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Autore: crazy lion    08/05/2017    6 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Perdonatemi per il ritardo nella pubblicazione. Questo non è un periodo molto semplice e a volte sto così male che proprio non ce la faccio a postare in tempo.
Per favore, leggete l'angolo autrice in fondo. Sarà lungo - e di questo mi scuso fin da subito -, ma importante. Non ho potuto accorciarlo più di così.
 
 
 
 
 
 
81. TEMPESTA DI EMOZIONI
 
"Oh cazzo!"
Mackenzie rise quando sentì la madre sussurrare quella parolaccia.
"T-tesoro tu…" balbettò  Demi. Si slacciò la cintura di sicurezza e si girò verso la figlia, guardandola intensamente negli occhi, poi le due allungarono le braccia e si strinsero, per quanto l'auto lo permettesse loro.
A Demetria sembrava che Mac non ridesse da un'eternità. Negli ultimi tempi erano accadute solo ed esclusivamente cose che avevano fatto male a tutti. L'unica che ne era rimasta ovviamente meno turbata era stata Hope. Dopo tutte le crisi alle quali Demi aveva assistito, praticamente impotente, sentire la risata di sua figlia, così argentina e dolce, fu come una luce di speranza tra le tenebre.
Dal canto suo, Mackenzie sorrise. Fu un sorriso sincero, stavolta. La bimba si sentiva più leggera, come se quella risata l'avesse liberata da un gran peso. Non sapeva per quanto quella sensazione sarebbe durata, ma voleva godersela finché avrebbe potuto.
Cosa c'è, mamma? le chiese poi.
"Ho dimenticato la borsa dentro" le spiegò. "Vado a prenderla e torno."
Uscì e chiuse l'auto a chiave. Lasciava di rado la figlia da sola in macchina e se c'era anche Hope non lo faceva mai. In fondo erano piccole per rimanere sole e lei aveva paura che sarebbe potuto accadere loro qualcosa, ma in quel caso lo studio si trovava a pochi metri, quindi si sentiva abbastanza tranquilla. Rientrò e, infatti, trovò la borsa sulla sedia accanto alla quale si era accomodata per aspettare che la seduta con Catherine terminasse. Sentì dei rumori provenire dallo studio. Probabilmente la donna stava riordinando le sue cose per poi rientrare a casa. Demi si sbrigò ad uscire e a tornare in auto, ma quando ci arrivò vicino vide che Mackenzie era circondata da parecchi giornalisti e paparazzi che la filmavano o le scattavano fotografie in continuazione. La bambina, da dentro, la guardò intimorita.
"Demiiiiii!" gridarono tutti quando la videro, poi iniziarono a scattare foto anche a lei e a tempestarla di domande:
"Come mai siete venute da una psicologa?"
"Mackenzie sta male?"
"Sei tu che hai ricominciato ad avere problemi come in passato?"
"Sei ricaduta nell'autolesionismo?"
Non riuscì a rispondere a nessuno. Si sentiva infastidita e aveva paura che, parlando, sarebbe esplosa e non voleva che accadesse davanti alla sua bambina. Uuna giornalista le chiese:
"Se hai ancora problemi come un tempo, ti consideri una buona madre?" e poi commentò: "Io ho sempre sostenuto che sarebbe successo qualcosa. Dovrebbero toglierti le bambine visto che…"
"Bastaaaaaaaa!" L'urlo della ragazza fu così forte che fece zittire tutti i giornalisti i quali, impietriti, smisero di scattarle foto e di filmarla. Alcuni passanti, che si erano fermati per capire cosa stava succedendo, si spaventarono e se ne andarono mormorando chissà cosa. I giornalisti rimasero impietriti. Demi non era mai stata una persona scortese o poco gentile, nemmeno quando le venivano rivolte domande scomode, ma ora quelle persone avevano davvero oltrepassato il limite. Aveva incontrato ogni genere di giornalista o paparazzo nella sua vita, tra i quali molti educati, altri stronzi, come quelli che si erano presentati al cimitero il giorno del funerale di Carlie, o alcuni di coloro che adesso la stavano praticamente accerchiando. Lanciò uno sguardo assassino alla donna che le si era rivolta in quel modo e disse, aspra: "Non ti permettere mai più di dire che dovrebbero togliermi le mie figlie." Il suo tono, imperioso e minaccioso, spense immediatamente il sorrisetto strafottente che la giornalista le rivolgeva. "Vedete>?" chiese poi, mostrando le cicatrici ai polsi. "Me le sono fatte anni fa, molto prima di capire che desideravo avere un bambino. Non sono ricaduta nell'autolesionismo e vi assicuro, né nella bulimia, né nell'anoressia." Detto ciò, si rese conto che Mackenzie aveva sentito. Merda, pensò, ora sì che ho combinato un vero e proprio casino!
Per fortuna nessuno prestava più attenzione alla bambina, ma Demetria notò che il suo sguardo si era fatto improvvisamente serio e triste. Teneva le manine davanti al viso. Stava… piangendo? Sì. Demi si sentì trapassare il cuore e l'anima da una delle fitte di dolore più intense che avesse mai provato nella sua intera vita, unita ad un terribile e schiacciante senso di colpa. Era colpa sua e, si ripeté, solo e soltanto sua, se Mac stava versando fiumi di lacrime.
La ragazza guardò i giornalisti e sbottò:
"Sparite e lasciateci in pace! Racconterò tutto quando io e la mia famiglia ci sentiremo meglio; e non provate a scrivere stronzate sui giornali, del tipo che non sono una buona madre o che le mie figlie mi dovrebbero essere tolte, o che ho ricominciato a tagliarmi o ad avere altri problemi - come qualcuno ha appena insinuato -, perché vi giuro, se accadrà anche solo una di queste cose, vi denuncerò uno per uno per calunnie e diffamazione!"
"Demi, aspetta, è vero che tu ed Andrew state insieme?" le domandò un uomo.
"Non ho intenzione di rispondere ad altre domande."
"Leggi i giornali? Sai quanti giornalisti scrivono articoli sulla vostra presunta storia?" insistette.
