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Autore: crazy lion    30/04/2017    7 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Pubblico oggi che è il mio compleanno!
Innanzitutto vi avviso che ho pubblicato anche un'altra storia, dal titolo "Sono malata". Si tratta di una mia riflessione sulla depressione.
Parlando di questo capitolo, presto capirete che c'è davvero moltissima carne al fuoco. Questi sono capitoli lunghi, intensi, densi di emozioni e di avvenimenti. In realtà, dato che come sapete avevo perso la storia, ho riscritto alcune pagine, ma il capitolo è venuto pure più lungo perché ho aggiunto delle cose. Comunque va bene così. Anzi, secondo me è venuto anche più bello di prima.
Non voglio anticiparvi altro, quindi, come al solito, vi auguro buona lettura!
 
 
 
 
 
 
80. SOLLIEVO, INQUIETUDINI E CONFESSIONI
 
Quando Demi tornò a casa dopo essere andata a prendere le figlie, spiegò a Mackenzie che il giorno seguente sarebbero andate da una persona molto gentile che voleva conoscerla e aiutarla.
"Lei è Catherine, tesoro. L'abbiamo conosciuta durante la finalizzazione della vostra adozione. È quella ragazza con cui ho parlato, ma forse tu non ci hai fatto caso. Io non potrò stare con voi, ma ti aspetterò fuori dal suo studio. Lei non vuole farti del male, solo conoscerti e aiutarti a stare meglio" le spiegò.
Chi è, mamma? Una dottoressa?
"No, non è una dottoressa, ma una persona che aiuta i bambini a far passare le crisi come quelle che hai tu."
Mackenzie sorrise e scrisse:
Non voglio più sentirmi male, ma non so perché sto così e ho tanta paura!
"Non devi averne, tesoro. Non è colpa tua se stai così e riusciremo a capire che cos'hai e a farti sentire meglio, va bene?" Demi le parlava con la sua solita dolcezza, cercando di farle capire le cose in modo semplice e, soprattutto, di rassicurarla. "Catherine ti darà una mano, ma ti aiuterò anch'io. Non ti lascerò mai sola e nemmeno papà lo farà. Anche i nonni, le zie, Joe e Selena ti staranno vicini."
Verrà anche Andrew, cioè, papà, da Catherine?
"Ti farebbe piacere?"
Sì, moltissimo!
Demi le spiegò che, per quanto Andrew fosse disposto ad aiutarle, c'erano certe cose che avrebbero potuto fare anche senza di lui. Inoltre non voleva disturbare ancora il suo fidanzato. Era stato fin troppo gentile e presente per loro in quei giorni.
Mackenzie ci restò un po' male, ma si accontentò di quella
risposta.
Per tutta la notte non fece altro che agitarsi nel letto, continuando a girarsi a destra e a sinistra senza mai trovare una posizione. Di solito si addormentava presto, ma adesso era diverso, non solo perché da giorni dormiva poco e male, ma soprattutto perché ora si domandava cosa quella donna le avrebbe chiesto.
E se non le piacessi? si chiedeva. Se mi mandasse via? Se cambiasse idea e non volesse aiutarmi? Cosa potrei fare, allora?
L'inquietudine non le diede nemmeno un momento di tregua, anzi, non fece altro che aumentare con il passare delle ore.
Il mattino seguente domandò alla mamma a che ora avrebbero dovuto andare da Catherine.
"Alle 17:00. Perché?" le chiese Demi.
Allora posso tornare in parrocchia? scrisse la bambina, con un luccichio di speranza negli occhi.
"Sì, se te la senti."
Non avrebbe mai voluto che la figlia si sentisse forzata ad andarci.
Sì, mi piacerebbe tantissimo! Padre Thomas è simpatico e poi mi farà bene sentir parlare di Gesù.
Demetria fu molto colpita dalle ultime parole di Mackenzie. Erano davvero profonde e mature considerata la sua età.
La bimba sedeva nella solita stanzetta dove il Parroco l'aveva fatta accomodare due settimane prima. L'uomo evitò di parlare con la piccola del suo malessere. Demi, prima di far entrare Mackenzie, gli aveva spiegato la situazione. Non sapeva perché l'aveva fatto, in realtà. Forse aveva solo voluto metterlo al corrente nel caso la bambina avesse avuto una crisi durante le lezioni. Padre Thomas ci era rimasto male e aveva detto a Demi di essere molto dispiaciuto, aggiungendo:
"Pregherò per tutti voi; e, se Mackenzie vorrà parlare con me di come si sentirà in un dato momento, potrà farlo senza problemi. Sono sempre pronto ad ascoltare i miei parrocchiani, anche fuori dal Confessionale. Inoltre, se c'è qualcosa che posso fare, non esitare a chiedermelo, Demetria."
