Capitolo
12
“Benvenuta
alla Seirin!”
In
piedi davanti alla porta spalancata della mia stanza, Haruka continua a
tamburellare nervosamente il piede a terra. A intervalli regolari
controlla
l’ora sul display del cellulare fino a quando, esasperata, mi
agguanta per il
polso e mi trascina giù per la scalinata. Ho appena il tempo
di afferrare la
cartella prima di ritrovarmi nella limousine bianca, seduta accanto
alla mia
esuberante cugina.
«Non
ho avuto neanche il tempo di fare colazione», mugugno,
provando a sistemare il fiocco
verde sulla mia nuova divisa scolastica.
«Mangia
questo».
Senza
molte cerimonie, Haruka infila un croissant nella mia bocca ancora
aperta e mi
ordina di masticare. Ubbidisco e la ringrazio con un cenno del capo
mentre
l’auto si mette in moto.
«Visto
che oggi è il tuo primo giorno di scuola, ti
porterò in giro a dare
un’occhiata», commenta Haruka con evidente
sicurezza. «Sono certa che ti
ambienterai subito, ma se dovessi trovarti in difficoltà
vieni a cercarmi. Di
solito nel pomeriggio ho gli allenamenti con il club di pallavolo
perciò mi
trovi in una delle palestre. Durante la pausa pranzo vengo a prenderti
in aula,
perciò aspettami lì e non muoverti. Cerca di non
attirare troppe attenzioni, ma
questo non sarà un problema per te. Se qualcuno ti parla sii
amichevole ma non
dare troppa confidenza. Ricorda che da oggi inizia la tua nuova vita
perciò non
menzionare, per nessun motivo, la Teikō. Non abbassare mai la guardia:
non
appena gli altri studenti scopriranno che siamo cugine, inizieranno a
ronzarti
intorno come api per diventare tuoi amici. Ovviamente il loro obiettivo
sarà
solo ingraziarsi un altro membro della nostra famiglia. Luridi
parassiti»,
sulle ultime due parole, la mano di Haruka si stringe in un pugno,
pronto a
rilasciare un potente colpo.
«Ho
capito, calmati adesso», la incoraggio ad abbassare il
braccio e a rilassare i
muscoli tesi. «Non devi preoccuparti. Non ho intenzione di
commettere lo stesso
errore dell’anno scorso».
Chino
il capo ripensando agli avvenimenti dell’anno passato, quando
ho scoperto di
soffrire di Disturbo Dissociativo dell’Identità.
Quando mio padre mi ha rivelato
che dentro di me vive un’altra persona, non volevo credere
alle sue parole.
Questa ragazza pericolosa è comparsa per la prima volta
davanti ad Arthur,
durante la mia infanzia, dicendo di chiamarsi Meiko. Pochi mesi fa, a
causa
sua, tre studenti della Teikō sono stati ricoverati in ospedale in
condizioni
piuttosto gravi. Tra di loro c’era anche Aizawa,
l’artefice delle lettere
minatorie che, da un po’ di tempo, trovavo ormai nel mio
armadietto. La ragione
di tale odio nei miei confronti è stata la mia amicizia con
Akashi e i ragazzi
della squadra di basket.
Dopo
aver lasciato la Teikō ho continuato i miei studi a casa e mi sono
diplomata
privatamente. Inoltre ho iniziato il ciclo di cure che dovrebbero
aiutarmi a
riprendere il pieno controllo su me stessa. Anche se da quella sera non
si è
più manifestata, Meiko non è sparita.
È ancora presente da qualche parte nel
mio subconscio e io non posso dirmi al sicuro. Di conseguenza
è comprensibile
l’ansia di Haruka.
Oggi
inizia la mia vita da liceale e tutta la mia famiglia ha deciso
perché io
frequentassi la stessa scuola di Haruka. Mia cugina è
più grande di me di un
anno, quindi ora è una mia senpai.