In quel periodo lei non l'aveva fatto. Non leggeva spesso notizie sul suo conto. La maggior parte erano vere, ma a volte venivano scritte cose che la facevano stare male o la offendevano. In passato, perlomeno, era successo, quindi lei aveva imparato a non dare troppo credito a quegli articoli e, se aveva qualcosa da spiegare, lo faceva in una conferenza stampa, o parlando alla televisione, o in qualche intervista a giornali come "People".
"Ho avuto altre cose, molto più serie e gravi, a cui pensare ultimamente. Non ho perso tempo a leggere tutte le cazzate che saranno sicuramente state scritte" rispose, tagliente.
Detto questo salì in macchina e si allacciò la cintura mentre i giornalisti, scioccati dal comportamento di Demi, sparivano finalmente dalla sua vista.
Lei li ignorò e si concentrò sulla figlia. Mackenzie aveva sentito anche quel suo ultimo discorso e, per un momento, la guardò ammirata. La mamma aveva tirato fuori un coraggio che, lo sapeva, lei non avrebbe mai avuto. Era una persona incredibile! Subito dopo, però, i suoi occhi tornarono quelli tristi e seri di poco prima.
"Mackenzie, mi dispiace per quello che hai sentito. I-io ti posso spiegare tutto quanto, se t-tu…"
La bambina le mise un dito davanti alle labbra per zittirla, come aveva fatto altre volte; poi lo tolse e si portò le mani al grembo.
Demi aveva appena balbettato e non andava affatto bene. Nei giorni precedenti si era informata su come aiutare i figli quando soffrivano di ansia o di stress post-traumatico. Non era ancora sicura che Mackenzie avesse quel problema, ma era sempre meglio cercare informazioni il più presto possibile. Aveva letto alcune guide su un sito gestito da psicologi, i quali si rivolgevano proprio ai genitori. Davano molti consigli su come aiutare i bambini a regolarizzare il loro respiro in caso di ansia o attacchi di panico e aggiungevano che era necessario che i genitori, per quanto turbati dalla situazione, cercassero di mantenere il più possibile la calma, per non far stare peggio i figli. Se ciò non fosse accaduto, i piccoli avrebbero potuto sentirsi in colpa e pensare:
Io sto male, ma anche mia mamma e mio papà soffrono; ed è tutta colpa mia.
Lei, invece, che cos'aveva appena fatto? Si era lasciata prendere dalla rabbia, dalla frustrazione e aveva detto cose che, di fronte alla figlia, non avrebbe dovuto. Aveva sbagliato tutto.
"Amore, senti…" riprese, ma Mackenzie scosse la testa.
Demi capì che non voleva parlarne, accese il motore e, in silenzio, guidò verso la casa di sua madre. Dianna, appena la vide, si accorse che c'era qualcosa che non andava non solo dal comportamento strano della figlia, ma anche per il fatto che, come Demi le aveva detto, Mackenzie aveva voluto rimanere in macchina. Non era da lei. Generalmente scendeva sempre a salutare i nonni e le zie.
"Che succede, Demi?" le chiese la madre.
"Ho fatto una cosa brutta, mamma" cominciò e le raccontò tutto.
Quando ebbe finito, e solo allora, la ragazza trovò il coraggio di guardare la madre negli occhi. Rimanevano gli stessi, anche se l'espressione si era un po' indurita e i muscoli del suo viso erano più rigidi. Non sorrideva, come invece faceva quasi sempre.
"Io non sarò certo stata la migliore delle madri," cominciò lei, con più dolcezza di quanto Demi si sarebbe aspettata, "ma tu, sicuramente, non sei peggiore di me. Anzi, sei migliore, e quella giornalista può andare tranquillamente a farsi fottere."
Demetria guardò basita  la madre. Non era il tipo di persona che utilizzava un linguaggio del genere.
"Grazie" rispose poi, con un filo di voce.
Avrebbe voluto piangere, ma si stava trattenendo con tutte le sue forze.
"Tuttavia," riprese la donna, "hai commesso uno sbaglio,questo è vero. Parlane con Andrew e ascolta anche il suo parere. Non sono arrabbiata con te, Demi, se è questo che mi stavi per chiedere."
"Come fai a saperlo?" la interruppe lei.
"Beh, ho 57 anni e sono mamma da molto. Non ti ho forse detto milioni di volte che le madri hanno un sesto senso per un sacco di cose? Ecco, questa è una delle tante. Credo che Mackenzie abbia bisogno di entrambi, adesso. Se davvero ha capito tutte queste cose anche su Andrew, dovete dirle la verità."
"No," obiettò Demi, "o almeno non ora. Speravo di raccontarle tutto tra diversi anni, quando sarebbe stata pronta, ma ormai è troppo tardi. Glielo diremo, certo, ma non in questo momento. È troppo sconvolta! Non credo di averla mai vista così triste e confusa, nemmeno nei giorni scorsi quando stava tanto male; e sicuramente quello che le ho fatto ha peggiorato la situazione."
"So che per te è difficile non provare questo, e che le mie ti sembreranno solo parole inutili, ma non sentirti in colpa. Ormai quello che è fatto è fatto e poi non ti sei comportata così di proposito. Forse hai ragione, sarebbe il caso di parlargliene tra qualche settimana, magari dopo averlo detto alla psicologa, o comunque quando lei si sarà tranquillizzata."
Demi stava pensando di portare le figlie da qualche parte, il giorno dopo, per farle distrarre e rilassare. Mackenzie, in particolare, ne aveva un estremo bisogno.
"Le tue non sono parole inutili. Anzi, sei una buona consigliera. Grazie mamma" le disse la ragazza, avvicinandosi a Hope che dormiva tranquilla sul divano del salotto e prendendola in braccio. "È sempre bello chiacchierare con te."
"A me fa piacere che tu continui a parlarmi di tutto ciò che vuoi anche se sei grande" rispose l'altra, sorridendo. "Ricorda che sarai sempre la mia bambina e, Demi, ti voglio bene!"
"Anch'io!"
Si strinsero forte, poi Demetria le disse di dover andare, raccomandando di salutarle le sorelle e Eddie, che in quel momento erano fuori casa, le ragazze per lavoro, lui per una passeggiata.
Dopo aver messo Hope nel seggiolino stando attenta a non svegliarla, Demi si rimise al posto di guida e partì.
 