Lei l'aveva ringraziato, dicendogli che le preghiere erano già un valido
aiuto.
"Se dovesse avere una crisi, cosa faccio?"
La ragazza fu molto grata al Parroco per aver posto quella domanda. Era una prova ancora più lampante del fatto che voleva davvero fare qualcosa per aiutare Mackenzie.
"Io di solito la faccio stare seduta, le parlo, le do acqua se me la chiede. In ogni caso sarò qui fuori, quindi se dovesse accadere, oggi o in futuro, chiamami subito, per favore."
"Certo! Sta' tranquilla."
Mackenzie non aveva sentito nulla di quella conversazione, ma aveva intuito che ne era stata lei l'oggetto.
"Te la senti di cominciare?" le chiese Padre Thomas, con la sua voce dolce e rassicurante.
Lei fece un timido sì e strinse così forte il bordo del tavolo davanti al quale era seduta che le nocche le diventarono bianche.
"Qualcosa ti turba, figliola?" le domandò allora l'uomo. Mackenzie non l'aveva ancora guardato in faccia e non era da lei. Due settimane prima l'aveva sempre fatto e Padre Thomas sapeva che non era una bambina maleducata. Doveva esserci qualcosa che non andava, in quel preciso momento. Quando lei non rispose, l'uomo si domandò se la parola "turbata" le fosse sconosciuta. In fondo aveva solo sei anni, era ovvio che poteva non conoscere vocaboli così difficili. "Voglio dire, stai"
Lei alzò una mano per interromperlo, sorrise appena e scrisse:
Avevo capito, Padre.
Lui ricambiò il sorriso.
"Sei una bambina molto brava e intelligente. Sono sicuro che a scuola sarai un fenomeno."
Lei sorrise e le sue guance si tinsero di rosso. Le sentiva calde. Era la prima volta che si imbarazzava per qualcosa.
Dato che non si decideva a parlare, Padre Thomas provò a sciogliere un po' la tensione in un altro modo.
"Vuoi qualcosa da mangiare?" le chiese.
No, grazie, non approfitterei mai della tua generosità. Fai già così tanto per me rispose, seria.
Stupito dalle sue parole tanto mature, lui disse che lei era ben lungi dall'approfittarsene. Mackenzie allora accettò, sentendosi ridicola.
Tutto perché non riesco a dire cosa provo, pensò.
Intanto Padre Thomas si era alzato ed era andato in un'altra stanza. Tornò dopo qualche minuto con un vassoio di biscotti al cioccolato e due bicchieri di tè freddo alla pesca.
"Ho pensato che, con questo caldo"
Mackenzie sorrise e lo ringraziò, poi addentò un biscotto. Erano tutti ricoperti di cioccolato e fatti a forma di animale: c'erano il cane, il gatto, il leone e molti altri. Restarono in silenzio per qualche minuto, mangiando e bevendo in tranquillità, poi Mackenzie si decise a parlare.
La verità è che ho paura, o meglio, sono molto ansiosa scrisse.
"Tua mamma lo sa?"
Credo che l'abbia intuito, visto che in questi giorni mi sono comportata in modo molto strano.
"Ti va di raccontarmi perché hai tutta quest'ansia addosso?"
Possiamo far entrare mia mamma, per favore? Vorrei che sentisse anche lei.
Mackenzie non si seppe spiegare perché fece quella domanda. In fondo, nei giorni precedenti non aveva fatto altro che parlare con Demi il meno possibile, tranne che per quell'episodio del medaglione. Forse, però, in tale momento era proprio l'ansia a farle provare l'impellente bisogno di averla vicina.
"Certo!"
Il Parroco andò a chiamarla e Demi entrò dopo qualche secondo. Si sedette su una sedia al centro della stanza. Mackenzie la guardò e le sorrise, poi continuò:
Lunedì dovrò andare dalla psicologa e sono ansiosa perché so che dovrò parlare della mia…
Si interruppe. Le mancò il respiro e un'unica, grossa lacrima le rigò il volto, scendendole lungo una guancia.
Demi non avrebbe voluto avvicinarsi. Certo, Mackenzie l'aveva voluta lì, ma forse, se le si fosse seduta accanto, la bambina si sarebbe sentita a disagio. Tuttavia in quel momento il suo istinto materno prevalse. Si alzò, si avvicinò a Mackenzie e le accarezzò i capelli, poi aprì la borsa e ne tirò fuori un fazzoletto, che le porse dicendo:
"Tieni, amore."
Mackenzie sorrise per ringraziarla, poi si asciugò gli occhi e si soffiò il naso.
Stavo dicendo, riprese, che sono ansiosa perché dovrò parlare della mia famiglia, di quella che non ho più, intendo. Non so se avrò la forza di farlo.
Il Parroco lesse ad alta voce anche per Demi, che rispose per prima.
