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Autore: Sole Walker    25/04/2017    1 recensioni
Francesca Evans ha 16 anni e vive a New York quando si ritrova catapultata in una realtà nuova. Il suo mondo viene stravolto in un' età già delicata di per sé... Lei non avrebbe mai potuto immaginare di essere una semidea, non ha nessuno che puó aiutarla e così lo scopre da sola di colpo.
É fuori per ben quattro anni dalla regola dei riconoscimenti promessa alla fine della guerra dei titani dagli dei su richiesta di Percy Jackson... e la cosa suona molto strana e richia di scatenare un grave litigio sull' olimpo che dovrà essere fermato prima che degeneri... ma forse Francesca non é una semidea qualunque...
PS: siate buoni è la mia prima storia... Recensiteee!!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gli Dèi, Mostri, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atterrammo quasi di faccia in una grossa pozza d'acqua stagnante -Bleah!- dissi alzandomi, per fortuna niente di quella roba poteva rimanermi attaccata ai vestiti (non che io profumassi di rose dopo il tempo interminabile passato a vagare nel Tartaro), ma la puzza riuscivo a sentirla ugualmente. Tutto attorno, il pavimento di cemento era ricoperto di ogni genere di rifiuto, alzai lo sguardo. Era una specie di tunnel, i muri erano ricoperti di graffiti colorati e da una parte i resti di una vecchia macchina anni '70 data alle fiamme giacevano abbandonati. 
-Dove siamo?- chiesi, il posto era illuminato dalla luce calante del sole
-Port Morris immagino- rispose Sole alle mie spalle.
-No non credo- dissi -ho visto ancora immagini del porto e non era in questo stato-
-Beh evidente questo non è il porto, sembra più una ferrovia abbandonata- riprese subito la mia mano nella sua, non sapevamo cosa sarebbe successo se, nel momento del passaggio, avessimo rotto il cerchio, ma la cosa mi spaventava.
-Tuo padre non poteva scegliere un posto più bello dove andare a morire?-
-Di certo non poteva portare un'orda di mostri nel centro di New York o nei quartieri ricchi- risposi un po' scocciata -avrà pensato che qualunque cosa fosse successa in questa zona del South Bronx sarebbe passata inosservata-
Un rumore attirò la nostra attenzione voltai la testa di scatto, qualcuno era appena saltato nel tunnel e ora si stava rialzando, si guardava attorno sospettoso per poi avanzare lentamente nell'acqua fetida. Quando fu più vicino lo riconobbi: era Paul. Passò oltre senza guardarci, il sole era definitivamente calato e ci aveva lasciato nella totale oscurità, solo un lampione brillava in lontananza -Andiamo- dissi e seguimmo mio padre in quella direzione. Eravamo alle sue spalle quando si fermò di colpo e si appiattì contro la parete, istintivamente lo imitai e riuscii a sentire la sua paura, un suo pensiero si insinuò nelle nostre menti "Ma cosa sto facendo??" pensava "Devo morire, è inutile nascondersi" si fissò i piedi per un attimo, indeciso sul da farsi poi allontanò il corpo dalla parete muovendosi sulle gambe traballanti, tenne la mano ferma sulla parete.
***
Fuori cominciava a piovere, nemmeno un metro lo separava dall'uscita del tunnel che dava su una piazza illuminata dal lampione, le finestre delle case malmesse erano tutte sbarrate e nessuna luce era accesa. Qualunque cosa dovesse succedere quella sera sarebbe rimasta un segreto, gli abitanti non ne avrebbero parlato e i poliziotti vedendo il suo cadavere avrebbero pensato ad una reazione violenta dj qualche fazione. Paul prese un lungo respiro e stringendo i denti staccò la mano dal muro uscendo allo scoperto. I suoi piedi si trascinavano sulle pietre del piazzale bagnato, poco lontano da lui una figura deforme di spalle fiutava l'aria, Paul chiuse gli occhi per un secondo e ascoltò il rumore dell'oceano che poco lontano da lì si infrangeva sulla costa. Sembrava agitato, magari suo padre era preoccupato per lui pensò. Ma subito rise della sua stessa idea, probabilmente quel movimento era dovuto alla felicità che provava nel sapere che non avrebbe più rischiato che gli altri dei scoprissero il suo figlio segreto. Riaprì gli occhi e alzando una mano fece schioccare le dita senza esitare più, il mostro voltò la testa di scatto e lo guardò, era un Minotauro. Mentre si squadravano una voce corale parlò alle sue spalle -Di nuovo in trappola Paul, è davvero così che vuoi passare la tua vita? Nascondendoti da noi?- Paul non si voltò, sapeva cosa avrebbe visto, tre vecchiette dall'aria maligna che lo fissavano pronte a recidere il filo della sua vita, si limitò a scuotere la testa in un "no" silenzioso.
-Allora dicci dove si trova quel fiore e dove si nascondono gli altri, poi noi ti lasceremo in pace-
Una voce singola si separò dal coro, era la più dolce e tra le tre era quella che preferiva -Cerca di capire Paul, dobbiamo riprendere il controllo delle loro vite. Fatti da parte-
Mio padre prese fiato prima di rispondere -Altrimenti?- calò un attimo di silenzio, vidi la donna ,che si era allontanata dal gruppo per avvicinarsi alle sue spalle, tornare al suo posto. E quella che sembrava la più anziana farsi avanti. Teneva in pugno un grosso paio di forbici arrugginite che raggelavano l'atmosfera, le aprì con un gesto della mano scheletrica -Altrimenti preparati a morire- le forbici tagliarono l'aria e il Minotauro si preparò ad attaccare. I suoi occhi erano fissi in quelli di Paul, aspettava un suo segnale. L’uomo si ordinò mentalmente di agire, ma il suo corpo non voleva ubbidirgli, abbassò gli occhi sulla spada di bronzo celeste che teneva in pugno e ,dopo averla rigirata nella mano un paio di volte, allentò la presa. Il tempo parve rallentare, l'elsa della spada scivolò tra le sue dita e cadde rumorosamente al suolo riempiendo il silenzio della notte. Paul tenne gli occhi chiusi e allargò le braccia mentre il mostro partiva correndo pesantemente verso di lui, i suoi pensieri volarono a Claire, a sua figlia e a Sole, era già pronto all'impatto. Ma uno spostamento d'aria improvviso vicino al suo orecchio gli fece spalancare gli occhi. Il Minotauro era fermo a poco più di un metro da lui e lo guardava incredulo, Paul lo fissò perplesso per qualche secondo prima di notare il pugnale conficcato esattamente al centro della sua testa. In quell'istante il mostro si disintegrò e l'arma cadde a terra tintinnando, l’uomo pregò gli dei che non fosse lei, ma avrebbe riconosciuto il suo pugnale ovunque. Lo raccolse insieme alla sua spada e si voltò in tempo per vedere un taxi malandato allontanarsi a tutta velocità, Claire era lì e lo guardava con un misto di rabbia e terrore, il suo petto si alzava e si abbassava velocemente. Paul si avviò verso di lei con passo veloce, gli consegnò l’arma e poi la afferrò per le spalle -Che cosa ci fai qui? Dovevi rimanere al sicuro con tuo figlio!-
-Per lasciarti morire da solo senza muovere un dito per difenderti?- disse lei allontanandogli le braccia bruscamente.
