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Autore: allonsy_sk    19/04/2017    3 recensioni
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La cucina ha l'aria di un posto che viene usato di rado, dal monolite bianco del frigorifero vuoto istoriato di magneti noiosi e volantini di diversi take away, alle mattonelle shabby-chic macchiate d'oro.
C'è un segno sulla parete, a circa un piede dal battiscopa che corre al lato del frigorifero, dove Sherlock è sicuro che Mycroft lasci cadere la valigetta ogni sera, fermandosi poi ad aprire il frigorifero prima di cedere alla stanchezza, alla pigrizia o alla gola.
Lo fa al buio, a giudicare dal modo in cui le sue impronte digitali sono distorte, piccole chiazze leggermente oleose sulla superficie liscia e altrimenti lucida dell'elettrodomestico.
È tanto più strano, quindi, che la cucina profumi di cioccolato e burro e che il pavimento immacolato sia sporco di farina.
La vista più strana, comunque, è Mycroft in jeans e maglioncino, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e un grembiule bianco.
Se non fosse completamente pulito da ben due mesi tre settimane e due giorni, Sherlock penserebbe di avere di fronte una delle sue più assurde allucinazioni.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Eurus Holmes, John Watson, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10 - Ultima stazione, Sherrinford. Termine di corsa del treno.

Cadere è un po' come volare, giusto? Solo con una destinazione più permanente.
Sì, ma forse no. Non c'è niente di intrinsecamente buono o cattivo nel cadere. O nel volare. Sono entrambi processi con un chiaro inizio e uno svolgimento lineare e una fine che differisce nell'uno e nell'altro soltanto per quanto è permanente il risultato.

Sta divagando.


Succede sempre più spesso, e la fatica di essere presente, di essere coerente inizia a farsi sentire. La sua attenzione è frammentata in mille piccole schegge impazzite. Frammenti di shrapnel. Polvere vulcanica e lapilli. Pompei. Krakatoa. Il parco di Yellowstone poggia interamente sulla caldera di un vulcano dormiente da più di seicentomila anni. Che erutta ogni seicentomila anni. E l'ultima volta ha eruttato più di seicentomila anni fa. Geyser. Getti di aria e acqua bollente che fuoriescono da sotto la terra e da sotto il ghiaccio. Islanda.

No, no.

Sherrinford, prigione. La guardia Jane. Deve essere presente, deve interpretare il suo ruolo ancora un po', ancora un attimo. Fino a sentire l'aria fresca sul viso e il pensiero di camminare sotto il cielo, sotto la luna, sotto il sole, tra le scogliere dell'isola e non nei corridoi grigi della prigione, illuminati soltanto dalle strisce dei neon e dagli occhi vigili delle telecamere a circuito chiuso.

Jane è ancora viva nonostante abbia esaurito quasi del tutto la sua utilità. Eurus è abbastanza fuori di sé da ammettere a se stessa di averla mantenuta in vita senza troppi giochetti e piccole torture perché ha bisogno di colmare un vuoto cavernoso.

Di cosa sia costituito il buco nero al centro del suo essere non ha alcuna consapevolezza, a stento sa che esiste.

D'altra parte, è troppo intelligente per essere schiava della propria carne, ma non abbastanza scaltra da evitare le trappole del proprio cervello.

Ed è umana, anche se la parola è come un'ingiuria. Più sanguinosa di essere considerata stupida o pazza, poiché la prima è palesemente falsa, la seconda palesemente vera e nessuna delle due nega il suo spropositato intelletto. Umana, invece.

Umana significa normale.

Umana significa noiosa, ordinaria, schiava di comportamenti sociali, chiusa in una gabbia di regole e carne e preconcetti.

Umana significa schiava di sensazioni che non ha deciso di provare e che non ha mai scoperto come decodificare. Che sa imitare senza comprenderle.

Sa che Jane la trova attraente. Eurus ride della sua spregiudicata e onesta trasparenza, approfitta del suo ascendente su di lei per farsi concedere favori sempre più grandi.

Nel giro di un mese ce l'ha ai suoi ordini, un mese e qualche serenata e un incontro clandestino in un ripostiglio privo di telecamere.

Il contatto intimo è ripugnante, ma così come lo è il fast food, ha senso concedersi hamburger e patatine di tanto in tanto. Anche se dopo lasciano un senso di nausea, ma intanto hai avuto in cambio una piccola morte.

Alla fine di quel mese può ottenere ciò che vuole in cella, può aggirarsi per i corridoi del suo livello ma non può ancora evadere verso la superficie, montando inesorabile come lava ribollente nel camino di un vulcano.

Jane è una succube compiacente, lusingata dall'idea di poterle essere utile, stregata dalle sue manipolazioni. Dice cose che non significano nulla ("sei bella", "vorrei riuscire a capirti") e che non hanno nessun effetto se non quello di farle brillare di più gli occhi di assurda adorazione.

Eurus non ha tempo di preoccuparsi di lei più del necessario. In un altro momento Jane avrebbe già fatto una fine creativa, divertente per appena cinque secondi. Ma adesso le serve viva e obbediente e il suo interesse nei suoi confronti finisce lì, almeno finché non avrà trovato altri alleati.