"Non sei costretta. Se non te la senti di farlo subito, sono sicura che Catherine capirà. Il primo colloquio serve solo per conoscervi un po', in fondo."
Eppure, Mackenzie era convintissima che sarebbe successo qualcosa che le avrebbe fatto male. Non sapeva se si trattava di una suggestione della sua mente - probabilmente sì -, ma era sicura che non sarebbe filato tutto liscio come l'olio.
"Mac," riprese allora Padre Thomas, "l'unica cosa che posso dirti, in aggiunta alle parole di tua madre, è che Dio ci sta vicino anche nei momenti di difficoltà, anzi, soprattutto in quelli e sono sicuro che lo farà anche con te, lunedì come in tutti gli altri giorni difficili della tua vita. Forse ho qualcosa che potrebbe farti stare meglio. Aspetta." Aprì un cassetto che si trovava sotto il tavolo e, dopo aver cercato un po', ne estrasse un foglio. "Questa è una preghiera per combattere l'ansia. Leggila, se ti va, così forse ti sentirai più calma."
Mackenzie prese il foglio in mano. La scrittura era molto piccola e lei era abituata a scrivere piuttosto grande - come del resto era normale alla sua età -, ma dopo qualche secondo riuscì comunque a mettere a fuoco le parole. In particolare, la colpì una parte molto intensa di quella preghiera.
Fa’ che si dileguino tutti i cattivi pensieri.
È questa la mia speranza,
questa la mia unica consolazione:
rifugiarmi presso di Te in ogni tribolazione.
Preservami da queste ombre,
cento volte più inquietanti
di un vero pericolo.
Non allontanarti da me,
accorri in mio aiuto,
ho bisogno di coraggio.
Per resistere a questo bisogno insidioso…
Ho bisogno del tuo aiuto, Signore.
Per conquistare giorno per giorno la mia libertà.
Per strappare piccole vittorie
al dominio dei miei incubi.
Signore, nelle mie tenebre,
ho bisogno di sentirti dire:
"Sono qui io… non temere."
Quando finì, Mackenzie passò il foglio alla mamma e poi scrisse:
Wow, è davvero bella!
"Sono felice che ti sia piaciuta. Puoi tenerla, se vuoi!"
La piccola ringraziò e, per la prima volta da quando era arrivata, guardò Padre Thomas negli occhi. Sorrideva, ora e si sentiva non serena, ma quantomeno più tranquilla. Per il momento, ogni traccia di angoscia era scomparsa dal suo volto.
Ora sto meglio, mamma. Se vuoi puoi uscire scrisse.
Rincuorata da quelle parole, Demi si richiuse la porta alle spalle.
"Visto che hai tirato fuori l'argomento, oggi parleremo proprio di questo: della famiglia di Gesù. Non si sa moltissimo, ma io ti dirò ogni cosa" disse Padre Thomas. "Come ti avevo iniziato a spiegare l'altra volta, alla fine della nostra prima lezione, Gesù era un bambino che viveva a Nazaret, in Galilea. Lui in realtà è nato in una piccola città chiamata Betlemme, ma prima di parlare di questo, ti devo raccontare di Giovanni Battista. Sai chi era?"
Un profeta? azzardò la bambina.
"Sì, esatto."
Le parlò del fatto che Elisabetta, sua madre, era già vecchia quando rimase incinta, che l'Arcangelo Gabriele era venuto ad annunciarlo a suo marito Zaccaria, un ministro del tempio, ma che lui non ci aveva creduto e quindi era diventato muto. Padre Thomas sapeva che Mackenzie sarebbe stata molto colpita da quelle parole e difatti si bloccò. Smise di guardarlo, strinse di nuovo forte il bordo del tavolo, poi trasse un profondo respiro e disse:
Allora, io non parlo perché fino ad ora non ho avuto fede in Dio?
"Oh no, cara! Non pensarlo nemmeno!" la rassicurò l'uomo. "Se non l'hai avuta è perché i tuoi genitori probabilmente non erano credenti. Stai tranquilla. Ti assicuro che non è colpa tua, né di Hope, né dei vostri genitori. Tu non parli perché sei stata colpita da un immenso dolore,  è diverso."
Secondo te potrò mai tornare a parlare?
"Non lo so… forse, con il tempo." L'uomo sapeva che era una risposta vaga e si sentì uno stupido per non essere riuscito a dirle di più, ma non voleva illuderla dicendole che sì, sarebbe accaduto, perché se non fosse stato così, la bambina ci sarebbe rimasta ancora più male.
Zaccaria è mai tornato a parlare?domandò ancora la piccola, che si era accontentata di quella risposta.