-Tu non capisci! Francy e Sole hanno bisogno di te... se moriamo entrambi nessuno coltiverà il fiore e non sappiamo quanto potranno durare- gridò lui cercando di farla ragionare, ma Claire non voleva saperne -Loro hanno bisogno di noi due insieme! Senza di te non resisterei un giorno. Perché non mi hai detto che ti stavano perseguitando?-
-Non volevo che venissi da me, ti avrebbero scoperto e tutto sarebbe finito- la guardò negli occhi -Claire va via, prendi il fiore e nasconditi. Resta nascosta due o tre giorni e poi torna a casa da Sole-
-Troppo tardi- sibilò una voce alle spalle della donna, Paul vide il volto vecchio di Atropo, i pochi denti gialli mostrati fieramente in un sorriso maligno, la odiava. Si guardò attorno, mostri di ogni genere arrivavano da ogni vicolo, li avevano circondati. Paul girò le spalle a Claire e lei fece lo stesso, ora erano schiena contro schiena. Entrambi erano pronti a morire per difendere l'altro, improvvisamente il fiore e i due bambini passarono in secondo piano nella mente di Paul, doveva difenderla ad ogni costo, non poteva perderla. Aveva di nuovo la sua spada stretta nella mano destra, Claire reggeva il suo pugnale nella sinistra. Le loro mani libere si sfiorarono per un attimo, Paul colse l'occasione e prendendola la strinse forte mentre il cerchio di creature si stringeva attorno a loro. La mano di lei era stranamente calda, senza voltare la testa le chiese -Sei pronta?- 
-Ho scelta?- rispose lei, e sorrisero perché nonostante stessero andando in contro alla morte l'avrebbero fatto insieme. I mostri si lanciarono verso li loro tutti in una volta emettendo suoni terribili, le loro mani e le loro schiene si separarono. Paul scattò in avanti ed iniziò a schivare mani munite di artigli, armi rozze, denti affilati e code con aculei velenosi sferrando fendenti da ogni lato, cercando di non dare mai la schiena per troppo tempo a nessuna creatura. Poco lontano da lui Claire infilava il pugnale nell'addome e nei fianchi dei mostri passando a pochissima distanza dalle braccia che tentavano di afferrarla, si muoveva veloce e sferrava colpi precisi.
Dopo minuti frenetici che sembrarono interminabili l'atmosfera sembrò calmarsi, i mostri attorno a loro si ritirarono lentamente per leccarsi le ferite. Quando anche l'ultimo si fu trascinato in uno dei vicoli Paul andò verso Claire e prese ad osservarla, era sudata, aveva i capelli spettinati e qualche taglio e graffio sule braccia e sul viso, ma stava bene. La abbracciò senza dire una parola, immerse il viso nei capelli biondi e la strinse, lei ricambiò.
-Devi andare- le disse senza guardarla negli occhi.
-Non posso farlo- rispose lei -non ti lascerò morire per i miei errori- 
Paul fece l'errore di alzare lo sguardo, smise di osservare le proprie mani graffiate e la guardò negli occhi azzurri e rimase incantato, per la prima volta dopo tanto tempo si perse dentro di loro e pensò a quanto fossero belli. Forse lei aveva ragione, come avrebbe fatto senza di lei negli Inferi? Senza quegli occhi che si aggrappavano ai suoi in cerca di sicurezza. Aprì la bocca per parlare ma l'espressione di Claire lo bloccò, era un misto tra terrore e preoccupazione e i suoi occhi non guardavano più lui ma qualcosa alle sue spalle. Non fece in tempo a voltarsi, lei alzò un braccio e lo spinse di lato cogliendolo di sorpresa. Paul barcollò in avanti e si girò in tempo per vedere un arpia volare verso Claire con le braccia tese, in una mano stringeva una lama luccicante. I loro corpi si avvicinarono, la semidea allungò il braccio infilando il pugnale nel petto del mostro che cacciò un urlo, il peso del corpo indusse Claire ad abbassare il braccio diminuendo la distanza tra loro. La scena agli occhi di Paul sembrò durare secoli, ma in realtà tutto avvenne velocemente: l'arpia piegò le braccia in un ultimo sforzo e trapassò Claire alla schiena esplodendo subito dopo in una pioggia di polvere. La donna traballò sulle gambe portandosi le mani al petto e con un lamento fece per accasciarsi a terra, Paul lasciò cadere a terra la spada, scattò nella sua direzione e tendendo le braccia sostenne il suo corpo. Sulla schiena, all'altezza del cuore si stava formando una grossa macchia rossa, l'uomo la sentì allargarsi contro il suo petto, ora le loro magliette erano entrambe macchiate di sangue. Guardò disperatamente il volto della sua migliore amica, era ogni secondo più pallido e il suo corpo tremava. La prese in braccio e scuotendola leggermente la implorò -Claire... Claire parlami!- ma lei respirava a fatica, percepì il sangue scorrergli lungo l'avambraccio con cui le sosteneva la schiena. La disperazione prese il sopravvento e cominciò a gridare -Claire guardami! Dimmi qualcosa...-
Le creature mitologiche iniziarono ad affacciarsi ai vicoli in cui erano sparite, le più coraggiose avanzarono lentamente seguite a ruota dalle altre. Le lacrime iniziavano a scendere lungo il volto di Paul, con la coda dell'occhio vide i mostri avanzare e lanciando occhiate furiose alla ricerca delle tre vecchie gridò -Non avete fatto abbastanza per oggi? Andate via e lasciatemi solo- ma di loro non c'era più traccia, una voce leggerissima gli arrivò all'orecchio, tanto flebile che per un attimo pensò di averla sognata "Non incolpare noi del destino che ti sei scelto, ti abbiamo dato più di una volta l'opportunità di cambiarlo" l'uomo ripensò agli incubi ricorrenti in cui le donne gli chiedevano di portare loro i fiori, per qualche regione non erano in grado di percepire la presenza della casa nel bosco o di vederla, quindi i fiori erano al sicuro. Ma se fosse morto anche lui sarebbero rimasti senza cure, le Moire avrebbero vinto in ogni caso.
