Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    01/05/2017    1 recensioni
!!!*ATTENZIONE!* STORIA RISCRITTA E RIPUBBLICATA SU QUESTO PROFILO. NON LEGGETE QUESTA!! LEGGETE LA NUOVA VERSIONE!! (QUESTA VERSIONE è DATATA ED è QUI SOLO PER RICORDO)
Anno 2016. Shizuka Higashikata, la bambina invisibile, è cresciuta e vive una vita tranquilla con i suoi genitori Josuke e Okuyasu nella cittadina di Morioh, e nulla sembra poter andare storto nella sua monotona e quasi noiosa esistenza. Ma quattro anni dopo la sconfitta di Padre Pucci un nuovo, antico pericolo torna a disturbare la quiete della stirpe dei Joestar e dell'intero mondo, portandoli all'altro capo della Terra, nella sperduta cittadina italiana di La Bassa. Tra vecchie conoscenze e nuovi alleati, toccherà proprio a Shizuka debellare la minaccia che incombe sull'umanità. O almeno così crede.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Eriol rincasò tardi, sbadigliando e chiudendosi la porta alle spalle, il più silenziosamente possibile. Si infilò le pantofole beige che adorava tanto e sciabattò verso le scale, stanca, cercando solo di addormentarsi e dormire fino a tardi. Se lo meritava, dopo tutto il lavoro che le era toccato.
-Sai che ore sono, Eriol?-
Una voce inconfondibile la sorprese, ed Eriol sperava che se ne fosse già andata a dormire, a quell’ora. Ma il Boss non sembrava mai dormire, e dopo tre anni di servizio nella Banda doveva ormai aspettarsi della testardaggine di Zarathustra. Non sarebbe andata a dormire finché Eriol non fosse rientrata, era immaginabile.
-Ehm… le quattro, tipo?- boccheggiò lei, in difficoltà. Seguì la voce del capo e la trovò seduta al gross tavolo di mogano in cucina, mentre sorseggiava una grossa tazza di caffè ormai mezza vuota.
-Hai fatto tutto?-
Eriol sorrise, gonfiò il petto e si batté una mano sul petto, orgogliosa. Alzò la mano sinistra in cui teneva una sacca di raso ed estrasse da essi un paio di stivaletti lilla e dei lunghi guanti grigi scuro.
-Ho lavorato tutt’oggi sui guanti per modificarli,  e ho anche finito gli stivali che mi hai mandato dopo! Guarda qua!-
Alzò uno stivale e le mostrò con fierezza la suola forata. Nella spessa suola di gomma bianca c’erano una serie di buchi, in cui erano stati saldati delle specie di chiodini metallici. Zarathustra annuì, soddisfatta. –Ottimo lavoro, Eriol. Domani ti concedo la giornata libera.-
Eriol sospirò pesantemente, sollevata, e fece per esultare con voce più alta, quando notò un’ombra alle sue spalle. Si voltò e due occhi gelidi e blu la perforarono da parte a parte. Si sentì quasi mancare quando Ludovico parlò.
-Quelli non sono gli stivali della nuova arrivata? Come si chiama? Nijimura?-
Era appoggiato allo stipite della porta della cucina, cercando quasi di analizzarla, fissandola con tanta intensità e serietà da farle male.
Eriol non seppe più cosa rispondere. Boccheggiò, cercò di trovare le parole, ma il suo cervello parve svuotarsi.
-Esatto, sono i suoi.- Zarathustra la batté sul tempo, fortunatamente. –Non potrebbe iniziare l’addestramento senza delle scarpe apposite.-
La ragazza castana sospirò pesantemente e annuì, sperando con tutta sé stessa che i dubbi di Ludovico finissero. Ovviamente non fu così.
-E i guanti?-
-Per lo stesso motivo.-
Lui annuì, poco convinto. Si mise le mani in tasca e fece un mezzo giro della stanza, guardandosi intorno. Si voltò di nuovo verso Zarathustra. –E da quanto tempo la stai controllando?-
-È forse un interrogatorio questo, Ludovico?- rispose il Boss, alzandosi in piedi e scalciando indietro la propria sedia. –Non ti devo risposte. Sono il capo.-
-E se io volessi saperlo?-
-Lo saprai a tempo debito, come tutti.-
Ludovico fece un passo in avanti, puntandosi il pollice contro. –Sono il vicecapo, dovrei sapere più degli altri!-
-Tu mi sostituisci quando non posso svolgere le mie mansioni, ma visti i risultati all’istituto, sto seriamente dubitando della mansione che ti ho affidato.-
Il viso di Ludovico, solitamente pallido e contenuto, sembrò esplodere. Avvampò e gonfiò le guance, mettendosi ad urlare tutto ad un tratto, perdendo la sua caratteristica tranquillità e charme.
