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Autore: SagaFrirry    23/04/2017    5 recensioni
"Tu credi che il mondo sia solo bianco e nero, tutto per te può essere solo bianco o nero. Ma io sono la prova che non è così. Io sono il grigio? No. Io sono l'intero spettro di colori dell'Universo!".
Keros è un demone, ma non del tutto. È figlio di due specie molto diverse, frutto di un'unione per molti sacrilega. Questo è il racconto del suo cammino, lungo i secoli dell'esistenza. Fra Inferi e Cielo, buio e luce, dannazione e santità, scoprirà come essere realmente se stesso.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                   CACCIA         

 

PARTE PRIMA

 

Perso in lontani pensieri, Keros osservava il paesaggio. In groppa ad una veloce creatura infernale, inseguiva anime erranti assieme a Lucifero. Il vento soffiava con insistenza e faceva lacrimare gli occhi al giovane, che si chiedeva come facesse il re a rimanere impassibile. In quella zona dell’Inferno, l’odore di zolfo era lievemente più pungente e non vi sorgevano città. Era il terreno ideale per liberare qualche anima per poi inseguirla, in un sadico gioco punitivo.

“Adoro quando strillano” ghignò Lucifero, dopo aver trafitto una preda con il suo arco.

Ovviamente le anime non morivano, ma soffrivano terribilmente e lanciavano grida agghiaccianti. A Keros non facevano minimamente pietà, perché sapeva che la loro permanenza agli inferi era determinata da condotte esecrabili in vita. Anche lui, risvegliato dai pensieri da quello strillo, tese il suo arco e colpì un’errante, con un sorriso divertito.

“Pensavo ti fossi incantato” lo stuzzicò il re “Cos’è che ti fa distrarre tanto?”.

Keros non rispose. Non sapeva cosa dire. La sua vita, dopotutto, non poteva considerarla di certo brutta. Stava studiando per diventare un tentatore e procacciatore di anime, e questo gli permetteva di gironzolare per il mondo umano piuttosto a lungo, come apprendista del suo maestro. Imparava le lingue umane, che doveva conoscere alla perfezione per potersi relazionare con loro, ed i loro costumi. Nel mondo dei demoni trascorreva il tempo fra caccia, feste di palazzo ed incontri occasionali. Doveva essere felice, ma a volte si lasciava sfuggire un sospiro, dovuto da non sapeva dire che cosa.

“Cosa tiene così impegnata la tua testolina color ciliegia?” continuò Lucifero, dopo aver scoccato un’altra freccia contro un’anima.

“Niente di particolare” alzò le spalle Keros, con una strana voce altalenante dovuta alla pubertà.

“Non raccontarmi cazzate” gli sibilò il re, accigliandosi leggermente.

“Niente di particolare, davvero”.

“Ok… Va bene. Sono poco convinto, ma non insisto. Piuttosto… Come va l’addestramento con Mefistofele?”.

“Dovresti chiederlo a lui. Io non so giudicarmi da solo”.

“Lo sto chiedendo a te. Ti diverti? È quel che ti piace?”.

“Sì. Direi di sì. Perché?”.

“Hai sempre quella faccia strana. Come se ti mancasse qualcosa”.

“Anche tu hai spesso quella faccia! Anche adesso”.

“Keros… Quel che mi manca, nel mio caso, sono le ferie”.

Entrambi risero. Poi il giovane colpì un’altra anima, che lanciò un grido acuto e straziante.

“Però…” riprese Lucifero, dopo un po’ “…in effetti ci sono un paio di cose a cui sto pensando”.

“Tipo ricordarti il nome di quelle tre con cui sei stato ieri notte?” ghignò Keros, spronando la sua cavalcatura ad accelerare per raggiungere un gruppo di anime in fuga.

“Dei nomi poco mi importa” si lasciò sfuggire un sorriso il re “Pensavo al fatto che ci sono un paio di faccende di cui vorrei discutere con te. Fra un’anima ed un’altra”.

“Parla pure. Ti ascolto”.

“Per prima cosa… mi chiedevo se non fosse il caso di parlare di famiglia. Intendo dire che sei abbastanza grande per sapere chi sia tuo padre”.

“Tu sei mio padre”.

“Sai che non è così”.

“Sì, invece. Mi hai cresciuto. Sei tu mio padre. Ne avevamo già parlato”.

“E non c’è nulla che tu voglia sapere su di lui?”.

“Solo una cosa: è ancora vivo?”.

“Sì…”.

“E l’ho mai incontrato?”.