"Sì" le disse il Padre e le spiegò com'era avvenuto. " Ti racconterò più cose di Giovanni più avanti, magari, comunque lo sentirai menzionare spesso in Chiesa. Si parla di lui nei Vangeli che sono stati scritti da Luca, Marco, Matteo e un altro Giovanni detto l'Evangelista. Quest'ultimo e Matteo erano due degli apostoli di Gesù, cioè suoi amici, coloro che lo seguivano sempre. Marco e Luca, invece, sentirono parlare di Gesù da un uomo che si chiamava Paolo di Tarso, noto come san Paolo." Quanti erano gli apostoli?
La bimba era sicura di averlo già sentito, ma ora non lo ricordava.
"Erano 12, ma di questo ti parlerò più avanti. Ora cominciamo con Maria. Lei è stata l'unica bambina nata senza peccato originale, quello con il quale tutti noi, invece, nasciamo e che espiamo, cioè togliamo dal nostro cuore, con il battesimo."
Ho capito scrisse la piccola, che ascoltava sempre più interessata, per incitarlo a proseguire.
"Bene, è venuto il momento che io ti parli della nascita di Gesù. Ti leggo un passo tratto dal Vangelo di Luca che tratta del momento in cui l'Arcangelo Gabriele ha annunciato la sua nascita a Maria." Detto questo aprì il cassetto in cui aveva trovato la preghiera, ne estrasse un libro, lo aprì ad una delle prime pagine e cominciò a leggere:
"Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,
a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei."
Terminata la lettura, Mackenzie si prese la testa fra le mani e aspettò qualche momento, per riflettere, poi fece alcune domande al Parroco per farsi spiegare dei passaggi che, vista la complessità del testo, non aveva capito. Lui rispose sempre con gentilezza, spiegandole tutto in maniera più semplice.
"Capisco che per te sia stato complicato, ma sei stata comunque molto brava," le assicurò, "perché hai compreso molte cose. Volevo solo che ascoltassi questi versetti del Vangelo perché ti rendessi conto di come viene raccontata la storia di Gesù."
Questi quattro Apostoli raccontano le stesse cose nei Vangeli che hanno scritto? chiese Mac.
"Sì, la storia è la stessa, anche se ognuno la racconta a suo modo, ci sono ovviamente delle differenze nel modo di dire le cose e di scrivere."
Mackenzie disse che sapeva che Gesù era stato scaldato da un bue e da un asinello e che poi erano venuti i pastori e i Re Magi a onorarlo e a dargli dei doni.
"Sì, è vero." Padre Thomas andò dunque avanti parlandole della nascita di Gesù e leggendole altri passi del Vangelo.
La bambina era completamente rapita. Le piaceva tantissimo imparare tutte quelle cose e ammetteva di sentirsi meglio, più sollevata e tranquilla.
Maria amava molto Gesù, immagino, voglio dire era sua madre; ma a Giuseppe non ha dato fastidio che il bambino non fosse suo figlio? Non gli ha fatto male?
Padre Thomas rimase turbato da quelle parole e le chiese di spiegarsi meglio.
Ecco… Dio è il papà di Gesù, quindi è come se Giuseppe l'avesse adottato, perché il bambino non era suo figlio,  giusto?
"Sì, in un certo senso; loro due sapevano che il Signore aveva affidato Gesù ad entrambi."
Mio papà, Andrew, vuole molto bene sia a me sia a Hope, però magari non è così per tutti. Se una persona adotta un bambino, o ne ha uno suo e si fidanza con qualcuno che non è il genitore di quel bimbo, magari le cose possono andare male. Non è detto che quella persona accetti il bambino.
Mackenzie si riferiva al fatto che sapeva che a volte potevano esistere problemi del genere. L'aveva visto in qualche film che guardava la mamma, dove le coppie litigavano per cose del genere, o in alcune serie televisive in cui delle ragazze giovani rimanevano incinte, ma non sapevano chi fosse il padre del bambino e si mettevano con dei ragazzi che poi, quando scoprivano il loro stato, le lasciavano, oppure in cui il papà biologico non voleva quella creatura. Mac credeva che potesse essere così anche nella vita reale, per cui si domandava se Giuseppe avesse avuto questi pensieri. Lo raccontò a Padre Thomas per fargli capire i suoi dubbie e le domande che aveva.
"Beh sì," disse lui dopo averci pensato un po', "sicuramente esistono questi problemi anche nella vita reale, perciò se ne parla nei film. Fortunatamente, però, ci sono molte persone buone che non farebbero questo, che non abbandonerebbero mai una ragazza incinta. Giuseppe ha accettato la situazione,perché sapeva che era stato Dio a volerlo. Sono sicuro che ha amato Gesù come fosse suo figlio e con tutto se stesso, crescendolo con affetto, come ogni padre dovrebbe fare."
Mackenzie sorrise.