Ma
in realtà le è stato affidato il compito di
tenermi d’occhio. Avere un membro
della famiglia vicino a me, ha spiegato lo psicologo, mi
aiuterà ad affrontare
il nuovo contesto scolastico con più serenità e a
mantenere stabili le mie
emozioni. Inoltre ho deciso di fare del mio meglio per non fare
più preoccupare
nessuno. Per questo mi assicuro di arrivare sempre in orario agli
incontri con
la mia psicologa e di assumere ogni giorno i medicinali prescritti.
Voglio
evitare a tutti i costi che si ripeta quanto successo l’anno
scorso. Affronterò
questo nuovo anno come farebbe la vera Eiko, senza attirare attenzioni
inutili,
senza pretendere di trovare un posto nella piccola società
scolastica ma,
soprattutto, senza stringere amicizie. In questo modo non
dovrò temere di
coinvolgere persone innocenti nei miei problemi. In fondo, non ho
bisogno di
amici.
«Che
cos’è quell’aria depressa?».
La
voce di Haruka richiama la mia attenzione.
«Non
è niente, stavo solo ripetendo le regole. Come ho detto, non
devi preoccuparti.
Questa volta farò attenzione a non stringere amicizia con
nessuno».
Alla
mia dichiarazione, Haruka sospira infastidita, quindi si gira verso di
me e
colpisce la mia fronte con un dito.
«Ti
dirò una cosa: tu sei una stupida!», dichiara
infine esasperata, facendo
sussultare persino Arthur seduto al volante. «Stammi bene a
sentire, Eiko.
Nessuno ha detto che devi vivere la tua nuova vita da liceale come un
reclusa o
un’asociale. Hai dimenticato cosa ha detto la dottoressa:
l’auto-isolamento è assolutamente
vietato. Non pensare nemmeno lontanamente di chiuderti in te stessa e
rinunciare a farti degli amici, o ti prendo a pugni il primo giorno di
scuola»,
di nuovo la sua mano si chiude minacciosa. «Ok, prima ho
esagerato con le
raccomandazioni ma volevo solo ricordarti di essere prudente, per il
tuo bene. Invece
tu non hai capito niente. Conosco quella faccia. Stavi di nuovo
pensando a
quello che è successo l’anno scorso,
ammettilo!!!».
«No,
io…», incapace di discolparmi, infine confesso,
piena di vergogna.
«Eiko»,
Haruka posa una mano sulla mia spalla e la sua voce si addolcisce.
«Ne abbiamo
già parlato e nessuno pensa che sia colpa tua,
perciò smettila di fare
l’insicura e abbi più fiducia in te stessa. E poi
ci sono io con te. Vedrai:
quest’anno sarà il migliore della tua vita e tu
conoscerai un sacco di nuovi
amici. So che sei ancora legata ai tuoi compagni della Teikō, ma adesso
devi
guardare avanti», dispiegando un larghissimo sorriso, mi
dà un colpetto sulla
spalla e io ritrovo fiducia.
L’auto
si ferma e Arthur annuncia che siamo arrivati a destinazione. Esco
dall’abitacolo insieme ad Haruka e uno sbuffo di vento corre
tra i miei
capelli. È di nuovo primavera e i ciliegi sono fioriti
ancora una volta.
«Sei
pronta?», si assicura Haruka dopo essersi sistemata la gonna,
arruffata dal
vento. Le rispondo con tutta la decisione di cui sono capace quindi,
solleviamo
entrambe lo sguardo sull’imponente edificio che si staglia
davanti a noi.
«Benvenuta alla Seirin!».
***
I
cortili della scuola pullulano di stand. Ovunque è un
energico vociare di
studenti impegnati a conquistare l’attenzione delle nuove
leve. Come all’inizio
di ogni nuovo anno, i membri di tutti i club gareggiano ferocemente tra
loro
per strappare agli avversari nuovi iscritti. Io e Haruka avanziamo
intrepidamente attraverso il campo di battaglia, ma senza eludere gli
ostacoli.
