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Autore: LysL    24/04/2017    2 recensioni
Tutti, in quel piccolo villaggio sperduto sui monti Urali, conoscevano la leggenda; Otabek era cresciuto sentendo raccontare della terribile Regina di ghiaccio e del suo castello, nascosto tra le nebbie della montagna, oltre il bosco innevato, in quelle terre che il sole non riusciva a raggiungere.
Dal testo:
Una mano gli artigliò la spalla e Otabek fu costretto a girarsi per assecondare quel movimento; la mano lo spinse in ginocchio nella neve e Otabek percepì la lama spostarsi dalla propria gola fino alla nuca. Era ancora in posizione di svantaggio, ma almeno adesso poteva parlare.
«Chi sei?» chiese e ricevette un calcio tra le scapole; il colpo gli strappò il fiato dai polmoni e lui si ritrovò a boccheggiare, tossendo del sangue per terra, il sapore ferroso gli riempì sgradevolmente la bocca.
«Chi sei
tu? E come ti permetti di venire qui e parlarmi come se fossi un tuo pari.» La testa gli venne strattonata all’indietro e solo in quel momento Otabek vide chi realmente gli stava parlando.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Mila Babicheva, Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo IV

 

La mattina successiva alla chiacchierata con Mila, Otabek avrebbe voluto permettersi di indugiare un po’ di più a letto, poiché era domenica, ma Feliks aveva cominciato a bussare alla porta della sua stanza appena dopo l’alba e l’aveva messo a lavoro di buon’ora perché erano in ritardo su una consegna. Sebbene stesse pregustando quel riposto da tutta la settimana, Otabek non se la prese; eseguì tutto ciò che Feliks gli diceva di fare, erano compiti molto meccanici e gli permettevano di distrarre la mente da tutto ciò che vi turbinava dalla sera prima. Dopo la conversazione con Mila, la sua impazienza di vedere Yuri era cresciuta nell’arco di una sola notte. S’era svegliato con l’intenzione di andare da lui dopo aver rassettato la propria stanza, come gli chiedeva sempre di fare Magda, la moglie di Feliks e la richiesta dell’uomo aveva solo posticipato quel momento, rendendolo ancora più impaziente, tanto che Otabek si fermò giusto per trangugiare il proprio pranzo, prima di fiondarsi nella stalla e sellare Astra.
Sentiva la pelle solleticare, in tutto il corpo, e un lieve calore che gli riempiva lo stomaco, un calore che Otabek riconobbe come aspettativa e adesso, con la promessa di non raccontarsi più stupide bugie solo perché più comode, vi riconosceva anche la paura.
Non riusciva a liberarsi quel lieve, strisciante panico che gli faceva formicolare la nuca e le braccia, mandandogli brividi lungo la schiena. Era il timore di scoprire che le parole di Mila erano vere, che s’era veramente innamorato di un uomo, per quanto diverso da qualunque altro uomo avesse mai conosciuto. Sapeva cosa si pensava di quel tipo di relazioni, sapeva che nessuno si sarebbe mai augurato qualcosa del genere, eppure sapeva anche che era successo e continuava a succedere. Al suo villaggio, per esempio, tutti sapevano che i due uomini di mezza età che vivevano proprio ai piedi della montagna erano ben lontani dall’essere solo amici, almeno stando a ciò che gli era sempre stato detto. Però Otabek si ricordava che sua madre aveva semplicemente storto il naso alla vecchia donna che raccontava quella storia e che rideva di tanto in tanto invocando Dio, che potesse salvarli tutti. Eppure mai una parola di condanna o disgusto era uscita dalla bocca di sua madre, anche se di sicuro non nascondeva il suo non essere d’accordo.
Quel pensiero lo rassicurava, nonostante non fosse il suo unico timore. C’era anche un’altra cosa, forse ancora più spaventosa della prima: anche se fosse stato realmente innamorato di Yuri, nella parte razionale della sua mentre era consapevole di non potersi aspettare che Yuri lo ricambiasse e il solo pensarci gli faceva stringere spiacevolmente il petto.
Fu solo quando Astra nitrì il proprio disappunto alla sua distrazione, che Otabek riprese coscienza del presente e degli alberi che scorrevano accanto a lui. Sospirò, e spronò la propria cavalcatura a passo più rapido, in modo da potersi liberare di tutti quei dubbi il prima possibile.
 
Il viaggio gli sembrò più lungo del solito, ma di sicuro era solo un’impressione dettata dall’impazienza e quando finalmente arrivò alla radura scese da Astra più veloce che poté, lanciando la spada per terra e camminando veloce verso la foresta. Non ebbe neanche bisogno di chiamare quella volta, perché Yuri era appena dietro la prima linea di alberi e gli stava già sorridendo. Si fece largo tra gli arbusti e le fronde, talmente fitte che Otabek continuava a non spiegarsi come non fosse pieno di tagli e con i vestiti strappati in più punti, prima di uscire allo scoperto.
«Sei tornato di nuovo.» disse, e lo fece semplicemente perché ormai era diventato una specie di rito. Se durante le prime volte il tono era annoiato e insofferente, adesso era diventato gioviale e quasi affettuoso. Otabek si chiedeva se fosse davvero così sorpreso di vederlo tornare, ogni volta, anche dopo aver capito che non si sarebbe liberato di lui tanto facilmente.
«Te l’avevo detto.» alzò un angolo nella bocca, rispondendo a bassa voce. Si erano avvicinati e Otabek si perse ad osservare i lineamenti sottili del suo viso, con quella che doveva essere l’espressione più stupida di sempre stampata in faccia, se le parole di Mila erano state veritiere (ed era piuttosto sicuro che lo fossero); prese un profondo sospiro e tossicchiò, distogliendo lo sguardo da Yuri. Doveva stare calmo, non doveva farsi sopraffare in quel modo, doveva capire cosa gli stesse succedendo e doveva farlo quel pomeriggio, prima che la situazione si complicasse ancora.