Gesù è stato felice da piccolo?  chiese dopo un po'
Padre Thomas non si aspettava tutte quelle domande, ma capiva che erano lecite, quindi rispose:
"Credo proprio di sì."
Mac si domandò se non si fosse sentito mai solo, non avendo né fratelli né sorelle. Lei, senza Hope, sarebbe stata molto male.
Padre Thomas le spiegò che nei Vangeli non si parlava molto di Gesù da bambino, che non c'erano tante informazioni, ma che si sapeva che era un bambino consapevole di doversi occupare delle cose di suo Padre, come aveva detto ai genitori quando l'avevano portato al tempio e lui si era fermato a istruire i dottori.
Non avendo altre domande, Mackenzie disse che ogni cosa le era chiara e che era felice di aver imparato così tanto.
"Ed io sono contento di insegnarti, guidato da Dio, Mackenzie. Direi che, per oggi, possiamo concludere qui la nostra lezione. La prossima volta proseguiremo parlando di cos'ha fatto Gesù, d'accordo?"
Va bene.
Quando la bambina raggiunse Demi, aveva un sorriso luminoso in volto. Ora sembrava davvero felice e, in cuor suo, Demetria ringraziò Dio, Gesù e tutti i santi e gli angeli del cielo, per aver dato a sua figlia un po' di pace.
Una volta rientrate a casa, Mackenzie fu ancora più sorpresa quando la mamma le disse che Catherine le aveva raccomandato di portare i giocattoli che le piacevano di più.
Scelse quattro peluche che le aveva comprato Demi. Erano dei leoni: la mamma, il papà e i due piccoli. Li mise in una grande borsa di nilon e li portò con lei in macchina. Demi e Mackenzie portarono Hope dalla nonna e poi si diressero allo studio di
Catherine.
Attesero dieci minuti e, quando la donna le chiamò, Mackenzie, seguendo la madre, si diresse con lei verso lo studio. Demi si girò un attimo a guardarla e vide che era molto spaventata.
"Ciao, Mackenzie!" esclamò Catherine quando entrarono, dando la mano alla bambina. "Sono molto felice di rivederti!"
Lei le sorrise, poi Catherine salutò Demi e le disse che avrebbe potuto uscire.
"Va bene. Mackenzie, sono qui fuori se hai bisogno di me, okay? Non me ne vado."
La bambina annuì e, vedendo la mamma continuare a sorridere, si sentì un po' più sollevata e rassicurata.
Quando Demi chiuse  la porta, Catherine invitò la piccola ad accomodarsi su una sedia e le si mise di fronte.
"Allora," ricominciò in tono gentile, "ieri ho parlato di te con la tua mamma e lei mi ha detto che sei una bambina molto buona e tranquilla. Mi ha spiegato che, per comunicare, tu scrivi. Quindi, finché non riuscirai a dire la prima parola, lo farai anche qui, d'accordo? Non ti sforzerò certo a parlare se tu per ora non ci riesci. Ci proveremo insieme, ma pian piano, con calma e lo faremo cominciando a capire come mai ultimamente hai le crisi che la tua mamma mi ha descritto. Qui vicino ci sono dei fogli e una penna solo per te. Comincia pure a parlarmi di quello che vuoi!"
Catherine aveva usato la parola "parlare" non per mettere la bambina in difficoltà, anzi, ma più che altro perché desiderava che lei si sentisse uguale a qualsiasi altro suo paziente. Mackenzie, infatti, non si offese e iniziò a scrivere. Le raccontò tutto ciò che aveva appena imparato con Padre Thomas e le disse di essere molto contenta, ma che adesso si sentiva nervosa.
"Non preoccuparti, è normale le prime volte. Sono felice che parlare di Gesù e sentire la sua Parola ti faccia stare così bene, Mac. Continua pure."
Da un po' di tempo non sto tanto bene. Mi spavento sempre quando vedo una persona fumare una sigaretta, o anche per altre piccole cose. Di notte faccio fatica a dormire, ma non so perché.
"Come ti senti all'idea di dover iniziare ad andare a scuola?"
Un po' agitata, ma sono contenta! Sono sicura che incontrerò tanti nuovi amici, o almeno lo spero. Forse gli altri bambini mi tratteranno in modo diverso perché scrivo e non parlo e questo mi fa un po' paura, ma non penso che le mie crisi siano provocate da questo.
"Vedrai che troverai tanti amici, Mackenzie! Ho visto che hai una borsetta sulle gambe. Cosa c'è dentro?"
La bambina , tutta orgogliosa, tirò fuori i giocattoli che aveva portato e li mise sul tavolo.
"Oh, che bei leoni! Sono i tuoi giocattoli preferiti, immagino."
Sì!
"Ci giochi molto?"
Ogni giorno, ma a volte lascio che lo faccia anche la mia sorellina.