-Zara, io so che cosa stai facendo. Non credermi un idiota qualsiasi! Piero potrà non averlo capito, ma io non sono Piero. Tu ci stai nascondendo qualcosa su quella Nijimura, e te lo giuro, io scoprirò cosa stai pianificando!-
La porta si aprì di colpo, troncando il discorso del furioso Ludovico. Regina, in camicia da notte e piedi nudi, aprì la porta con un calcio, puntando una bacchetta di metallo dritta a Ludovico.
La situazione non le piaceva per niente. Zarathustra alzò un braccio e tutti si voltarono, ad osservarla. –Siamo stanchi. Andiamo a dormire, tutti.-
Ludovico girò i tacchi e se ne andò, tirando una spallata a Regina, ancora un po’ confusa dal sonno. –Che cosa stava succedendo?- chiese, sfregandosi una mano sugli occhi assonnati.
-Nulla. Dormiamo.-
Uscì dalla cucina, spense la luce e accompagnò le due amiche su per le scale, in silenzio, senza che nessuna avesse ancora il coraggio di parlare.
 
Shizuka Nijimura. Shizuka Nijimura. Continuava a rimbombarle nella testa, come un’esplosione, un tuono, una sirena dell’ambulanza.
La sua testa sembrava così affollata… nuove e vecchie informazioni, una nuova identità, una vita differente che Shizuka non sapeva nemmeno di aver vissuto.
Venne riscossa dai suoi pensieri da un forte bussare alla porta della stanza. Quando aprì gli occhi, non era il giardino sul laghetto del sogno, la sua cameretta lilla a Morioh o l’hotel Colori del Tramonto. Era la fredda e grigia stanza nella villa della Banda. Si sedette sul bordo del letto e inforcò i propri occhiali da vista, aprendo lentamente la porta.
Noemi si piegò su di lei, appoggiandosi le mani alle ginocchia e quasi gridandogli contro, già piena di energia e felicità. –Oggi andiamo al mercato!-
-Eh?- chiese Shizuka con un tono basso e confuso.
-Mercato!-
La mora annuì, e l’altissima ragazza dai capelli rossi applaudì e corse via, lasciando Shizuka sull’uscio della propria camera, confusa e spaesata. Regina si sporse dalla porta della propria camera, già truccata col suo solito rossetto blu e pettinata, vestita della sua maglietta smanicata in stile orientale color cielo e i pantaloncini rossi. Le sorrise e si incamminò nella stessa direzione in cui la rossa era scappata.
-Aspetta!- la fermò Shizuka.
-Non sei ancora pronta?- la rimproverò la castana. –No, ma…-
-Fai in fretta, o il Boss si arrabbierà! Oggi ha deciso di portarti a fare un giro al mercato.-
Shizuka schioccò le dita, un po’ imbarazzata. –Il mercato! Volevo… chiedere cosa fosse.-
-Ti ci portiamo apposta per fartelo scoprire. Verrò anche io, va bene?-
Shizuka annuì consolata. Regina era per lei come un faro, lì in quel covo di pazzi.
La parte più difficile per Shizuka era ambientarsi e fare amicizia. Quando era appena una bambina di 9 anni e si trasferì in Giappone coi suoi genitori, adattarsi fu un incubo. La scuola era diversa, le persone erano diverse, e la timida Shizuka rimaneva sempre confinata in un angolo, spaventata anche solo di parlare con quei bambini.
Anche un’altra bambina, però, era nella sua stessa situazione. Vestita di nero, pugni stretti e occhi come granati sotto un’improbabile e spettinata frangia castana. Le due fecero amicizia subito: il suo nome era Rin, e da allora divenne la sua migliore amica. Con gli anni, alle scuole medie, incontrarono anche l’esplosiva Sachiyo Kawajiri, sorella minore di un grande amico d’infanzia dei genitori di Shizuka, un certo Hayato, tanto vivace quanto ingenua e presa di mira.