 
 
Mackenzie non scriveva niente. Si era seduta davanti mentre la mamma non c'era e, adesso, non faceva altro che guardare la sorellina dormire. Era così pacifica e tranquilla! Sembrava un angioletto! Dopo tutto ciò che aveva intuito e poi scoperto, anche a causa di quel che Demi aveva detto, Mac si sentiva talmente strana. Se qualcuno gliel'avesse chiesto, non avrebbe saputo dire che emozioni provava, né sarebbe stata in grado di disegnarle, come invece aveva fatto poco prima con Catherine. Aveva voluto isolare i suoi genitori naturali in quella nuvola per farle capire che le mancavano e lei sembrava aver compreso; era anche riuscita a parlarle di quel che aveva scoperto riguardo suo padre e si sentiva fiera di tutto ciò, ma si stupiva pensando che, con moltissima rapidità, le sue emozioni fossero di nuovo cambiate. Pochi minuti prima stava sorridendo, mentre ora era sull'orlo delle lacrime.
Quando arrivarono a casa, Mackenzie non disse niente a Demi. Non voleva parlare. Salì in camera sua e chiuse la porta.
 
 
 
Demi portò Hope nella culla, poi provò a bussare alla porta di Mac. Aveva letto che lasciare i bambini da soli durante attacchi d'ansia o momenti di paura li avrebbe fatti sentire peggio, quindi si disse che non si sarebbe più comportata come aveva fatto altre volte, giorni prima, lasciando la bambina sola con i propri demoni.
"Mackenzie, apri per favore. Possiamo parlarne, se ti va; o magari no. Se non te la senti non ti voglio obbligare!" provò addirle, con tutta la dolcezza possibile. "Se preferisci possiamo fare qualcosa insieme, come guardare un film, o mangiare una pizza, o giocare, o quello che desideri" insistette. Dall'altra parte, nessuno rispondeva. La porta non era chiusa a chiave - Demi aveva tolto tutte le chiavi da ogni stanza in modo che le bambine non si chiudessero dentro e non sapessero più come uscire -, ma non se la sentiva di aprire. Se Mackenzie non voleva parlare, Demetria preferiva non invadere il suo spazio con la forza. Cercando di rimanere calma, smise di pensare a cosa diceva quel sito e, com'era più giusto, ragionò come una madre. "Lo so che hai paura," riprese "e che quel che hai sentito ti ha turbata moltissimo. Non avrei voluto, né soprattutto dovuto, dirlo mentre c'eri tu in mia presenza. Perdonami, Mac! Se sei arrabbiata, io lo capisco…"
In quel momento la porta si aprì di scatto, così violentemente che Demi indietreggiò e barcollò per lo spavento.
Mackenzie teneva un foglio e una penna in mano e cominciò a scrivere, freneticamente e premendo sulla carta più che poteva, ma stando comunque attenta a non bucarla; poi lanciò il foglio verso la madre e richiuse la porta con la medesima veemenza di pochi secondi prima. La ragazza raccolse il foglio e lesse:
Dici di capire, ma non è vero! Smettila, mamma, per favore. So che con queste parole ti manco di rispetto e non vorrei, ma ti prego, finiscila di dire cose alle quali non credi nemmeno tu. Non ti dirò cosa provo, perché non lo so nemmeno io. Non parliamone più, per favore. Non voglio cenare; e non insistere, tanto non servirà a niente. Ti supplico, lasciami in pace e da sola, almeno per stasera. Buonanotte.
Scesa in salotto, con il foglio ancora stretto in mano, Demi si lasciò andare. Si accasciò sul pavimento e cominciò a piangere, nascondendo il viso nelle mani e non preoccupandosi di non far sentire i suoi singhiozzi. Cercava di non farli troppo forti, ma non voleva nemmeno trattenersi. Batman, sentendo che la sua padrona aveva bisogno di lui, la raggiunse scodinzolando.
"Ho sbagliato, cucciolo" gli disse, accarezzandolo. Sapeva bene che non era più un cucciolo, ormai, ma le piaceva chiamarlo così. Lui sarebbe sempre rimasto tale, nel suo cuore, così come Mackenzie e Hope, anche da adulte, sarebbero sempre state le sue bambine. Ora che era mamma capiva perfettamente perché Dianna, fin da quando lei era piccola, le ripeteva spesso quella frase. A Demi, in particolare durante l'adolescenza, aveva dato fastidio sentirsi dire da sua madre che sarebbe sempre stata la sua bambina, ma ora ne comprendeva il significato profondo. Inoltre era una cosa molto dolce. Al pensiero si intenerì e sorrise, ma  fu solo un attimo. Tornò ben presto seria e si sentì più triste e affranta di prima. "Mackenzie sta male per colpa mia. Vai da lei, Batman. Io non mi merito le tue coccole" continuò, mentre lui le leccava la faccia, "è lei che ha bisogno di te."
Come se avesse capito, il cane si allontanò da Demi e corse su per le scale, poi cominciò ad abbaiare e a grattare sulla porta di Mackenzie. Demetria sentì la bambina aprire e poi socchiudere la porta, in modo che il cane avrebbe potuto uscire quando lo desiderava.
Almeno ha fatto entrare lui pensò con un sospiro.
Era stanca di piangere; e poi, in quella posizione, si sentiva un'idiota e, soprattutto, una persona depressa. Infinite volte, quando era stata autolesionista e si era sentita male, si era letteralmente sdraiata sul pavimento della sua camera, rimanendo lì per ore, tanto nessuno se ne era mai accorto. Solo Andrew, spesso, l'aveva trovata così, sia con i polsi insanguinati che senza ferite aperte, quantomeno non nel corpo. Basta! Non poteva e non voleva più fare così. Aveva chiuso con il passato. Avrebbe dovuto alzarsi e fare qualcosa, qualsiasi cosa, per reagire e sistemare tutto.
 
