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Autore: Claire_Rose    22/04/2017    0 recensioni
Il passato, il presente ed il futuro. Un' intreccio di anime e culture diverse. L'amore tormentato di due giovani in un mondo pieno di pregiudizi e al tempo stesso di pericoli reali. La passione di un ballo e la voglia di amarsi incondizionatamente. Javier e Clara saranno messi a dura prova proprio dal loro sangue e da ciò che credevano indissolubile.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Eravamo ancora uno d’avanti all’altro. Mi aveva spiazzato la sua ultima affermazione. Perchè solo io non dovevo avere paura di lui? Chi era veramente? Volevo saperlo. Dovevo saperlo.
“tu..” mi interruppe una voce stridula, quasi stonata a tratti assordante.
“Hola mi amor” 
Una ragazza di media statura, capelli neri mossi e carnagione scura si lanciò addosso a Javier. Inizio a sparare parole in spagnolo ad una velocità supersonica. La faccia di lui era quasi imbarazzata.
Ad un certo punto smise di parlare e si girò verso di me.
“Tu chi sei?” per fortuna non me lo chiese in spagnolo. Era stizzita e provocatoria.
“Lei si chiama Clara è una mia amica” Lei lo guardò stupita.
“Amica? Aah amica..” Gli fece l’occhiolino.
“Senti io devo andare” non avrei sopportato altre insinuazioni da una sconosciuta mai vista prima.
Feci per andarmene ma lui mi prese per il braccio.
“No, resta”
“Ho detto devo andare” mi sfilai dalla sua presa e ripresi la mia corsa.
Avrei voluto prenderla a schiaffi quella sfigata. Ero infastidita. Corsi forte, fino a perdere il fiato. Mi fermai ad una fontanella per bere. Mi sentivo come se avessi lasciato le cose a metà. Cercavo sempre di evitare situazioni spiacevoli e di non trovarmici e quando mi ci trovavo preferivo affrontarle, ma quel giorno non so perchè, evitai. Chi era lei? Cosa voleva dirmi con quella battuta? Forse stavano insieme, ma che senso avrebbe avuto quello di dirmi di restare? Ripresi a correre e tornai a casa. Avevo mille pensieri per la testa ero quasi ubriaca dalla confusione che avevo, ma com’era possibile che uno sconosciuto provocasse in me una reazione così? 
Nei giorni successivi mi concentrai sullo studio, o almeno ci provai. Lui mi tornava sempre in mente. Aveva qualcosa che attirava i miei pensieri, forse i suoi occhi o forse quel mistero che si celava dietro ad essi. Pensai che avrei voluto rivederlo. 
Il 22 Giungo arrivò in fretta ed io ero già dalla mattina presto all’università, dovevo dare l’esame di psicologia dinamica. L’esame si svolgeva in un aula dell’ateneo con il Prof. Rocchi e quel simpaticone del suo assistente, che tutto poteva fare tranne che quel lavoro. Era un occhioluto nanetto tutto brufoli, la sua pubertà era ancora in corso a quasi 30 anni. Mi seddetti su l’unica sedia difronte alla cattetra del professore. Iniziò con le domande, risposi concisa a quasi tutte le domande, altre necessitavano di spiegazioni più dettagliate e così non pensai a nulla, solo all’esame. Il verdetto finale fu un 28. 
Uscita dall’aula corsi fuori e telefonai a mia madre.
“Mamma ho preso 28!”
“Brava tesoro mio, lo sapevo che sarebbe andata benissimo”
“Mi ha fatto tante domande”
“Tuo padre sarà orgoglioso, chiamalo”
“Lo farò, ciao mamma” 
Composi il numero di mio padre.
“Papà ho preso 28 all’esame”
“Amore di Papà, sono rogoglioso di te”
“Grazie!” 
“Ti vorrei abbracciare”
“Anche io”
“Allora fallo”
Rittaccò. Mi girai e lui era lì. Il mio papà, che non vedevo da due mesi e mezzo era lì davanti a me. Gli corsi incontro e lo abbraccia forte e lui ricambiò con ancora più forza. Era il eroe, la mia colonna portante. Lui nonostante la distanza è sempre stato presente, non mi ha mai fatto mancare nulla. 
“Quando sei tornato?” 
“Sono atterrato circa un ora fa” 
“Davvero?”
“E sono venuto subito da te piccola Lully”
“Papà non mi chiamare così quì”
Lui sorrise. “Lully” era il mio soprannome fin da quando ero piccola. Mia nonna mi chiamava così perchè diceva sempre che somigliavo alla sua adorata sorella morta troppo presto. Si chiamava Lucilla e tutti la chiavano Lully, era alta bella e aveva gli occhi azzurri come il cielo e i capelli color oro. La descriveva così.