Proteggendomi dall’assalto simultaneo dei rappresentati di
diversi club, mia
cugina si assicura di collezionare un volantino da ognuno di loro per
poi
cedermelo.
«Prenditi
del tempo per dare un’occhiata a tutti. Magari trovi qualcosa
che ti
interessa».
Seguendo
il suo consiglio, inizio a sfogliare i depliant: club di letteratura,
club di
shogi e scacchi, club di fotografia, club di recitazione, club di
giardinaggio,
club di calcio, club di scherma, club di nuoto, club di scienza. I miei
occhi
si soffermano infine sul volantino del club di scrittura. Da quando
sono
iniziate le sedute terapeutiche scrivo regolarmente in un diario.
È stata la
mia psicologa ad assegnarmi questo compito che devo svolgere ogni
giorno. Non
avevo mai scritto nulla di personale prima e non avevo mai pensato di
comporre
testi di alcun genere. Non avevo idea di quanto benefico e liberatorio
fosse
scrivere, riportare sulla carta bianca i propri pensieri e le proprie
emozioni.
È un ottimo metodo per fare chiarezze nella mia mente e nel
mio cuore e adesso
non riesco più a farne a meno. Questa mattina ho deciso di
infilare nella
cartella anche il mio diario, sebbene Haruka non fosse
d’accordo. Mi rendo
conto che sia rischioso: se qualcuno dovesse leggerlo verrebbe a
conoscenza del
mio segreto e sapere che l’ultima erede della famiglia
Wadsworth soffre di
personalità multipla offrirebbe solo un succulento spunto
per il prossimo
gossip dei media. Ecco perché da domani lo
lascerò di nuovo ben custodito nel
cassetto della mia scrivania, nella mia camera. Oggi è il
mio primo giorno di
scuola e volevo assicurarmi di registrare tutte le mie emozioni prima
di
dimenticarle.
«Il
club di scrittura?», Haruka si sporge sul foglio di carta,
appoggiando il mento
sulla mia spalla. «Potrebbe essere una buona idea provare a
scrivere qualcosa
di diverso. Magari scopri di essere una grande scrittrice e di avere
del
talento».
«Io?
Del talento?».
Sentire
questa parola accostata al mio nome provoca una smorfia di
assurdità sul mio
viso.
«Perché?
Non puoi saperlo», riprende Haruka, disapprovando la mia
reazione. «Hai
dimenticato? Non rinunciare prima di aver provato. Mah, siamo solo al
primo
giorno, quindi hai tutto il tempo per decidere col calma».
Il
suo braccio mi attira a sé mentre la sua mano scompiglia
affettuosamente i miei
capelli.
«Haru-chan!
Da questa parte!».
Una
voce femminile e squillante si alza tra la confusione. Haruka solleva
il
braccio salutando una ragazza che stringe in mano un pallone da
pallavolo. Mi
fa cenno di seguirla e ci avviciniamo a quello che sembra essere lo
stand del
club di pallavolo.
«Non
avevi detto di non poterci aiutare perché avevi da fare?
Cosa ci fai a scuola
così presto?», domanda la ragazza imbronciando le
labbra. «Aspetta, chi è
questa ragazza? E’ così carina! Sembra una
bambola. La conosci?».
«E’
mia cugina e oggi è il suo primo giorno», risponde
Haruka in tono svogliato.
«Impossibile!»,
dichiara la ragazza scuotendo energicamente la testa in segno di
negazione.
«Come può un maschiaccio come te avere una cugina
tanto graziosa? Come ti
chiami?», chiede infine rivolgendosi direttamente a me e
ignorando gli insulti
di Haruka.
«Mi
chiamo Eiko Wadsworth. Molto piacere».
Non
appena termino la presentazione non solo la ragazza davanti a noi, ma
anche le
altre compagne di squadra di Haruka si avvicinano piene di
curiosità. Dopo
avermi guardata, iniziano a squittire e urlare in coro, prendendomi a
turno fra
le loro braccia e accarezzandomi come fossi un cagnolino. È
la prima volta che
il mio volto da bambina scatena una reazione tanto veemente.