"Questa è la tua ultima possibilità Paul Evans" disse la voce "abbandona il corpo di Claire Walker e portaci i fiori dell'anima. Ti lasceremo libero di vivere la vita che ti resta, nessun mostro si avvicinerà mai più a te"
-Non avrete mai quei maledettissimi fiori- urlò stringendo il corpo di Claire -E potete anche uccidermi se ci tenete, tanto la mia vita senza di lei non vale nulla-
"Scegli quindi di essere fedele al tuo segreto proteggendo la donna che ti ha rovinato la vita fino a portarti qui?" abbassò lo sguardo sul corpo della semidea abbandonata tra le sue braccia, tutto era cambiato circa sette anni prima quando lei era rimasta incinta, ma alla fine si erano sistemati. La situazione è degenerata due anni dopo, quando era arrivata lei, le voleva bene ma non poteva ignorare i fatti.
-Non è stata Claire a rovinarmi la vita-
"Noi parlavamo di una donna molto più potente di quella mezzosangue" si riferivano a Demetra, ma Paul ormai l'aveva rimossa dalla mente. L'unica colpevole per lui era Francy, sapeva di sbagliare ma la rabbia lo teneva in vita. Per un attimo pensò che in fondo avrebbe potuto portare solo il fiore della bambina, ma era impossibile: erano legati insieme, inseparabili, uniti nella loro diversità. E non poteva fare questo a Claire.
"Scegli dunque di morire?" chiese la voce. Paul non disse nulla, le braccia cominciavano a fargli male e si sentiva sempre più debole, annuì. Le ombre dei mostri si fecero sempre più vicine, lui chinò la testa e chiuse gli occhi, lacrime calde gli scendevano lungo le guance e cadevano bagnando la maglia di Claire che rimaneva immobile.

-Non piangere così, mi stai inzuppando la maglietta- disse una voce debole e dolorante, Paul spalancò gli occhi, Claire lo stava guardando con un finto sguardo do disapprovazione, ma i suoi occhi erano spenti.
L’uomo alzò gli occhi sui mostri che si stavano avvicinando e si concentrò, un idrante esplose e da alcuni vicoli l'acqua dell'oceano arrivò strisciando. E quelli spaventati arretrarono di due metri, l'acqua formò un anello davanti a loro e si alzò creando un muro.
Dopo lo sforzò Paul cadde in ginocchio, aveva paura che le braccia gli si staccassero dal corpo ma tenne ugualmente Claire stretta a sé. La donna alzò una mano con un enorme sforzo, e tremando gli accarezzò una guancia ruvida e bagnata -Mi dispiace Paul, è tutta colpa mia. Non dovevo permetterti di venire con me quella notte-
Ma lui scosse la testa -Non sarei mai stato felice senza di te- sul suo viso si formò un sorriso triste -forse avrei dovuto dirtelo più spesso- una piccola lacrima scese lungo la guancia pallida di Claire, lui se ne accorse subito e alzando lo sguardo al cielo pensò ad alta voce -Questi sono stati gli anni più pericolosi e avventurosi della mia vita. La nostra idea di pericolo prima era rubare le bibite dalla casa grande e uscire dopo il coprifuoco per guardare le stelle-
La donna fece una risatina e subito si portò le mani all'addome, poi lo guardò negli occhi -Te lo ricordi ancora?- la sua voce era solo un sussurro che spariva dietro il rumore della barriera d'acqua e i versi arrabbiati dei mostri che tentavano di sorpassarla, ma Paul non sentiva altro -Come avrei potuto dimenticarli? Tenevo la coperta sotto la branda nella casa XI, pronta in caso fossi venuta a chiamarmi la sera stessa. La guardavo ogni sera prima di addormentarmi-
La donna sorrise a quelle parole ma poi il suo sguardo divenne serio -Devi andartene Paul, sei ancora in tempo- gli disse, ma lui scosse la testa -Non ti lascio qui a morire, ti farebbero a pezzi-
-Ci faranno a pezzi entrambi se resti- precisò lei -Devi occuparti dei fiori, è per questo che sei venuto qui, per far perdere le loro tracce... è per questo che sto morendo-
-Non dire così… tu non morirai!- protestò lui con le lacrime agli occhi. Claire alzò gli occhi al cielo e si sforzò di parlare ancora -Sono viva e ti sto parlando solo perché non hanno ancora tagliato il filo- 
Paul abbassò lo sguardo sulla maglietta insanguinata della compagna -I fiori sono già in un posto sicuro Claire, la casa non può essere individuata dalle... da loro- disse, evitando di pronunciare il nome delle Moire.
-Ma senza nessuno che se ne prenda cura i nostri figli non arriveranno ai 18 anni- Paul voleva gridarle che ormai non gli importava più, ma sapeva di non poterlo fare davanti a lei.
-Ti porto con me- disse cercando di alzarsi in piedi, ma lo sforzo che stava facendo per sorreggere la barriera e il dolore che provava sapendo che Claire se ne stava andando lentamente gli impediva di muoversi.