"Brava. Come si chiamano questi bellissimi animali?" chiese Catherine, accarezzando il pelo dei leoni.
Il papà John, la mamma Tessa e le cucciole Mackenzie e Hope.
Catherine capì che la bambina non aveva scelto quei nomi a caso, così domandò:
"Hai chiamato due leoncini con il nome tuo e di tua sorella, ma perché hai scelto proprio quelli per i genitori?"
Semplice: perché i miei veri genitori si chiamavano così disse la bambina, abbassando improvvisamente lo sguardo e facendosi triste.
Ah ecco, pensò Catherine, l'avevo immaginato.
"I tuoi genitori avevano dei bellissimi nomi" osservò.
Lo so, disse solo Mackenzie, che sembrava pensierosa, poi chiese alla ragazza se avrebbe potuto fare un disegno.
"Sì, certo, disegna pure!"
La bambina prese dei colori che si trovavano lì vicino, appoggiò i leoni sul tavolo, da una parte e, dopo aver scelto un grande foglio bianco, cominciò a scarabocchiare un po'. Dopo qualche minuto, Catherine vide che ciò che stava creando parevano delle nuvole, ma restò ferma a guardarla e non le chiese niente. Desiderava che si concentrasse il più possibile su ciò che stava facendo. Anche un disegno poteva essere importante, per cui era meglio che la piccola lo facesse con calma. Le avrebbe fatto domande ad opera completata.
Dopo alcuni minuti la bambina terminò. Osservò il disegno per un po' e poi lo diede a Catherine. Mackenzie aveva disegnato una nuvola, con dentro due persone e, a fianco, due bambine.
"Questi sono i tuoi veri genitori?" le domandò, conoscendo già la risposta.
Lei, infatti, annuì.
Evidentemente li aveva messi dentro la nuvola perché aveva voluto isolarli, come a significare che non c'erano più, o che lei si sentiva sola senza di loro, pur avendo la sorellina e la sua nuova mamma.
Porto anche a dormire con me la mamma dei leoncini, così spero sempre che la mia venga a trovarmi nei miei sogni. La mia mamma adottiva, Demi, dice che lì la posso vedere.
"Ha ragione; e l'hai mai sognata?"
Sì, ho sognato anche il papà, io e la mia sorellina, tante volte, ma purtroppo i sogni sono sempre incubi bruttissimi. Mi fanno stare tanto male!
"Ti va di parlarmene?"
La bambina tremò e fece segno di no. Non poteva. Non era ancora pronta a parlare di tutto il sangue che vedeva, dell'uomo cattivo, degli spari, dei pianti suoi e di Hope, perché raccontando quei sogni avrebbe portato alla luce i ricordi di quella terribile notte che aveva per sempre cambiato la vita di entrambe e non se la sentiva. Tremò, poi i suoi occhi si persero nel vuoto.
Temendo che potesse avere una crisi di panico, Catherine disse:
"Mackenzie, per oggi va bene così."
No, aspetta.
"C'è qualcos'altro di cui ti piacerebbe parlare?"
Sì, se posso.
"Certo! Abbiamo tempo. Dimmi."
Tu conosci il mio papà?
"Sì. Perché?"
Sai che, siccome sua sorella è morta, lui è stato malissimo, si è tagliato e ha rischiato di morire?
Catherine ne era al corrente, certo; ma non si aspettava che Mackenzie ne parlasse, almeno non in quel momento. Aveva posto quelle domande con una spontaneità a dir poco sconcertante, che lasciò la psicologa completamente spiazzata. Dopo poco, però, notò che gli occhi della piccola erano pieni di lacrime. Era fuor di dubbio che avesse sofferto moltissimo per ciò che era successo ad Andrew, ma Catherine non credeva che sarebbe stata prontaa  parlarne. Già era stato doloroso, per lei, cercare di raccontarle qualcosa dei suoi genitori biologici. Farlo riguardo ad Andrew l'avrebbe sicuramente fatta sentire peggio. Per tali motivi, quando le aveva posto quella domanda, Mackenzie l'aveva sorpresa. La ammirava per questo. Non era di certo facile per lei dire quelle cose e Catherine la considerava una bambina molto coraggiosa.
"Sì, lo so" disse infine "e mi dispiace tanto. Sono anche andata a trovarlo in ospedale, quando era cosciente. Gli ho parlato e poi l'ho fatto con tua mamma."
La psicologa avrebbe voluto chiedere alla bambina che cosa provava, ma preferiva che fosse lei a dirglielo.
