Capitolo
11
“Tu
non sei un mostro”
«Ma
oggi non è giorno di festa», gli ricordo, pensando
che forse possa aver fatto
confusione con le date.
«Lo
so, piccola mia, ma è comunque un giorno speciale e vorrei
che lo
trascorressimo insieme».
Incerta
su cosa rispondere, mi guardo attorno, chiedendo spiegazioni con lo
sguardo.
Naoko mi sorride, come a volermi dire di non preoccuparmi. I miei
cugini mi
rivolgono a turno breve occhiate, senza tuttavia parlare. Quando infine
mi
volto verso Tatsuo, rimane con il capo chino, ignorandomi
completamente.
D’istinto apro la bocca per chiamarlo e attirare
così la sua attenzione, ma un
secondo pensiero mi convince a fermarmi e a rinunciare. È da
ieri sera che non
sento la sua voce. Di solito, tutte le mattine irrompe nella mia
stanza,
svegliandomi con la sua allegria, spolverando le prime ore della mia
giornata
con il suo contagioso buon umore. Oggi, invece, non si è
presentato alla mia
porta, nonostante mi sia trattenuta in stanza, aspettando il suo
arrivo. So che
è arrabbiato con me e il motivo per cui non ho voluto
raccontare a nessuno di
Aizawa era perché non volevo che si preoccupassero. Volevo
solo dimostrare di
non essere un peso, di potermela cavare da sola. Invece ho provato,
ancora una
volta, di essere un’incapace e una presuntuosa. Non solo ho
fatto preoccupare
tutti quanti, ma ho fatto credere loro, con il mio comportamento, di
non avere
fiducia nell’amore che provano per me. È normale
che Tatsuo non voglia vedermi:
al suo posto, anche io mi sentirei tradita.
«Io
ho finito», senza aggiungere altro, mio fratello si alza da
tavola. Pochi
minuti dopo, il portone nell’atrio si apre e un’eco
di passi sfuma rapidamente
al di fuori della residenza.
Rattristata
e in colpa, fisso la coppa azzurra davanti a me, senza alcuna desiderio
di
continuare a mangiare. Oggi, più che mai, vorrei salire in
camera, finire di
prepararmi e correre a scuola, invece rimango seduta, senza sapere cosa
fare.
«Va
tutto bene, Eiko».
Impietosita
dal mio stato d’animo, Naoko prova a consolarmi. Non volendo
darle altro
pensiero, riprendo la mia colazione in silenzio.
***
Poco
per volta tutti quanti lasciano casa per dirigersi a scuola,
all’università o
al lavoro. Soltanto mio padre, come promesso, rimane alla villa. Prima
di
separarci al termine della colazione, ha detto che mi avrebbe aspettata
nel
giardino delle rose. Oggi il sole è caldo e luminoso, ideale
per una
passeggiata. Mentre mi lavo i denti, non posso fare a meno di chiedermi
a cosa
stesse pensando nel momento in cui si è incamminato verso il
parco della
tenuta. Non mi sarei mai aspettata che mi incoraggiasse a saltare la
scuola
solo per passare del tempo insieme. Ovviamente non posso dirmene
dispiaciuta,
ma continuo a credere che debba esserci un’altra ragione
dietro il suo improvviso
invito.
Raggiungo
il parco con il cuore in trepidazione. Intorno a me è una
festa di colori e di
profumi, ma le corolle arancioni delle rose coltivate da mia madre
conquistano
presto il mio sguardo. I miei occhi si posano sull’uomo che,
seduto placidamente
sulla panchina di pietra bianca, le contempla ora con amore. Mi
avvicino e,
senza disturbarlo, prendo posto accanto a lui.
«Il
giorno in cui tua madre decise di piantare queste rose, tu avevi tre
anni».
Mio
padre inizia la sua storia, sorridendo con nostalgia a un passato del
quale io
non possiedo alcuna memoria. I ricordi che ancora conservo della mia
infanzia
sono frammentari e non sempre nitidi. Per la maggior parte, si tratta
più che
altro di racconti condivisi e tramandati dai miei genitori o dai miei
fratelli.