-Paul è tutto inutile- disse lei mentre le lacrime riprendevano a scendere lungo il suo viso, voltò la testa verso la barriera e vide che scendeva lentamente, mani umane e zampe di varie forme iniziavano ad attraversarla, guardò Paul negli occhi e con un enorme sforzò si alzò per dargli un bacio sulla guancia e appoggiandosi a lui gli sussurrò -Ce ne andremo insieme-
Paul la strinse a sé e mentre le lacrime iniziavano a bagnare la sua barba scura le vide, in piedi dritte davanti a lui. Cloto guardava Claire con pietà ma era allo stesso tempo determinata a mettere fine a quella caccia, Lachesi era totalmente indifferente, reggeva in mano un gomitolo rosso e non dava segno di voler distogliere gli occhi dalla scena. Infine Paul guardò Atropo, l’aveva sempre odiata più delle altre, ai suoi occhi era quella più brutta e vecchia, ora quell’essere non stava guardando Claire, i suoi vecchi occhi incavati erano fissi su di lui per cogliere il momento in cui il mondo gli sarebbe crollato addosso. Nella mano stringeva la vecchia forbice dalle lame scintillanti, le aprì di scatto e la schiena di Paul venne percorsa da un brivido. Atropo fece segno a Lachesi di procedere, la vecchia srotolò il gomitolo lentamente porgendo un capo a Cloto che lo prese controvoglia.

Paul guardò le lame della forbice avvicinarsi al filo, abbassò la testa appoggiando la fronte a quella di Claire, chiuse gli occhi e bisbigliò -Claire…- lei lo guardò con gli occhi socchiusi -tu… sei stata davvero- non riusciva a trovare le parole giuste per dirglielo -…importante per me- la guardò sperando che capisse ciò che cercava di dirle.
-Anche tu Paul, anche tu- rispose lei e una lacrima le scese lungo il viso sfiorando la bocca sorridente.
Le forbici tagliarono il filo di netto e il rumore attraverso l’aria giungendo alle orecchie di Paul, nello stesso istante la luce sparì per sempre dagli occhi azzurri della donna, sul suo viso rimase bloccato l’ultimo sorriso che aveva rivolto all’uomo che ancora la teneva tra le braccia piangendo sul suo corpo inerme. Attorno a loro la barriera era crollata e i mostri si stavano avvicinando tendendo le braccia umanoidi verso di loro, Paul diede un bacio sulla fronte a Claire e le sussurrò -Torno subito- appoggiò delicatamente il suo corpo sul terreno bagnato e si alzò. Le braccia sporche di sangue gli pendevano lungo i fianchi, le guardò e strinse i pugni, a pochi passi da lui la spada di bronzo celeste scintillava. Si chinò a raccoglierla e la guardò rigirandosela nella mano, una dracena si lanciò verso di lui sibilando e brandendo la lancia, quando il mostro gli fu vicino Paul si spostò delicatamente di lato schivando l’arma e menò un fendente con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo. La dracena cadde a terra divisa a metà tra il torace e le code di serpente che ancora si agitavano scalciando, dopo qualche secondo il corpo di disintegrò e una nuvola di polvere dorata si alzò alle spalle di Paul.
L’uomo guardò la schiera di mostri con aria di sfida, quelli bisbigliarono tra loro con suoni incomprensibili, un sorriso al limite della follia increspò le sue labbra, gridò e corse verso di loro. Il corpo del semidio sparì nella mischia. Armi, frecce, artigli e denti lo sfioravano, occasionalmente colpivano il bersaglio affondando nella carne, il sangue sgorgava dalle numerose ferite sporcando la maglietta arancione del Campo Mezzosangue, l’aveva indossata apposta quel giorno, anche se gli andava un po’ corta ed era sgualcita dal tempo. Voleva morire da eroe e voleva farlo dimostrando che la sofferenza non lo aveva cambiato, era lo stesso ragazzo che sette anni prima viveva nella casa XI. Ma forse non era vero, non sentiva il dolore fisico inferto da quelle ferite, era accecato dalla rabbia e dalla tristezza. Aveva perso la voglia di resistere, voleva solo morire.
Dopo un tempo che sembrava interminabile Paul rischiò di inciampare in qualcosa, riuscì a ritrovare l’equilibrio e a schivare appena in tempo l’ascia che mirava alla sua testa, chinandosi vide il viso pallido di Claire. Era stanco, aveva delle profonde ferite sulle braccia, sulle gambe e sul torace, la vista del corpo senza vita della donna lo fece tornare bruscamente alla realtà. Un senso di nausea gli riempì il petto, avrebbe voluto chiedere il time out per fermarsi a vomitare. Alzò gli occhi stanchi dalla spada, non aveva nemmeno più la forza di reggersi in piedi, probabilmente aveva ucciso più mostri in quei minuti che in tutta la sua vita, eppure attorno a lui ce ne erano ancora abbastanza per tenere impegnato tutto il Campo. Prese un bel respiro mentre il cerchio si stringeva attorno a lui, girò la testa verso destra e incrociò lo sguardo di Atropo. La vecchia lo fissava oltre la cerchia di mostri, Paul la guardò e per la prima volta capì che poteva morire a testa alta, la donna abbassò il capo in un inchino quasi impercettibile ma carico di rispetto. Il semidio spostò lentamente lo sguardo davanti a sé e cadde in ginocchio, non percepiva più alcun suono e la sua vista era sfuocata, nella mano destra tenne ben salda la spada e con la sinistra prese la mano di Claire. Mani umane o munite di artigli si allungavano verso di lui arrivando ormai a sfiorarlo, di fronte a Paul si fece strada un essere di grandi dimensioni che non riuscì ad identificare, il mostro alzò le braccia verso l’alto sollevando un’arma che poteva essere una grossa spada o un’ascia. “È la fine pensò il semidio” in fondo la cosa gli era quasi indifferente, eppure pensò che le cose sarebbero potute andare diversamente se quella bambina non fosse entrata nella sua vita. Se avesse avuto più tempo per pensare si sarebbe reso conto di quanto sua figlia avesse reso la sua vita speciale e degna di essere vissuta, ma il tempo era finito e il suo ultimo desiderio fu quella bambina provasse almeno un po’ quello che stava provando lui in quel momento, il freddo della morte, la consapevolezza di non avere più una via d’uscita e il dolore si prova avendo stampati in testa i sorrisi delle persone che si deve abbandonare.