Mac, però, non scriveva. Rimaneva immobile, con la penna a mezz'aria e la mano sinistra appoggiata sul foglio. La ragazza avrebbe voluto dire qualcosa, ma al momento non sapeva cosa, quindi aspettò. Dopo qualche momento, Mackenzie continuò:
Quando ho saputo quello che lui aveva fatto io mi sono sentita malissimo. Mi sono preoccupata. La zia Madison mi ha detto di non piangere, ma poi io l'ho fatto, più tardi, quando è tornata la mamma e ha detto che Andrew stava male. Tutti mi dicevano di stare tranquilla, che non stava tanto bene ma che sarebbe guarito presto. Io ci credevo, ma le settimane passavano e lui non migliorava. La mamma non mi ha voluta portare in ospedale da lui neanche quando si è svegliato.
"Probabilmente voleva proteggerti, tesoro" le spiegò Catherine.
Da cosa?
"Ti avrà detto che i tagli di Andrew erano molto profondi e che era fasciato. Ecco, credo che lei ti abbia tenuta lontana dall'ospedale perché non voleva ti impressionassi o ti spaventassi."
Ho visto i miei genitori naturali morire davanti ai miei occhi e, dunque, non c'è nulla che può impressionarmi, ormai. Vedendo mi opapà così sarei stata male, ma dopo quanto quell'uomo ha fatto ai miei, di certo non mi sarei spaventata per delle fasce ai polsi.
Il modo così schietto con cui Mackenzie espresse ciò che pensava fece sì che Catherine, per la prima volta da quando esercitava la sua professione, non sapesse veramente cosa dire. Era meravigliata e al contempo scioccata. Meravigliata perché Mackenzie parlava quasi come un'adulta e scioccata perché ciò che diceva era terribilmente quanto dannatamente vero. Le faceva male al cuore sapere che la piccola era stata costretta a crescere così in fretta a causa di quel pazzo che le aveva rovinato l'infanzia.
"Mackenzie," sussurrò, dato che non riusciva quasi a proferire parola e credeva di star perdendo la voce, "tu sai… cos'ha fatto tuo papà? Sai come si chiama questo gesto?"
Forse, si rese conto, si stava addentrando in un territorio che non avrebbe dovuto esplorare. Sarebbe stato compito dei genitori spiegarle quelle cose, non suo; e poi, probabilmente, Andrew e Demi gliel'avevano già detto, o magari no. In quel secondo caso, la situazione si sarebbe di sicuro complicata. Avrebbero potuto prendersela con lei, non fidarsi più, decidere di non portarle ancora la bambina o peggio, non avere più fiducia negli psicologi in generale e non farla curare, nonostante le conseguenze. Non aveva mai sentito di casi simili, ma temeva che sarebbe potuto accadere.
Sì, lo so.
Quelle tre parole scritte riportarono Catherine alla realtà.
"Okay" riprese "e… ti va di dirmelo?"
Lui ha cercato di uccidersi. Credo che si dica "tentare il suicidio", giusto?
"Sì, esatto" confermò la ragazza, cercando di non apparire turbata. Era difficilissimo e stava facendo uno sforzo immane per non scoppiare a piangere. Sapeva di non dover essere troppo empatica sul lavoro, ma a volte non ce la faceva proprio. "Senti tesoro," continuò, "io credo che dovresti parlare con i tuoi genitori di questa cosa. Forse loro non si sono resi conto che tu sai esattamente che tuo papà ha tentato di suicidarsi. Insomma… loro credono che tu pensi che lui sia stato malissimo, ma che ora stia bene. Magari non hanno capito che invece sei a conoscenza del significato delle parole "tentare il suicidio". Dovresti parlarne con loro, perché se hai dubbi, domande o paure, o anche tutte e tre queste cose insieme, com'è lecito, parlandone potresti sentirti meglio."
Dici?
"Sì! Parlare è sempre la cosa migliore, credimi!"
Gli occhi della bambina si velarono di pianto. Avrebbe voluto smettere immediatamente di scrivere, chiudere lì quella conversazione, alzarsi e correre via per non doverci più pensare. Avrebbe desiderato non dire nulla ai suoi. Eppure, qualcosa dentro di lei le dise che, se avesse fatto tutto ciò, avrebbe commesso un grandissimo sbaglio. Trasse un profondo respiro, che Catherine percepì carico di dolore e poi ricominciò a scrivere,con la penna che le tremava fra le mani.
Quando mio papà ha tentato il suicidio, io non l'ho capito subito, nemmeno nel momento in cui i miei familiari mi hanno detto che non stava bene. Qualche giorno dopo, per tv, ho sentito quell'espressione, non ricordo in che programma, forse al telegiornale. Ero dalla nonna e probabilmente lei non ci ha fatto caso, ma io ho ascoltato e, tornata a casa, non ho smesso nemmeno per un momento di pensarci, neanche quando, dopo cena, ho giocato con Hope e la mamma. La notte, quando mia madre era a letto, mi sono alzata, ho preso il dizionario che ho in camera mia e ho cercato il significato della parola "suicidarsi". Allora ho capito. Avevo avuto dubbi anche prima, avevo intuito qualcosa, ma in quel momento, esserne davvero consapevole per me è stato terribile! Mi sono sentita così male per lui, per me, per Hope, la mamma, i nonni, le zie e gli amici dei miei. Tutti abbiamo sofferto.