Stranamente, però, non sono mai stata curiosa al riguardo,
non ho mai mostrato
un reale desiderio di conoscere i primi anni della mia vita. Dentro di
me, al
contrario, ho sempre percepito quel capitolo della mia esistenza come
estraneo.
Per quanto mi riguarda, la mia storia è iniziata dieci anni
fa. I quattro anni
che precedono questa data non sono altro per me se non carte scritte da
una
mano sconosciuta, da un’anima indipendente. Questo
è quello che ho sempre
creduto ogni volta che provavo a sfogliare quelle pagine scritte in una
calligrafia che non riconoscevo, intrise di eventi di cui non ero io la
protagonista.
«Quel
giorno ha cambiato le vite di tutti noi», mio padre continua
a parlare, senza
distogliere lo sguardo dai giardini in fiore, «e adesso
potrebbe cambiare anche
la tua, se è ciò che vorrai».
Finalmente
il suo viso ruota verso di me e il mio cuore sussulta per un attimo.
E’ la
prima volta che tra noi due viene a crearsi un’atmosfera
tanto grave. In
passato mi è già capitato di affrontare
conversazioni importanti con mio padre,
ma oggi l’espressione nei suoi occhi è decisamente
più intensa. Le sue parole
sono ben studiate – me ne sono accorta dalle brevi ma
frequenti pause che ha
inserito tra l’una e l’altra. Probabilmente non
vuole condizionarmi dicendo
qualcosa che possa alla fine influenzare la mia decisione. Tutta questa
formalità, questa cautela nel parlarmi mi impensieriscono.
È come se mio padre
volesse farmi credere che dalla mia scelta dipenderà tutto
il mio futuro.
«Hai
detto che solo io posso scegliere», mi rivolgo infine a lui,
desiderosa di
comprendere, «ma cosa dovrei scegliere esattamente? Quali
sono le opzioni?».
«Prima
di rispondere alla tua domanda, lascia che ti chieda una
cosa», domanda lui,
valutando attentamente la mia reazione. «Non hai notato nulla
di strano in
queste ultime settimane? Nulla di diverso?».
Sorpresa
dalle sue parole, inizio a riflettere. Ad essere onesta, mi stanno
accadendo
molte cose a cui non riesco a dare una spiegazione, ma una in
particolare mi
preoccupa.
«In
effetti, c’è qualcosa di cui vorrei
parlare», rispondo quindi, confidando nella
saggezza di mio
padre. «Dopo quello che
è successo ieri, ho come l’impressione che tutti
stiano cercando di evitarmi,
quasi avessero paura di rivolgermi anche solo uno sguardo, soprattutto
Tatsuo.
So che è arrabbiato con me perché ho agito da
sconsiderata e capisco che non
voglia vedermi, ma vorrei avere una possibilità per
chiedergli scusa e farmi
perdonare». Gli occhi di mio padre si allargano, sbalorditi.
Forse non ero
questo che si aspettava di sentire ma, dal momento che ne ho
l’opportunità, preferisco
chiedere il suo aiuto. «Il problema, però,
è che non saprei da dove iniziare a
scusarmi. La verità è che non ricordo nulla. Cosa
è accaduto dopo che sono
svenuta? Come sono finita in ospedale? Cos’è
successo ad Aizawa e a quei due
ragazzi che erano con lei?
Perché…perché sui miei
vestiti…c’erano tracce
di…sangue?», la sola parola mi fa rabbrividire, ma
riesco ugualmente a
pronunciarla. «Certo, Arthur mi ha raccontato, eppure
continuo a non ricordare.
Se dovessi rispondere alla tua domanda, papà, allora direi
che ultimamente ci
sono un’infinità di cose strane che mi stanno
accadendo e che non riesco a
spiegarmi. L’ultima cosa che ricordo è che ieri
sera, dopo essere stata
avvicinata da Aizawa, subito prima di perdere i sensi, ho sentito una
voce. Era
fredda, cinica, impaziente. Ho cercato di guardarmi intorno credendo ci
fosse
qualcun altro insieme ad Aizawa e i suoi due compagni, ma non ho visto
nessuno.
