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Autore: Donnasole    29/04/2017    2 recensioni
Questa storia è un tentativo di riempire i non detti nella storia di Zuko durante il viaggio che il ragazzo compie da solo nel secondo libro. Per chi non avesse letto il fumetto THE SEARCH o non gli fosse piaciuto, questo racconto è il modo in cui immagino siano andate le cose.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Azula, Iroh, Ozai, Ursa, Zuko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Mai sazio, come la fiamma mi ardo e mi consumo.
Luce diviene tutto ciò che afferro, carbone ciò che lascio:
sono sicuramente fiamma.

Friedrich Wilhelm Nietzsche






Le fiamme ardevano alte sul trono del signore del fuoco. Dietro le lingue dalle sfumature bluastre, Azulon rimaneva immobile, la bocca dura appoggiata sulle mani rese nodose dalla vecchiaia; del suo volto severo era visibile solo un cupo cipiglio. Ascoltava, impassibile come al solito, che il sifu di suo figlio terminasse il rendiconto scolastico del ragazzo e lo faceva con una tale impazienza silenziosa che l'insegnante sentiva la tensione accrescerglisi dentro.
Inginocchiato sul pavimento accanto al maestro, il giovane Ozai rimaneva composto, imitando coscienziosamente la postura del genitore, osservando le fiamme lambirne le vesti senza tuttavia intaccarle. Il suo sguardo vacuo e assente sembrava indifferente alle lodi che l'uomo al proprio fianco sciorinava senza quasi prendere fiato fra un inchino ed un altro.
Eppure, una certa rigidezza nella postura o un modo di tenersi seduto sui talloni , all'erta, avrebbe rivelato ad un occhio meno disattento, una vigile attesa ed il guizzare rapido dello sguardo dalle fiamme al volto del genitore era indizio di ansia crescente.
« Si il principe è molto disciplinato nell'esecuzione degli esercizi... No i suoi progressi non sono paragonabili a … Si s'impegna con dedizione nell'applicazione del dominio... Lo studio delle antiche arti è ormai bagaglio acquisito...»
Il resoconto era quasi giunto al termine.
Azulon aveva ascoltato in silenzio per tutto il tempo senza che un muscolo guizzasse su quel volto di pietra nel quale il tempo aveva scolpito pesanti segni di durezza e inciso profonde rughe d'intransigenza. Ozai, giunto all'età ormai di tredici estati non ricordava di aver mai visto sorridere il padre.
Finalmente il maestro tacque e Azulon annuì brevemente raddrizzando la schiena e guardando per la prima volta il figlio da quando era iniziato il colloquio. Se era orgoglio o compiacimento quello che sperava di vedere sul volto del padre, il ragazzo ne rimase deluso, sotto l'esame attento e spietato dell'uomo Ozai deglutì, impallidendo leggermente.
« Bene.» disse semplicemente il vecchio interrompendo il silenzio carico di tensione.
Il sangue riprese a scorrere nelle vene del giovane che poté tornare a respirare liberamente.
Azulon riportò la propria attenzione sull'insegnante.
« Sono soddisfatto di quanto ho sentito.» a quelle parole una gioia quasi selvaggia sembrò dilatare le narici e gli occhi del ragazzo facendolo fremere e rendendogli difficile rimanere nella posizione composta prevista dall'etichetta di corte. L'emozione era tale che quasi gli sfuggì il resto del discorso. « Sembra che il principe sia finalmente pronto ad accedere, anche se in deprecabile ritardo, al bujutsu-ryu: la scuola di arti marziali.» decretò il Signore del fuoco laconicamente.« Avrà anche bisogno di un huǒbàn, un compagno di allenamenti. Qualche proposta?»
« Si!» rispose immediatamente l'uomo come se si fosse aspettato la domanda e avesse già preparato la replica. « L'allievo di Jeong Jeong: Zhao.»
« Jeong Jeong. » ripetè Azulon meditabondo accarezzandosi la lunga barba. « Se ben ricordo è stato lo huǒbàn del principe Iroh. Com'è il ragazzo... Zhao.»
« Promettente ma impaziente … a detta del suo insegnante » si affrettò a spiegare il Sifu di Ozai.« Ha un paio di anni più del principe ma credo che questo costituirà uno stimolo, spingerà sua altezza ad impegnarsi maggiormente.»