Col tempo, le tre divennero inseparabili. Shizuka sorrise al pensiero delle sue due migliori amiche, ancora a Morioh, ad aspettarla.
E se voleva tornare da loro, tornare da nonna Tomoko, a cenare da Tonio e Virginia, a giocare coi piccoli Manami e Tamotsu Hirose, doveva imparare a usare le onde concentriche e combattere assieme alla Banda di Zarathustra.
Si fece forza e con uno scatto uscì dalla propria camera e si chiuse in bagno, chiudendola a chiave e diventando invisibile, per paura di essere vista. Si fidava da loro, ma la sua natura e il suo istinto le gridavano di rimanere sul chi vive, per qualche motivo.
Istinto, o qualcuno me lo sta sussurrando nell’orecchio mentre dormo?
Si fece una veloce doccia e si spazzolò i denti, preparandosi in fretta e furia nella propria camera.
Una volta finito uscì e scese le scale, lentamente, ancora insicura in quel luogo. Si guardava intorno, guardinga, finchè non si vide apparire un viso a un palmo dal naso. Gridò spaventata e cadde a terra, sbattendo col sedere sul pavimento, terrorizzata. Che era successo? Si sfregò le mani sugli occhi e qualcuno la prese per il polso.
-Ehi, non volevo spaventarti!-
La voce arzilla e raschiante di Piero la riportarono alla realtà. Era sceso dal soffitto e le si era parato davanti, per uno scherzo probabilmente. –Mi chiamano buffone, in questa catapecchia- le disse lui, grattandosi la zazzera viola mentre la accompagnava verso la sala da pranzo. –perché mi piacciono gli scherzi. Però loro sono stronzi. Sono bravo!-
-Mi hai spaventata- sussurrò Shizuka, ancora un po’ timida. Si guardava i piedi mentre scendeva le scale e attraversava i corridoi che sembravano infiniti assieme a quel ragazzo alto quanto lei, se non meno. E Shizuka a malapena arrivava al metro e cinquanta. Sorrise un po’, pensando che Piero voleva davvero parlarle, essere suo amico.
-Io mangio i cereali- disse lui, parlandole col classico accento strascicato labassese. –Mi prendono per il culo perché li mangio, ma non me ne frega. Devi capire che sono tutti scemi, ok? E se ti prendono in giro, tu ridi. Dai loro quello che vogliono, quello che si aspettano da te, e mai di più. Così, quando davvero ti impegnerai, ti vedranno brillare come una stella, e nessuno se l’aspetterà!-
Shizuka alzò lo sguardo su di lui. Era un ragionamento estremamente intelligente da quello che veniva considerato lo scemo della Banda. Decise che quelle parole le sarebbero state utili, gli sorrise e lo ringraziò timidamente. Al ragazzo quel timido sorriso bastò, le diede una forte pacca sulla spalla e, reggendosi alla balaustra delle scale, saltò cinque gradini di marmo, atterrando sul pavimento con una capriola.
Si voltò verso la ragazza e aprì le braccia, ridendo e facendo qualche sgraziato inchino. Shizuka applaudì divertita e scese lentamente le scale, senza imitarlo. Si sarebbe fatta male, e non ci sarebbe stato nessuno stand guaritore a rimediare.
