13
CACCIA
PARTE PRIMA
Perso in lontani pensieri, Keros osservava
il paesaggio. In groppa ad una veloce creatura infernale, inseguiva
anime
erranti assieme a Lucifero. Il vento soffiava con insistenza e faceva
lacrimare
gli occhi al giovane, che si chiedeva come facesse il re a rimanere
impassibile. In quella zona dell’Inferno, l’odore
di zolfo era lievemente più
pungente e non vi sorgevano città. Era il terreno ideale per
liberare qualche
anima per poi inseguirla, in un sadico gioco punitivo.
“Adoro quando strillano”
ghignò Lucifero,
dopo aver trafitto una preda con il suo arco.
Ovviamente le anime non morivano, ma soffrivano
terribilmente e lanciavano grida agghiaccianti. A Keros non facevano
minimamente pietà, perché sapeva che la loro
permanenza agli inferi era
determinata da condotte esecrabili in vita. Anche lui, risvegliato dai
pensieri
da quello strillo, tese il suo arco e colpì
un’errante, con un sorriso
divertito.
“Pensavo ti fossi incantato” lo
stuzzicò
il re “Cos’è che ti fa distrarre
tanto?”.
Keros non rispose. Non sapeva cosa dire.
La sua vita, dopotutto, non poteva considerarla di certo brutta. Stava
studiando per diventare un tentatore e procacciatore di anime, e questo
gli
permetteva di gironzolare per il mondo umano piuttosto a lungo, come
apprendista del suo maestro. Imparava le lingue umane, che doveva
conoscere
alla perfezione per potersi relazionare con loro, ed i loro costumi.
Nel mondo
dei demoni trascorreva il tempo fra caccia, feste di palazzo ed
incontri
occasionali. Doveva essere felice, ma a volte si lasciava sfuggire un
sospiro,
dovuto da non sapeva dire che cosa.
“Cosa tiene così impegnata la
tua
testolina color ciliegia?” continuò Lucifero, dopo
aver scoccato un’altra
freccia contro un’anima.
“Niente di particolare”
alzò le spalle
Keros, con una strana voce altalenante dovuta alla pubertà.
“Non raccontarmi cazzate” gli
sibilò il
re, accigliandosi leggermente.
“Niente di particolare,
davvero”.
“Ok… Va bene. Sono poco
convinto, ma non
insisto. Piuttosto… Come va l’addestramento con
Mefistofele?”.
“Dovresti chiederlo a lui. Io non so
giudicarmi da solo”.
“Lo sto chiedendo a te. Ti diverti?
È quel
che ti piace?”.
“Sì. Direi di sì.
Perché?”.
“Hai sempre quella faccia strana. Come se
ti mancasse qualcosa”.
“Anche tu hai spesso quella faccia! Anche
adesso”.
“Keros… Quel che mi manca, nel
mio caso,
sono le ferie”.
Entrambi risero. Poi il giovane colpì
un’altra anima, che lanciò un grido acuto e
straziante.
“Però…”
riprese Lucifero, dopo un po’ “…in
effetti ci sono un paio di cose a cui sto pensando”.
“Tipo ricordarti il nome di quelle tre
con
cui sei stato ieri notte?” ghignò Keros, spronando
la sua cavalcatura ad
accelerare per raggiungere un gruppo di anime in fuga.
“Dei nomi poco mi importa” si
lasciò
sfuggire un sorriso il re “Pensavo al fatto che ci sono un
paio di faccende di
cui vorrei discutere con te. Fra un’anima ed
un’altra”.
“Parla pure. Ti ascolto”.
“Per prima cosa… mi chiedevo se
non fosse
il caso di parlare di famiglia. Intendo dire che sei abbastanza grande
per
sapere chi sia tuo padre”.
“Tu sei mio padre”.
“Sai che non è
così”.
“Sì, invece. Mi hai cresciuto.
Sei tu mio
padre. Ne avevamo già parlato”.
“E non c’è nulla che
tu voglia sapere su
di lui?”.
“Solo una cosa: è ancora
vivo?”.
“Sì…”.
“E l’ho mai
incontrato?”.
“Sì”.
“Bene. Non mi serve sapere
altro”.
“Sei sicuro?”.
Keros inseguì un’anima, senza
rispondere.
Il re lo raggiunse, spronando la sua cavalcatura.
“E l’altra cosa su cui volevi
discutere?”
parlò il ragazzo, senza incrociare lo sguardo del demone ma
rimanendo
concentrato sull’anima che intendeva catturare.
“Riguarda il tempo che passa”.
“Eh già, pensa
te…”.