« Bene. Proceda pure.» acconsentì liquidando la faccenda con un gesto della mano. « Visto che Ozai non ha più bisogno dei suoi servigi ho in mente un nuovo incarico. Mio nipote, il principe Lu Ten ha appena terminato l'apprendimento dei primi rudimenti del dominio, credo che sia pronto per un nuovo Sifu. Mi aspetto grandi cose.»
Il maestro s'inchinò profondamente. « Sono onorato dalla vostra scelta.» lanciò un'occhiata di sottecchi a quello che fino ad allora era stato il suo unico allievo ma i lunghi capelli che ne incorniciavano il profilo, gli occultarono l'espressione del ragazzo. « Dunque non potrò più seguire i progressi del principe Ozai?» chiese per maggiore sicurezza.
« Esatto!» replicò con una nota d'impazienza l'anziano Signore.« Riteniamo il principe oramai troppo grande per aver bisogno di un precettore. Studierà insieme a tutti gli altri figli della corte.»
« Capisco mio Signore.» disse il maestro dopo un attimo di esitazione. « A sua altezza farà bene stare con altri della sua età e il giovane Zhao gli sarà di aiuto in questo.»
Azulon annuì; nessuno notò Ozai stringere i pugni sulle ginocchia fino a far sbiancare le nocche.
« Un'ultima cosa prima di andare. Sposti gli attrezzi per gli allenamenti dalle stanze del principe agli alloggi di mio nipote. Oggi stesso!»
A quell'ordine perentorio il ragazzo sbarrò gli occhi sollevando di scatto la testa.
« No!» esclamò con foga attirando su di se l'attenzione generale.
Stupiti i presenti fissarono il giovane ammutolito per il proprio stesso ardire.
L'uomo al suo fianco fece per parlare, ma con un gesto secco della mano il signore del fuoco lo zittì.
L'anziano genitore, dall'alto del suo scranno, si sporse verso il figlio in atteggiamento inquisitorio.
« Dicevi?» chiese in tono asciutto aggrottando le folte sopracciglia.
Il sangue defluì dal volto del ragazzo, gettando un velo di pallore sui lineamenti tirati.
« Gli strumenti...» cominciò a spiegare tentennante.« Lu ten non può averli.»
« Per quale motivo?»
« Io...»
« Tu?» l'incalzò Azulon sempre più impaziente.
« Io … non ho fatto attenzione. Durante gli allenamenti. E sono andati distrutti.» ammise balbettando il giovane. Abbassò le lunghe ciglia colmo di imbarazzo.
Il vecchio lo studiò a lungo, nella sala tutti tacevano e si sentiva solo il crepitare delle torce intorno a loro.
« Sono molto deluso Ozai.» Disse dopo un lungo silenzio e con una durezza nella voce tale da mettere in agitazione perfino l'insegnante accanto al ragazzo.« Quegli strumenti appartenevano alla nostra famiglia da generazioni. Mio padre li aveva ricevuti dal suo che poi li aveva passati a me. Tuo fratello aveva perfezionato la sua tecnica grazie a quei sacri oggetti e ora... per la tua inqualificabile sciatteria... una tradizione è andata perduta.» si rivolse al maestro ignorando volutamente il ragazzo. « Che il principe venga condotto nei suoi alloggi immediatamente e che lì vi rimanga in attesa della giusta punizione.»
A quell'ordine entrambi s'inchinarono profondamente. Ozai si raddrizzò e con l'elasticità dei suoi giovani anni si mise in piedi; senza voltare le spalle al Signore del Fuoco abbandonò la sala fra due ali di servitori muti ed imbarazzati.
Mantenne un portamento fiero ed impassibile per tutto il tragitto ma, appena varcata la soglia dei suoi appartamenti, una solitaria lacrima venne a solcargli la guancia smunta.
Si appoggiò allo stipite della porta in silenzio con lo sguardo volto al soffitto lasciando che cupi pensieri gli ingombrassero la mente. Alla prima lacrima se ne aggiunsero altre, malinconiche e silenziose.