“Sì”.

“Bene. Non mi serve sapere altro”.

“Sei sicuro?”.

Keros inseguì un’anima, senza rispondere. Il re lo raggiunse, spronando la sua cavalcatura.

“E l’altra cosa su cui volevi discutere?” parlò il ragazzo, senza incrociare lo sguardo del demone ma rimanendo concentrato sull’anima che intendeva catturare.

“Riguarda il tempo che passa”.

“Eh già, pensa te…”.

“Pensavo di presentarti al regno come principe ereditario”.

Il giovane bloccò la propria corsa di botto e si voltò verso il re, con aria interrogativa.

“Che c’è?” si stupì Lucifero “Perché quella faccia?”.

“Sei impazzito?”.

“No. Perché?”.

“Perché nessun demone sarà mai disposto ad accettarmi come re!”.

“Mica intendo dire che domani tu sarai re! Con calma…”.

“Ma manco fra un milione di anni mi vorranno! Non so nemmeno se terminerò l’addestramento…”.

“Che? Che blateri, adesso?”.

“Mi hai visto bene?”.

“Sì. Sono vecchio, ma non ancora cieco! E se ricominci con la storia che non sei all’altezza di questo e di quest’altro… giuro che ti prendo a sberle!”.

“Ma dai! Perché proprio io? Intendo dire… A palazzo ci sono tante donne e molte di loro hanno avuto figli. Perché proprio io? Non sono più figlio tuo di quanto non lo siano loro!”.

“E perché no? Dammi una sola ragione. Serve una figura giovane, nuova. Noi di prima generazione siamo inquadrati e ormai nauseati. Tu ami quel che fai. Ami l’idea di diventare un tentatore ed è questo che voglio. Voglio la passione. E tu ne hai. Ne hai molta”.

“Passione? Io?”.

“Sì. E non mi interessano i discorsi sul fatto che ti senti ridicolo con quel tuo corpo o cose del genere. Il corpo che hai è magnifico, già te l’ho detto. Ed ogni singolo corpo è magnifico, e non perché lo ha creato Dio o cazzate simili. Ognuno ha dei lati belli ed altri un po’ meno belli, chiedi al tuo maestro come valorizzare tutto ciò che sei. Non sei come lui? Non sei come il tuo maestro? Ovvio. Nessuno è come lui. Così come nessuno è come te. Ognuno è unico. E poi non conosco adolescente che non si guardi e dica di non piacersi”.

“Allora dammi il tempo di valorizzarmi”.

“In che senso?”.

“Prima di annunciare a tutti che io sono il principe ereditario, dammi il tempo di poter mostrare a tutti che ne sono degno. Che ho raggiunto obbiettivi importanti, come portare al regno delle anime sconfiggendo degli angeli. O sottomettendo dei nemici del tuo potere”.

Il re rimase in silenzio. E poi annuì, con un sorriso.

“È un patto” gli disse, allungando la mano verso quella di Keros e stringendola.

“Sì. Te lo prometto. Per i miei mille anni, per la mia maggiore età, potrai dire a tutti che sono il tuo erede, perché ti giuro che ne sarò degno”.

 

Osservando il suo maestro, Keros pensò di aver parlato un po’ a sproposito. Mefistofele era scaltro, affascinante ed ipnotico. Con gli umani, giocava. Li traeva in inganno con estrema facilità e sottraeva loro l’anima con piacere e soddisfazione.

“Oggi voglio prendermi una pausa” aveva comunicato, inaspettatamente, al suo allievo, passeggiando per il mondo terrestre “Ci pensi tu all’umano ed alle sue richieste assurde”.

“Come?! Ma io non sono in grado. Non sono pronto” era stata la risposta di Keros.

“Senti…” sospirò Mefistofele “…in questo lavoro, la sicurezza in sé è fondamentale. Devi credere in te ed essere certo delle tue capacità”.

“Ma…”.

“Il se ed il ma sono termini che non devi MAI usare. Ed adesso dimmi: di che hai paura? Di sbagliare? Guarda che capita a tutti. In questa caccia continua, qualche anima la perderai di certo. Perché ricorda che, anche se dovessi svolgere un lavoro perfetto, c’è sempre quella clausola di merda della redenzione finale. Ovvero se un umano alla fine dei suoi giorni si pente, può anche essere stato il peggior figlio di puttana della storia, se viene perdonato poi va in paradiso. Sai quante volte mi è capitato? L’importante è non demordere, e passare all’anima successiva”.

“Ma non voglio rovinare tutto il lavoro che hai fatto fin ora”.