Yuri lo stava guardando stranito, con quei suoi occhi verdi e all’apparenza tanto freddi, eppure tutto ciò che Otabek provava era calore, diffuso in tutto il corpo, più concentrato sulle guance e nello stomaco, che gli si contraeva gradevolmente tutte volte che incrociava le iridi dell’altro.
Poi Yuri mosse velocemente il polso a mezz’aria, lasciando scattare e dita indietro, e sul suo palmo di materializzarono le pergamene che utilizzavano per studiare. Otabek seguì quel movimento con occhi incantati; vedergli compiere magie era ancora qualcosa che lo destabilizzava, lo affascinava oltre ogni dire e gli dava piena idea di chi fosse realmente il ragazzo che gli stava di fronte. Era già successo altre volte, ad esempio quando Yuri, con il palmo aperto contro la sua schiena, lo aveva aiutato ad asciugarsi dalla neve che si scioglieva sotto i suoi vestiti, lasciando solo una tiepida sensazione preceduta da uno strano intorpidimento, ma Otabek sapeva che non avrebbe mai smesso di meravigliarsi di fronte a quei piccoli miracoli che Yuri sapeva compiere. Scosse la testa piano e fece un sorrisetto.
Yuri lo ricambiò e il cuore di Otabek decise di stringersi e pulsare più forte; Otabek voleva alzare una mano, accarezzargli il volto, sentire sotto le dita quel sottile sorriso e il modo in cui gli mutava i lineamenti e per la prima volta fu consapevole di quel pensiero, inspirò e strinse i propri pantaloni, per impedirsi di farlo.
Nuovamente, fu Yuri a spezzare tutta quella tensione che Otabek sentiva accumularsi ogni secondo di più.
Prese le pergamene del Cantare delle gesta di Igor e le aprì, cercando il punto in cui erano arrivati il giorno prima, mentre borbottava. «Se oggi finiamo questo, puoi provare a scrivere qualcosa sotto dettatura, domani, che ne dici?» alzò un occhio su Otabek, in attesa di risposta.
Otabek si affrettò ad annuire. «S-sì, certo.» lo sguardo di Yuri si assottigliò, ma lui non disse niente, almeno fino a quando non trovò il segno; a quel punto produsse un verso soddisfatto e si avviò sotto il loro solito albero, crollando a terra con molta poca grazia e schiacciando la neve sotto di sé con uno scricchiolio.
Otabek lo seguì poco dopo; fu il pomeriggio più pesante che riuscisse a ricordare, mentre cercava di non sbagliare le lettere e scrutava il viso di Yuri nel frattempo. Ovviamente, la sua distrazione non giovò assolutamente al compito che stava tentando di portare a termine, fino a quando Yuri, con uno sbuffo rumoroso, non decise di mettere fine a quello strazio.
«Non sei concentrato.» gli fece presente e Otabek si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo: come se non lo sapesse già da sé. Mugugnò qualcosa di inintelligibile, prima di spostarsi le pergamene dalle gambe incrociate e posarle di fronte a Yuri, che si affrettò a riprendersele, per evitare che si bagnassero. «Scusa.» bofonchiò Otabek.
Yuri schioccò la lingua. «No, lascia perdere, riproviamo domani, per adesso è inutile continuare.» Non sembrava arrabbiato, né infastidito, notò Otabek, mentre Yuri faceva scomparire nuovamente le pergamene. Pareva semplicemente confuso, come spesso accadeva quando Otabek faceva qualcosa che lui non aveva previsto, solo che in quei casi chiedeva sempre ad Otabek il perché delle sue azioni, mentre quella volta rimase in silenzio e si alzò, calciando un po’ di neve. Camminò un po’ in tondo, mormorando parole che Otabek non colse, fino a quando non si voltò nuovamente a fronteggiarlo, le braccia incrociate al petto.
Otabek si sentì mancare il respiro quando gli occhi determinati di Yuri si piantarono nei suoi; erano passati mesi, e ancora non riusciva ad abituarsi al modo in cui l’altro lo guardava, alle sue iridi verdi e quasi velate d’azzurro, sapeva già che non vi si sarebbe abituato mai.
«Voglio fare qualcos’altro.» sbottò allora Yuri e Otabek alzò un sopracciglio in una muta domanda.
Yuri si guardò intorno, prima di individuare Astra che brucava tra la neve in cerca della tenera erbetta appena spuntata «Posso cavalcare Astra?» gli chiese. Otabek fissò prima Yuri, poi Astra, poi di nuovo Yuri, il quale nel mentre aveva assunto un’espressione un po’ scocciata.
«Se non vuoi, puoi semplicemente dirmelo, invece di fissarmi come un idiota.» lo apostrofò, acido, e il suo comportamento strappò una risata ad Otabek. Si alzò in piedi, richiamando Astra con un fischio.
Lei gli si avvicinò trottando piano. «Certo che puoi cavalcarla.» gli disse allora. Astra gli diede un colpo col muso sulla spalla, per attirare la sua attenzione e lui le accarezzò il collo. «Vero, bellezza? Ti lascerai cavalcare da Yuri, sì?» Astra nitrì sotto quelle carezze. «Brava, bella.» le diede due lievi colpetti sul fianco, così da farla posizionare in modo che Yuri potesse salirle in groppa.
Lui si avvicinò. Le sue mani bianche si alzarono a sfiorare la criniera di Astra, passando le dita tra i fili neri. La cavalla scosse la testa, in quello che Otabek sapeva essere un segno di soddisfazione, ma Yuri ritirò il braccio con uno scatto e gli lanciò uno sguardo scettico.