“Pensavo di presentarti al regno come
principe ereditario”.
Il giovane bloccò la propria corsa di botto
e
si voltò verso il re, con aria interrogativa.
“Che c’è?”
si stupì Lucifero “Perché
quella faccia?”.
“Sei impazzito?”.
“No. Perché?”.
“Perché nessun demone
sarà mai disposto ad
accettarmi come re!”.
“Mica intendo dire che domani tu sarai
re!
Con calma…”.
“Ma manco fra un milione di anni mi
vorranno! Non so nemmeno se terminerò
l’addestramento…”.
“Che? Che blateri, adesso?”.
“Mi hai visto bene?”.
“Sì. Sono vecchio, ma non
ancora cieco! E
se ricominci con la storia che non sei all’altezza di questo
e di
quest’altro… giuro che ti prendo a
sberle!”.
“Ma dai! Perché proprio io?
Intendo dire… A
palazzo ci sono tante donne e molte di loro hanno avuto figli.
Perché proprio
io? Non sono più figlio tuo di quanto non lo siano
loro!”.
“E perché no? Dammi una sola
ragione.
Serve una figura giovane, nuova. Noi di prima generazione siamo
inquadrati e
ormai nauseati. Tu ami quel che fai. Ami l’idea di diventare
un tentatore ed è
questo che voglio. Voglio la passione. E tu ne hai. Ne hai
molta”.
“Passione? Io?”.
“Sì. E non mi interessano i
discorsi sul
fatto che ti senti ridicolo con quel tuo corpo o cose del genere. Il
corpo che
hai è magnifico, già te l’ho detto. Ed ogni singolo
corpo è magnifico, e non perché
lo ha creato Dio o cazzate simili. Ognuno ha dei lati belli ed altri un
po’
meno belli, chiedi al tuo maestro come valorizzare tutto ciò
che sei. Non sei
come lui? Non sei come il tuo maestro? Ovvio. Nessuno è come
lui. Così come
nessuno è come te. Ognuno è unico. E poi non
conosco adolescente che non si
guardi e dica di non piacersi”.
“Allora dammi il tempo di
valorizzarmi”.
“In che senso?”.
“Prima di annunciare a tutti che io sono
il principe ereditario, dammi il tempo di poter mostrare a tutti che ne
sono
degno. Che ho raggiunto obbiettivi importanti, come portare al regno
delle
anime sconfiggendo degli angeli. O sottomettendo dei nemici del tuo
potere”.
Il re rimase in silenzio. E poi annuì,
con
un sorriso.
“È un patto” gli
disse, allungando la mano
verso quella di Keros e stringendola.
“Sì. Te lo prometto. Per i
miei mille
anni, per la mia maggiore età, potrai dire a tutti che sono
il tuo erede,
perché ti giuro che ne sarò degno”.
Osservando il suo maestro, Keros pensò
di
aver parlato un po’ a sproposito. Mefistofele era scaltro,
affascinante ed
ipnotico. Con gli umani, giocava. Li traeva in inganno con estrema
facilità e
sottraeva loro l’anima con piacere e soddisfazione.
“Oggi voglio prendermi una
pausa” aveva
comunicato, inaspettatamente, al suo allievo, passeggiando per il mondo
terrestre “Ci pensi tu all’umano ed alle sue
richieste assurde”.
“Come?! Ma io non sono in grado. Non sono
pronto” era stata la risposta di Keros.
“Senti…”
sospirò Mefistofele “…in questo
lavoro, la sicurezza in sé è fondamentale. Devi
credere in te ed essere certo
delle tue capacità”.
“Ma…”.
“Il se ed il ma sono termini che non devi
MAI usare. Ed adesso dimmi: di che hai paura? Di sbagliare? Guarda che
capita a
tutti. In questa caccia continua, qualche anima la perderai di certo.
Perché
ricorda che, anche se dovessi svolgere un lavoro perfetto,
c’è sempre quella
clausola di merda della redenzione finale. Ovvero se un umano alla fine
dei
suoi giorni si pente, può anche essere stato il peggior
figlio di puttana della
storia, se viene perdonato poi va in paradiso. Sai quante volte mi
è capitato?
L’importante è non demordere, e passare
all’anima successiva”.
“Ma non voglio rovinare tutto il lavoro
che hai fatto fin ora”.
“E come? E poi, ragazzo… Vuoi o
no fare
questo mestiere? Lo hai scelto tu. Pensavi fosse più
semplice?”.
“No. Solo che…”.
Mefistofele ruotò gli occhi. Keros si
guardò attorno, mortificato. Il maestro era parecchio
più alto dell’allievo e
quindi guardarlo dall’alto al basso gli veniva facile.