Il mostro emise un grugnito e abbassò la spada, in quell’ istante un altro filo rosso venne tagliato.
***
Sentii tutto nella mia testa, la paura di mio padre, la sua disperazione nel vedere il corpo di Claire cadere tra le sue braccia, la sua rassegnazione, la sua rabbia. Vidi Sole spalancare gli occhi in preda al panico nel momento in cui l’arpia trafisse la madre e stringere i denti sforzandosi di non correre da lei. Mi aspettavo finisse tutto lì, invece mio padre cadde in ginocchio, lo guardai alzare lo sguardo verso il mostro e pensare a tutte le sofferenze che gli avevo causato. Volevo solo gridargli che mi dispiaceva per tutto e che era solo colpa mia, ci provai ma lui non poteva sentirmi.
Il mostro sollevò lentamente l’ascia sopra la testa, sembrava di vedere una scena a rallentatore. In sottofondo sentivo il suo ultimo desiderio, la maledizione, e il panico cresceva dentro di me -PAPÁ NO!- urlai, Sole lascio la mia mano e mi prese per le spalle scuotendomi -Non puoi fare nulla per lui, è solo un ricordo Francy… come quello di mia madre- cercava di calmarmi ma io non lo sentivo, alle sue spalle il mostro scosse la testa ed emise un grugnito.
-NO, devo fermarlo!- mi divincolai dalla sua presa spingendolo di lato con forza e corsi verso la mischia. Il mio corpo attraversò quelle creature orribili come se fossero fatte di nebbia, era come essere in un incubo, ma sapevo che era tutto reale. Mi trovai di fronte a mio padre e mi girai appena in tempo per vedere la scure calare verso di me, alzai le mani convinta di poterla fermare. In un attimo la lama mi attraversò lasciandomi di sasso, dietro di me udii un rumore orribile che non dimenticherò mai. Mio padre era stato colpito, ne ero certa, lì finivano i loro ricordi e io mi sentivo l’unica responsabile della loro fine prematura.
Non feci in tempo a trovare il coraggio di voltarmi che sentii la voce di Sole chiamarmi, voltai il viso in quella direzione. Sole agitava le braccia verso di me, aveva l’acqua alle ginocchia e gridava -Sbrigati, non abbiamo più tempo!- attorno a noi la scena colava a terra ad una velocità impressionante, ormai avevo quasi l’acqua alla vita. Guardai dietro di me, non c’era più traccia dei corpi di Paul e Claire -Francy!- mi chiamò Sole ancora una volta. Distolsi lo sguardo dal punto in cui era morto mio padre e finalmente il panico mi assalì, “quando cambia non lasciatevi assolutamente” avevano detto. Mi lanciai verso Sole che mi stava venendo in contro, tentai di correre ma l’acqua mi arrivava alla vita e per la prima volta si stavano formando delle onde che mi sollevavano da terra facendomi perdere l’equilibrio. Una grande quantità d’acqua mi si riversò addosso capovolgendomi e quando tornai con la testa fuori dall’acqua il terreno era sparito da sotto ai miei piedi, Sole si agitava poco distante da me cercandomi -Sole!- gridai. Si voltò verso di me e nuotò  nella mia direzione, ma l’acqua turbinava incontrollata trascinandolo via, le ordinai di smetterla ma non avevo alcun potere su quello strano fluido. Mi spinsi con le gambe e con le braccia verso di lui, lentamente cominciammo ad avvicinarci.
-Ancora un ultimo sforzo!- disse mentre le onde gli sommergevano la testa senza bagnargli i capelli biondi spettinati. Le nostre mani finalmente si sfiorarono, ma in quel momento la terra sembrò capovolgersi, iniziai a ruotare in modo incontrollato in ogni direzione, la testa mi stava per scoppiare. Aprii la bocca e conciai a gridare, andai a sbattere violentemente contro qualcosa e stavo per essere sbalzata via quando una mano forte afferrò la mia. Sole mi trasse a sé circondandomi con le  braccia e tenendomi stretta, le nostre gambe si avvolsero le une sulle altre come gli steli dei fiori che Ecate aveva raccolto a Northampton. Smettemmo immediatamente di girare, mi guardai attorno, era come essere dentro ad un piccolo tornado, l’acqua ruotava velocemente poco lontano da noi e i nostri corpi erano sospesi nell’aria sorretti da una forza invisibile, i nostri capelli si alzavano verso l’alto scompigliati da un forte vento.
Attorno a noi prese forma un luogo a me familiare, guardai verso il basso: delle mattonelle bianche, quadrate, larghe circa una spanna ricoprivano tutto il pavimento della grande serra ma i nostri piedi non le toccarono, rimanemmo sospesi a dieci centimetri da terra. Poco lontano da noi una bambina di circa dieci anni veniva derisa da un gruppo di bambini -Sei una stupida, sei una stupida- canticchiavano in coro.
-Non sono stupida!- gridò lei stringendo a sé un vaso di primule.
-Non sai nemmeno leggere- la prese in giro una bambina, le lacrime iniziarono a riempirle gli occhi -N-non è colpa mia- borbottò -lasciatemi in pace-
Un ragazzino più grande le si avvicinò e la spinse contro un tavolo di legno, il vaso le cadde dalle mani schiantandosi sul pavimento e rompendosi in mille pezzi. Distolsi gli occhi dalla scena per non vedere la me di sei anni prima scoppiare a piangere e correre via. Avevo passato praticamente tutta la mia vita in quella scuola, ed ogni singolo giorno era andato in quel modo.
Ad un certo punto Sole strinse la mia mano con rabbia, alzai lo sguardo perplessa e vidi che la scena era cambiata, ora un ragazzo biondo stava uscendo dal portone della scuola media, cinque ragazzi più grossi di lui e molto probabilmente anche più grandi di qualche anno lo raggiunsero. Quello che probabilmente era il capo gli si parò davanti e senza preavviso lo spinse violentemente facendolo finire tra gli altri che iniziarono a strattonarlo prendendolo dai vestiti, il ragazzo tentò di reagire ma erano troppi. Gli strapparono il giubbino e lo buttarono a terra, portava la felpa bordeaux aperta sulla maglietta bianca e ora che non aveva più il giubbino chiuso su di essa si poteva vedere la collana con la grossa moneta d’oro. Quello più grande gli si avvicinò e lo prese per la catenina che portava al collo avvicinando il ciondolo alla propria faccia, evidentemente aveva un grosso problema di acne.