“E come? E poi, ragazzo… Vuoi o no fare questo mestiere? Lo hai scelto tu. Pensavi fosse più semplice?”.

“No. Solo che…”.

Mefistofele ruotò gli occhi. Keros si guardò attorno, mortificato. Il maestro era parecchio più alto dell’allievo e quindi guardarlo dall’alto al basso gli veniva facile.

“Hai forse paura dei paragoni padre/figlio?” ipotizzò Mefistofele, alzando un sopracciglio.

“Paragoni?” mormorò Keros.

“Sì. Insomma… Hai capito! Tutti si aspettano grandi cose da te. Sei il figlio del capo. Sei il figlio di Lucifero. Io sono figlio di Dio, perciò capisco certi tuoi timori. Però vedi… Essere figlio suo offre dei vantaggi. Certo, non potrai mai essere come lui. Lui è il primogenito, il più forte, il più bello, eccetera. Ma tu hai qualcosa che lui non ha: il totale libero arbitrio”.

“Lucifero ha il libero arbitrio!”.

“Ah sì? Chiedigli che succede se decide di lasciare l’Inferno e cambiare mestiere”.

“Che succede…?”.

“Muore. O almeno credo. Ci abbiamo provato solo una volta noialtri della prima generazione a lasciare gli inferi. E sai che succede? Dobbiamo rientrarci, trascorso un determinato periodo. Altrimenti stiamo male, molto male. Specie tuo padre. Ecco perché torno spesso giù di sotto. Tu, e tutti i demoni di seconda, terza e successive generazioni, non avete questi problemi. Non sei stato maledetto da Dio, perciò potresti anche decidere di aprire un’osteria e mandare a fanculo tutto”.

“Nemmeno se io divenissi il re, lui potrebbe andarsene dall’Inferno?”.

“Potrebbe andarsene solo se chiedesse perdono a Dio. Non accadrà mai! E lì torniamo al discorso della sconfitta che abbiamo fatto pochi istanti fa. Dinnanzi ad una sconfitta, perché ricorda che noi demoni siamo stati sconfitti e cacciati dal Paradiso, sì può reagire in due modi: distruggersi o distruggere. Puoi piagnucolare per sempre oppure puoi reagire e spaccare tutto, avere la tua rivincita. Il re ha creato l’Inferno, si è creato un regno dove è Dio. Dove comanda e dove l’occhio divino non può giungere. Certo, non è fra i più ospitali ma non deve esserlo. L’Inferno è l’immagine della rabbia che porta dentro Lucifero”.

“Ed è una cosa buona essere così pieno di rabbia?”.

“Mi chiedi se gli farebbe bene un periodo di psicanalisi? Certo che sì. Ma questi non sono affari miei. Io devo pensare a te, giovane pupillo della famiglia reale. Vuoi fare questo mestiere?”.

“Sì”.

“Allora impegnati!”.

 

L’uomo che stava tentando in quel periodo Mefistofele era un dottore, o perlomeno si definiva tale. Aveva studiato molti campi e rami della conoscenza, giungendo infine alla magia nera. Keros non ne capiva la ragione. Il suo maestro gli aveva spiegato che l’essere umano è dotato di intelligenza ma che, quasi sempre, questa dote veniva sprecata in modo scemo. Ed in molti casi questa dote era parecchio minuscola nel cervello umano. Non era il caso di quel dottore tedesco, che di certo brillava di intelligenza ma probabilmente non aveva ben capito dove indirizzarla. Il giovane allievo, che trovava la lingua tedesca al pari del peggior dialetto degli inferi, aveva osservato il suo maestro mentre abilmente stringeva un patto con quell’essere. Desiderava un attimo di felicità. Uno soltanto. Non sembrava così difficile da accontentare. Ma, come aveva avuto modo di spiegare Mefistofele, gli esseri umani si dividevano in due categorie. Il primo gruppo si rialzava ad ogni affanno ed era facile portarlo al riso o al pianto, provava momenti di pura gioia e si risollevava dopo il dolore. Il secondo era quello composto da creature che, se fossero divenute padrone del mondo, si sarebbero chieste perché non possiedono pure la luna. Purtroppo quel dottore faceva chiaramente parte del secondo gruppo.

“Non devi avere timore” aveva ghignato Mefistofele “Anche se non è mai contento, ha fatto un patto con noi. Dobbiamo solo avere pazienza”.