“Hai forse paura dei paragoni
padre/figlio?” ipotizzò Mefistofele, alzando un
sopracciglio.
“Paragoni?” mormorò
Keros.
“Sì. Insomma… Hai
capito! Tutti si
aspettano grandi cose da te. Sei il figlio del capo. Sei il figlio di
Lucifero.
Io sono figlio di Dio, perciò capisco certi tuoi timori.
Però vedi… Essere
figlio suo offre dei vantaggi. Certo, non potrai mai essere come lui.
Lui è il
primogenito, il più forte, il più bello,
eccetera. Ma tu hai qualcosa che lui
non ha: il totale libero arbitrio”.
“Lucifero ha il libero
arbitrio!”.
“Ah sì? Chiedigli che succede
se decide di
lasciare l’Inferno e cambiare mestiere”.
“Che succede…?”.
“Muore. O almeno credo. Ci abbiamo
provato
solo una volta noialtri della prima generazione a lasciare gli inferi.
E sai
che succede? Dobbiamo rientrarci, trascorso un determinato periodo.
Altrimenti
stiamo male, molto male. Specie tuo padre. Ecco perché torno
spesso giù di
sotto. Tu, e tutti i demoni di seconda, terza e successive generazioni,
non
avete questi problemi. Non sei stato maledetto da Dio,
perciò potresti anche decidere
di aprire un’osteria e mandare a fanculo tutto”.
“Nemmeno se io divenissi il re, lui
potrebbe andarsene dall’Inferno?”.
“Potrebbe andarsene solo se chiedesse
perdono
a Dio. Non accadrà mai! E lì torniamo al discorso
della sconfitta che abbiamo
fatto pochi istanti fa. Dinnanzi ad una sconfitta, perché
ricorda che noi
demoni siamo stati sconfitti e cacciati dal Paradiso, sì
può reagire in due
modi: distruggersi o distruggere. Puoi piagnucolare per sempre oppure
puoi
reagire e spaccare tutto, avere la tua rivincita. Il re ha creato
l’Inferno, si
è creato un regno dove è Dio. Dove comanda e dove
l’occhio divino non può
giungere. Certo, non è fra i più ospitali ma non
deve esserlo. L’Inferno è
l’immagine della rabbia che porta dentro Lucifero”.
“Ed è una cosa buona essere
così pieno di
rabbia?”.
“Mi chiedi se gli farebbe bene un periodo
di psicanalisi? Certo che sì. Ma questi non sono affari
miei. Io devo pensare a
te, giovane pupillo della famiglia reale. Vuoi fare questo
mestiere?”.
“Sì”.
“Allora impegnati!”.
L’uomo che stava tentando in quel periodo
Mefistofele era un dottore, o perlomeno si definiva tale. Aveva
studiato molti
campi e rami della conoscenza, giungendo infine alla magia nera. Keros
non ne
capiva la ragione. Il suo maestro gli aveva spiegato che
l’essere umano è
dotato di intelligenza ma che, quasi sempre, questa dote veniva
sprecata in
modo scemo. Ed in molti casi questa dote era parecchio minuscola nel
cervello
umano. Non era il caso di quel dottore tedesco, che di certo brillava
di
intelligenza ma probabilmente non aveva ben capito dove indirizzarla.
Il
giovane allievo, che trovava la lingua tedesca al pari del peggior
dialetto
degli inferi, aveva osservato il suo maestro mentre abilmente stringeva
un
patto con quell’essere. Desiderava un attimo di
felicità. Uno soltanto. Non
sembrava così difficile da accontentare. Ma, come aveva
avuto modo di spiegare
Mefistofele, gli esseri umani si dividevano in due categorie. Il primo
gruppo
si rialzava ad ogni affanno ed era facile portarlo al riso o al pianto,
provava
momenti di pura gioia e si risollevava dopo il dolore. Il secondo era
quello
composto da creature che, se fossero divenute padrone del mondo, si
sarebbero
chieste perché non possiedono pure la luna. Purtroppo quel
dottore faceva
chiaramente parte del secondo gruppo.
“Non devi avere timore” aveva
ghignato
Mefistofele “Anche se non è mai contento, ha fatto
un patto con noi. Dobbiamo
solo avere pazienza”.
Keros aveva imparato che gli esseri umani
in sostanza chiedono sempre le stesse cose: amore, fama, ricchezza,
salute,
felicità. Ed aveva anche imparato a diffidare di chi
chiedeva certi favori per
altri, perché quel loro sacrificio spesso veniva considerato
da Dio come un
atto degno del Paradiso. Per fortuna capitava raramente,
perché di base l’uomo
era stato creato egoista ed idiota. E la donna?