Voltarono l’angolo assieme e Piero, continuando a parlare, aprì la porta di mogano della cucina con un calcio. Al suo interno, c’erano già tutti i ragazzi della Banda. Noemi stava divorando qualche merendina, inzuppandola in una tazza di cioccolata bollente, sotto lo sguardo raccapricciato della precisa Regina, il suo the chai in una tazzina elegantemente ricamata. Vicino a lei, Davide beveva una grossa tazza di camomilla, inzuppando qualche biscottino della fidanzata con mani tremanti e sguardo spaventato come suo solito. Alzò lo sguardo e fissò Shizuka coi soliti occhi sbarrati, rivolgendole un mezzo sorriso nervoso e un cenno della mano come saluto. Ludovico beveva pregiato thè inglese, Eriol un bicchiere di latte, e il Boss, a capotavola, sorseggiava un'altra grossa tazza di caffè. La tazza era sempre la stessa della notte precedente, notò Shizuka. Bianca, di ceramica, con su una frase ormai sbiadita, “il miglior Boss- dalla tua Banda”. Che gesto carino, pensò Shizuka, mentre si avvicinava alla tavolata. Vicino a Zarathustra era seduto suo fratello minore, Alex. Chino sul suo bicchiere di succo di frutta, non parve nemmeno accorgersi dell’arrivo dei due ultimi compagni. Alzò lo sguardo su di lei, avvampò e lo riabbassò di nuovo, sprofondando nelle larghe spalle. Shizuka rimase immobile, un po’ incerta. Vicino ad Alex c’era una sedia vuota, e Piero fece per fiondarvici sopra, prima di essere preso al volo da Regina e sbattuto indietro. La ragazza castana passò lo sguardo su Shizuka, le rivolse un sorrisone e indicò il ragazzo biondo, accartocciato su sé stesso. –Ale vuole dirti qualcosa. Avanti! Non essere timido!-
Alex boccheggiò, tentando di trovare le parole. Si voltò a guardare la sorella, che non alzò minimamente gli occhialoni dal giornale che teneva in mano. Nel panico, si voltò verso Shizuka. Rimase una decina di secondi immobile e deglutì pesantemente, pallido in viso. –Se… vuoi qui posto…-
Shizuka si irrigidì. Davvero qualcuno voleva averla vicina? Annuì e tentò di sorridergli, con un brutto sorriso tirato, e gli si avvicinò, montando sulla vecchia sedia di legno forse troppo alta per lei e sedendosi al suo fianco, alzando a malapena lo sguardo su di lui. Alex era almeno un metro e ottantacinque di imbarazzo e disagio, e a malapena gli arrivava alla spalla. Non alzò più lo sguardo dal bicchiere che teneva tra le mani.
Dall’altra parte aveva Eriol. Le appoggiò affettuosamente una mano sulla spalla e le rivolse un sorrisone, cercando di farla sentire a suo agio. –Cosa vorresti come colazione?-
Shizuka abbassò lo sguardo e si fissò le mani, attorcigliando le dita e cercando di prendere coraggio per parlarle. Non era mai, mai semplice parlare. –Latte e cereali, grazie.- sussurrò, con tono forse fin troppo freddo. Si morse un labbro e serrò gli occhi, esasperata dal proprio comportamento.
Eriol però ridacchiò, le diede una pacca sulla spalla e scese dalla propria sedia, avvicinandosi al fornello. –Preparo io! Anche per te, Piè?-
-Sì cazzo!- gridò Piero, sbattendo i pugni sul tavolo. Ludovico, al suo fianco, sbuffò sonoramente. Erano tutti in pigiama, tranne lui. Indossava già una camicia nera e lunghi pantaloni, sempre neri. –L’educazione, Piero.- sbraitò, portandosi la tazzina alle labbra e sorseggiando il suo the nero.
–Scusalo, è un bruto. Non sa minimamente cosa sia l’educazione o la civiltà.- disse, voltandosi verso Shizuka. Lei arrossì e annuì, non facendo davvero caso al comportamento del ragazzo dai capelli viola. In casa sua, a Morioh, volavano parole ben peggiori in ben due lingue da suo padre Josuke.
Le venne riposta davanti una grossa ciotola di latte e cereali, e, una volta che tutti ebbero la propria colazione, Zarathustra ripiegò la Gazzetta di Mantova, appoggiandola in un portagiornale di vimini dietro la propria sedia. Tutti alzarono lo sguardo su di lei, la riunione iniziava.
-Oggi sarà un giorno particolare, data la nuova acquisizione da parte della Banda. Questa mattina Regina e Noemi porteranno Shizuka a visitare il mercato di La Bassa, gli altri rimarranno qui con me a preparare l’attrezzamento per l’allenamento delle Onde Concentriche sul retro della casa.-
Si voltò verso Regina e Davide, incrociando le mani sul tavolo. –Vi voglio di ritorno per le dodici e trenta. Pranzo veloce, pausa, e alle tre si inizia l’allenamento. E stasera, un gruppo uscirà a fare ispezione, assieme a Shizuka, così per mostrarle come pattugliamo La Bassa. A chi toccherà stasera?-
-Io, Piero e Noemi. Il capogruppo sono io.- Davide si rizzò sulla sedia, voltandosi dal boss verso Shizuka, con un sorriso meno teso sul viso. –Ti mostrerò tutto quello che bisogna fare in pattuglia, prometto non ti succederà nulla se rimarrai vicino a me.-
Davide, nonostante l’essere perennemente sotto stress e a disagio, le sembrava davvero un bravo ragazzo. I capelli metà neri e metà platino separati e pettinati, gli occhi dorati sempre attenti e sul chi vive, e un sorriso mite e umile. Era ovviamente stato scelto come caposquadra per Noemi e Piero, scalmanati come sono. Shizuka iniziava a capire le dinamiche in quella banda.