«Capitano,
possiamo tenerla?», implora una giocatrice.
«Si,
si. La voglio assolutamente in squadra!», le fa eco una
seconda.
«Potremo
coccolarla e accarezzarla quando vorremo!», minaccia infine
una terza.
«Che
diavolo state dicendo, cretine! Eiko non è mica un
cane!!».
Haruka
esplode strappandomi dalle grinfie delle sue scalmanate compagne.
«Mi
dispiace, ma purtroppo io non sono brava come Haruka. Non sono portata
per gli
sport», confesso subito dopo nella speranza di soffocare
l’entusiasmo del
gruppo.
«Questo non
è un problema», controbatte il
capitano. «puoi diventare la nostra manager».
«Temo
che finirei solo col combinare pasticci».
«Nooo!
È anche impacciata! E’ assolutamente
adorabile!!!».
A
quanto pare, qualunque cosa dica non servirà a demotivarle.
Per fortuna Haruka
interviene prima che la situazione degeneri.
«Vi
avverto: state lontane da Eiko o dovrete vedervela con me.
Maniache!».
«Sei
sicura di poter parlare così al tuo capitano e alle tue
compagne?», le chiedo
preoccupata. Apprezzo le sue intenzioni, ma forse ha esagerato.
«Non
preoccuparti, siamo abituate al linguaggio di tua cugina»,
interviene il
capitano con una risata. «Beh, non posso obbligarti a entrare
nel club se non
vuoi. Ma sappi che se dovessi cambiare idea, sarai sempre la
benvenuta».
Approfittando
della distrazione di Haruka, impegnata a tenere a bada il resto della
squadra,
il capitano mi fa l’occhiolino per poi richiamare
all’ordine le ragazze. Dopo
un breve saluto alle compagna di squadra, Haruka mi prende con
sé e ci lasciamo
alle spalle lo stand.
«Sembrano
delle ragazze simpatiche», commento quando ormai siamo
lontane.
«Si,
ma non abbassare la guardia o ti divoreranno. Adesso che sanno che sei
mia
cugina, proveranno in tutti modi
a
convincerti a entrare nella squadra. Se dovessero infastidirti le
sistemerò io».
Non
ho dubbi al riguardo e non posso che sentirmi in ansia. E’
chiaro a questo
punto che Haruka non perderà di vista le sue compagne.
Inizio ad essere un po’
preoccupata per loro. Il mio primo incontro qui alla Seirin ha
sicuramente
lasciato un forte impatto e più tardi devo ricordarmi di
riportarlo nel mio
diario. Sono felice di aver conosciuto le compagne di squadra di
Haruka. E’ un
bel gruppo affiatato e ora sono impaziente di assistere alle loro
partite.
***
Arriva
il momento di separarmi da mia cugina e raggiungere la mia aula.
Purtroppo la
sua classe si trova al piano superiore, quello riservato al secondo
anno. Prima
di varcare la soglia prendo un bel respiro e nella mente ripeto le
parole di
incoraggiamento di Haruka. Non posso cambiare quello che è
successo in passato,
ma non devo lasciare che condizioni il mio presente. Preferirei
dimenticare la
mia esperienza alla Teikō ma so che non accadrà mai. Il
ricordo di quella sera
è ancora nitido nella mia memoria, così come i
volti di Mayumi, Satsuki,
Akashi. Ma ho promesso di guardare avanti e non tormentarmi. In questa
scuola
non mi conosce ancora nessuno quindi posso ricominciare da zero,
procedendo con
cautela. Anche se Meiko non è più ricomparsa, i
dottori hanno detto che la mia
condizione è ben lontana dal definirsi stabile. Se non altro
so che la mia
seconda personalità tende a riemergere quando mi trovo in un
forte stato
emotivo o psicologico. Di conseguenza mi basterà evitare le
situazioni estreme
e rimanere in un contesto il più tranquillo possibile.