Non ha molto tempo.

Si sta perdendo.

Ogni giorno che passa l'orologio nella sua testa ticchetta più furioso, più veloce, più assordante.

È una bomba a orologeria con il contatore scarico, una granata senza sicura, un esplosivo instabile privo di stabilizzante.

La sua musica si è spenta, prosciugata dalla mancanza di ispirazione. Sherlock non si è più fatto vedere. Mycroft non si è più fatto vedere. La sua rabbia, priva di destinazione, è restata ad avvelenarla dall'interno senza più un canale di sfogo.

Ha bisogno di muoversi e di agire per smorzare quel prurito e quel tremore alle mani che le impediscono di suonare ma non può. Non ancora.

L'occasione si presenta quasi per caso - un'ispezione generale di Sherrinford e un'ennesima rotazione dello staff - quando i livelli più bassi della prigione restano sguarniti se non per poche guardie stazionate nella zona degli ascensori e al controllo del circuito chiuso.

Che male può fare, giusto? Dopotutto è una zona super- sicura.

Sciocchi.

Se lo staff non venisse cambiato continuamente, se i più anziani in servizio - quelli che non vengono rimossi dall'incarico a ogni rotazione - avessero tutte le informazioni invece di soli frammenti, qualcuno ricorderebbe che non è il caso di distogliere lo sguardo anche soltanto per un attimo dalla cella di Eurus.

Che è riuscita a evadere anche sotto gli occhi di tutti.

Ma nessuno lo ricorda e Jane è compiacente. Dimostra la sua utilità aiutandola a montare nell'ascensore privato che porta ai piani superiori. Se qualcuno dovesse scoprire che Jane le ha dato i suoi codici, Jane rischia ripercussioni molto più serie.

Forse Eurus dovrebbe portarsela via. Non fosse altro per giocarci ancora un po'. Forse no.

Con una cecità a dir poco imbarazzante ma non per questo meno conveniente l'ispezione è iniziata dai piani più alti, tra convenevoli e dimostrazioni di potere.

Persino Eurus, persino Eurus sedata e catatonica e tanto percettiva quanto è priva di morale, persino questa Eurus sa che ancora una volta la macchina tentacolare e potenzialmente perfetta di Sherrinford crollerà a causa della piccolezza umana.

Serve un diversivo. Serve qualcosa che sposti tutta l'attenzione e le risorse su di un punto specifico e le dia il tempo di dileguarsi.
Fuoco.

L'idea delle fiamme le spiana un sorriso esangue sulla bocca pallida, le colora gli occhi dell'azzurro ghiacciato della follia.
Il fuoco le ha sempre parlato, così come il dolore le è sempre servito per mettere a fuoco concetti e sensazioni troppo sfuggenti per la sua mente affollata.

"Fuoco," mormora estasiata, voltandosi a guardare Jane, che di rimando l'osserva un po' stordita.

"Fuoco, mi serve fuoco," mormora ancora Eurus. Le fiamme che desidera con forza le scorrono nelle vene e la riscaldano come non succede da mesi. Più di quanto abbia mai fatto la musica, più di quanto l'abbia raffreddata l'assenza protratta di Sherlock, sempre più lontano come una vela ormai minuscola all'orizzonte.

Musgrave. Musgrave sa ancora di bruciato e di infanzia perduta. Oh, ma è fantastico. È perfetto. È perfetto. Scappare dalla sua prigione di cemento e follia tramite ciò che ve l'ha deposta - il fuoco.

Lo staff di Sherrinford viene perquisito scrupolosamente a ogni ingresso, e una lunga lista di sostanze è vietata o deve essere conservata con la massima cura.

Anche in questo caso l'errore e l'incuria tutta umana di un lavapiatti stanco e desideroso di una sigaretta gioca a favore di Eurus: Jane impiega soltanto pochi minuti a trovare dei fiammiferi e un accendigas.

Una sortita in un ufficio vuoto rende il cassetto di un tritadocumenti, pieno fino all'orlo di striscioline di carta.

Eurus ignora l'accendigas e passa le dita sulla striscia ruvida ai lati della scatola, inalando l'odore della carta e delle sostanze chimiche. La promessa del fuoco brilla nella capocchia rossa di ogni singolo fiammifero.

"Non capisco," mormora assorta, "a Sherlock il fuoco piaceva. Gli piacevano le candele e fare falò sulla spiaggia. Ma non il fuoco a Musgrave. Eppure il fuoco è così onesto. Mantiene tutte le promesse. Non come Sherlock."

Alza lo sguardo freddo, liquido e lontano e si acciglia appena quando Jane fa un istintivo passo indietro.

Eurus sorride dolcemente, poi prende a canticchiare tra sé e sé mentre prepara il focolaio per l'incendio.