 
 
Intanto Mackenzie, nella sua camera, stava coccolando Batman. Erano entrambi sul letto, lei sdraiata e lui seduto. Mentre lo accarezzava, la bambina pensò che sicuramente era stato Dio a volere che Batman arrivasse da lei per consolarla. Il Parroco le aveva detto che il Signore l'avrebbe aiutata anche e soprattutto nei momenti di difficoltà; e lei pensava che questo potesse avvenire in molti modi diversi, anche semplici come quello. Dopo un po' Batman si sdraiò e prese sonno. La bambina sorrise tra le lacrime e si disse che, forse, ascoltare un po' di musica le avrebbe fatto bene. Non lo faceva praticamente mai, ma ricordò che, giorni prima, sentire quella canzone delle Cimorelli le era stato di conforto. La mamma teneva il PC in camera sua. Sicuramente non le sarebbe dispiaciuto se lei l'avesse usato. Non ci capiva molto, ma sapeva come andare su Youtube. Non ricordava dove, forse in televisione, aveva sentito il titolo di un'altra canzone delle Cimorelli, "Never Let Me Fall". Non sapeva se parlasse di Dio o no, ma in ogni caso aveva bisogno di sentire, ancora una volta, le meravigliose voci di quelle ragazze. Mentre pensava a tutto questo, era arrivata in camera di Demi quasi senza accorgersene. Il computer era in uno dei cassetti del comodino. Lo prese, collegò i cavi alla presa di corrente e poi se lo mise sulle gambe, dopo essersi seduta sul letto. Solo allora si accorse che Hope stava dormendo. La guardò per un momento e poi trovò, nello stesso cassetto, un paio di cuffie, che si infilò immediatamente. Quando riuscì ad aprire internet e ad andare su Youtube, digitò il titolo della canzone. Fece un po' fatica, in fondo non sapeva scrivere molto velocemente con la tastiera, ma ci riuscì e presto la trovò. Per qualche secondo ci fu solo la musica, poi le voci delle sorelle Cimorelli le riempirono il cuore.
Here I am again
It's three in the morning
And I've fallen so hard I can't get back up again
What is this feeling?
It's like I feel so much that I can't feel anything
I can't remember the last time everything was alright
I need some shelter from the storm inside
 
And life is so lonely but I am not alone
And that is the only thing I know for sure
 
So I fall to my knees
Tears falling down my cheeks
I can't believe you give it all up for me
And I will rest in your peace
'Cause you're never gonna leave
You lift me up, you're with me through it all
You'll never let me fall
No you'll never let me fall
 
No I don't understand why this is in your plan
I know there's a reason
Something you're teaching me
And I will not give in this time
 
You will not abandon me
You have not forsaken me
You won't give me anything I can't handle
You will always set me free
[…]
Quando la canzone terminò, la bambina si sentì subito meglio. Di certo non era felice, né serena, ma provava comunque un senso di tranquillità e si sentiva più forte di prima. Non aveva fame, ma anche se fosse stato il contrario, era troppo arrabbiata per mangiare. Non voleva vedere sua madre fino al giorno successivo. Andò in bagno e si lavò il viso, poi aprì il water. Aveva la nausea e sentiva che a breve avrebbe vomitato, ma ovviamente non uscì nulla, se non un po' di saliva. Anche questo le dette fastidio. Tirò un pugno al muro, frustrata. Perché doveva stare male anche fisicamente? Non bastavano tutto il dolore e la confusione che le riempivano il cuore e l'anima? Dopo aver chiuso il coperchio ed essersi sciacquata la bocca, tornò in camera. Chiuse i balconi e le finestre, si infilò il pigiama, disse qualche preghiera e provò ad addormentarsi. Fu un'impresa titanica. Continuava a rigirarsi nel letto senza mai trovare una posizione che le risultasse abbastanza comoda. Alla fine, troppo stanca perfino per pensare, prese sonno.
 