«Devi rilassarti, se sei teso lei lo sente. È più intelligente di quanto credi.» gli spiegò. Gli prese delicatamente il polso e, portandolo di nuovo a contatto con il collo di Astra, aprì la mano su quella di Yuri. «Piano, così.» le dita di Yuri si mossero con più sicurezza contro la criniera. Nel mentre, Otabek era certo che il suo cuore stesse esaurendo tutta l’energia che aveva in corpo, a giudicare dalla velocità con cui batteva.
«Adesso puoi salire.» gli disse. Guidò la sua mano sinistra al corno e gli indicò di mettere la destra sull’arcione, in modo da poter far leva una volta messo il piede nella staffa. Yuri seguì le sue istruzioni, voltandosi a guardarlo appena un momento prima di issarsi. «Non mi disarciona, vero?» la sua voce parvi di nuovo insicura, e Otabek ghignò alla sua espressione preoccupata. «Solo se la infastidisci.»
«Sta’ zitto.» borbottò Yuri, fece leva sul piede già assicurato alla staffa e si tirò su, sedendosi scomposto sulla sella. Astra scalpitò all’improvviso peso, distribuito in modo diverso da quello a cui era abituata.
Yuri teneva le gambe troppo allargate e la schiena troppo morbida: qualsiasi movimento un po’ più brusco l’avrebbe fatto finire per terra. Otabek scosse la testa, tirando le redini per calmare la propria cavalcatura e le sussurrò di stare buone, prima di rivolgersi al ragazzo. «No, no, Yuri, rilassati.» gli posò una mano sul polpaccio, facendola risalire lungo la sua coscia, in modo che aderisse al ventre di Astra. «Devi fidarti di lei, appoggiati meglio e tieni la schiena dritta.» si accorse dopo di come le sue dita si fossero strette sulla gamba di Yuri e la lasciò andare di scatto; se Yuri l’aveva notato non lo diede a vedere, ma continuò a tenere le redini come se ne andasse della sua vita e fece come gli era stato detto. Yuri inspirò ed espirò, mentre un sorrisetto gli si apriva sul volto e lui portava una mano ad accarezzare la testa di Astra. Il manto scuro della cavalla contrastava intensamente con la pelle diafana di Yuri e Yuri stesso sembrava uno di quei cavalieri che sfilavano al paese, senza neanche rendersene conto, fiero ed in groppa ad una bellissima cavalcatura; non indossava un’armatura, non aveva una spada che gli pendeva al fianco ed era mille volte più elegante di un qualsiasi cavaliere, eppure il suo sguardo, il suo portamento, il modo in cui era determinato a farcela erano in tutto e per tutto quelli di un soldato. Colpì piano il fianco di Astra con il tacco dello stivale e lei mosse un passo in avanti e poi un altro. Otabek li osservava incantato, perché era sicuro che non avrebbe mai più visto un’immagine tanto perfetta. Il sole morente del pomeriggio colpiva i capelli intrecciati di Yuri creando un eccezionale gioco di luci sulle ciocche bionde: Mila avrebbe venduto l’anima per poter disegnare qualcosa del genere, ma in cuor suo Otabek si sentiva fortunato d’essere l’unico a poter godere di quella vista.
Yuri continuava a girare in tondo, felice che Astra non lo stesse disarcionando e non desse segni di fastidio, finché non si ritrovò davanti ad Otabek. Si spostò in avanti sulla sella. «Ti fidi di me, Otabek?» domandò. I suoi occhi ardevano e Otabek non aveva nessuno scusa per dirgli di no, tuttavia non voleva dargli l’idea di essere totalmente nelle sue mani, anche se era ben consapevole che fosse esattamente così. «Dipende.»
Yuri alzò gli occhi al cielo, con un sorrisetto sghembo. «Voglio mostrarti una cosa, ma devi fidarti di me.» gli porse una mano, un chiaro invito a salire a cavallo con lui.
Otabek assottigliò lo sguardo mentre la voglia di scoprire cosa avesse in mente Yuri si faceva sentire, prepotente e, senza credere a ciò che stava per fare, Otabek afferrò la sua mano, gelida come sempre, issandosi dietro di lui. Inspirò profondamente e cercò di non concentrarsi su quanto fossero fisicamente vicini, più di quanto lo fossero mai stati, con la schiena di Yuri premuta contro il petto e le gambe che strofinavano insieme ad ogni movimento di Astra.
Yuri si voltò a guardarlo e se Otabek avrebbe potuto ignorare la sua vicinanza, non poteva però ignorare i loro nasi che quasi si toccavano. Trattenne il fiato e si riscosse solo quando Yuri gli chiese di prendere le redini. Gli passò le braccia attorno al busto, mentre quelle di Yuri si andarono a posizionare in avanti, le mani sul corno. «Entra nel bosco.» gli disse, in un soffio che si spense sulle labbra di Otabek.
Per un attimo, Otabek credette di aver capito male, poi il respiro gli si bloccò nella gola, fuoriuscendo in un singulto strozzato, mentre stringeva la presa sulle redini. Il suo corpo prese a tremare, ogni nervo si infiammò e ogni muscolo si contrasse al ricordo della paura che aveva provato nel fitto di quella foresta. Un goccia di sudore freddo gli colò lungo la tempia, e Yuri se ne accorse perché la seguì con lo sguardo.
«Non devi avere paura.» mormorò lui, ma non si mosse. «Sei con me.»
«Yuri, per favore, non farmi tornare lì dentro…» Otabek percepì il terrore, mai dimenticato, prendere possesso delle proprie membra e l’unica cosa che lo tratteneva dall’indirizzare Astra lontano da quel posto erano solo gli occhi di Yuri. La sua mano fredda corse a stringergli un braccio. «Fidati di me.» ripeté; la sua voce era calma, sicura e, Otabek avrebbe potuto giurarci, sincera. Yuri non voleva fargli del male, Yuri non voleva abbandonarlo nel bosco, né voleva guidarlo dalla Regina. Prese un paio di profondi sospiri, che uscirono tremanti dalla sue labbra dischiuse. Senza pensarci, si fece più vicino a Yuri e adesso era sicuro che l’altro potesse sentire il suo cuore martellare dentro la sua cassa toracica, ancora in preda al panico.
