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Autore: FireFistAce    25/04/2017    1 recensioni
Ace odiò Smoker per essere così comprensivo nella sua burberità.
Odiò Marco per non averlo compreso ed aver troncato il loro rapporto con sole poche parole.
Ma soprattutto odiò sé stesso, il proprio temperamento e la propria debolezza.
Ace si odiò come se fosse stato ancora un moccioso odiato dal mondo.
[Marco/Ace; Smoker/Ace; What If...]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace, Smoker | Coppie: Ace/Smoker
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I'm Sorry
 
"Se questa è la tua decisione, allora non abbiamo più nulla da dirci."
 
Quando Ace aveva udito quelle parole si era sentito ferito, incompreso da quello stesso uomo che per tre anni aveva amato e col quale aveva condiviso il letto.
Quell'uomo che aveva ascoltato la sua storia e aveva asciugato le sue lacrime, che aveva distrutto il muro che si era costruito attorno al cuore e che adesso sembrava deciso a troncare ogni cosa con una sola e semplice frase, accompagnata dallo sguardo più freddo che avesse mai ricevuto in quegli anni.
 
In un moto di rabbia Ace gli aveva dato le spalle e se n'era andato in cabina.
 
Possibile che non capisse quanto cercare Teach fosse importante per lui? Aveva perso Sabo senza aver potuto far nulla ed era convinto che il suo spirito non avesse trovato ancora riposo. Adesso che era morto anche Thatch non voleva fare lo stesso errore finché ne aveva la possibilità.
 
Il giorno dopo partì di prima mattina.
C'erano tutti a dirgli di non partire, ma quando il suo sguardo scuro scorse la numerosa folla si rese conto che non erano proprio tutti. Marco non c'era.
Si sarebbero lasciati con quelle ultime, dolorose parole.
 
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Quando conobbe Smoker, Ace non aveva intenzione di lasciare che il suo cuore smettesse di battere per Marco e un nuovo muro venne eretto a proteggere i suoi più reconditi segreti.
 
La prima volta che si svegliò nel letto del marine fuggì da quella realtà solo per ritrovarsela sbattuta in faccia non molto tempo dopo, e nonostante la promessa di non cedere di nuovo finì come la prima volta.
Insulti, botte e il materasso era di nuovo a contatto con la sua schiena.
 
Ace odiò Smoker per essere così comprensivo nella sua burberità.
Odiò Marco per non averlo compreso ed aver troncato il loro rapporto con sole poche parole.
Ma soprattutto odiò sé stesso, il proprio temperamento e la propria debolezza.
Ace si odiò come se fosse stato ancora un moccioso odiato dal mondo. E si promise di non chiamare più Marco.
 
L'unica volta in cui spezzò quella personale promessa era in vista di Banaro. Il Den Den Mushi squillò a vuoto per secondi che parvero interminabili prima che qualcuno dall'altro capo rispondesse.
 
"Scusami se ti disturbo. Volevo solo dirti che ormai sono giunto vicino a Teach."
 
Il silenzio seguì le sue parole mentre chiudeva gli occhi. La morsa della consapevolezza gli strinse le viscere ed il cuore in una stretta dolorosa.
 
"Volevo solo salutarti un'ultima volta."
 
Quando la sera calò sulla cittadina ormai distrutta Teach era vincitore ed Ace era vinto.
Ancora una volta odiò sé stesso e la sua immensa debolezza.
 
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Del periodo passato ad Impel Down Ace ricordava poco o nulla. La voce di Jinbei era chiara e cristallina nella sua memoria ed era l'unico a ricordargli che non poteva lasciarsi andare, perché aveva un fratellino da rivedere.
 
Il giorno in cui la notizia di Boa sopraggiunse a lui fu felice di aver saputo strappare all'uomo-pesce la promessa di proteggere Rufy al posto suo.
 
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Differentemente dal periodo chiuso ad Impel Down, la Grande Guerra dei Vertici la ricordava anche troppo bene e da quel giorno passarono mesi interminabili prima che i continui incubi smettessero di fargli visita nel sonno.
Nemmeno i pisolini indotti dalla narcolessia erano di aiuto ed Ace arrivò ad un punto tale da non sapere più cosa stava sognando e cosa stava vivendo.
 
Si chiuse in sé stesso più di quanto avesse mai fatto, uscendo rare volte dalla propria cabina e aiutando il minimo indispensabile il resto della ciurma.
Divenne l'ombra di sé stesso.
 
Passarono mesi dal giorno del suo salvataggio, dal giorno in cui persero il loro capitano, e quando Marco decise che ne aveva abbastanza di quel comportamento rimase stupito, e non positivamente, delle reali condizioni del giovane.
 
Seduto sul davanzale dell'oblò, Ace fissava il mare in silenzio. Le occhiaie ormai fin troppo visibili che gli contornavano gli occhi e lo sguardo spento, perso chissà dove e in chissà quali pensieri.
 
Quella guerra aveva toccato lui più di chiunque altro, la sua mente già indebolita dal periodo passato prima nelle mani di Teach e poi in prigione.
Aver visto Barbabianca morire per dargli la possibilità di fuggire e il fratellino rischiare la vita più volte avevano dato il colpo finale al suo Io che al terminare di quella guerra era crollato in un pianto silenzioso prima di chiudersi in un silenzio totale.
 
Marco adesso si odiava per non averlo seguito.
 
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Un anno sembrò volare, almeno per Ace, e adesso che finalmente era in grado di dormire senza farsi cogliere dagli incubi ogni tre per due doveva pensare al futuro.
Non era facile, si sentiva a pezzi ed era sicuro che non si sarebbe mai ripreso del tutto, ma iniziare ad uscire più spesso dalla cabina e intavolare qualche sporadica conversazione poteva essere un buon inizio. Il vero problema giunse quando, una sera, si rese conto di dover fare una cosa importante: parlare con Marco.
 
Doveva dire a Marco che cosa era successo in quel lungo anno alla ricerca di Teach.
Doveva sapere cos'era successo a lui, ma soprattutto al suo cuore.
Doveva sapere di Smoker.
 
Ace non sarebbe mai stato pronto per quella conversazione, ma doveva farlo. Lo doveva a sé stesso ma soprattutto lo doveva a Marco.
 
Le parole sembravano incollate le une sulle altre nella sua gola e a fatica uscirono.
Lo sguardo ferito del compagno fu la cosa più dolorosa che vide nella sua vita, insieme alle ultime parole scambiate prima della sua ricerca.
 
Quel giorno segnò la fine di quell'idillio che lo aveva accompagnato per più di tre anni, perché Ace tornò ad odiarsi quanto prima. Non più per suo padre, bensì per il suo essere.
 
Quel giorno non una lacrima venne versata, ma due sole parole vennero sussurrate ad occhi chiusi e con voce tremante.
 
"Mi dispiace."
  
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