Già… Perché raramente le donne
stipulavano simili patti?
“Perché sono più
furbe” aveva spiegato il
maestro “E sono più complicate. Non cercano,
solitamente, fama e potere. Preferiscono
amore ed attenzioni. Ma poi sanno come fregarti. Tutti noi siamo stati
fregati
almeno una volta da una donna. Perfino il re. Non so se te ne ha
parlato”.
“Sophia? Sì, me ne ha
accennato”.
“Io gli avevo detto di lasciar perdere,
quando eravamo ancora angeli. Ma era già testardo ed
orgoglioso come ora. Adesso
organizza quei festini con le donne definite streghe ma poi gli umani
le
bruciano e Dio le accoglie in cielo perché uccise
ingiustamente. Figurati se
sul rogo una non prega per la salvezza…”.
“Però anime femminili ce ne
sono
all’Inferno”.
“Certo. Di donne stronze è
pieno il mondo.
Mai detto il contrario. Così come ci sono le demoni
tentatrici. Sono rare, ma
ci sono. Come tua madre”.
“Conoscevi mia madre?”.
“Tutti la conoscevano. E tu hai molti
tratti in comune con lei. Dovresti sfruttarli”.
Keros rimase in silenzio. Osservò il suo
maestro mentre mostrava a quel dottore nuove conoscenze e lo spingeva
oltre
ogni limite.
Un paio di volte era capitato che
incrociassero qualche angelo, che sorvegliava la situazione e cercava
di
convincere l’umano a dedicarsi al pentimento ed alla
penitenza. L’allievo aveva
imparato a non provare più timore nei loro confronti, anche
se preferiva non
stuzzicarli.
Quel pomeriggio, gli angeli avevano
tentato di seguire Mefistofele e l’umano tentato ma erano
spariti quando la
meta del demone era diventata un ritrovo di giovani fanciulle.
“Non esiste uomo in grado di resistere
allo spettacolo di una bella donna dinanzi agli occhi” aveva
ghignato il
demone.
Keros si era soffermato ad ammirare quelle
donne. Erano belle, comprendeva perché alcuni angeli fossero
caduti e divenuti
demoni perché innamorati di loro. Ed anche il tentato non
era rimasto
indifferente, pur avendo sempre quella faccia da “mi fa
schifo la vita”. Ora l’allievo
iniziava pure a comprendere perché Lucifero fosse
così irritato da certi suoi
atteggiamenti: si ripromise di essere più soddisfatto della
sua vita. Dopotutto
non aveva ragione di lamentarsi…
“Oggi è andata bene con
l’umano, no?”.
La giornata era terminata, e maestro ed
allievo ne stavano discutendo.
“Direi di sì”
sorrise Mefistofele.
“Chiedo scusa se non ho voluto agire di
persona. Domani lo farò. Lo giuro”.
“Bravo. Sarebbe
ora…”.
Keros arrossì.
“Però…”
mormorò “…ecco…”.
“Cosa c’è? Io oggi
avevo ben altri
programmi,sai? Ma non si può lasciare questi stupidi umani
da soli nemmeno per
qualche ora. Se li intercettano gli angeli, è
un’anima persa!”.
“Domani. Domani potrete dedicarvi a
ciò
che desiderate, maestro. Mi occuperò io
dell’umano. Però…”.
“Non iniziare a darmi del Voi. Mi fa
sentire vecchio. E però che cosa? Parla!”.
“Vi prego, fatemi capire. Parlatemi.
Ditemi cosa c’è di bello in me. Spiegatemi come
posso tentarlo, da solo. Cosa
c’è in me che mi rende adatto a fare il
procacciatore?”.
L’allievo aveva chinato la testa, con
fare
remissivo e di supplica.
“Vuoi che te lo dica?”
biascicò
Mefistofele, servendosi del vino.
“Sì, vi prego”.
“Benissimo. Allora, tanto per cominciare,
spogliati”.
“Che…?!”.
Keros arrossì e non rialzò la
testa, spalancando
gli occhi e continuando a fissare il pavimento.
“Spogliati” ghignò
il maestro,
afferrandogli il viso “Fallo e poi ti spiego,
ragazzino”.
Aggiornamento!!
Confesso che quel che seguirà non lo avevo inizialmente
inserito nella storia
ma una fan (lei sa chi è… ha commentato la storia
:P) mi ha fatto venire questa
idea. A presto. Prestissimo! (spero)