«Beka?»
Quell’unica parola gli fece scattare la testa verso l’alto, incrociando di nuovo gli occhi di Yuri. Era evidente che neanche l’altro fosse sicuro di cosa aveva appena detto, ma Yuri era impulsivo, probabilmente aveva pensato a quel soprannome e l’aveva semplicemente usato, senza rifletterci più di tanto.
La presa di Yuri sul suo braccio si strinse e lui cercò di muoversi sulla sella per poterlo guardare. «Non so come provarti che non farò niente, quindi devi solo fidarti di me, per una volta. E ho bisogno che tu guidi Astra, perché io non so farlo.» sembrava quasi ferito dalla mancanza di fiducia di Otabek nei suoi confronti e Otabek non poteva far nulla in proposito, non perché non si fidasse, ma perché la consapevolezza di essersi perso, la paura di stare per morire e la perdita di ogni speranza avevano lasciato un solco troppo profondo.
Però Yuri era lì con lui, e lui non aveva paura di Yuri, non poteva aver paura di Yuri, non se lui gli stringeva il braccio e non se lo fissava negli occhi in quel modo.
Abbassò le palpebre, così da non dover vedere l’esatto momento in cui si sarebbe lasciato la radura alle spalle. «Guidami.» gli disse e percepì il modo in cui la schiena di Yuri si distese, appoggiandosi al suo petto.
La voce di Yuri risuonava chiara, mentre si inoltravano nella fitta boscaglia, ma Otabek non sentiva Astra lamentarsi, come se il suolo non fosse ricoperto da arbusti secchi e graffianti. Per un attimo gli parve che Yuri avesse poggiato la testa sulla sua spalla, ma la sensazione scomparve dopo pochi secondi.
Cavalcare ad occhi chiusi era una delle cose più strane che avesse mai fatto: nonostante l’adesso sottile paura di cui ancora non era riuscito a liberarsi, la vicinanza di Yuri e la calma di Astra avevano avuto l’effetto di rilassarlo e Otabek stesso aveva preferito concentrarsi sui suoni che lo circondavano. Non c’erano urla, non c’erano fruscii sinistri e il vento non faceva stormire le foglie in mille sussurri inaudibili, gli zoccoli di Astra affondavano nella neve e la schiacciavano scricchiolando, ma non c’era niente di strano, niente di pauroso. Si permise di sospirare, e sentì Yuri ridacchiare. «Siamo quasi arrivati, falla girare verso sinistra.» Otabek non vedeva dove fossero, ma sentì un rumore diverso, come se Astra stesse camminando su erba morbida e non sulla neve. La cavalla nitrì piano accelerando il passo fino a che Yuri non gli chiese di fermarla. Otabek tirò le redini e le lasciò andare, senza però spostare le proprie braccia da attorno a Yuri.
«Adesso puoi aprire gli occhi.» gli mormorò, poi gli sollevò un braccio per poter scendere. Anche quella volta, Otabek si aspettava lo stridio della neve sotto la suola degli stivali, ma non venne mai e l’atterraggio di Yuri venne attutito dal terreno.
Anche l’odore era diverso, più dolce e umido e Otabek poteva giurare di riuscire a sentire il rumore di acqua che scorreva lì vicino. Aprì gli occhi, gradualmente, e lo spettacolo che gli si aprì di fronte gli spezzò il fiato.
Si trovava in un prato circondato da alti alberi i cui tronchi erano coperti di muschio verde e soffice. La luce del giorno non era ancora del tutto scomparsa e il cielo era un colore azzurro cupo, dove solo poche stelle facevano già capolino.
Il prato era coperto di fiori, ce n’erano di blu e violetti, come anche di bianchi e gialli, e gli sembrarono così fuori posto quando voltò la testa a guardarsi indietro e si accorse della neve a sole poche iarde da dove si trovava lui. Girando su se stesso, si accorse anche che il rumore che aveva sentito non era altro che un piccolo ruscello. Scorreva costeggiando una parete di roccia e si riversava in una piccola pozza d’acqua limpida e con il fondo di ciottoli.
Otabek si accovacciò per terra, le dita tremanti che sfioravano l’erba, mentre le narici gli si riempivano dell’odore di quel posto, riconoscendovi la nota dolce che aveva sentito in Yuri. Alzò gli occhi verso Yuri e scoprì che lo stava guardando, l’ombra di un sorriso sul volto.
«Cos’è questo posto?» gli chiese, senza smettere di passare le mani tra l’erba e fiori. Non riusciva a crede di star vedendo davvero una cosa simile. Sentiva anche caldo, tutto d’un tratto e si accorse che la temperatura era in tutto e per tutto uguale a quella primaverile, quasi estiva; si tolse il mantello e la giacca mentre si tirava in piedi.
Yuri fece lo stesso, lasciando cadere la sua lunga veste per terra e scoprendo una semplice camicia bianca che gli lasciava scoperto il petto. Otabek ebbe appena in tempo di notare le linee chiare dei muscoli, prima di sentirsi arrossire mentre qualcosa gli si muoveva nello stomaco e scivolava verso il basso. Distolse lo sguardo, imbarazzato da quella reazione. Forse era questo a cui si riferiva Mila quando aveva parlato dell’aver qualcosa da dire sul suo corpo.
Yuri sorrise e stirò le braccia verso l’alto. «È il posto dove vivo. Si trova proprio al centro del bosco e nessuno può raggiungerlo tranne me…» fissò Otabek. «Me, e chi reputo degno di conoscerlo.»
