, tanto vicino da far sfiorare le loro spalle; agganciò con l'indice il cinturino scuro e tirò, cominciando a correre il più velocemente possibile. Presto si accorse però del peso eccessivo che lo rallentava e notò la donna ancora ancorata alla tracolla. Cercò di scrollarla, senza molto successo. Udì il grido dell'amica, passi pesanti sempre più vicini. Se non avesse tirato subito uno strattone più forte dei precedenti sicuramente l'avrebbero preso prima ancora che riuscisse a rifugiarsi dentro qualche buco. Con così poche persone, non aveva altro posto dove nascondersi. Avrebbe rischiato di rompere il braccio alla sua vittima, la quale stava inutilmente cercando di fare resistenza, ma ne valeva della sua libertà.
Fece per attuare il suo piano ma un improvviso intoppo lo fece sbilanciare in avanti. Finì faccia avanti e sbattè violentemente il viso contro le pietre.

Non aveva compreso affondo ciò che stava succedendo. Si era sentita strattonare violentemente per un braccio, poi trascinare tutt'altro che con decenza per una buona parte della strada. Percepiva ogni singolo sassolino conficcarsi nelle caviglie, infilarsi all'interno delle scarpe. Il braccio le doleva ed avrebbe volentieri lasciato la presa, non fosse stata incastrata tra una cinghia e l'altra. Se rifletteva però sui preziosi disegni contenuti all'interno della borsa imputata, non poteva far a meno di rafforzare la presa. Aveva cercato di fare forza sui talloni ma l'unica cosa in cui era riuscita era stata far aumentare la presa dell'aggressore.
Improvvisamente il borseggiatore aveva frenato bruscamente, trascinandola con sè di conseguenza.
Due grida, il terreno in avvicinamento, un braccio che la teneva per la vita. Il buio. Era sempre stato un vizio comune chiudere gli occhi prima di cadere. Per riflesso forse, per paura di vedere il fatto nella sua piena interezza più probabilmente. Il pensiero spontaneo che se non avesse avuto la possibilità di vedere il momento dell'impatto, tutto sarebbe durato un attimo e avrebbe fatto meno male. Eppure erano già due volte, in nemmeno una settimana, che quel suo istinto la infastidiva. Senza la vista a guidarla non possedeva armi per combattere il mondo, non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo attorno a lei. Questo non era un problema se, come di consueto, il dolore arrivava a toccare il punto imputato e il corpo si risvegliava. Cosa che, però, in quel preciso istante non era accaduta. Si sentiva bloccata in un limbo offuscato, sospesa tra un universo e un altro. Le serviva qualcosa che la svegliasse, qualunque cosa potesse svegliarla.
"State bene, madamoiselle?"
Qualcuno, magari.
Di nuovo il suo sguardo si aprì dinnanzi ad una figura sconosciuta e di nuovo gli occhi vennero a scontrarsi in modo quasi doloroso con quelli dell'altro.
Verde fu la prima cosa che pensò.
E' lui fu la seconda.
Solo dopo una manciata di secondi si rese conto di quanto press'a poco impossibile fosse il pensiero che il fantomatico ragazzo si ritrovasse dinnanzi a lei proprio in quel preciso istante. Annuì in ritardo.
"Vi ringrazio" gli disse sinceramente grata dell'aiuto.
Ora che riusciva a vederlo più o meno nella sua interezza, aveva l'occasione di giudicare con i suoi stessi occhi le fattezze del salvatore. Certo, la visuale era limitata data la stretta leggera che l'altro ancora esercitava attorno alla sua vita ma riuscì ad identificare come meglio poteva quelli che dovevano evidentemente essere i tratti distintivi. Il vestiario sicuramente appariscente, seppur nero, di cui più di tutto risaltava il cappello a falde larghe e la grande piuma morbida posta su di esso, mascherava gran parte delle fattezze corporee.
Su quel viso immerso nell'ombra però, le parve di riuscire a vedere l'abbozzo di un sorrisetto sghembo.
"La vostra bellezza meriterebbe questo ed altro. Potete scusarmi solo un attimo?"
Prima che potesse ricevere risposta, allontanò velocemente la ragazza da sè distendendo il braccio sinistro in tutta la sua lunghezza ma continuando a mantenere una presa ferma eppure delicata sul fianco destro della nobile, così che potesse proteggerle schiena e spalle. Fatto ciò scattò, sempre attento a far eseguire i suoi stessi movimenti dalla protetta per evitare che venisse strattonata eccessivamente, verso il malvivente riuscito a rialzarsi. Sfoderò la spada dal fianco e gliela puntò alla gola prima che quello potesse dire una sola sillaba.