Però sono certa di aver sentito quella voce. Continuava a
ripetermi di non
essere debole e voleva che mi facessi da parte, ma non so cosa volesse
dire
esattamente. Sto forse impazzendo, papà? In questi giorni mi
sento sempre
fiacca e assonnata. Mi capita di svenire e di non ricordare nulla.
Vorrei solo
sapere se ho qualcosa che non va. Perché Tatsuo non vuole
parlarmi? Perché mi
odia tanto? Solo perché ho mentito? Solo perché
non ho confessato subito di
aver ricevuto quelle lettere? Non volevo farvi preoccupare, pensavo di
potermela cavare da sola. Volevo dimostrare a me stessa di essere
cresciuta, di
essere cambiata. Solo questo, davvero!».
«Adesso
calmati, Eiko», le mani di mio padre afferrano dolcemente le
mie spalle. «Lo so
che non avevi cattive intenzioni, perciò lasciami chiarire
una cosa: Tatsuo non
è affatto arrabbiato con te. Piuttosto, è in
collera con se stesso. Tutti noi
lo siamo. Ognuno, a modo suo, si sente colpevole nei tuoi confronti.
Ecco
perché hai avuto l’impressione che ti stessero
evitando, ma fidati di me,
nessuno in questa casa ti odia e mai ti odierà, qualunque
cosa accada. Tu sei e
sarai sempre la nostra piccola Eiko. Nulla potrà cambiare
questa verità». Per
un attimo sono certa di aver visto un luccichio negli occhi di mio
padre. Una compassione
diretta forse non soltanto a me. «Se vuoi conoscere la
verità, te la
racconterò», superato il momento di commozione, la
sua voce si carica di una
nuova gravosità, in attesa della mia risposta.
«Tu
sai che cosa mi sta succedendo, papà? E sei disposto a
dirmelo?».
«Si,
se è quello che vuoi».
Le
sue parole sono pesanti, sofferte. Quanto grave potrà mai
essere il segreto che
custodisce? È così terribile da indurlo a
mostrare quell’espressione? Ma non
voglio continuare ad essere l’unica a non sapere. Se
scoprissi di avere una
malattia o di essere semplicemente pazza lo accetterei e, per il bene
della mia
famiglia, mi sottoporrei a qualunque tipo di trattamento per guarire.
Rimanere
nell’ignoranza non è più una
alternativa accettabile.
«Papà,
ho deciso:», mio padre trattiene il respiro, attendendo il
verdetto finale, «io
voglio sapere».
Le
spalle di mio padre si abbassano lentamente ed egli, con un cenno del
capo,
annuisce. «Capisco. Se è quello che vuoi, ti
racconterò ogni cosa dall’inizio».
Pensavo
che avrebbe cercato di farmi cambiare idea o di convincermi a pensarci
più
attentamente. Vederlo accettare la mia richiesta senza opporre
resistenza mi ha
un po’ delusa. La mia decisione non sarebbe ugualmente
cambiata, ma non è
esattamente questa la reazione che mi aspettavo. Se questo segreto
è davvero
così terribile, non avrebbe almeno dovuto provare a
discutere un po’ con me?
Oppure, in fondo in fondo, sperava che le cose andassero in questo modo
e che
io esprimessi la volontà di sapere? Ad ogni modo, anche se
non è stupito né
sconvolto dalle mie parole, vedo chiaramente quanto sia preoccupato per
me ma,
come promesso, inizia il suo racconto partendo proprio da quel passato
di cui
non conservo ricordi.
***
«Ora
sai la verità, Eiko. Ma prima che tu dica qualunque cosa,
sappi che non è colpa
tua. Non è colpa di nessuno».
Dopo
aver ascoltato la sua confessione, non posso credere alle sue parole.