Nella camera avvolta dalla penombra, tutto era in perfetto ordine. Scarna, quasi monacale, più che la tana di un adolescente sembrava una stanza per gli ospiti, nulla nell'ambiente parlava di chi lo occupava; unico oggetto personale, sembrava essere il grosso baule con lo stemma di famiglia dall'aspetto antico e consunto. Il ragazzo strofinò il dorso della mano sul viso, cancellando con rabbia ogni traccia di debolezza e si avvicinò all'oggetto. Ne sollevò il coperchio, lentamente: dentro, sistemati con cura e avvolti nelle proprie fodere ricamate, stavano gli strumenti di allenamento.
Intonsi.
Ozai sollevò il primo, con reverenza, lo estrasse dalla custodia agitandolo in aria, saggiandone il peso e, con altrettanta cura, lo ripose insieme agli altri. Poi, animato da estrema risolutezza, si allontanò di qualche passo e, dopo aver respirato a fondo richiamando tutta l'energia dei suoi giovani anni, prese posizione e scagliò una palla di fuoco concentrata incenerendo il baule e tutto il suo contenuto in un'unica grande fiammata di sdegno. Con maestria controllò il fuoco affinché ubbidisse ai suoi comandi e lì rimase, ad osservare colmo di gioia selvaggia il legno ed il metallo fondersi fin quasi ad evaporare lasciando solo una macchia nera, miasmatica e catramosa.
Sorrise soddisfatto.





Quando Ozai venne al mondo per lui era già tardi.
Eterno secondo per nascita, abilità e ruolo si trovò a crescere all'ombra della grandezza di coloro che l'avevano preceduto.
Nei racconti della notte, le gesta dei suoi antenati si ammantarono di leggenda, riempiendolo d'orgoglio e meraviglia.
L'annientamento dei nomadi dell'aria ad opera di Sozin, la deportazione in massa dei dominatori nelle tribù meridionali dell'acqua e la politica imperialista delle colonie sotto Azulon, perfino l'uccisione dell'ultimo spirito drago per mano di Iroh; tutte queste storie, avvenute prima del suo concepimento, avevano generato uno stato di esaltazione e di smania tale da farlo illudere di poter essere anche lui, un giorno, annoverato fra i grandi.
Bello come solo un figlio del fuoco poteva essere, secondo la tradizione, al terzo anno di vita, venne tolto all'influenza materna, già di per se carente, che cominciò lentamente ad eclissarsi all'orizzonte del figlio fino alla completa scomparsa.
Abbandonato alle cure dei domestici, assecondato in tutti i suoi capricci e lusingato nella vanità, crebbe con una falsa percezione di sé, ingannevole e consolatoria.
La scoperta del dominio, invece di essere la consacrazione del proprio successo, fu fonte di delusione cocente allorquando, si rese evidente, la mancata predisposizione naturale che da Sozin era stata trasmessa prima ad Azulon ed in seguito ad Iroh saltando infine Ozai. Ogni aspettativa paterna crollò e con essa qualunque forma di attenzione verso il principe. Il giovane si ritrovò sbattuto contro una dura realtà, costretto a ripiegare su se stesso crogiolandosi in ultima nell'avvilimento.
Il bambino cominciò a sottrarsi ad ogni tentativo di contatto da parte del maggiore e la nascita di Lu Teng fece il resto, gettandolo nel dimenticatoio.
Messo a confronto con la propria mediocrità Ozai vide l'ammirazione provata durante gli anni infantili per il fratello talentuoso, sfumare nell'insofferenza verso quella figura fin troppo ingombrante.
L'ammirazione verso il fratello si trasformò in invidia.
L'invidia in competizione.
Così trascorsero gli anni, coprendo di un velo di patina il palcoscenico della corte da dove gli attori recitavano la propria parte a beneficio altrui; un mondo nel quale l'etica diveniva estetica e l'assioma del “ Sii te stesso”, sostituito da quello meno difficile e più vantaggioso del “ Sembra ciò che più ti conviene.”
Ben diverso dal generale Iroh, col quale veniva perennemente messo a confronto, Ozai assunse un comportamento altero dalla fisionomia tanto impassibile, quanto l'altro era aperto e gioviale; i suoi occhi divennero insolentemente penetranti e scrutatori senza recare alcuna traccia di quell'allegria e quel calore così comuni in quelli del congiunto. Una fredda cortesia, una fedeltà assoluta al trono, il rigore dell'etichetta, erano divenuti gli elementi privati e pubblici della sua vita di adolescente e manteneva tale reputazione con la stessa inflessibile solerzia con la quale continuava ad allenare corpo ed intelletto.