Keros aveva imparato che gli esseri umani in sostanza chiedono sempre le stesse cose: amore, fama, ricchezza, salute, felicità. Ed aveva anche imparato a diffidare di chi chiedeva certi favori per altri, perché quel loro sacrificio spesso veniva considerato da Dio come un atto degno del Paradiso. Per fortuna capitava raramente, perché di base l’uomo era stato creato egoista ed idiota. E la donna? Già… Perché raramente le donne stipulavano simili patti?

“Perché sono più furbe” aveva spiegato il maestro “E sono più complicate. Non cercano, solitamente, fama e potere. Preferiscono amore ed attenzioni. Ma poi sanno come fregarti. Tutti noi siamo stati fregati almeno una volta da una donna. Perfino il re. Non so se te ne ha parlato”.

“Sophia? Sì, me ne ha accennato”.

“Io gli avevo detto di lasciar perdere, quando eravamo ancora angeli. Ma era già testardo ed orgoglioso come ora. Adesso organizza quei festini con le donne definite streghe ma poi gli umani le bruciano e Dio le accoglie in cielo perché uccise ingiustamente. Figurati se sul rogo una non prega per la salvezza…”.

“Però anime femminili ce ne sono all’Inferno”.

“Certo. Di donne stronze è pieno il mondo. Mai detto il contrario. Così come ci sono le demoni tentatrici. Sono rare, ma ci sono. Come tua madre”.

“Conoscevi mia madre?”.

“Tutti la conoscevano. E tu hai molti tratti in comune con lei. Dovresti sfruttarli”.

Keros rimase in silenzio. Osservò il suo maestro mentre mostrava a quel dottore nuove conoscenze e lo spingeva oltre ogni limite.

Un paio di volte era capitato che incrociassero qualche angelo, che sorvegliava la situazione e cercava di convincere l’umano a dedicarsi al pentimento ed alla penitenza. L’allievo aveva imparato a non provare più timore nei loro confronti, anche se preferiva non stuzzicarli.

Quel pomeriggio, gli angeli avevano tentato di seguire Mefistofele e l’umano tentato ma erano spariti quando la meta del demone era diventata un ritrovo di giovani fanciulle.

“Non esiste uomo in grado di resistere allo spettacolo di una bella donna dinanzi agli occhi” aveva ghignato il demone.

Keros si era soffermato ad ammirare quelle donne. Erano belle, comprendeva perché alcuni angeli fossero caduti e divenuti demoni perché innamorati di loro. Ed anche il tentato non era rimasto indifferente, pur avendo sempre quella faccia da “mi fa schifo la vita”. Ora l’allievo iniziava pure a comprendere perché Lucifero fosse così irritato da certi suoi atteggiamenti: si ripromise di essere più soddisfatto della sua vita. Dopotutto non aveva ragione di lamentarsi…

 

“Oggi è andata bene con l’umano, no?”.

La giornata era terminata, e maestro ed allievo ne stavano discutendo.

“Direi di sì” sorrise Mefistofele.

“Chiedo scusa se non ho voluto agire di persona. Domani lo farò. Lo giuro”.

“Bravo. Sarebbe ora…”.

Keros arrossì.

“Però…” mormorò “…ecco…”.

“Cosa c’è? Io oggi avevo ben altri programmi,sai? Ma non si può lasciare questi stupidi umani da soli nemmeno per qualche ora. Se li intercettano gli angeli, è un’anima persa!”.

“Domani. Domani potrete dedicarvi a ciò che desiderate, maestro. Mi occuperò io dell’umano. Però…”.

“Non iniziare a darmi del Voi. Mi fa sentire vecchio. E però che cosa? Parla!”.

“Vi prego, fatemi capire. Parlatemi. Ditemi cosa c’è di bello in me. Spiegatemi come posso tentarlo, da solo. Cosa c’è in me che mi rende adatto a fare il procacciatore?”.

L’allievo aveva chinato la testa, con fare remissivo e di supplica.

“Vuoi che te lo dica?” biascicò Mefistofele, servendosi del vino.

“Sì, vi prego”.

“Benissimo. Allora, tanto per cominciare, spogliati”.

“Che…?!”.

Keros arrossì e non rialzò la testa, spalancando gli occhi e continuando a fissare il pavimento.

“Spogliati” ghignò il maestro, afferrandogli il viso “Fallo e poi ti spiego, ragazzino”.

 

Aggiornamento!! Confesso che quel che seguirà non lo avevo inizialmente inserito nella storia ma una fan (lei sa chi è… ha commentato la storia :P) mi ha fatto venire questa idea. A presto. Prestissimo! (spero)

   
 
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