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Autore: emmegili    26/04/2017    3 recensioni
- Hai intenzione almeno di dirmi come ti chiami o dovrò tirare ad indovinare?
- Hai intenzione di smettere di interrompermi mentre leggo o devo imbavagliarti?
- D’accordo, tirerò ad indovinare.
- D’accordo, mi toccherà imbavagliarti.
- Sei davvero adorabile, te l’hanno mai detto?
- Sei davvero un rompipalle, te l’hanno mai detto?
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Ma Oliver... Oliver non muove un muscolo, nemmeno gli occhi. Mantiene lo sguardo fisso nel mio, come un salvagente nel mare in tempesta. Ogni volta che sto per affogare, mi aggrappo alla sua sicurezza.
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Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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55.
 
So che sono ancora seduto sulla sedia azzurra solo perché le ossa mi fanno male.
La vista è appannata e l’udito completamente andato. Tutto ciò che sento è un fischio, un sibilo. Come quando esplode una bomba.
Lei era una bomba che è esplosa e ha travolto ogni cosa, trascinando chiunque le fosse vicino in un baratro.
Mi rende impossibile anche solamente pensare di fare qualcosa di utile, come alzarmi, oppure andarmene, o magari anche solo mettere due pensieri in ordine logico.
Qualcosa mi spinge ad alzare lo sguardo. Non so che cosa. Lo faccio e basta, ritornando per un secondo nel mondo dei vivi.
In fondo al corridoio vedo due infermiere spingere un letto, sul quale la persona è completamente coperta, viso compreso, da un telo celeste.
Qualcosa dentro di me scatta. Come un interruttore della luce. Solo che la luce si spegne, tutto diventa buio. Un macigno pesante trascina giù il mio cuore, giù, giù.
I muscoli delle gambe agiscono senza nemmeno interpellare il cervello. Sto correndo, correndo verso quel letto.
Mentre mi avvicino, vedo la preoccupazione e la curiosità dipingere il volto delle infermiere.
E poi ce l’ho lì, a due centimetri, coperta da un telo.
Una delle donne dice qualcosa, il suo tono, nonostante la dolcezza, è fermo. Ma non rielaboro le informazioni.
Me ne sto lì, esitante, con la mano tremante che indugia sull’angolo della stoffa azzurra.
La donna alza la voce, la dolcezza diventa minima. Penso che voglia mandarmi via.
L’altra infermiera, una bionda, afferra il braccio della collega e la rassicura.
Scosto il telo, scoprendo il viso e le spalle nude.
Come un pugno in pieno petto, che fa rivoltare lo stomaco. Mi chino sul lettino, l’aria mozzata in gola.
Rachele. E’ lei. La pelle pallida, i capelli castani spenti e più scuri del solito abbandonati sul materassino, sparsi a raggio di sole intorno alla testa.
Le palpebre chiuse mi impediscono di vedere i suoi occhi verdi, vispi, sorridenti, che erano un pozzo in cui affogarsi.
Le sue labbra non sorridono, non mi baceranno mai più. Lei non morderà mai più il labbro inferiore quando è nervosa.
Tremando, le poso una mano sulla fronte. E’ fredda. Leggero, le accarezzo la guancia, il collo.
Ma il colpo basso è quando, risalendo il braccio, arrivo alla mano sinistra.
Il suo anello è ancora lì, sull’anulare, brillante.
Non ce la faccio più. Quelle che fino ad ora erano lacrime silenziose si trasformano in singhiozzi gutturali, disperati, che nascono dal profondo del mio petto.
Mi premo le sue dita sulla guancia, non voglio lasciarla andare via, non voglio.
Ma se fino ad adesso ho potuto mentire a me stesso, ora la verità mi annega nel mio stesso pianto.
Rachele se n’è andata. Non ci sarà mai più. Lei è morta.

 
   
 
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