Otabek scelse di ignorare le parole di Yuri e il significato che potevano avere, concentrandosi invece sull’altro, che aveva preso a camminare verso il ruscello; era visibilmente più rilassato di come era al di fuori della foresta, e per la prima volta Otabek comprese quanto profondo fosse il legame che condivideva con ogni singolo filo d’erba ed ogni singolo albero; lo vide nel modo in cui i suoi piedi si poggiavano sulla terra o nel modo in cui le sue mani sfioravano la roccia e le cortecce, con reverenza, con amore. Yuri sembrava pieno d’amore in quel momento, un amore incondizionato e leggero, non di quegli amori soffocanti che troppo spesso aveva visto fuori, al paese e al villaggio.
Si sedette sul bordo del laghetto e gli fece cenno di avvicinarsi. Otabek lo osservò mentre si sfilava gli stivali e immergeva i piedi nell’acqua trasparente, schizzò un po’ in giro, come un bambino che saltava dentro una pozzanghera e chiuse gli occhi, lasciando che l’acqua si facesse di nuovo calma attorno a lui.
Otabek gli si rannicchiò accanto e allungò una mano per sentirne la temperatura; si stupì di trovarla tiepida e ancor più si stupì quando uno spruzzo gli arrivò sul volto. Yuri lo guardò con un sopracciglio alzato. «Questo è perché non ti fidi di me, idiota.»
Otabek aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse in un ghigno. «Pensavo avessimo smesso con gli insulti.»
«Non è un insulto, è un dato di fatto.»
Dopo quelle parole, Yuri non poté proprio lamentarsi quando anche il suo viso venne spruzzato. Lasciò andare un’esclamazione stupita e procedette a schizzarlo di nuovo. Otabek ridacchiò, mentre sentiva le goccioline solleticargli il collo ed intrufolarsi sotto la sua maglia. Mise la mano a coppa per raccogliere più acqua e la indirizzò proprio verso Yuri, che si scostò all’ultimo momento, senza però riuscire ad evitare di bagnarsi il capelli. Otabek ebbe la sensazione che l’avesse fatto apposta: Yuri era scattante ed era praticamente impossibile coglierlo di sorpresa.
Yuri si asciugò il viso con la manica della camicia anche se alcune ciocche di capelli gli rimasero incollate alle tempie, l’acqua che colava in piccole gocce, segnandogli il profilo della mascella e scomparendo tra le clavicole.
Aveva gli occhi socchiusi e un angolo della bocca sollevato. Per la seconda volta, Otabek gli guardò le labbra. Erano piegate in un sorriso morbido, tutto il suo viso era rilassato, la pelle bianca che, come la prima sera che l’aveva visto, pareva brillare di luce propria.
Se lo aspettava, perché non era stupido e aveva smesso di mentire a se stesso dalla chiacchierata con Mila, eppure ciò non gli impedì di rimanere senza fiato quando, per la prima volta, per la prima volta sentì la voglia, quasi imperativa, di baciare Yuri. Voleva sentire la morbidezza di quelle labbra sulle proprie, voleva accarezzargli le guance, sciogliergli tutte le trecce e passare le dita in mezzo ai suoi capelli biondi, voleva sentire il suo respiro sulle guance, sulla bocca, e non perché si trovavano a cavallo di Astra, ma perché volevano e basta.
«Beka, perché mi guardi così?» domandò Yuri, e dovette accorgersi di quanto Otabek si fosse bloccato, perché parlò molto piano.
E di nuovo quel soprannome che gli strinse il petto, riempiendolo di un calore che nulla aveva a che fare con la temperatura del prato, perché nonostante Yuri fosse una creatura non umana, nonostante fosse freddo e spesso scostante, Otabek sentiva solo calore, quando stava con lui. Si sentiva bene, si sentiva libero, libero di essere chi volesse e come volesse, svincolato da ogni credenza che poteva aver avuto fino al loro incontro.
Yuri non era cattivo, Yuri non era un assassino spietato e non era crudele, e tutto quello che gli avevano raccontato era profondamente sbagliato.
Mentre lo guardava, Otabek realizzò che avrebbe potuto anche osservarlo per il resto dei suoi giorni e continuare a meravigliarsi di fronte ad ogni dettaglio del suo viso, del suo corpo, della sua voce, del suo profumo. Avrebbe potuto ascoltarlo per ore ed ore senza mai esserne stanco, avrebbe potuto semplicemente stargli vicino senza dire niente e ne sarebbe stato contento.
L’aveva promesso a Mila, le aveva detto che ci avrebbe quantomeno provato, e se fino a qualche secondo prima aveva potuto avere riserve, adesso non avrebbe potuto tirarsi indietro, perché era invigorente, era caldo ed era troppo. Troppo travolgente e troppo vero per poter continuare ad ignorarlo.
«Y-yura…» cominciò, ma si bloccò subito nel sentire il modo in cui aveva pronunciato il suo nome; Yuri tuttavia non fece niente, si limitò a guardarlo ed aspettare.
«Io credo di essermi innamorato di t-» Continuò, ma l’espressione che si dipinse sul volto di Yuri lo frenò appena prima che potesse pronunciare l’ultima vocale e la sua voce si troncò bruscamente.
Non credeva fosse possibile, ma gli occhi solitamente fieri e pieni di furore si erano trasformati in due pozze liquide. Verdi e cupe, sotto il cielo che si scuriva sempre di più, lucide, tristi e Otabek non sapeva cosa fare, perché riusciva solo a percepire il caos d’emozioni che turbinavano dentro di sé, come fiocchi di neve agitati dal vento, senza riuscire a distinguere le une dalle altre. Ed il proprio cuore, che batteva veloce, eppure ancora troppo lento, aritmico, come a prendersi gioco di lui.