Ancora pensierosa, non sentì la pesante mano di Regina abbattersi sulla sua spalla. Saltò sulla sedia e rimase col cucchiaio pieno di cereali tra i denti, voltandosi verso la ragazza, che sorrideva. –Sbrigati, prendiamo le biciclette e andiamo a La Bassa al mercato!-
-Le bici..?- ripeté incredula Shizuka.
 
La stradina di campagna era sconnessa, pendente verso destra, e piena di buche. Era stretta tanto da far passare a malapena un’auto, tremolante sul cemento non pareggiato e ormai sbiancato dal rado sole labassese.
Shizuka era l’ultima nella fila indiana composta da lei, Noemi e Regina. Shizuka continuava a guardare alla sua destra, verso il bordo della strada. L’erba era alta, e oltre il bordo c’era il nulla: una specie di scarpata di qualche metro, un altro argine molto simile a quello da cui era caduta la notte prima, e oltre ad esso un grosso canale pieno di animali, aironi, papere. Erano animali splendidi, sembrava quasi uno zoo senza sbarre. Gli aironi camminavano placidamente dentro al canale, le lunghe piume bianche che sembravano brillare alla tiepida luce mattutina, riflesse sulla scura e grigia superficie dell’acqua quasi stagnante. Ogni tanto Shizuka sbandava, facendo per cadere un paio di volte a causa del terreno sconnesso o della fine repentina del cemento sul bordo sgretolato della strada. Una macchina sfrecciò al suo fianco, alzando l’aria e facendola tremare sulla bicicletta.
Regina si voltò appena a vederla, e le sorrise prima di tornare a guardare la strada. –Non sembri abituata in bici.-
-No, non lo sono, in… in città non si usa, di solito. Solitamente prendo il bus…- rispose, con tono basso. Non era ancora a suo agio a parlare con loro.
-Qui si usa quasi solo la bicicletta. A La Bassa c’è solo il pullman scolastico.- borbottò Noemi. –E fa schifo. È sporco. E ci sono i marmocchi delle elementari che gridano.-
-E puzza- mugolò Regina.
La strada era stretta, e sembrava non finire mai. Erano continue curve, e non c’erano mai più di due case vicine, tutte circondate da chilometri e chilometri di campagna, che si perdeva all’orizzonte. L’erba primaverile era verde, troppo verde in confronto al pallido cielo azzurro-grigio sopra di lei. Sembrava vedere solo quel colore così calmo e neutro, così inosservato da sembrare poco importante. Il sole c’era, sotto quella coltre di nubi. Bianco, pallido, un’ombra pallida in un oceano grigio.
Case ormai inutilizzate scorrevano sotto ai suoi occhi, vecchie case di mattoni rossi appena schiariti dal sole a malapena visibile. Chissà quanti secoli hanno queste case, pensò Shizuka, osservando gli intricati viticci di piante rampicanti crescere sulle pareti. Quanta storia c’è in questo mondo… e io nemmeno sapevo che esistesse.
La strada ora era dritta, immensa, solcata da diverse automobili e camion, il fondo perfettamente liscio ma, guardandosi attorno, il paesaggio rimaneva lo stesso: campagna immensa, qualche casa sparuta. Ma, ora, all’orizzonte appariva qualcosa. Grigio, nero e beige, che si protendeva in alto, in un orizzonte che sembrava troppo lontano.
-Cos’è?- chiese Shizuka, staccando appena le mani dal grosso manubrio mezzo arrugginito della sua bicicletta e indicando l’orizzonte alla sua destra. Regina voltò appena la testa, poco interessata, annuendo e tornando a guardare la strada. –La Bassa, no?-
La città però non sembrava avvicinarsi. Rimaneva sullo sfondo, immobile, quasi tetra.