-Hey Walker dimmi un po’- gracchiò sogghignando -questa cos’è?-
-Sono affari miei McLaughlin- Sole tentò di sembrare coraggioso ma la voce gli tremava, alzò una mano e senza pensarci strappò via il ciondolo dalla mano del bullo.
-Dammela e ti lasceremo andare- disse il ragazzo tendendo la mano verso di lui.
Sole ci pensò un attimo, guardò la moneta scintillare nella sua mano e pensò a sua madre -Mai.- McLaughlin alzò un sopracciglio sorpreso, i ragazzi della sua banda lo guardarono agitati non sapendo cosa fare: era raro che qualcuno si opponesse al loro gruppo. Dopo qualche secondo il capo si riscosse e sorridendo spavaldo fece cenno a quelli vicino a lui di stringere il cerchio -Allora saremo costretti a prendercelo da soli- disse ridendo.
Molte mani si avventarono sul bambino che scalciava in preda al panico, stringeva la collana tra le mani cercando di proteggerla e pregava che qualcuno venisse ad aiutarlo. Dopo qualche minuto si sentì una voce adulta gridare -Hey voi! Che state facendo?-
McLaughlin alzò la testa e sbiancò -Via via!- gridò, il branco si separò immediatamente correndo in direzioni diverse. Sole si mise a sedere e si portò la mano al viso, si sentiva un occhio gonfio e toccandosi il labbro scoprì di essersi tagliato. Guardò le proprie dita sporche di sangue e doloranti, aprì la mano lasciando finalmente cadere la collana sul petto, nel palmo bianco si erano impresse quelle strane iscrizioni. Sentì dei passi affrettati venire nella sua direzione, istintivamente nascose la collana all’interno della maglietta bianca sporca di polvere e lasciò su di essa delle piccole impronte rosse toccandola con le mani macchiate dal sangue che gli usciva dal labbro.
-Santo cielo, Walker come ti senti?- alzò la testa dolorante e incrociò lo sguardo del signor Moss, il suo insegnante di musica, il grande faccione paffuto gli grondava di sudore per i tre metri di corsa che aveva fatto per arrivare fino a lì. Vicino a lui c’era un uomo in divisa che lo scrutava preoccupato, probabilmente temeva che il professore potesse avere un infarto da un momento all’altro, Sole pensò la stessa cosa.
-Sto bene signore, non si preoccupi- borbottò, si sentiva la bocca impastata dal sangue e la testa sembrava sul punto di scoppiare, inoltre nel parlare si rese conto di quanto gli facessero male le costole e dovette trattenere un gemito di dolore.
-Ci penso io a lui, lei vada pure- disse il poliziotto prendendo il bambino per un braccio e aiutandolo ad alzarsi -Vieni, ti accompagno a casa da tua madre- lui annuì e salì in macchina, alzò una mano per salutare il signor Moss che lo guardava asciugandosi la fronte con un fazzoletto dopodiché l’auto partì, Sole abbandonò la testa contro il sedile e l’immagine sfumò nell’acqua.
Guardai il mio compagno di viaggio abbassare lo sguardo, non riuscivo a capre le emozioni che stava provando, sembrava arrabbiato, imbarazzato e triste nello stesso momento. Non sapevo cosa dire quindi decisi di tacere e rispettare il suo silenzio. Intanto attorno a noi presero forma delle pareti in legno scuro, guardandomi attorno riconobbi subito il posto: era la casa nel bosco di Northampton, però non capivo come fosse possibile, nessuno di noi era mai tornato lì.
Le finestre erano sporche e lasciavano filtrare pochissima luce, eppure la stanza era abbastanza luminosa. Alzai lo sguardo verso il tetto, il buco che avevo visto l’ultima volta nel ricordo di Paul ora era molto più grande, molte assi si erano spezzate e ora giacevano sul pavimento, nella casa si sentiva un forte odore di marcio.
Improvvisamente Sole mi chiamò -Francy guarda- alzò un amano e indicò il tavolo, spostai lo sguardo in quella direzione e per poco non gridai. Ecate era seduta nel buio di fronte a noi, sul lato lungo del tavolo e guardava il vaso di fiori illuminato dal sole, il suo viso non lasciava trapelare nessuna emozione ma i suoi luminosi occhi verdi sembravano tristi. La guardai bene, era sempre una donna bellissima e dall’aspetto soprannaturale, ma sembrava particolarmente stanca, non doveva essere un periodo facile per lei.
La scena ruotò lentamente su sé stessa confondendomi, ci fermammo alle spalle della dea e sbirciammo il vaso. Mi venne una stretta al cuore, sul terriccio erano cresciute molte piante infestanti e il fiore arancione si era lasciato andare, ora era sorretto da quello blu che stava sostenendo il peso di entrambi ma era sul punto di crollare.
-Stanno… stanno morendo- bisbigliò Sole scosso, annuii.
Ecate alzò una mano e accarezzò delicatamente i petali color cobalto del fiore e un espressione dolce attraversò il suo viso -È quasi ora. Mi dispiace Paul ma non posso più fare niente, non posso intromettermi ancora- lasciò cadere la mano sul tavolo e trasse un bel respiro, il volto della dea tornò serio -adesso la vita deve fare il proprio corso-
Lo stelo verde ebbe un fremito, lo guardai ondeggiare leggermente a destra e sinistra, avrei voluto afferrarlo, tenerlo fermo e dirgli di restare vivo ancora un po’.
-No…- borbottò Sole stringendomi la mano e portandosi quella libera al cuore. Sapevo ciò che provava, io mi sentivo allo stesso modo, tutto ciò era già successo ma ero ugualmente terrorizzata dall’idea di morire. E di lì a poco la me del passato sarebbe morta davvero, ma allora perché io ero viva?
Improvvisamente lo stelo si piegò lasciandosi andare, i due fiori caddero sul tavolo e si udì un tonfo, non mi aspettavo che facessero un rumore simile e mi spaventai, pochi secondi dopo il vaso si spaccò in due.