Come può
non essere colpa mia? Aizawa. Quei due ragazzi. Sarebbero potuti
morire, e
sarebbe stato solo a causa mia. Come è accaduto? No,
perché è accaduto? Perché
proprio io? Da un po’ di tempo sospettavo ci fosse qualcosa
di sbagliato in me,
ma la realtà è peggio di quanto avessi
immaginato. Ora capisco perché Tatsuo
non vuole parlarmi. Neanche io vorrei avere nulla a che fare con
un….mostro
come me. Pensavo di essere una ragazza normale, una come tante altre.
Ho
accusato Aizawa senza sapere di essere io stessa un pericolo.
Cosa
dovrei fare? Cosa dovrei dire? Come dovrei reagire? Cosa dovrei pensare
di me
stessa? A questo punto non so più chi sono. Non ho neppure
la certezza che
questi pensieri siano miei. Personalità multipla? Io? Avrei
preferito scoprire di
essere pazza, ma questo…. Come si cura una simile malattia?
E’ curabile almeno?
Fino ad oggi ne avevo sentito parlare solo in televisione, nei libri,
nei film.
Per me non era neanche reale, solo un’invenzione
cinematografica o letteraria.
Dovrei arrabbiarmi? O forse sentirmi umiliata? Dovrei disprezzare me
stessa? O
dovrei accettarlo? Dovrei avere paura?
Se
non altro adesso so che cosa è successo ieri sera. So a cosa
erano dovuti gli
svenimenti e i vuoti di memoria, gli sbalzi d’umore e tutto
il resto. Ma non mi
sento affatto sollevata. E se accadesse di nuovo? Dentro di me esiste
davvero
un’altra Eiko? Questo vuol dire che in fondo sono una persona
a cui piace
bearsi delle disgrazie altrui? Che prova piacere nel tormentare chi
è confuso o
insicuro? Che si compiace delle proprie menzogne? No, mi rifiuto di
accettare
una simile Eiko. Io non sono così. Non istigherei nessuno a
commettere un
crimine. La sola idea mi disgusta. Ma mio padre non mi mentirebbe mai,
quindi
significa che tutto ciò che mi ha raccontato è la
verità.
«Capisco
che tu sia sconvolta, bambina mia, ma non darti pena. Ricorda che non
sei sola.
Insieme troveremo una soluzione».
«Insieme?!»,
la mia voce esplode in un grido stridulo e frustrato. «Questo
è impossibile,
papà! Hai dimenticato che mi stanno tutti evitando?
Soprattutto Tatsuo. Come
posso chiedergli di aiutarmi? È assolutamente normale che
non voglia avere a
che fare con me, con un…»
«Eiko!
Adesso basta!».
Sussulto.
Mio padre non aveva mai urlato in questo modo, perché non
è una persona che
urla o perde la pazienza facilmente. Questo vuol dire solo una cosa:
è di nuovo
colpa mia. Ho di nuovo ferito un membro della mia famiglia
costringendolo a
mostrarmi un lato di sé che mai avevo visto prima.
Perché le mie azioni non
coincidono mai con i miei desideri? Forse è vero. Forse non
sono io ad avere il
controllo del mio corpo. Non voglio ferire le persone che amo. Un
abominio come
me non merita di essere amata. Perché? Perché non
posso essere una ragazza
qualunque? Perché devo costringere i miei genitori a questa
tortura?
«Tu
non sei un mostro. Sei la nostra piccola Eiko».
Le
braccia protettive di mio padre mi attirano a sé, soffocando
il mio pianto
contro il suo petto. La sua mano mi accarezza con amore, cullando la
mia
disperazione.
«Non
pensarlo mai più, bambina mia, perché nessuno di
noi lo pensa».
La
pacatezza della sua voce fa vibrare il suo petto contro la mia guancia.
Stretta
al mio papà, continuo a piangere. I miei singhiozzi sono
l’unico suono udibile
in tutto il parco. In questo momento non riesco a pensare ad altro che
a
versare lacrime.