Quando arrivò il momento di scegliere una sposa per lui, non venne consultato.
Per più di un mese un continuo via vai di messaggeri, astronomi e dignitari animò i cortili del palazzo reale finché un giorno il giovane principe fu chiamato al cospetto del padre. Non era solo.
Il signore Azulon fu molto chiaro.
Alla mezzana che da ore intesseva le lodi della sua protetta aveva chiesto tre cose: che fosse sana, rispettosa delle tradizioni e di origini onorevoli.
Ozai sedeva accanto a lui in silenzio. La sua presenza ininfluente ai fini della trattativa.
Quello del principe sarebbe stato il classico matrimonio combinato, nulla di più, nulla di meno come a, suo tempo, lo era stato quello del fratello.
Incontrò Ursa durante la cerimonia e ne rimase estasiato, rimasero accanto durante tutta la cerimonia senza parlarsi e senza toccarsi ma la sua ammirazione divenne evidente a tutti quando, contrariamente alle tradizioni che volevano la coppia passare le prime tre notti in meditazione, Ozai cacciò via dalla stanza tutti i dignitari presenti chiudendogli personalmente la porta in faccia.
Gli era stato concesso un dono prezioso e con la stessa eccitazione di un bambino di fronte ad un pacco regalo, si apprestava a scartarlo con cura.
Ursa attendeva al centro della camera ancora coperta dei suoi abiti nuziali. Silenziosa e di una immobilità vigile.
Il talamo, dalle dimensioni maestose, incombeva minaccioso in un angolo: qualche cassapanca magistralmente laccata, un paravento a motivi fiammeggianti, un grande specchio e un tavolino basso completavano l'arredamento.
Ozai le si fece incontro sciogliendosi capelli e cintura; si muoveva silenzioso, a piedi nudi, i suoi passi attutiti dai folti tappeti. Quando la raggiunse si prese il tempo per contemplarla. Ella, sotto quell'esame minuzioso fremette inquieta. Appagato il proprio senso artistico, allungò un braccio per toccarla ma Ursa scartò di lato nervosa evitandolo. Ozai ghignando di soddisfazione le afferrò rapido una mano costringendola ad avvicinarsi e se la pose sul petto nudo. Era ghiacciata. La veste ormai aperta, aveva lasciato esposto quel corpo scolpito dall'esercizio costante nelle arti marziali, forte ed irriducibile come la volontà del suo proprietario. I muscoli guizzarono sotto il tocco riluttante della donna. Ursa non lo guardava tenendo pudicamente gli occhi bassi eppure un soffuso rossore virginale emerse sulla pelle chiara nonostante il belletto. Lui le si accostò ulteriormente annullando ogni distanza finché il calore dei rispettivi corpi si fuse mescolando i loro profumi. Inebriato, Ozai strinse contro il petto la mano di Ursa, facendo aderire il palmo proprio sopra il cuore. Sentendolo battere forte, la giovane sollevò lo sguardo timoroso sulle proprie dita, frementi sulla pelle calda e soda del compagno.
Ozai tolse gli ultimi spilloni dall'acconciatura che si afflosciò, in lunghe onde di seta corvina, brillante al riverbero delle candele. Fece scorrere una ciocca fra le dita accomodandogliela dietro l'orecchio e proseguì la carezza lungo la delicata linea della mandibola, terminando sotto il mento. Le sollevò la testa e per la prima volta i loro occhi s'incontrarono. Appassionati quelli di lui, turbati quelli di lei.
Ursa, soggiogata, con la mano libera sfiorò il ventre del giovane uomo che reagì al tocco gentile.
Dapprima esitanti le sue dita sfiorarono i contorni delle costole agitate dal respiro accelerato e, ad un cenno d'assenso quasi impercettibile, esse si fecero più audaci saggiando la carne dura che si tendeva sotto la pelle; scendendo lentamente fino a toccare il rettangolo di tessuto che copriva il basso ventre. Con un gemito strozzato Ozai la voltò di spalle facendola aderire al proprio corpo rendendo così palese la forte eccitazione attraverso gli strati di stoffa che ancora li separavano. Il grande specchio davanti al quale stavano, rimandava l'immagine di una giovane e bellissima coppia persa in un abbraccio appassionato e soffusamente illuminata dalla fiamma delle candele sparse un po' ovunque.