 
 
Nel frattempo Demi, seduta sul divano con le braccia incrociate al petto, non faceva altro che pensare. La sua mente sembrava una macchina che continuava ad andare avanti a gran velocità, mentre lei, che la guidava, cercava di fermarla senza mai riuscirci. Per un momento aveva pensato di chiamare Selena per raccontarle l'accaduto, ma poi si era detta che non era il caso, almeno per il momento. Tanto, sicuramente sarebbe venuta a saperlo dalla televisione o dai giornali il giorno dopo.
"I giornalisti non vedranno l'ora di sputtanarmi per quel che ho detto" mormorò. "Li conosco. Del resto, però, stavolta hanno ragione."
Si augurava soltanto che nessuno di loro avrebbe parlato di Mackenzie, fatto ipotesi sul suo stato di salute, o buttato addosso anche a lei quel veleno che la giornalista aveva utilizzato con le sue parole così fuori luogo. Probabilmente, si disse Demetria, avrebbe dovuto fare una dichiarazione alla stampa o alla televisione, ma per ora non se ne preoccupava. Non era quello il suo problema principale. Aveva commesso un errore madornale ed era compito suo cercare di mettere a posto ogni cosa. Proprio mentre iniziava a rifletterci, Hope cominciò a piangere. Era ora di cena, dopotutto. Mentre si alzava, Demi non riuscì a trattenere un sorriso.
Andò di sopra e si fermò, per un momento, di fronte alla camera di Mackenzie. Non sentì nulla, sospirò e proseguì. Entrò nella sua stanza e trovò la bambina che strillava come un'aquila.
"Strillare come un'aquila" era un'espressione che utilizzava sua madre per descrivere lei e le sorelle da bambine. Lo diceva loro ancora adesso, quando parlava della loro infanzia, e ogni volta che pronunciava quelle parole, Dianna sorrideva. Aveva cresciuto Demi e Dallas stando spesso da sola, visto che Patrick beveva e comunque non era stato molto presente nella loro vita. Demetria non ricordava se i genitori avessero passato alcuni anni felici; e Dallas, cinque anni più grande di lei, ne parlava molto poco. Le uniche cose che Demi riusciva a ricordare, erano le loro litigate. Ne aveva anche parlato nella canzone "For the Love Of a Daughter", che ricordò in quel momento. Dio, quant'era stato difficile scriverla! Ci aveva messo giorni per trovare le parole giuste. Una volta composta anche la melodia, era andata in studio di registrazione. Quando, finalmente, era arrivato il momento di registrarla per l'album dal titolo "Unbroken", la ragazza si era trovata in difficoltà. Spesso si era messa a piangere mentre registrava. Alla fine, dopo molta fatica e tanti tentativi, ce l'aveva fatta. In quella canzone si poteva percepire tutto il suo dolore. I primi versi erano quelli che rammentava con maggior sofferenza:
Four years old
With mom back to the door
All I could hear
Was the family war.
Smise di riflettere sulla canzone e riportò la sua attenzione ai pensieri di poco prima.
Dianna aveva indubbiamente passato dei momenti molto difficili.
"Se ce l'ha fatta lei," si disse Demi, "io non sarò da meno."
In fondo, la donna aveva sempre detto alle figlie che tutte e tre erano forti e coraggiose come, almeno così credeva, era stata lei. Demetria, Dallas e Madison continuavano a dirle di sì, che lo era e che la ammiravano perché, nonostante tutto ciò che aveva passato, era ancora in piedi. Era stata lei a voler divorziare da Patrick e, secondo Demi, aveva fatto bene. La loro famiglia stava andando in pezzi a causa sua. Per quanto lei volesse bene a suo padre, sapeva che aveva anche commesso dei grossissimi errori. Lei, la mamma e le sorelle avevano sofferto molto sia prima che dopo la separazione, perché un evento del genere lascia sempre delle ferite profonde in chi lo vive. D'altro canto, dato che Patrick non solo era stato assente, ma che era anche diventato dipendente dall'alcol e che non aveva voluto curarsi, era stato meglio per tutte allontanarsi da lui. In seguito era arrivato Eddie. Demi sorrise pensando che in realtà il suo nome intero era Edward, ma visto che Dianna l'aveva sempre chiamato con quel diminutivo, anche le figlie l'avevano fatto. Nel 2001 era nata Madison e quella bambina era stata un'altra luce di speranza. Ora però era il momento di smetterla, di uscire dal mondo dei ricordi e tornare alla realtà, per fare qualcosa.
Intanto Hope si era calmata. Il semplice fatto di poter guardare la mamma l'aveva tranquillizzata.
"D'accordo principessa, andiamo" disse Demi, prendendola in braccio.
Preparò per lei e per la figlia una minestra calda. Hope fu molto brava, mangiò tutto senza lamentarsi, né mettere le mani nel piatto come, ancora adesso, a volte faceva.