L’aria attorno a loro sembrava pesante, toccabile, e la lieve nebbia li avvolgeva come una coperta fredda che le avvolgeva nel loro viaggio. Voltarono a destra tutto ad un tratto, in una curva a gomito in cui Shizuka per poco non cadde, e dopo qualche pedalata, il paesaggio cambiò completamente. Un grosso negozio per primo, poi una serie di case a schiera l’una dopo l’altra, e la città di La Bassa si aprì a ventaglio davanti ai suoi occhi, senza che lei se ne accorgesse.
Pedalarono per almeno dieci minuti, prima che le case moderne lasciassero spazio a costruzioni ben più antiche. Noemi si fermò davanti a un enorme edificio giallo pallido, smontò dalla bicicletta e la posizionò nel portabicilette davanti alla scalinata che conduceva nell’edificio. -Non vi dispiace se entro un attimo, vero? Il boss mi ha chiesto di portare una cosa dentro- disse, stringendo un plico di fogli di stampante in mano. Shizuka negò, e alzò lo sguardo sull'antico edificio. Sopra le porte, la scritta “Biblioteca comunale di La Bassa” era incisa in un grosso pezzo di marmo. Regina dopo un po', fece lo stesso con la sua bici, Shizuka le imitò. Legarono tutte le bici con chiavistelli e catene, e Regina, inginocchiandosi davanti ad essa, strinse la catena che legava tutte e tre le biciclette tra le mani. La sua espressione si indurì nello sforzo, e dai suoi lunghi quanti blu scaturirono delle scintille argentee, che fecero illuminare le catene di metallo.
-Metal Silver Overdrive- sussurrò lei durante il processo.
Soddisfatta, Regina si alzò in piedi, e si affiancò alla stupita Shizuka, che la fissava con occhi sgranati.
-Ho solo impresso le mie Onde Concentriche nella catena. Così, se qualcuno cerca di toccarlo, si becca la scossa.-
Shizuka annuì, poco convinta. –Hai detto una frase nel mentre…-
-Esatto!- la interruppe Noemi, saltandole vicino, appena tornata dalla biblioteca, facendo svolazzare le gonne di tulle. –Esistono diversi tipi di Onde! Quella di Regi era il Silver, che si applica ai metalli!-
-Ne esistono di diversi tipi, diversi colori… ogni colore ha un utilizzo.-
-Ma non tutti sanno ancora usarne tutti i colori. Io faccio ancora fatica con l’Emerald…- borbottò la ragazza rossa, iniziando a camminare. Le altre la seguirono. Passarono sotto a un porticato, girarono svariati angoli, corsero per un grosso parcheggio in cui le auto sembravano danzare tra di loro per trovare un posto in cui sostare, e infine raggiunsero la grossa piazza centrale della città.
Benchè La Bassa fosse ben più ampia di Morioh, a Shizuka sembrava poco più che un paesino. Non c’erano grosse strade, ed era tutto tappezzato da piante, giardini, appezzamenti di verde brillante che si staccavano drasticamente dal rosso dei mattoni, il grigio dei muri, il giallo, azzurro, bianco, lilla delle case.
Era un’esplosione contenuta di colori, sotto una cappa bianca-azzurra, mai completamente color cielo, sempre brillante, da cui il sole faceva appena capolino dietro quel manto pallido. I colori c’erano, ed erano quasi sbiaditi, tranne per il verde.
Camminando per le vie, Shizuka notò che tutte le case, almeno quelle più in periferia, avevano un grosso giardino bordato da spessi recinti in metallo.
-Per tenere le case al sicuro, si può usare il Silver Metal Overdrive?- chiese Shizuka, indicando una casa gialla dal cancelletto verde metallico. Regina sorrise a quella domanda, appoggiandole una mano sulla spalla. –Non il Silver Metal, ma un miscuglio di Silver e Sunlight Yellow, uno con carica positiva e uno con carica negativa. Creano una specie di campo protettivo tutto attorno all’area circoscritta.-
Shizuka rimase a guardarla con confusione. Noemi si intromise tra le due, spintonandole entrambe per mettersi tra di loro. –Shizu, devi sapere che le Onde Concentriche possono avere carica positiva o negativa! Attraggono o respingono, perché sono elettricità!-
La ragazza mora aggrottò le sopracciglia, cercando di tenere il passo di entrambe. –Spiegatemi cosa sono per bene le Onde Concentriche.-
La rossa sbuffò sonoramente, dando uno spintone amichevole alla più bassa. –È una palla, amica! Te lo spiegherà oggi il Boss, ora dobbiamo solo divertirci!-
-No!- alzò la voce Regina, scuotendo la testa e facendo tintinnare le perline azzurre nel diadema che portava sulla testa. –Non siamo qui per divertirci. Siamo qui per mostrarle la città!-
Noemi si fermò tutto ad un tratto, appoggiandosi a un muro. Controllò l’orario all’orologio e ridacchiò.