Lo schiocco ruvido del primo fiammifero le accende un sorriso più rotondo, le illumina gli occhi quando la piccola fiammella inizia a danzarle tra le dita. Che succederebbe se non lo lasciasse cadere nel mucchio di carta tritata? Si brucerebbe le dita, certo. Farebbe male, solleverebbe una bolla sulla pelle ma sarebbe in grado di mordere la carne? Forse no. La fiamma di un fiammifero è talmente effimera eppure così potente.

Lascia cadere il fiammifero appena prima che la fiamma le lambisca le dita, ne accende un altro e poi un altro, accigliandosi scontenta quando si spengono in stecchini contorti e anneriti. Giocattoli che durano poco.

Ma il fuoco nel cassetto del tritadocumenti, quello sì che sta crescendo e ingrossandosi come una creatura viva man mano che viene nutrita, anche se non ha lo stesso profumo inebriante del fosforo e sa piuttosto di carta sporca e inchiostro.

Eurus ride tra sé e sé, deliziata dal divampare delle fiamme. È un fuoco debole e si spegnerà presto se non lo alimenta con qualcosa di consistente. L'ufficio da cui proviene la carta si dimostra un perfetto punto di flashover , pieno com'è di faldoni dimenticati e scartoffie accatastate senza costrutto. Nessuno che abbia mai pensato ad archiviare in maniera corretta o ad andare paperless , persino.

Incredibile come la burocrazia possa essere stupida, anche all'interno di un manicomio criminale.

Jane la trascina via quasi di peso quando l'incendio raggiunge gli scaffali più alti, divampa su per le tende e inizia a far crepare i vetri della finestra.

Distratta, sognante, Eurus non ha neanche registrato passivamente il rumore degli allarmi antincendio. Non basta! Gli sprinkler entreranno in azione e l'incendio sarà domato prima ancora di essere sbocciato del tutto, come un vibrante fiore mortale.

"Muoviti," la incita Jane, trascinandola giù per il corridoio, verso gli ascensori che portano al piano superiore, verso l'eliporto e la discesa al porto privato dell'isola.

Si fermano ad appiccare il fuoco in altri uffici lungo il corridoio, in una corsa contro il tempo tra le tagliafuoco che iniziano a chiudersi e gli allarmi che suonano a distesa. In fondo si sente uno scroscio d'acqua - gli sprinkler che si attivano.

Jane ha il respiro corto quando si chiudono nell'ascensore verso la libertà, ma Eurus è stranamente quieta, stranamente serena. Sente l'odore dell'aria aperta anche oltre il fumo, il fuoco, l'acqua salmastra.

"Mi scopriranno presto," annuncia Eurus con tranquillità mentre le porte dell'ascensore si aprono sull'ultimo corridoio. Tra l'ispezione e l'allarme le uscite sono sguarnite e l'evasione termina senza fanfara, le due donne in piedi sulla spianata ventosa dell'eliporto, tra il cielo, le scogliere e il mare.

"Daranno l'allarme e mi riporteranno di sotto e questa volta non aprirò più gli occhi, dormirò per sempre." Tira un bel respiro profondo, socchiudendo gli occhi e scuotendo i capelli al vento.

Fa una piroetta per voltarsi a guardare Jane, scrutandola da sotto le ciglia con occhi pallidi e esaltati ad un tempo troppo profondi e completamente privi di prospettiva. C'è e non c'è o forse è già volata via da un pezzo.

Eurus aggrotta le sopracciglia, perplessa da qualcosa che non riesce precisamente ad afferrare, poi scrolla le spalle appena appena, incurante.

"Eri utile," mormora. Un sorriso infinitesimale balugina per un istante sul suo viso quasi del tutto privo di colore, una mano si solleva, poi torna giù lungo il fianco. Il pensiero è passato in volo come i gabbiani che si affollano sulla spiaggia ai piedi della scogliera, ed è volato via.

"Cosa vuoi fare?" L'aria fresca, il vento marino che spazza l'eliporto sono sufficienti a schiarire un po' le idee alla soldatessa. Adesso avverte in pieno la paura, la preoccupazione per le conseguenze di ciò che ha fatto, stregata dall'incantesimo di Eurus. E ha paura che lei, pericolosa e imprevedibile, possa farle del male ora che non ha più alcuna utilità per lei.

"Ma come, non senti la musica? Voglio ballare," annuncia Eurus, emozionata come una bambina. Accenna due passi di danza, piroettando con una leggerezza misteriosa, mentre il vento le scompiglia i capelli e gioca con l'orlo della sua camicia da notte.

Cercare di trattenerla è come voler afferrare la schiuma di un'onda quando questa si infrange sugli scogli: impossibile, inutile.
Jane fa un passo avanti per afferrarla e portarla in salvo quando Eurus danza canticchiando troppo vicino al bordo privo di parapetto, ma Eurus ride e le sfugge, mormorando parole di una filastrocca infantile.
"...and under we go" trilla, senza urlare quando scivola sulla terra friabile ai confini del tarmac e sparisce di sotto con un sospiro un po' sorpreso.
Se grida, prima del tonfo spaventoso e sordo con cui la spiaggia l'accoglie e l'abbraccia, il suono si perde e si confonde tra le strida dei gabbiani.

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