"Passeggiamo insieme?" chiese alla bambina, mettendola in piedi.
La piccola fu molto felice di camminare tenendo la mano della mamma. Pian piano riuscì a fare le scale e Demi ne fu contenta. Hope migliorava di giorno in giorno. Una volta di sopra, la ragazza indossò il pigiama. Era stanca di tenere i pantaloni corti e la maglia attillata che aveva portato per alcune ore. Generalmente in casa si metteva comoda e faceva vestire le figlie in tuta, o in pigiama se non doveva venire nessuno a trovarle. Mise a Hope un pigiamino giallo con dei gattini disegnati sul davanti e poi, insieme, tornarono di sotto.
"Giocare, mamma, giocare!"
Demi le scompigliò i capelli.
"Va bene" disse, poi entrambe si sedettero sul tappeto. Hope gattonò fino ad una cesta in cui teneva un piccolo fornello giocattolo, alcune tazzine, dei piattini, dei cucchiaini e perfino una moca, tutti di plastica. Li portò vicino alla mamma che le chiese: "Buonasera, potrei avere un caffè, per favore?"
La bambina si alzò in piedi ed esclamò sorridendo:
"Sì!"
poi si mise all'opera.
Mentre la piccola faceva finta di preparare la bevanda, Demi non riuscì a non ricominciare a pensare. Avrebbe voluto tanto concentrarsi e immergersi completamente in quel gioco, ma purtroppo, per quanto le stesse piacendo, non ci riuscì. Avrebbe dovuto chiamare Andrew oppure no? Beh, non era necessario. Sarebbe stata in grado di risolvere quella situazione anche da sola. Magari il giorno dopo avrebbe potuto chiedere a Mackenzie cosa le sarebbe piaciuto fare e accontentarla. Sicuramente distrarsi e divertirsi avrebbe fatto bene a tutte e tre.
"Eccolo!"
La vocina dolce di Hope la riportò alla realtà.
"Oh, la ringrazio" rispose Demi, continuando a stare al gioco.
Hope aveva messo nella tazzina un cucchiaino per mescolare lo zucchero e sotto al contenitore un piattino, proprio come se stesse lavorando in un bar. Mentre pensava Demi l'aveva osservata. Aveva giocato, certo, ma si era anche concentrata molto, il che la faceva sembrare più grande di quel che era in realtà. La ragazza mescolò il caffè, poi mise il cucchiaino nel piatto, soffiò e fece finta di bere.
"Mmm, è buonissimo!" esclamò infine, sorridendo.
La bambina, tutta felice e orgogliosa di aver fatto un buon lavoro, si alzò in piedi e cominciò a battere le mani.
Demetria ringraziò Dio per quel piccolo momento di allegria, ma avrebbe voluto che ci fosse stata anche Mackenzie, che l'avesse vissuto anche lei, che fosse riuscita a goderselo e a sorridere davvero, almeno un'altra volta in quella serata, come aveva fatto prima che lei dicesse tutte quelle cose.
Dopo poco suonò il campanello.
Oh Cristo santo! pensò Demi, alzandosi e andando verso la porta.
Non aveva voglia di vedere nessuno.
Guardò dallo spioncino: era Andrew. Gli aprì cancello e porta e lo aspettò sulla soglia.
"Amore!" esclamò lui, per salutarla, poi la strinse in un forte e caloroso abbraccio.
Demi ricambiò, chiedendosi però come l'uomo si sarebbe comportato quando lei gli avrebbw raccontato ciò che era successo. Probabilmente non sarebbe stato così affettuoso e ne avrebbe avuto tutte le ragioni.
"Ciao" gli rispose lei, con un tono di voce incredibilmente freddo, che con lui aveva utilizzato solamente quando, mesi prima, avevano litigato perché Demi aveva trovato il diario di Andrew con la foto di Carlie e non gliel'aveva ridato subito.
"Che succede?" le domandò lui, che iniziava ad agitarsi. Tuttavia, non voleva darlo a vedere. Temeva che, se l'avesse fatto, lei avrebbe potuto avere chissà quale reazione. "Ho fatto qualcosa di sbagliato?" le chiese ancora, chiudendosi la porta alle spalle e seguendo la sua ragazza in salotto.
"Papà!"
Hope gli corse incontro e interruppe il loro discorso.
Un sorriso enorme si allargò sul viso di Andrew, mentre prendeva la bambina in braccio.
"Ciao, principessina" le rispose, arruffandole i capelli.
"Mamma tanto tliste" continuò la bambina, guardandolo negli occhi.
"Ecco la voce della verità" confermò Demi, atona; "e non lo sono solo io."
"A proposito, dov'è Mackenzie?"
Andrew si accorse solo in quel momento della sua assenza e si dette dell'idiota per non averlo notato prima.
"È in camera sua. Non ha voluto nemmeno cenare."
"Perché?"
"È arrabbiata con me. Abbiamo praticamente litigato, o meglio, discusso… Oddio, non lo so! Comunque è arrabbiatissima." Andrew stava per chiedere spiegazioni ma Demi, dopo essersi seduta sul divano, cominciò a raccontare.