-Addio ragazzi- bisbigliò Ecate -è stato un piacere- la donna si alzò dalla sedia, lanciando un’ ultima occhiata alla stanza uscì dalla porta malmessa e si diresse verso il bosco. Intanto davanti ai nostri occhi il vaso scompariva insieme al tavolo per lasciar posto all’acqua vorticante.
Mi resi conto di avere una mano appoggiata al petto solo quanto attorno a me iniziarono a delinearsi i contorni del salotto di Kaitlyn, la zia di Sole. Dopo pochi secondi quest’ultimo entrò nella stanza con un pacchetto di patatine stretto nella mano, era leggermente diverso da come era ora questo voleva dire che i fatti non erano accaduti molto tempo prima. Lo guardai in viso, sembrava stanco e malconcio, si lasciò sprofondare su una poltrona rossa davanti alla TV accesa che trasmetteva il telegiornale, guardai la data che appariva in basso a destra: era mercoledì 20 gennaio 2010, questo voleva dire che Sole quel giorno non era andato a scuola.
-Ricordo questo periodo…- dichiarò il ragazzo che mi teneva la mano -erano parecchi giorni che stavo male, mi sentivo sempre più stanco e debole ma nessun medico riusciva a capire cosa avessi-
Quello seduto sul divano lanciò un’occhiata annoiata al televisore, e si lasciò sfuggire un gemito quando scorse il telecomando appoggiato al mobile a due metri da lui. Penso per un attimo se valesse la pena di alzarsi, in fondo il telegiornale non era male. Scosse la testa sorridendo debolmente, nonostante tutto il suo sorriso era sempre bello e luminoso -Ti stai rammollendo Walker- borbottò tra sé imitando la voce del allenatore di football della scuola, prese un respiro profondo e spingendosi con le braccia si alzò sulle gambe traballanti. Trascinò i piedi fino al tavolino.
-Che scena pietosa- mormorò il semidio accanto a me e io non riuscii a trattenere un sorriso, ma un secondo dopo questo sparì dalla mia faccia lasciando posto ad un’espressione preoccupata.
Il ragazzo che si trascinava verso il televisore sbiancò fino a sembrare sul punto di svenire, barcollò e si appoggiò con la schiena alla parete portandosi le mani al cuore. La bocca si spalancò in un silenzioso grido di dolore e strizzando gli occhi cadde in ginocchio per poi afflosciarsi a terra in una posizione scomposta.
Nella stanza calò il silenzio, nessuno di noi osò parlare, alzai lo sguardo sul televisore per non guardare il corpo morto di Sole, un giornalista in giacca e cravatta aveva un espressione seria e parlava di un ragazzo scomparso da qualche giorno, vicino a lui campeggiava una foto di Percy con sotto il suo nome. Su un lato della foto scorsi dei riccioli biondi, dovevano aver tagliato il volto di Annabeth dalla foto.
-Quello è Percy o sbaglio?- mi chiese Sole cercando di sembrare indifferente ma dai suoi occhi si capiva che era sconvolto -Sì- risposi tornando a guardare il volto del figlio di Poseidone -deve essere il periodo della guerra contro Gea-
Improvvisamente la stanza cambiò, diventò più piccola e buia. Una mia versione del passato era seduta sul letto in pigiama e giocava nervosamente con la collana guardando nel vuoto, era bianca in volto. La osservai terrorizzata e mi voltai verso il petto di Sole appoggiando la testa, chiusi gli occhi, il ragazzo mi strinse a sé appoggiando la testa sulla mia. Poco dopo udii un tonfo e mi si gelò il sangue nelle vene, mi strinsi a lui sforzandomi di non gridare per la frustrazione.
Improvvisamente l’aria attorno a noi cambiò, mi voltai con cautela, era tutto buio ma percepivo l’enormità dello spazio in cui ci trovavamo. Una piccola palla di luce si avvicinò a noi, alzai la mano e con mia grande sorpresa riuscii a toccarla.
-Deve essere qui per aiutarci a vedere qualcosa in questo posto buio- commentò Sole guardando quella buffa sfera che ci ronzava attorno, stavo per parlare quando qualcosa ci passò accanto correndo, mi voltai in quella direzione vidi un corpo esile allontanarsi, la luce si lanciò all’inseguimento e il vortice la seguì trascinandoci con lui, quando fummo a pochi passi mi riconobbi: stavo correndo a perdifiato, nella mia testa rimbombava la risata malvagia che mi aveva spinta a lasciare la fila per il tribunale. Improvvisamente la ragazza inciampò in un corpo steso a terra, quello emise un gemito e subito dopo si rialzò spaventato. Lei si rimise in piedi, guardando terrorizzata il ragazzo biondo e barcollò all’indietro, il suo piede perse l’appoggio e si trovò nel vuoto, agitò le mani disperatamente cercando qualcosa a cui aggrapparsi. Allungai la mano verso di lei cercando di afferrarla ma non aveva consistenza, nonostante questo la sua trovò un appiglio, una maglietta nera. Un corpo si scontrò con il suo e in un attimo caddero entrambi all’indietro. Vidi il viso del ragazzo passarmi vicino, gli occhi arancio erano spalancati, la bocca si aprì per cacciare un grido. Un millesimo di secondo dopo precipitarono, abbracciati, in una voragine senza fondo.
-Io… credevo fosse solo…- dissi sconvolta -un incubo- concluse Sole guardandomi, i suoi occhi sembravano brillare al buio e anche senza la sfera luminosa sarei riuscita benissimo a leggere la paura nel suo sguardo.
In un attimo ci trovammo sospesi a pochi centimetri dal pavimento polveroso del mondo sotterraneo illuminato da lampi rossi, pensai si essere tornata indietro ma non c’era traccia dei nostri genitori. Poco dopo il mio corpo mi passò accanto, camminavo spaventata e sfinita, sola. Sole ed io ci voltammo, lui era parecchi metri più indietro della ragazza e sembrava non averla nemmeno vista. Improvvisamente lei si mise a correre e noi la seguimmo sorvolando le rocce appuntite. Superò un arco di pietra e noi ci infilammo dietro di lei, la moltitudine di gente che c’era nella stanza si voltò a guardarla e lei sbiancò in volto, anche io e Sole dovemmo trattenerci dal gridare: non avevo mai visto tanti mostri tutti assieme.