"Ehilà signorotto, dove pensi di andare?" domandò mentre l'uomo cercava di aggirare la trappola "Non lo sai? E' piuttosto scortese scappare senza nemmeno salutare"
Con la coda dell'occhio vide una ragazza e due guardie che scortavano un secondo uomo, probabilmente complice incaricato di distrarre la sorveglianza, venire frettolosamente nella loro direzione. Del gruppetto, constatò, l'elemento che più le pareva pericoloso era la donna. Sembrava al contempo e pronta a spingere giù dalle rive del Senna il borseggiatore e pronta a stringere la vittima in un abbraccio. Immaginò fosse amica di quest'ultima, data l'espressione di pura rabbia e il passo veloce con cui avanzava.
"Ah be, si è fatto abbastanza tardi però. Credo sia meglio lasciarti nelle amorevoli cure di quei simpatici giovani" dichiarò facendo spallucce ma mantenendo salda la presa sull'arma. In realtà, più che per l'orario, aveva paura di essere messo in mezzo e perfino accusato di complicità. Sapeva bene come volgevano situazioni del genere, accadeva spesso, e non aveva davvero voglia di farsi trovare lì all'arrivo ormai imminente della cavalleria. Anche se la giovane avesse detto che lui non c'entrava assolutamente niente ed anzi tutt'altro, benchè la scena avvenuta avesse attirato parecchi sguardi e molti ne fossero testimoni, non poteva mai sapersi cosa sarebbe passato per le menti ottuse delle guardie. Farsi anche solo vedere in volto era fuori discussione. Doveva andare.
Si volse verso la ragazza che teneva ancorata accanto a lui ma ben distante dal criminale. Lo osservava con un misto di curiosità e sorpresa.
Il volto gli appariva familiare, dalla spolveratina quasi invisibile di lentiggini sulle guance alla chioma dalla strana tonalità corvina.
Dove poteva averla vista? Era sicuramente un'esponente dell'alta società parigina. Se provava a forzare la memoria, mucchi di stoffe scombinate e bancarelle sfilavano davanti i suoi occhi. Forse... Forse... Forse c'era anche... Un cuore.
Fu come se con quella parola una porta all'interno del complicato labirinto quale era la sua mente si fosse spalancata con un tonfo ed i ricordi avessero incominciato a fluirne.
Si, ma certo! Come aveva fatto a non riconoscerla? Era così ovvio. Aveva completamente rimosso quella giornata, concentrato solo sulle sue conseguenze. Cosa fare dunque? Doveva pensare in fretta, le opzioni si riducevano al dirlo o al non dirlo. In fondo, anche lei poteva averlo riconosciuto a sua volta ma, se così era, si stava sicuramente convincendo di essersi sbagliata. Insomma, non avrebbe avuto senso trovarlo lì, per una come lei che non conosceva ancora la storia nella sua interezza. Stava a lui decidere se renderla partecipe di quel nuovo, strano capitolo della sua vita. Riguardava anche lei, soprattutto lei. Le doveva il merito di quel che era accaduto, certo, ma a quanto pareva era il solo ad esserne a conoscenza.
Come sempre, agì d'impulso e le parole gli uscirono di bocca prima che la mente emettesse un verdetto vincente.
"Voi" la richiamò avvicinandosi.
Lei lo fissò con spavento mal celato. L'aveva appena salvata, si, ma era pur vero che non aveva la benchè minima di chi fosse quello strano ragazzo. Poteva corrispondere perfettamente alla figura del fanatico mascherato da brav'uomo.
"Siete voi, non è vero? Colei cui ho inavvertitamente sottratto l'incompleta ma necessaria metà. Quello stesso cimelio dorato custodito con tanta cura, ora spezzato" snocciolò in fretta e furia, scandendo però le parole perchè potesse capire.
L'espressione palesatosi sul volto di Marinette dovette essere molto più che soddisfacente, poichè il bel giovane mascherato la prese fra le braccia senza troppi preamboli e, prima ancora che le labbra di lei potessero schiudersi, già il vento gli sferzava il viso.
Avrebbe pensato poi a ciò che aveva realmente fatto: rapire una delle nobili più influenti della Parigi ottocentesca, tanto per parlare di un vecchio gingillo arrugginito.
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A(l)n(y)golino:
Il titolo del capitolo? Narcisse, ovvero Narciso, il che equivale al simbolo di amore senza troppe pretese, per persone conosciute da poco. Ebbene si,questo è il secondo capitolo!Ho cercato in ogni modo di inserire tutto quel che volevo ci fosse,nonostante la parte relativa all'apparizione di Chat sia stata un vero e proprio parto(santo portatore del miraculous del gatto nero,non sapevo come trattare lo pseudo salvataggio!): mi sembra di essere più o meno riuscita nell'intento.Arrivata ad un certo punto poi...Beh la tastiera è partita e tutto si è scritto da solo.Che ne dite?Troppo palloso?Lungo?Confuso?Banale?Spero di non aver fatto casini esagerati.Ho ricontrollato più volte ma sicuramente qualcosa che non va ci sarà,segnalate tutti gli errori che vi capitano sotto mano.Per farla breve,fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
AlnyFMillen
   
 
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