Per tutto quel tempo l'uomo rimase in assoluto silenzio, guardando prima lei, poi le scale. Quando la ragazza terminò, lui le si sedette accanto e mise giù Hope, che tornò a giocare con pentole e fornello, a poca distanza da loro.
"Hai commesso un grandissimo errore" disse Andrew, duro. Era davvero arrabbiato, a Demi fece quasi paura. Le vene del suo collo si erano gonfiate e i suoi lineamenti non erano più rilassati come poco prima. "Ti rendi conto del dolore che le hai dato? Mackenzie ha solo sei anni, per l'amor di Dio! Avresti dovuto stare attenta, Demetria. Porca miseria, lei non era pronta per sapere cose del genere. Volevi traumatizzarla a vita? Bene, ci sei riuscita perfettamente. Sei una grande, davvero! Complimenti."
Le sue parole, pronunciate con tutta quella schiettezza e un po' di ironia, la ferirono in profondità, ma si rese subito conto che il fidanzato aveva ragione.
"Sì," gli disse, "questo sbaglio è probabilmente peggiore di tutti quelli che ho commesso nella mia intera vita. Vorrei dire che mi dispiace tantissimo, ma queste parole non esprimono minimamente il senso di colpa che provo. Sono stata una stupida! Ho fatto soffrire la mia bambina e lei non se lo meritava. Nessun figlio dovrebbe star male per colpa del proprio genitore" concluse, affranta.
Fino a poco prima aveva solo pensato quelle cose, ora era riuscita a dirle. Tutto ciò le fece ancora più male, ma si disse che se lo meritava.
"Non ho mai tirato uno schiaffo ad una donna," riprese lui, guardandola con due occhi che parevano tizzoni ardenti, "la sola idea mi fa venire da vomitare; ma tu, in questo momento, ti meriteresti una bella sberla."
Andrew aveva una voce molto più bassa quando si arrabbiava. Gli diventava roca e perdeva tutto il calore e la dolcezza che, invece, generalmente esprimeva. Demi in quel momento ebbe ancora più paura e iniziò a tremare. Il suo corpo si muoveva quasi impercettibilmente e senza che lei lo volesse. Sapeva che lui non le avrebbe mai torto un capello, eppure, per un momento, sentì un brivido glaciale percorrerle la schiena.
No pensò. Non devo avere paura di lui. Andrew mi ama, in fondo.
"Troverò un modo per sistemare ogni cosa, te lo giuro!" esclamò la ragazza, che tratteneva le lacrime solo perché Hope era presente e non voleva spaventarla.
La bambina, però, si era accorta che qualcosa non andava. Aveva infatti smesso di giocare e guardava i genitori con aria perplessa.
"Ti conviene" fu la secca risposta di Andrew, che si alzò di scatto e poi andò verso la porta.
"Ti prego, rimani!" lo supplicò, con sguardo implorante.
"No."
"Dove vai?" gli chiese, improvvisamente terrorizzata al pensiero che lui volesse lasciarla.
Le mancò il respiro. Non avrebbe sopportato di perderlo!
"Ho bisogno di prendere un po' d'aria, Demi. Non mi arrabbio spesso, lo sai, ma stavolta mi hai davvero fatto incazzare! Lasciami stare per un po', okay?"
"Allora non mi vuoi… Insomma, credevo  volessi andartene per sempre!"
"Mi hai profondamente deluso e amareggiato, ma quella che hai detto è un'esagerazione. Stai zitta e piantala di dire stronzate."
Quello fu un altro colpo che Demetria incassò in silenzio. Deglutì rumorosamente. Le parole di Andrew si facevano sempre più dure, il tono stava diventando aspro. Eppure provò un grande sollievo nel sapere che lui, per quanto arrabbiato, non sarebbe sparito per sempre dalla sua vita.
"Non provare a chiamarmi," continuò lui, "non seguirmi e non cercarmi in nessun modo. Tornerò io, quando mi sarò tranquillizzato."
Non voleva restare ancora lì. Era troppo agitato e arrabbiato. Iniziò a respirare affannosamente, mentre si sentiva le gote andare in fiamme. Aveva bisogno di camminare, o di correre per calmarsi. Sapeva che, se fosse rimasto, avrebbe cominciato ad urlare e non voleva litigare con lei come avevano fatto molti mesi prima, quando lui aveva chiamato Mackenzie e Hope in quel modo orribile. Si vergognava ancora adesso, quando ci rifletteva. La sera in questione aveva perso totalmente il controllo delle proprie parole, dicendo cose che non pensava nemmeno lontanamente e non voleva rifare lo stesso errore, perché in quel caso la situazione sarebbe solo degenerata. Preferiva invece andarsene, tranquillizzarsi e poi, quando sarebbe stato più calmo, tornare e ragionare. Tuttavia, non sapeva quando questo sarebbe accaduto. Forse quella sera, o il giorno dopo… Fu così che, senza dire niente, uscì sbattendo la porta.
Demi rimase immobile sul divano, con le mani sulle ginocchia. Sentì che il cancello veniva sbattuto con violenza; poi più nulla.
 