Una
volta ritrovata la calma compio il primo passo verso la mia nuova vita.
Un
vento impetuoso di voci mi travolge. Schiamazzi e risate, ovunque
è una festa
di suoni che colpiscono le mie orecchie, di gesti teatrali che
catturano il mio
sguardo. Intimidita dall’atmosfera giocosa e incredibilmente
vivace che domina
l’aula, mi infilo tra la massa informe. Grazie alla mia
statura minuta riesco
ad avanzare senza intoppi. I miei chiassosi compagni di classe non
sembrano
accorgersi di me, immersi come sono nelle loro conversazioni. Sono per
lo più
divisi in piccoli gruppi sparsi per la stanza, intenti a condividere le
prime
impressioni sulla nuova scuola, su qualche senpai avvicinatosi per
promuovere
il proprio club o su qualche possibile interesse romantico appena
sbocciato.
Ciò che però accomuna ogni studente è
sicuramente il desiderio di socializzare
e familiarizzare il prima possibile con i nuovi compagni di classe e
approfittarne magari per stringere qualche alleanza che potrebbe
rivelarsi
fruttuosa durante l’anno.
Dentro
di me cresce un’agitazione mescolata
all’entusiasmo. Mi sento combattuta fra
una miriade di sentimenti differenti per natura e intensità.
Per quasi un anno
mi sono tenuta a debita distanza da qualunque tipo di luogo pubblico.
Dietro
ordine dei medici, mi trovo di nuovo in balia di questa burrascosa
tempesta che
chiamano società, con il compito, o forse sarebbe
più appropriato dire
missione, di infiltrarmi e diventare parte di essa. Se da una parte
è un bene
che non ci siano volti conosciuti tra quelli dei miei compagni, che
potrebbero
riportare alla mente la mia terribile esperienza alle scuole medie,
dall’altra sapere
di dover ripartire dalle basi per instaurare una qualsiasi relazione mi
fa
sentire incredibilmente insicura. Tuttavia, ora che so quanto ancora
instabile
sia la mia condizione, non posso permettermi il lusso di cedere allo
sconforto
e abbattermi alla prima difficoltà.
Ma
il destino sembra avere in serbo per me la più devastante
delle prove. Proprio
quando penso di aver trovato la serenità giusta ad
affrontare la mia nuova
vita, un’altra matricola, di cui non mi ero accorta fino a
questo momento, mi
passa accanto sfiorandomi. Il contatto è minimo ma
sufficiente a farmi voltare
per incrociare lo sguardo del ragazzo. Due iridi, splendenti e chiare
come geme
di topazio, bloccano il respiro nella mia gola. Il cuore quasi mi
schizza in bocca
per la sciagurata coincidenza ordita dal Fato. Ero sicura che non avrei
più
rivisto nessuno di loro, che avrei potuto voltare pagina e ricominciare
da
zero. Invece, l’improvvisa apparizione di Kuroko Testuya
davanti ai miei occhi
mi risveglia bruscamente dal mio sogno, affogando i miei pensieri in un
caos
primordiale da cui, sento, non riemergerò facilmente. Se il
mio cervello ha
congelato la sua capacità razionale, l’istinto
è ancora abbastanza valido da
precipitarsi in mio soccorso. Appena un attimo prima che Kuroko
dischiuda le
labbra per rivolgermi la parola, i miei piedi si mettono in moto e mi
portano
lontano da lui.