I loro occhi s'incatenarono attraverso il riflesso.
Ursa, intrappolata da quel possessivo tocco vide Ozai cominciare a spogliarla. Con gesti sicuri le sciolse la cintura scostando i teli sovrapposti della veste fino a far emergere la pelle di quel corpo candido ed inviolato. Come in un sogno lo guardò raccoglierle i capelli scoprendo la tenera curva del collo e poggiarvi le labbra brucianti dietro il lobo sensibile, lambendo con umidi colpi la pelle rovente. Ozai intanto valutava la sua reazione; un brivido la squassò ed un sospiro spezzato uscì dalla bocca socchiusa.
Le lunghe e curate dita di Ozai sostituirono temporaneamente le sue labbra prolungando la carezza lungo la linea della clavicola, percorrendo la pelle serica e palpitante fino a liberarla dal tessuto pesantemente ricamato. La baciò sulla spalla nuda. Senza che ne fosse pienamente consapevole le vesti caddero coagulandosi ai suoi piedi come tizzoni ardenti. Si umettò le labbra di fronte a quella visione erotica. Ozai con un sorriso di trionfo sulle belle labbra le afferrò un seno morbido titillandole il roseo capezzolo fino ad inturgidirlo. Ursa emise un gemito strozzato stringendo le gambe. Uno strano e ardente languore le infiammava le viscere togliendole ogni forza, come colta da una vertigine volse gli occhi altrove per l'imbarazzo ma Ozai la costrinse a guardare quello che le stava facendo mentre con l'altra mano scivolava verso il basso, spingendo il palmo duro contro la pancia e andando ad affondare con dita esperte nel triangolo fra le sue cosce.
Le gambe le cedettero di schianto costringendola ad appoggiarsi di colpo contro il corpo del suo amante che ridacchiò. Una sconosciuta frenesia la colse, il desiderio e una strana avidità le confusero la testa lasciandola ebbra; le sue piccole mani andarono a coprire quelle del compagno stimolando le di lui carezze.
Ozai la fece voltare nuovamente e le accarezzò col dorso di un dito il viso, gustandosi il rossore delle sue gote, lo sguardo annebbiato e la bocca umida. In un attimo il rettangolo di stoffa che gli cingeva i fianchi andò ad ammucchiarsi ai suoi piedi, biancheggiando sullo sfondo rosso cupo delle vesti. La distese sul pavimento coprendola con il proprio corpo e lì la prese, gentilmente, inesorabilmente, ripetutamente finché l'alba non li sorprese, esausti, ancora avvinghiati.

Cominciò così la loro unione, fatta di lunghe giornate e notti roventi. In breve tempo la loro casa divenne ritrovo di sedicenti filosofi, presunti artisti ma, soprattutto, abili cortigiani esperti nell'arte della piaggeria. La coppia si trovò catapultata in un mondo fatuo e brillante la cui linfa era data dall'autoreferenza e dalla maldicenza: piaga assai diffusa in tali ambienti. Ursa, in quella realtà, si muoveva con grazia impeccabile; perfetta padrona di casa rimaneva però algidamente distaccata da tutto. Sempre cortese, divenne per tutti, invidiata icona di perfezione muliebre.
Intanto Ozai crogiolava il proprio orgoglio al fuoco dei complimenti degli ospiti, lusingando il suo ego e il suo autocompiacimento. Cominciò ad agire secondo il motto: "stimati e sarai stimato"; comandando l'organizzazione di feste alle quali si presentava per appena un quarto d'ora e delegando ad Ursa tutte le incombenze sociali. Non concedeva visite ne le faceva; riprese invece accanitamente gli allenamenti e prese inoltre ad interessarsi degli affari di stato, intessendo una rete di alleanze che aveva come fulcro la propria abitazione. In breve tempo Ozai divenne per i suoi alleati un potente protettore, per i detrattori un nemico accanito e subdolo, per tutti gli altri l'incarnazione della dignità regale.