La me del passato si voltò terrorizzata e cercò di tornare indietro ma il passaggio si era richiuso, quindi sbatte la testa contro la parete di roccia. Si rialzò velocemente e tornò a guardare la stanza nervosamente: le pareti erano altissime e nessun lampo illuminava l’area, eppure una forte luce la inondava. Guardò verso il fondo e scorse la fonte, una porta aperta oltre la folla, in quel momento due umanoidi entrarono dietro di lei e si fecero largo sgomitando, saltarono nella luce scomparendo. Una porta automatica si chiuse dietro di loro e in quel momento la ragazza capì che si trattava di un ascensore e rimase a bocca aperta, un attimo dopo questa si riaprì e un altro gruppo di mostri entrò.
Quella doveva essere la via d’uscita, pensò, e assunse un’espressione decisa, prese un bel respiro e cominciò a correre verso la luce, quelli che aspettavano pazientemente la guardarono irritati e poco dopo una figura enorme le si parò davanti all’improvviso. La ragazza sbatte rumorosamente contro la sua corazza e cadde a terra, alzò lo sguardo sul muso del Minotauro e gridò, il mostro la guardò con un ghigno, molte mani si chinarono su di lei facendola rialzare e iniziarono a spingerla malamente allontanandola dall’uscita. Non poteva permettere che accadesse, voleva uscire da lì e tornare nella sua stanza adesso. Si divincolò e superò la folla evitando le mani e le zampe che si allungavano verso di lei, arrivò davanti alla porta incatenata a terra e si lanciò verso la luce, Sole era dietro di lei e la imitò. La ragazza allungò la mano verso l’uscita pensando di avercela fatta, ma una mano fredda le strinse il braccio bloccandola, il corpo del ragazzo la superò infilandosi nell’ascensore. La me del passato si voltò con le lacrime agli occhi ma non trovò nessuno a trattenerla, la forza invisibile strinse la presa facendole male e una voce femminile, lontana, antica come il tempo le parlò nell’ orecchio, sentii il fiato della donna sul collo e rabbrividì “Oggi ti lascio andare. Ma mi devi un favore ricordatelo!” una piccola mela d’oro con un morso prese forma davanti ai suoi occhi e si inserì sulla sua collana tintinnando contro gli altri due ciondoli, la persona a cui apparteneva la voce lasciò la presa e la ragazza cadde oltre la luce, le porte si chiusero dietro di lei facendo cadere la stanza nell’oblio.
-Eravamo già stati qui- dissi incredula guardando Sole negli occhi -E come diavolo facciamo a non ricordarcelo?- commentò lui, effettivamente era strano -Probabilmente abbiamo pensato che fosse un incubo e non gli abbiamo dato peso-
-Non ti sei chiesta da dove venisse il ciondolo?- mi fece notare lui indicando la piccola mela.
-No, in realtà- dissi stringendo gli occhi tentando di ricordare -credevo di averla sempre avuta con me. Qualcuno deve avermelo fatto dimenticare-
Improvvisamente l’acqua iniziò a vorticare più violentemente, un rumore fortissimo ci costrinse a tapparci le orecchie e non fu facile visto che non potevamo lasciarci la mano. Gridai, delle scene velocissime ci passarono davanti agli occhi: Sole che si chiudeva la porta di casa alle spalle lasciando la moneta donatagli da Ecate sul mobile davanti all’ingresso, la donna che lo aggrediva nel vicolo e l’incontro con Lupa, il giorno in cui avevo distrutto la serra della scuola facendo crescere un albero di dimensioni sovrannaturali, il mio arrivo al Campo Mezzosangue. E ancora, il nostro primo incontro in infermeria, il momento in cui l’avevo salvato dalla caduta mentre scalavamo la parete di lava, la profezia pronunciata da Rachel, il mio viaggio in taxi, l’istante in cui Sole aveva notato la mia assenza.
I nostri corpi iniziarono una caduta vertiginosa verso il basso, intanto i miei occhi osservavano i nostri corpi precipitare nuovamente nel Tartaro, vedere il ragazzo che mi teneva la mano essere portato via dalla Chimera mi fece soffrire di nuovo. Guardai il ragazzo accanto a me, aveva gli occhi puntati sulla scena in cui le Arai mi lanciavano la maledizione e in seguito il momento in cui mi guardavo allo specchio e notavo le crepe bluastre sulla mia pelle, era teso, triste, arrabbiato e si sentiva in colpa. Lo percepivo. Io mi ero sentita allo stesso modo. Tornai a guardare l’acqua e vidi il mio incontro con Akhlys e Nyx, la battaglia con il mostro del buio e l’atterraggio davanti all’entrata del palazzo della dea. Poi fu il turno di Sole, furono solo pochi passaggi ma lo vidi combattere contro qualcosa di enorme, arrampicarsi su una parete di roccia, cadere e guardare sconsolato verso l’alto, una luce verde brillava in lontananza e sembrava guidarlo, strinse il medaglione a forma di Sole che teneva al collo e si fece forza rialzandosi e ricominciando ad aggrapparsi agli spuntoni di roccia. Arrivato in cima si trovò su una grande piana poco lontano da lì iniziava un’altra parete identica alla precedente, la guardò sconsolato e camminò in quella direzione. Rimasi a bocca aperta, erano degli enormi gradini.
Mentre l’acqua ci mostrava l’ultima scena, in cui Sole notava due corpi in lontananza che si azzuffavano, il vortice si dileguò improvvisamente e fu come rientrare nel mio corpo, percepii la sensazione di avere il terreno sotto ai piedi e l’aria densa e irritante del Tartaro mi riempii i polmoni. Quando aprii gli occhi mio padre mi guardava preoccupato.

ANGOLO AUTRICE:
zalve cari,
sono tornata! Capitolo pesantino me ne rendo conto, non uccidetemi vi prego! Era un sacrificio necessario. Fatemi sapere se sono riuscita ad emozionarvi, cosa ne pensate di Paul, di Claire e dei sensi di colpa di Francy.
dal prossimo capitolo si torna alla realtà, basta flash back promesso.
Aspetto le vostre recensioni, alla prossima!
Sole Walker
   
 
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