Non
importa che la sorte abbia deciso di prendersi gioco di me facendomi
incontrare
uno dei miei vecchi amici. Durante questi mesi mi sono preparata a
fronteggiare
anche questa possibilità. Dopo il mio trasferimento, tra i
corridoi della Teikō
ha iniziato a circolare la voce che avessi perduto parte della mia
memoria a
causa di un incidente. Un pettegolezzo che lo stesso preside, col
consenso dei
miei genitori, si è prodigato a diffondere per giustificare
la mia improvvisa
partenza. Ma questa bugia è stata approvata da tutta la mia
famiglia
soprattutto per far fronte a una crisi imprevista, e
l’incontro con un vecchio
membro della squadra di basket rientra, senza ombra di dubbio, nella
categoria
degli incontri critici. Fingere. Fingere di non riconoscere. Fingere di
non
ricordare. Fingere di non vedere, di non sentire. Ogni giorno trascorso
mi sono
allenata con l’obiettivo di risultare credibile. So bene che
è una tattica
meschina, ma nella mia condizione attuale rappresenta l’unico
appiglio
abbastanza sicuro per me. L’unica strategia che possa tenermi
ancorata ad una
realtà stabile, a una dimensione in cui sono ancora io ad
avere il controllo.
Accelero
il passo e la mia camminata si trasforma presto in corsa. La mia testa
è
annebbiata dall’improvviso incontro con Kuroko. Come
giustificherò il mio comportamento?
Riuscirò a convincerlo di aver perso la memoria? Sono stata
sicuramente
sfortunata ad incontrarlo, ma sono ancora in tempo per entrare nel
personaggio
e interpretare il ruolo. Le mie riflessioni vengono violentemente
interrotte.
La mia fuga si arresta contro la schiena di uno studente e la potenza
dell’impatto mi fa cadere all’indietro, sul
pavimento.
«Tutto bene?».
«Si, grazie», rispondo afferrando la
mano tesa. È molto più
grande della mia e la sua stretta vigorosa.
Di nuovo in piedi, solevo lo testa. Un ragazzo dallo
sguardo arcigno, tanto intenso da conferirgli un’aria
più matura della sua età,
mi osserva dalla cima della sua eccezionale statura. I due occhi,
sormontati da
un paio di bizzarre sopracciglia biforcute, splendono come due
cristalli di
granato rosso.
«Sei
davvero piccola», commenta con una voce lievemente graffiata.
Per qualche
curiosa ragione, quel suono evoca subito nella mia mente
l’immagine di una
tigre selvaggia, il cui riposo sia stato interrotto dal festoso gioco
di due
goffi cuccioli.
«Mi
spiace», rispondo d’istinto, dimenticando per un
attimo che il ragazzo davanti
a me non è affatto un predatore della savana e che io non
sono un esuberante
tigrotto.
«Eh?!
Non devi scusarti. Non è colpa tua se sei piccola».
Cosa?
Le parole del ragazzo mi risvegliano dalle mie fantasie. Ovviamente non
posso
rivelare il vero motivo per cui mi sono scusata, o mi prenderebbe per
pazza, ma
non voglio che questo ragazzo fraintenda.
«No,
volevo dire che mi spiace di esserti venuta addosso. E’ colpa
mia, stavo
correndo nei corridoi».
Sul
volto dello studente compare il colorito della vergogna e la
severità che prima
aveva dominato il suo sguardo lascia ora il posto
all’imbarazzo.
«Pensavi
che mi fossi scusata per essere così piccola?»,
gli chiedo, sondando i miei
dubbi. Il suo silenzio impacciato mi spinge a sorridere. «Se
la metti così,
allora anche tu dovresti scusarti…per essere così
alto», concludo indicando la
sua statura decisamente fuori dal normale. «Sei
giapponese?».
«Si,
lo sono, ma ho vissuto in America fin da bambino. Non volevo
offenderti, è che
non sono abituato a vedere studentesse così
piccole», confessa il ragazzo
portando una mano dietro la nuca. «Tu invece non sembri
giapponese».
«Sono
di famiglia mista. Mio padre è giapponese mentre mia madre
è britannica.
Neanche tu però sembri il tipico adolescente giapponese. Per
caso pratichi
sport?».
«Mi
sono appena iscritto al club di basket».
Basket?
Questo vuol dire che prima o poi incontrerà Kuroko e magari
diventeranno
compagni di squadra. Fino a che punto può arrivare la
sfortuna di una persona?