«Otabek no. Non puoi esserlo davvero.» ringhiò Yuri, quasi fosse arrabbiato, e Otabek assistette impotente alle lacrime che gli inumidirono le ciglia, non troppe da scivolare sulle sue guance, ma abbastanza da essere visibili.
«Perché no? Yuri, cosa succede?» mandò al diavolo tutto, e con delicatezza gli prese il volto tra le mani. «Cosa succede?» Non capiva.
«Beka, non puoi. Non puoi.» disse di nuovo lui, la voce incrinata, prossima allo spezzarsi.
«Yura non dipende da me. Perché non posso?» Non capiva.
Yuri gli afferrò i polsi e li strinse forte, tanto che Otabek sentì il sangue pulsare nelle vene a contatto con le sue dita gelide. «Perché io non posso.»
Otabek ebbe appena il tempo di recepire quelle parole, prima che tutto si fermasse.
 
 
Erano vicini, occhi fissi gli uni negli altri, le fronti quasi a contatto, eppure Otabek si sentiva miglia e miglia lontano da Yuri. «Cosa significa che non puoi?»
Yuri sospirò e fece per liberarsi dalla sua presa, ma Otabek non aveva intenzione di lasciarglielo fare, nonostante sapesse che se Yuri avesse voluto davvero divincolarsi, allora lui non avrebbe potuto far niente per evitarlo. Si limitò a lasciar scivolare le mani più verso i suoi capelli e la nuca, i pollici che gli strofinavano le tempie.
«Io non posso amare, Otabek. Non ci riuscirei, neanche se volessi.» gli rivelò infine, con voce distrutta, abbassando lo sguardo.
Ma Otabek non capiva, non riusciva a comprendere cosa volesse dire che Yuri non poteva amare, come fosse possibile, quando fino a pochi minuti prima sembrava aver così tanto amore da donare. «Io… non capisco, Yuri.»
Yuri inclinò la testa, quasi appoggiandosi al suo tocco, ma quando parlò il suo tono era diventato di nuovo freddo. «Quando ho accettato questo compito, quello di salvaguardare la foresta, la Regina mi ha fatto giurare che avrei votato la mia vita a quello e solo quello. Tutti hanno paura della Regina perché portatrice di freddo e morte, ma il suo potere più terribile è questo, lei priva della capacità di amare, in parte o del tutto. Per questo non posso, perché non so cosa voglia dire amare nel modo in cui voi umani vi amate l’un l’altro. Posso provare un labile affetto, posso provare gratitudine, ma non posso amare come vuoi amarmi tu.»
Otabek utilizzò tutta la propria volontà per non ribattere di nuovo, anche se non capiva come potesse esistere una cosa del genere, come si potesse vivere senza l’amore. Fu in quel momento che si ricordò delle parole di Yakov.
«Sembrava che avessi perso la capacità di amare… come se la mia anima fosse rimasta con lei.»
Guardò di nuovo il viso triste di Yuri e non riuscì a frenarsi: passò le braccia attorno alla sua figura e lo tirò verso di sé. Lui ricambiò l’abbraccio e Otabek sentì le sue dita aggrapparsi alla stoffa della camicia. Yuri appoggiò la fronte contro la sua spalla e sospirò.
«Mi dispiace, Beka.» mormorò. Otabek non disse niente, lo strinse solo più forte, sperando che la sensazione di averlo tra le braccia avesse la meglio sul pizzicore agli occhi che gli impediva di tenerli aperti. Respirava pesantemente, incapace di far nient’altro che tenere Yuri vicino a sé, aveva paura che lasciandolo andare lui sparisse nel folto del bosco, abbandonandolo lì.
«Io mi ricordo com’era prima, lo so cosa significa. Lo vedevo in molte persone, l’ho provato io stesso e lo capivo, però ho dovuto…» la frase si perse nell’aria umida della radura, poi Yuri inspirò e continuò.
«Ho dato alla Regina il permesso di prenderselo.» si scostò da Otabek, ma portò entrambe le mani a stringere le sue, i lineamenti mesti e gli occhi arrossati. Prese un altro profondo respiro, e Otabek seppe che stava per raccontargli cosa era accaduto.
 
«Mio padre beveva molto, mia madre e mio nonno erano gli unici a mandare avanti la nostra casa, assicurandosi che non mi mancasse mai niente. Poi mio nonno è morto e mia madre pareva non aver voglia di andare avanti, in alcun modo. Mio padre la picchiava. La picchiava quando non avevamo niente da mangiare, la picchiava quando ne avevamo poco, la picchiava anche se era abbastanza e lei non reagiva, non reagiva mai, diceva di meritarlo.
L’inverno era alle porte e c’era freddo, perché nessuno dei due aveva pensato a spaccare la legna e io ero troppo piccolo per poterlo fare. Così, a undici anni, il giorno in cui mio padre era troppo ubriaco per accorgersene e mia madre troppo stanca per alzarsi da letto scappai via, e mi infilai nel bosco. Prima non era così. Era molto più esteso, ma nessuno lo proteggeva, quindi mi bastò andare sempre a nord per trovare il palazzo della Regina. Non so nemmeno perché mi ascoltò, quella volta. Le chiesi di aiutarmi, di aiutare la mia famiglia. Li amavo, prima.
Mi seguì fino a casa, donandomi un mantello più caldo e qualcosa da mangiare. Appena vide i miei genitori mi chiese se volessi davvero salvarli, le assicurai di sì. Erano la mia famiglia. “C’è un prezzo.” Mi disse e, senza nemmeno sapere di cosa si trattasse, acconsentii.
“Potrai vivere con loro finché vuoi, ma quando entrambi ti lasceranno solo, dovrai tornare da me e fare ciò che ti dirò.” Era questo il patto, e non mi parve una pretesa troppo grande, dopotutto io volevo solo vivere con la mia famiglia, non mi importava del dopo.