Ursa, lasciata alla deriva in quel mare di veleno, circondata da falsi amici e da scaltri arrivisti, ripiegò su se stessa isolandosi. Favoreggiata dalla nascita dell'erede, trovò il modo di distaccarsi dai propri numerosi impegni, pur rimanendo esemplare nei doveri di ospite.
L'arrivo del primogenito non cambiò di molto le abitudini del principe invece; dopo l'iniziale entusiasmo abbandonò le cure parentali delegandole caritatevolmente alla moglie, che ne aveva richiesto la custodia e riservandosi di intervenire in un secondo momento se il bambino avesse dimostrato attitudini particolari.
Schiacciata dal proprio ruolo di moglie, madre e principessa, Ursa, a poco a poco, si spense. In quel tetro periodo della sua esistenza poche erano le luci a rallegrare il cuore pesante della giovane sposa: una era il figlioletto e l'altra le pur rare visite del cognato che non mancava mai di renderle omaggio ogni qual volta i propri doveri militari gli consentivano il rientro a casa. In quelle occasioni ella tornava ad animarsi e, complice il rito del te', disquisiva di filosofia e di poesia insieme a quell'unica anima affine capace di scuoterla dalle proprie solitarie abitudini.
La cosa non passò inosservata a lungo e la complicità fra i due venne malevolmente riportata di bocca in bocca dall'intera corte. Ozai ne venne informato ed impose alla moglie di troncare ogni frequentazione. Ella acconsentì, ubbidendo alla volontà del marito, questo però gettò un ulteriore velo di malinconia sul suo spirito che nemmeno la nascita di Azula riuscì a estirpare. Isolata per propria ed altrui scelta si dedicò all'impianto di un orto officinale consacrandosi allo studio dell'erboristeria ed alla meditazione.
Mentre Ursa appassiva, in Ozai invece sbocciava la certezza di poter scavalcare il proprio fato e di essere qualcosa di più dell'ombra del fratello e del padre.
Un'avidità possente cominciò a trascinarlo, più forte di qualsiasi desiderio: una volontà di potenza attraverso la quale l'uomo vedeva se stesso innalzarsi al di sopra di tutti, incidendo a lettere di fuoco, il suo passaggio.
Da questo seme germogliò l'ambizione e ciò che prima in lui era rigore si trasformò in durezza, la dignità venne sostituita con l'arroganza e la riservatezza divenne freddezza.
Anche con Ursa.
Infine trasferì i propri alloggi.





Nota dell'Autore



Questo capitolo si è aggiunto all'ultimo dietro insistenza dello stesso Ozai, pena la morte al rogo. Scherzi a parte non è stato facile inserire questa spiegazione, poiché a mio parere interrompeva il flusso della trama ma, dopo averci riflettuto ed ascoltato le indicazioni di una amica speciale ( Lance), ho capito che, non solo era utile, ma anche doveroso per comprendere il futuro della coppia anche se un tantinello pedante e noioso.
Per quanto riguarda la prima notte di nozze vorrei precisare un paio di cose: intanto mi scuso se non è venuta come si deve, leggerne tante non implica riuscire a scriverle, rileggendola mi sono accorta che era risultata troppo cerebrale e poco viscerale ma è il meglio di cui io sia capace; non sono scesa nei dettagli in parte per pudore e in parte per non dover cambiare rating ( abbiate pietà io ci litigo troppo con i programmi). Tengo a chiarire che non è una notte d'amore la loro ma solo di buon sesso come può capitare nella realtà, perché essere un bravo amante non dipende solo dal grado di innamoramento. Ozai si comporta in questo modo con Ursa per dominarla fin dal principio. Sono due perfetti estranei che non hanno mai scambiato parola, non si baciano né si coccolano, Per Ozai Ursa è uno splendido trofeo e come tale lo tratta. Se vi regalassero una Jaguar righereste la carrozzeria e grattereste le marce? quindi a chiunque ritenga che i personaggi siano OOC chiedo di rifletterci un po' sopra. Grazie per l'attenzione e al prossimo capitolo. Ringrazio Era Kim per il consiglio e ho provveduto a modificare il titolo: cosa semplice, l'altra è un tantino più complessa ma ci lavorerò ^^ grazie ancora

Ringrazio poi con tutto il cuore Lance per aver passato una intera serata a cercare i termini tecnici della tradizione cinese.
  
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