"Hai ragione, avete sofferto tutti; ma cosa provi quando pensi che tuo papà ha tentato di uccidersi? Sei triste, arrabbiata con lui…?"
Sì, ero molto triste. All'inizio sì, ero arrabbiata quando era ancora in ospedale. Non lo dicevo a nessuno, ma lo ero; poi, quando è tornato e l'ho visto, non lo sono più stata. Ho davvero avuto paura di perderlo!
Detto questo lasciò cadere la penna a terra e cominciò a singhiozzare violentemente, sudando, muovendo le mani e le gambe a scatti, mentre il suo volto sembrava sempre meno quello di una bambina di sei anni e iniziava a trasformarsi nella rappresentazione più profonda e terribile del dolore stesso. Catherine restò, per un momento, immobile e sconvolta davanti a quella vista. Aveva lavorato con tantissimi bambini, ma nessuno, prima d'allora, l'aveva mai colpita tanto con la sua espressione sofferente come, invece, Mackenzie stava facendo. Dal canto suo, la bambina si sentiva malissimo. Quante, differenti emozioni aveva provato quel giorno! Era stremata. Non ne poteva veramente più! Se avesse potuto, avrebbe aperto la bocca e si sarebbe messa ad urlare che non riusciva a reggere tutto quel dolore, che temeva l'avrebbe uccisa, un giorno, che aveva paura. Il fatto di non poter dire quelle dannatissime parole le faceva provare una rabbia tremenda, un sentimento che, prima di quel pomeriggio, non aveva mai sperimentato in maniera tanto forte e violenta.  Catherine fece il giro del tavolo e la raggiunse. Cominciò ad accarezzarle i capelli e a sussurrarle parole dolci. La bambina tremava come una foglia e non riusciva a smettere di piangere, così ad un certo punto la donna le portò dell'acqua. Ne teneva sempre, nel suo studio, nel caso in cui i suoi pazienti avessero avuto bisogno di tranquillizzarsi. Dopo qualche minuto Mackenzie si sentì meglio. Catherine le chiese se stava davvero bene e lei fece cenno di sì.
"Okay, fermiamoci qui, ora" disse quindi la psicologa. "Sei stata bravissima! Ora chiamo la tua mamma."
Uscì e chiamò Demi, dicendole che la seduta era terminata e che si sarebbero viste non il lunedì della settimana seguente, ma quello ancora dopo, poi aggiunse:
"Mackenzie mi ha detto delle cose. Vorrei parlarne con te ed Andrew, la prossima volta che Mackenzie verrà qui. Prendiamoci qualche minuto alla fine della seduta, okay?"
La bambina stava meglio, era vero, ma la psicologa sentiva che, almeno per il monmento, non avrebbe parlato ai suoi genitori di tutto ciò che le aveva detto. Era ancoratroppo sconvolta per poterlo fare, quindi la ragazza si era detta che sarebbe stato il caso di parlarne con loro.
Demi aprì la bocca per chiedere ulteriori spiegazioni, ma Catherine si portò una mano alle labbra per dirle di fare silenzio. Ne avrebbero discusso a tempo debito.
La ragazza entrò con la psicologa nello studio e Mackenzie le corse incontro e la abbracciò. Sembrava stare meglio, ora, tra le braccia della mamma. Dopo aver salutato Catherine, uscirono, non dimenticando certo lì i leoni e il disegno.
Non era stato facile, quell'incontro, per Mackenzie, ma era riuscita a scrivere qualcosa sul suo passato, anche se parlando dei giocattoli e del disegno. Inoltre aveva raccontato altre cose molto importanti, che l'avevano profondamente segnata. Non se ne rendeva conto, ma quel giorno aveva fatto grandi passi avanti.
 
 
sito da cui è tratta la preghiera:
www.preghiereagesuemaria.it
Ringrazio tantissimo la mia amica Ciuffettina per avermi mandato questa preghiera mentre stavo attraversando una mattinata complicata e per avermi dato, inconsapevolmente, l'ispirazione ad utilizzarla per questo capitolo.
Inoltre, un grazie con il cuore in mano a tutte voi che recensite e seguite la storia. Siete fantastiche e non sapete quanto io apprezzi i vostri commenti! Non vi ringrazierò mai abbastanza.
 
 
 
La parte che il Parroco legge a Mackenzie, quella dell'Annunciazione di Gesù a Maria, è tratta dal Nuovo Testamento, dal Vangelo secondo Luca, versetti 26-39.
   
 
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