Lei mi sorrise, ricordo e io mi convinsi che tutto fosse ritornato al proprio posto. Non so ancora come abbia fatto, ma nell’arco di una notte mia madre era tornata quella di un tempo e mio padre smise di bere, sobrio come non lo vedevo da anni. Andava bene.
Per qualche anno vivemmo proprio come una famiglia, poi le cose peggiorarono di nuovo; mio padre ricominciò a bere, a picchiare mia madre, a volte anche me, fino a quando non ci giunse notizia che una notte, ubriaco, era andato a giocare d’azzardo alla taverna del mio villaggio e non era più tornato. Non so nemmeno se sia morto quella notte o dopo. Mi sentii male, perché non mi importava, era sempre stato terribile con me e mia madre e pensai che neanche la magia della Regina avesse potuto avere la meglio sulla sua indole marcia. Ma avevo ancora mia madre, e bastava. Qualche volta era più triste, pensavo si sentisse sola, non mangiava e non voleva alzarsi dal letto, però ormai avevo quasi sedici anni, quindi potevo lavorare e provvedere alla nostra vita. La accudivo, la lavavo quando non voleva farlo da sola, la imboccavo. Poi migliorava, faceva le faccende di casa, cucinandomi i miei piatti preferiti, ma non durava mai. Aveva delle crisi ed ero sempre io a dover evitare che si facesse del male. Andammo avanti così per ancora qualche anno, poi, pochi mesi prima del mio ventesimo compleanno, lei morì. Si uccise. Successe mentre io non ero a casa. tornai la sera tardi, solo per trovarla in una pozza di sangue con il coltello che usava per preparami da mangiare piantato nello stomaco.
Non so per quanto tempo rimasi per terra a piangere, ma quando mi rialzai sapevo che c’era una sola cosa da fare. Ero a pezzi, avevo perso tutto quello per cui avevo lottato, avevo solo la mia parola.
Quando mi presentai alla Regina lei mi disse che gli umani non meritano di essere amati come io amavo i miei genitori, e mi disse che era in grado di liberarmi da quel fardello. Ero distrutto dal dolore e mi parve l’unica cosa sensata, perché non appena mi guardò negli occhi, prendendosi quel pezzo della mia anima, il dolore scomparve, rimpiazzato da una calma fredda. Mi chiese di diventare guardiano di questo bosco, in modo che nessuno potesse più raggiungerla lì, nel suo castello e io accettai, perché le avevo dato la mia parola che sarei rimasto al suo fianco e quale modo migliore di farlo, se non quello di proteggerla? E da allora questo è il compito a cui devo dedicarmi.»
 
Quando Yuri smise di parlare non aveva ancora spostato gli occhi da quelli di Otabek, che lo guardava. Provò a parlare, a dire il suo nome, dirgli che gli dispiaceva, che se avesse saputo non l’avrebbe mai costretto a ricordare, ma il fiato gli morì in gola: Yuri non avrebbe voluto essere compatito, Yuri avrebbe voluto essere capito e non importava se ne fosse innamorato o meno, Otabek era prima di tutto suo amico.
Yuri non credeva che gli umani fossero degni di essere amati, ma dopo aver ascoltato la sua storia per intero, Otabek aveva capito che lui per primo non credeva di meritare amore. Era stato così facile per lui rinunciare a quell’emozione perché non sapeva nemmeno come ci si sentisse ad amare ed essere amati in egual maniera.
Yuri aveva così tanto amore da donare, non si era sbagliato, ma non sapeva come fare e non per colpa della Regina, o almeno non del tutto. La colpa era stata della sua storia, della sua famiglia, ed era il motivo per cui adesso si trovava bloccato in quella situazione.
A Otabek si strinse il cuore e per quanto anche in quel momento il suo desiderio più grande fosse baciarlo e far finta che fosse un semplice ragazzo, Otabek non poteva farlo, non era giusto e Yuri si meritava di meglio.
Gli posò entrambe le mani sulle spalle, con delicatezza. «Vuoi che me ne vada?» gli chiese, perché non gli avrebbe imposto la sua presenza, se Yuri avesse voluto rimanere da solo dopo quello che gli aveva raccontato. O se non avrebbe voluto più vederlo.
Lui scosse la testa. «Non voglio che tu te ne vada, ma se tu vuoi andartene non ti tratterrò.» lo disse serio, senza alcuna inflessione, proprio come aveva narrato la sua storia. Il suo tono monocorde metteva i brividi.
«Non voglio andarmene, Yura. Non me ne andrò fino a quando non mi dirai tu di farlo.» lo rassicurò, anche se sentiva il cuore spezzarsi ad ogni parola. Yuri era pronto a lasciarlo andare, mettendo da parte l’unica cosa simile ad un affetto che avesse provato in tutti quegli anni.
Otabek non sapeva come ci si sentisse. Provò ad immaginare una vita senza la sua famiglia, senza le lettere scambiate ogni settimana, senza sentire la loro mancanza, senza poter sentire la risata di Mila e poter apprezzare quel modo sottile che aveva di essere buona, o senza quello che provava per Yuri. Si sentì terribilmente vuoto, come se all’improvviso un’enorme voragine gli si fosse aperta proprio al centro del petto, il cuore che pareva stretto in una morsa.
«Allora siamo bloccati qui.» scherzò Yuri, ma ad Otabek non sfuggì il modo in cui i suoi occhi s’erano fatti cupi. Yuri abbassò il volto e gli lasciò andare una mano, afferrando il bordo della roccia su sui era seduto, ma tenne stretta l’altra e mosse i piedi nell’acqua tiepida.
«Yura?» le sue dita tremarono. Lo sciacquio si fece più lento mentre Yuri si voltava a guardarlo. «Se potessi scegliere, vorresti tornare ad amare?»