«Tatsuo
non è arrabbiato con te. È in collera con se
stesso. Il motivo per cui ti sta
evitando è perché non ha il coraggio di
guardarti. Tuo fratello non potrebbe
mai odiarti, ma la consapevolezza di non essere riuscito a proteggerti
è una
vergogna troppo grande per lasciarti incrociare il suo
sguardo».
«Ma
non ha nulla di cui vergognarsi! Non è colpa sua se sono
così! Perché dovrebbe
sentirsi responsabile?!».
«Perché
tuo fratello ti ama immensamente e non potrebbe sopportare di vederti
piangere
in questo modo. Tutti noi ti amiamo e, sebbene ognuno a modo suo,
proviamo quello
che prova Tatsuo. Ma come ho detto prima, non è colpa di
nessuno. Né tua, né di
tuo fratello. Dagli solo un po’ di tempo per
calmarsi».
Non
è giusto che pianga, che sia io l’unica a sfogare
la mia frustrazione. Tatsuo.
Naoko. Mia madre. In questo momento sono confusi quanto me. Non posso
farmi vedere
così debole. Non voglio farli preoccupare più di
quanto abbia già fatto. Ma
soprattutto non voglio perderli. Se il prezzo da pagare per riavere mio
fratello è nascondere i miei sentimenti, reprimere la mia
paura, accettare a
testa alta la realtà, allora sia. La mia condizione potrebbe
non essere così
grave. La mia maggiore virtù è conoscere bene i
miei limiti. Io ho bisogno
della mia famiglia, di tutta la mia famiglia. ho bisogno di averli
accanto a
me, ora più che mai. Piangere non serve. Adesso che conosco
la verità posso
fare la mia scelta. È una scelta egoistica, ma è
la migliore per me.
«Papà,
ho deciso», mi sciolgo dal suo abbraccio e asciugo le ultime
lacrime prima di
sollevare lo sguardo. «Voglio che Tatsuo torni a guardarmi e
a parlarmi, perciò
non posso mostrarmi debole. Non piangerò, poiché
non cambierebbe la situazione
in cui mi trovo, ma non sono abbastanza forte da poterne uscire da
sola. Ecco
perché ho bisogno del tuo aiuto, di quello di Tatsuo. Ho
bisogno del supporto
di tutta la mia famiglia per affrontare con coraggio questo momento. Ho
deciso
di fare tutto il possibile per migliore la mia condizione e guarire
perciò,
anche se è una richiesta egoistica, vorrei che rimaneste al
mio fianco per darmi
il vostro supporto. Avrei però una condizione».
Mio
padre annuisce attendendo la mia dichiarazione. Infine dispiega le
labbra in un
caldo sorriso di approvazione.
***
Il
giorno dopo mia madre mi accompagna a scuola. Insieme raggiungiamo
l’ufficio del
preside dove lei firma le carte per il mio trasferimento. Terminate le
pratiche
ufficiali, mi lascio la Teikō alle spalle. Abbandono
l’edificio insieme a mia
madre, senza incontrare Mayumi, né Satsuki, senza salutare i
ragazzi. In
silenzio, come sono arrivata, me ne vado, con la sola speranza di non
incontrare mai più nessuno di loro. Nel mio cuore sono grata
per la loro
amicizia, ma non posso esprimere la mia gratitudine di persona. Se ora
li
incontrassi sarei obbligata a rivelare la mia vera identità,
a confrontarmi con
il loro disprezzo, la loro paura, il loro rifiuto. Non voglio che il
mio ultimo
ricordo qui alla Teikō sia legato ai volti delusi dei miei amici, alle
loro
parole di ripugnanza. Non lo sopporterei. So che andare via senza
incontrarli
significa scappare, ma questa è la cosa migliore per me.
Dopotutto, io sono un’egoista.
Mi
infilo nella limousine bianca, resistendo alla tentazione di voltarmi
indietro
a guardare per l’ultima volta il profilo della scuola.