“Allora tesoro, dove ti porto a mangiare”
“Andiamo ‘Da Jimmy’ “
“Che Jimmy sia!”
‘Da Jimmy’ era il nostro posto; un simpatico ristorante stile rustico, gestito da un’uomo tutto pancia e con un’ umorismo tutto suo, che anche se non capivi le sue battute, ridevi lo stesso.  Ci riservava sempre il tavolo migliore, perché per lui eravamo i suoi clienti più apprezzati.
Ordinammo hamburger e patatine. Il cibo del ristorante non era come quello dei fast food, era qualcosa di semplicemente delizioso e genuino. Ci sentivamo a casa; l’arredamento era semplice, quello che lo distingueva dagli altri ristoranti erano i muri, completamente ricoperti da disegni fatti sulle tovagliette di carta su cui mangiavamo. Era usanza del ristorante che ogni cliente, vecchio o nuovo, lasciasse un ricordo di sè, così ognuno scriveva frasi o disegnava. C’erano discrete opere d’arte, il mio preferito era un porcellino seduto a tavola con coltello e forchetta tra le mani, pronto a divorare un’altro maialino sul piatto, un pò lugubre come cosa, ma apprezzavo il messaggio e lo stile del disegno.
Finito di mangiare tornammo a casa. Mia madre ci stava aspettano e quando i miei si rividero era come se non fosse passato così tanto tempo. Decisi di lasciarli un pò soli.
La sera arrivo in fretta ed io decisi di uscire con Carlotta e altri due amici, Nicolas e Luca. Andammo in un pub e predemmo delle birre.
“Allora Clà, questo 28 non ti smentisce mai” Nicolas mi sfotteva sempre, perchè prendevo sempre voti alti.
“Anche tu non ti smentisci mai, se vuoi ti presto il mio cervello” Scherzavamo sempre, nessuno dei due lo faceva con cattiveria. Ci stimavamo molto. 
“Ti voglio bene anche io amica mia” Gli feci una linguaccia e lui mi ricambiò con i sui soliti versi con la bocca.
“Sentite prossima settimana è il mio compleanno, quindi siete pregati di essere tutti liberi”
Tra qualche giorno sarebbe stato il complenno di Carlotta e, come tutti i santi anni, voleva organizzare una festa nella sua villa in collina. 
“Ovvio, 22 anni si compiono una volta sola” Luca era cotto di lei dall’asilo e ogni cosa che lei diceva era sempre giusta.
“La mia idea è...”
“Fare una super festa in villa” Incanlzò Nicolas con tono annoiato.
“Se vuoi non ti invito” Carlotta era stizzita. 
“Te la prendi sempre”
Iniziarono a battibeccarsi, come al solito. Tra quei due c’era stata una mezza storia qualche anno fa, finita quasi subito per “differenze caratteriali inconciliabili”, anche se secono me erano semplicemente uguali. 
“Smettetela di discutere, andremo tutti alla sua festa in villa e ci divertiremo tanto come tutti gli anni”
“Grazie amica mia almeno tu mi dai soddisfazione” Carlotta lanciò un occhiataccia a Nicolas che alzó gli occhi al cielo.
Mentre loro facevano piani per il compleanno, io uscì per andare a fumare una sigaretta.
Fuori faceva freddo per essere Giugno; addosso avevo solo un golfino e stavo congelando.
“Freddo eh?” Mi girai e un ragazzo con tratti su americani si avvicinò a me.
“Abbastanza..”
“Ce l’hai da accendere?” Gli porsi l’accendino.
Guardandolo meglio mi accorsi che aveva un’aria familiare. Ci pensai. Era il ragazzo che litigava l’altro giorno con Javier.
“Tu sei il ragazzo che litigava con un’altro, qualche giorno fa”
“Litigavo con quell’idiota di mio fratello”
“Javier”
“Come lo conosci?”
“Ci siamo conosciuti in un locale”
“Ah ma sei tu!” Si fermò ad osservarmi in attenzione dalla testa ai piedi.
“Sono io cosa?”
“Mio fratello mi ha parlato di te, Clara giusto?”
“Si sono io”
“Javier dovrebbe arrivare tra poco, io comunque sono Pablo” 
Ci stringemmo la mano. Javier aveva parlato di me a suo fratello ed in più stava per arrivare al pub. Coincidenza o destino? Avevo il cuore a mille; lo avrei rivisto e non sapevo cosa fare. Rientrare e fare finta di nulla o aspettarlo? Se lo aspetto faccio la figura di una che ha perso la testa per lui e se rientro potrei passare per quella che se ne frega. Cosa avrei dovuto fare?
   
 
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