Lesse la risposta nei suoi occhi ancor prima che Yuri aprisse bocca. Volle quasi chiedergli di non rispondere, ma a che scopo? Sentirglielo dire non avrebbe cambiato il fatto che per quanto avesse voluto sperare il contrario, Otabek in cuor suo già lo sapesse.
Yuri storse le labbra, scuotendo la testa. «No.» e lo disse con così tanta sicurezza che Otabek, quella volta, dovette lottare davvero per non lasciarsi travolgere da tutta quella tristezza che lo circondava. Annuì, facendogli capire che rispettava la sua decisione, pur non riuscendo a comprenderla.
Non parlarono più, ma Yuri appoggiò il capo sulla sua spalla, e ad Otabek andava bene così, per ora.
 
 
Il ritorno fu lento; Otabek tenne gli occhi aperti e capì perché quando erano arrivati gli era parso che il suolo fosse libero: era come se gli alberi e i cespugli secchi si spostassero al loro passaggio, lasciandoli avanzare come non avrebbero mai fatto se non ci fosse stato Yuri.
Quella volta lui era seduto proprio davanti al corno e Yuri si teneva al retro della sella, senza che Otabek avesse bisogno di essere guidato. Per una volta, Otabek era lieto che Yuri non possedesse alcun calore corporeo, perché era più facile fingere che non lo stesse toccando se non percepiva la sensazione bruciante del suo fiato sul collo o del suo petto contro la schiena. Lo guardò scendere e alzare una mano per salutarlo, prima di girarsi senza guardarlo e ritornare nel suo prato senza tempo e stagione.
Quella notte, per la prima volta da quando aveva iniziato a vedere Yuri, Otabek sognò di nuovo la figura bianca. Lui camminava veloce su una strada sterrata prima di arrivare ad una casa dalla porta aperta, ma una volta entratovi riusciva solo vedere un cadavere in una pozza di sangue e la figura bianca, schizzata di rosso, che piangeva rannicchiata sulle assi di legno del pavimento.
 
 
 
 
Note finali:
Salve a tutti!!
Mi scuso per il ritardo nel ritardo, ma la vita reale mi richiama, visto che anche dopo l’esame ho avuto da fare con l’università e progetti vari, oltre ad essere finalmente riuscita a recuperare un po’ di vita sociale :’)
Bene (o non bene), questo capitolo è stato uno strazio da scrivere, perché l’angst non è esattamente nelle mie corde eppure mi ostino a scriverne yay, ma mi ritengo abbastanza soddisfatta della riuscita, anche perché durante la revisione, ho aggiunto solo una scena nuova e non due o tre, come mi succede di solito, e nella parte finale non ho cambiato quasi nulla, mi sembrava abbastanza pregna di emozioni già così, senza appesantirla con descrizioni/introspezioni fini solo a se stesse. Spero solo di non aver fatto un errore >.<
È venuto fuori l’elemento angst della storia, che poi sarà il fulcro di tutti i prossimi capitoli. Ci sarà anche un cambio di POV, e la narrazione si sposterà su Yuri (potevo mai evitarlo? No, esatto), ma è utile per spiegare delle cose in particolare, quindi sì.
Adesso sappiamo anche mooolto di più sul passato di Yuri, anche se non conosciamo ancora bene cosa sia successo dopo che lui si è unito alla Regina, e questo è uno dei motivo per cui ho deciso di cambiare POV.
Un’altra cosa che mi sembra doveroso dire è può sembrare che i nostri eroi siano arrivati ad un punto molto brutto e triste, ma posso assicurarvi che non è il peggio ancora, e che io non sono brava con i bad ending, perché non riesco a non dar gioie ai miei personaggi, soprattutto dopo averli fatti soffrire.
Altra precisazione, che è più una curiosità, la madre di Yuri è bipolare. Ha sempre alternato periodi detti maniacali, ovvero quelli in cui il soggetto presenta umore persistentemente elevato, senso di grandiosità/invincibilità, spiccata loquacità e agitazione psicomotoria (che consegue nella diminuzione drastica delle ore di sonno) e a volte anche allucinazioni visivo-uditive, a periodi invece detti depressivi, durante i quali il soggetto si sente depresso, vuoto e perde interesse in attività precedentemente piacevoli; è inoltre caratterizzato da insonnia/ipersonnia, alterazione dei bioritmi (tra i quali anche l’alimentazione) e ricorrenti pensieri di morte o suicidi, con o senza tentativi di suicidio.
La madre di Yuri aveva vissuto in un ambiente equilibrato fino alla morte del nonno, poi le continue pressioni da parte del marito e l’improvviso onere di prendersi totalmente cura di Yuri da sola hanno solo peggiorato quella che era una situazione clinica già dall’inizio.
Si è poi tolta la vita, in preda ad uno di questi episodi depressivi, mentre Yuri non poteva evitarle di farsi del male. (È vagamente ispirata a Monica Gallagher da Shameless US se conoscete il personaggio).
Chiusa questa parentesi informativa, ci sarebbero altre cose che dovrei aggiungere, ma queste note sono già troppo lunghe così, quindi se avete dubbi/domande non esitate a chiedere!
Voglio ringraziare di cuore chiunque abbia letto e messo la storia tra seguite/preferite e spero vorrete lasciarmi un parere <3 e un ringraziamento speciale va sempre a Silvar tales e Kiarana che hanno recensito lo scorso capitolo (siete meravigliose <3), e ovviamente anche alla mia fantastica beta!
Alla prossima!
LysL
 
Ps: se volete passatemi a trovare anche su Tumblr, sul mio blog personale (dove semplicemente sclero sulla vita) e autrice (dove a volte rebloggo cose inerenti alla storia, e altre volte condivido le mie frustrazioni di fanwriter).
  
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