 
 
Intanto Mackenzie, nel suo letto, era finalmente riuscita a prendere sonno. Batman le era accanto. La sua presenza l'aveva calmata. Ogni sera, da qualche tempo, la bambina si addormentava sapendo che quasi sicuramente avrebbe fatto almeno un incubo. Eppure cercava di non pensarci, credendo che più l'avesse fatto, più cose brutte avrebbe sognato. All'inizio dormì un sonno tranquillo, anche se leggero. Ben presto, però, iniziò a sognare.

Non vedeva la sua vecchia casa, né i genitori, né il sangue, tantomeno sentiva gli spari. No! Quella notte il sogno era completamente diverso. C'erano i suoi genitori adottivi, nella casa della mamma. Erano seduti sul pavimento. Demi era magrissima, talmente tanto che Mackenzie poteva vederle le ossa. Lei era a poca distanza dai due, che però sembravano non vederla. Provò ad avvicinarsi, ma qualcosa, una forza misteriosa che la piccola non riusciva a identificare, le impediva di muovere anche un solo passo. Era come incollata al pavimento. Provò ad alzare un braccio. In una mano teneva una penna e nell'altra un foglio. Le sarebbe bastato scrivere e lanciare quella carta ai genitori per avvertirli della sua presenza. Avrebbe voluto solo chiedere se andava tutto bene. Vedendoli così pallidi si stava preoccupando. Sui loro volti era dipinta l'espressione più triste che lei avesse mai visto e ciò le faceva provare una tremenda morsa di dolore allo stomaco, così tanto che dovette fare appello a tutta la sua forza fisica e psicologica per non piegarsi in due, o peggio, per non cadere a terra. Perché mamma e papà stavano così male? Era forse colpa sua? Aveva fatto o detto qualcosa di sbagliato? Andrew e Demi non si guardavano nemmeno. Fissavano il pavimento e solo ogni tanto alzavano gli occhi al cielo. In quei rari momenti la bambina poteva vedere le loro espressioni, che le facevano sempre più male al cuore. Il braccio che cercava di alzare da qualche minuto non si muoveva e non lo faceva nemmeno l'altro. Provò e riprovò: non si voleva di certo arrendere! Purtroppo non cambiò nulla. Era paralizzata lì. Era strano. Non sapeva come fosse possibile, ma le pareva di stare vivendo quel sogno da spettatrice. Non era come quando si trovava nella casa dei suoi, perché là riviveva quella notte provando le stesse emozioni e sentendo i medesimi rumori. In quel caso, invece, era come se fosse stata solo in parte nel sogno.
Pochi secondi dopo vide il papà cominciare a piangere e la mamma che faceva lo stesso. Dapprima piansero in silenzio, poi singhiozzarono sempre più forte, finché la casa si riempì dei loro pianti, uniti a grida disperate e strazianti. I genitori non asciugavano le lacrime. Le lasciavano correre giù per le guance. Oltre a quelle, però, Mac vedeva qualcos'altro. Gocciolava per terra ed era rosso. Capì immediatamente cos'era. Demi ed Andrew alzarono le braccia e la bambina poté vedere i loro tagli. Erano ferite molto profonde. Dio, sembrava che avessero i polsi squartati! Allora la piccola non ne poté più. Per un momento provò a reprimere i conati, ma non ci riuscì e cominciò a vomitare.

Si svegliò di soprassalto, tremando violentemente. Si alzò in piedi di scatto, spaventando il cane, che si sedette e la guardò confuso. Mac, però, non gli prestò attenzione. Grondava di sudore e piangeva così tanto che le mancava l'aria. Quel che aveva visto era stato spaventoso! Davvero i suoi si erano fatti così tanto male, in passato? Aveva visto le cicatrici della mamma, ma non credeva che i tagli fossero stati così profondi! Mosse le braccia avanti e indietro svariate volte e fece tanti, lenti respiri. Aveva bisogno di calmarsi. Triste, confusa e ancora spaventata, si rimise a letto dopo alcuni minuti. Riuscì a riprendere sonno, ma dormì poco e malissimo, mentre un groviglio intricato di emozioni le mandava in subbuglio lo stomaco.
 
 

credits:
Cimorelli, Never Let Me Fall
 
 
 
Demi Lovato, For the Love of a Daughter
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
anche in questo caso è stato lungo. Ho dovuto dividerlo in tre parti, ma non solo per una questione di lunghezza. Ho fatto la stessa cosa anche con un altro capitolo e ora spiegherò perché.
Mi sono resa conto, grazie alla mia amica Ciuffettina - che in una recensione aveva detto che sicuramente il trauma di Mackenzie era ancora più forte visto quel che Andrew aveva passato -, che non avevo trattato quasi per niente questa tematica. Pareva che, una volta che l'uomo era tornato a casa, tutto andasse bene su quel fronte; invece mi sono resa conto che nella realtà non può essere così. Mackenzie non poteva non rimanere ancora scossa dall'accaduto. Inoltre il momento in cui Demi fa quell'errore enorme peggiora le cose, naturalmente. Vi prego, non odiatela per questo! Incavolatevi, ma non disprezzatela. Tutti possiamo sbagliare, anche tanto. Vi assicuro che la ragazza tenterà di rimediare.
Rileggendo alcuni capitoli che non ho ancora pubblicato, mi sono accorta che i personaggi erano sottoposti ad un fortissimo stress e che necessitavano quindi di un momento di pausa. Per cui ho cominciato a riscrivere questo capitolo, in cui succedevano un sacco di cose, tutte brutte e drammatiche. L'ho diviso in tre parti, allungando alcune scene, aggiungendo momenti teneri (come quello con la piccola Hope) o più leggeri (li vedrete nel prossimo, che devo ancora finire di scrivere). Ho spezzato quindi la narrazione drammatica per lasciare spazio ad altro. Farò la stessa cosa con un altro capitolo.
La mia amica MaryS5 mi ha fatto notare che Catherine dovrebbe far ricordare le cose a Mackenzie più giocando che parlando. Quindi, anche se alla fine Mac preferirà parlare perché le verrà più naturale, ho pensato che aggiungere momenti di gioco non sarebbe stato male. Ho fatto ulteriori ricerche sullo stress post-traumatico e su come trattarlo e ho quindi deciso di riprendere un po' in mano la storia, per migliorarla.
Questo significa che i capitoli saranno un po' di più, 112 probabilmente. Quello è un numero che non voglio sforare, dato che, per come ho progettato il sequel, il numero sarà più o meno lo stesso.
Mi spiace in parte, perché so che allungo una storia che di per sé ha già moltissimi capitoli, ma credo che sia meglio qualche capitolo in più e scritto bene, che qualcuno in meno e con situazioni irrealistiche. In più non sono abituata a scrivere capitoli più lunghi di 20 pagine e non volevo che questo le superasse.
Detto ciò vi lascio, sperando che non mi odierete per questa scelta. Credetemi, è stata molto difficile, ma alla fine ho deciso che fosse meglio così, per il bene vostro, mio e della storia
stessa.
Concludo dicendo che non so se riuscirò ad aggiornare fino a fine maggio (quindi fino a prima della sessione di esami), come invece vi avevo promesso. Mia madre tra poco verrà operata, per cui non so quanti aggiornamenti riuscirò a fare. Perciò ho deciso che questa settimana posterò un altro capitolo e, se riuscirò, ne metterò due anche la seguente.
A presto!
crazy lion
   
 
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