Se avessi saputo che questo ragazzo era un giocatore di basket, non gli
avrei
rivolto la parola. Non è prudente per me avere troppi
contatti con questo
sport. Farò meglio a troncare qui la conversazione.
«Scusa
ma ora devo tornare in classe», senza attendere una risposta
ruoto su me stessa
e ripercorro la strada da cui sono venuta. Tornata al punto di
partenza,
spalanco la porta dell’aula ma appena prima di varcare la
soglia, una presenza
imponente compare alle mie spalle.
«Così
siamo compagni di classe».
Lo
stesso ragazzo che credevo di aver lasciato nel corridoio attende ora
di
entrare in aula, la mia aula. Mi faccio da parte e lo lascio passare.
Lo seguo
con lo sguardo mentre prende posto nel banco dietro il mio. Il suo
arrivo ha
destato la curiosità di tutti gli altri studenti. La prima
impressione non è
certo la migliore. Questo tipo incute davvero paura e intorno a lui si
respira
un’aura opprimente, così intensa da mettere in
soggezione chiunque si trovi
nelle vicinanze. Non mi sorprende che i miei compagni di classe si
tengano a
debita distanza da lui. E la stessa cosa ho intenzione di fare
anch’io, sebbene
per un motivo diverso. Stringere amicizia con lui mi porterebbe ad
incrociare
nuovamente il mio cammino con quello di Kuroko e, più in
là, con quello di
tutti gli altri vecchi miei amici.
Anche
se il Fato ha deciso di mettermi a dura prova, non cadrò
nella sua trappola.
Non sono sola, Haruka è in questa scuola, insieme a me e io
non sono più la
stessa Eiko dell’anno scorso. È vero,
l’incontro con Kuroko mi ha colta di
sorpresa ma da adesso in poi non mi farò trovare di nuovo
con la guardia bassa.
Si tratta solo di resistere tre anni, i prossimi tre anni. Da questo
momento in
poi avrò la possibilità di mettere in pratica i
frutti del mio addestramento. A
parte Kuroko, nessun altro è a conoscenza del mio passato
alla Teikō e
solamente Haruka sa del mio segreto. Un segreto che potrebbe disonorare
il nome
Wadsworth. So che nessun membro della mia famiglia teme di perdere la
faccia a
causa della mia malattia. La loro unica preoccupazione è che
io sia in grado di
vivere serenamente la mia vita. I miei genitori non hanno mai badato a
cose come
la reputazione, il prestigio. Per loro sono altri i valori importanti,
ecco
perché non hanno paura che il mio segreto diventi di dominio
pubblico. Il loro
unico timore è che potrebbe condizionare la mia vita ed
espormi al giudizio
della gente. In poche parole si preoccupano solo di me, senza badare
affatto
all’influenza negativa che il mio disturbo potrebbe avere sul
nome della
famiglia. Ma io la penso diversamente. Dal momento che non posso
contribuire ad
accrescere il prestigio della compagnia poiché non ho
talenti, voglio almeno
proteggerla dalle malelingue. Ecco perché la missione che io
stessa mi sono
imposta è quella di impedire, in qualunque modo e con
qualunque mezzo, che il
mio segreto venga rivelato. Non posso esporre alla vergogna le persone
che amo.
Sicura
di aver preso la giusta decisione, rinnovo infine, nel silenzio, il mio
voto.
Entro in aula e con passo saldo mi
avvicino al mio banco. Intanto il resto della classe accompagna la mia
avanzata
con bisbigli preoccupati di sottofondo, dovuti alla presenza del
ragazzo giunto
dall’America. Da parte mia, invece, ignoro l’unico
paio d’occhi puntato sulla
mia figura. Da quando sono ritornata, infatti, lo sguardo silenzioso di
Kuroko
non si è sollevato da me. Facendo appello alla mia
determinazione, sfilo
davanti al mio vecchio amico e, ignorandolo, prendo posto di fianco a
lui.