«Sei
sicura di non voler salutare i tuoi amici?», domanda mia
madre, ritardando la
partenza.
«E’
meglio così», rispondo, abbozzando un sorriso.
«Incontrarli renderebbe tutto
più difficile».
Rispettando
la mia decisione, mia madre chiede infine ad Arthur di mettere in moto
l’auto.
***
Durante
i mesi successivi ho continuato i miei studi a casa, grazie
all’aiuto degli
insegnati assunti da mio padre. Nei primi giorni dopo il mio
trasferimento,
Mayumi e Satsuki si sono presentate una volta davanti ai cancelli della
villa,
ma sono state accolte da mia madre che ha raccontato loro del mio
viaggio in
periferia, verso la residenza dei miei nonni paterni. Ovviamente era
una bugia
per convincerle a non tornare più a cercarmi. Nel frattempo
ho iniziato a
frequentare regolarmente uno psicologo, oltre a sottopormi a controlli
di
routine in ospedale. La terapia da seguire non è facile, dal
momento che lo
scopo principale delle sedute è aiutarmi a ricordare quella
parte del mio
passato che avevo inconsciamente deciso di dimenticare.
Grazie
ad Arthur sono riuscita a scoprire qualcosa in più sulla
misteriosa personalità
che ha preso il controllo durante l’incidente di Aizawa. A
quanto pare, si è
manifestata per la prima volta durante la mia infanzia, proprio durante
quel
periodo della mia vita di cui non conservo alcun ricordo.
«Mi
ha detto di chiamarsi Meiko», mi ha rivelato Arthur. Secondo
il suo racconto, è
stato l’unico ad incontrarla e a parlare con lei. A prima
vista, gli è parsa
una ragazza molto orgogliosa, con un grande risentimento nei miei
confronti.
«Ciò
che mi ha subito colpito, sono stati i suoi occhi. Erano colmi di
malizia,
troppo audaci, provocanti, ma non in modo sessuale. No, niente di tutto
questo.
Erano vispi e attenti. Cercavano di scrutare nell’animo per
carpirne le
debolezze e sfruttarle per il proprio divertimento. Ho riconosciuto
immediatamente
quegli occhi. Quella sera, a scuola, ho capito immediatamente che la
ragazza
impaurita, coperta di sangue, non era più lei, signorina,
Eiko».
«Hai
capito che non ero io?», gli ho chiesto, stupita.
«Ho
subito pensato che dietro l’incidente ci fosse Meiko, ma ho
deciso di
assecondare il suo gioco, fingendo di credere alla sua messinscena. Non
sono
mai riuscito a dimenticare quegli occhi».
Mentre
Arthur mi parlava di Meiko, le sue labbra si sono più volte
curvate in una
smorfia di rabbia. Non so ancora bene quale rapporto esista fra tutti e
due, ma
da quanto ho visto, la ricomparsa di questa pericolosa
personalità ha reso
Arthur molto inquieto.
Dopo
quella sera, Meiko non si è più fatta vedere, ma
io so che non è sparita. Di
tanto in tanto ho l’impressione di sentire i suoi pensieri.
Percepisco la sua
minacciosa presenza nel mio subconscio perciò non posso
abbassare la guardia
nemmeno durante il sonno. So che al minimo segno di cedimento
tenterebbe di
riprendere il controllo.
Per
fortuna non solo sola e, ora che Tatsuo è tornato a
parlarmi, sento di essere
diventata più forte e sicura di me. Gli ultimi pensieri
della mia vita da
studentessa delle medie sono positivi e pieni di speranza per il mio
futuro. Tutto
ciò che mi resta da fare è cominciare a
camminare, stringendo senza timore le
mani delle persone che amo.
°°°
Ciao
a tutti! ^^
Con
questo capitolo si conclude la prima delle tre parti di questa storia.
Vi ringrazio
per avermi seguita fino a questo punto e spero continuiate a leggere
con interesse
i prossimi capitoli. Vi auguro una buona domenica.
Un
bacione
Lady
L.