-Sei crudele- la ammonì Regina, fulminandola con lo sguardo. Shizuka passò lo sguardo da una ragazza all’altra, confusa anche più di prima. Fece per aprire la bocca e chiedere cosa succedesse, ma non fece in tempo.
Un rumore sordo coprì qualsiasi altro suono della città. Tutto divenne muto, tranne per un continuo, martellante suono, che divenne pian piano un ronzio. Poi tornò, più forte di prima. Shizuka entrò nel panico e si premette le mani sulle orecchie, allarmata e terrorizzata. Ma davanti a lei, Noemi era scoppiata a ridere, e Regina la osservava stranita, a braccia conserte, appoggiata al muro.
-Cosa succede-? È uno stand nemico!- gridò Shizuka. Regina alzò una mano, indicando con un dito verso l’alto, e Shizuka seguì con lo sguardo verso l’alto.
La parete apparteneva a una enorme torre in mattoni, antichi e schiariti dal sole e dal caldo, macchiato dall’umidità e dalle frequenti piogge. Un grosso orologio svettava su ogni lato della torre quadrangolare, sottile e alta, e finiva con un singolare tetto a piramide di metallo baluginante nella fioca luce mattutina. Da dei buchi a porta sotto alla cupola, poteva scorgere una grossa massa nera muoversi.
-Una campana?- chiese, una volta che suonò dieci tremendi rintocchi. Regina e Noemi annuirono all’unisono, incuriosite dalla sua reazione.
-Non ci sono campane dove abiti te?- chiese Noemi, trotterellando al suo fianco. Shizuka piegò la testa dalla parte e ripensò al traffico di New York e ai calmi templi in periferia di Morioh.
-Campanili no. Nei templi ci sono campane ma… non così.-
Fissò ancora con orrore l’enorme campana nera che produceva quel sono infernale e seguì le altre sul marciapiede che costeggiava il giardinetto davanti all’entrata della grossa chiesa giallo pallido e continuarono a camminare.
Dopo qualche altro minuto si ritrovarono davanti a due grosse fontane. Tra esse, il busto in marmo di un uomo severo e barbuto fissava la piazza stracolma di bancarelle, un foulard tricolore verde, bianco e rosso attorno al collo.
-Piazza Garibaldi, la piazza del mercato. Attenta a non perderti!-
 
Quando tornarono, la tavola era già imbandita nella casa della Banda. Shizuka, stanca morta dalla mattinata passata a farsi strada tra persone ammassate attorno alle strette bancarelle nella grossa piazza della città, si tolse gli stivali all’uscio come d’abitudine e seguì Noemi e Regina, che si fiondarono in cucina, affamate dalla lunga mattinata. Eriol era in piedi al bordo della tavola, una pentola fumante tra le mani, mentre con un grosso mestolo riempiva tutti i piatti dei ragazzi seduti alla tavolata.
-Oggi ho fatto i gnocchi!- gridò lei, sventolando il mestolo sporco di sugo in aria. –È il primo pranzo tradizionale labassese di Shizu, ho voluto strafare! Però sbrigatevi che Piero ha già preso il bis!-
Shizuka si sedette timidamente sulla sedia a lei assegnata, vicino a Alex. Prese una forchetta in mano e se la rigirò tra le dita, pensierosa. Le venne appoggiato un piatto fondo pieno di strani grumi di pasta, affondati nel sugo di pomodoro. Eriol le si avvicinò e sbattè un paio di volte il mestolo sul bordo del piatto. –Vé, prova, prova! Vedi che son buoni!-
Soffocando a fatica una risata per la strana parlata della ragazza castana, prese uno gnocco con la forchetta e se lo portò alle labbra. Erano davvero buoni, saporiti e consistenti. Non aveva mai mangiato niente del genere.
-Complimenti allo chef!- disse a bassa voce, un po’ più a suo agio. Eriol alzò il bordo del grembiule e imitò un inchino, ridacchiando felice.
Il pranzo passò velocemente, con battute di spirito e mezze litigate sulle ultime partite di calcio.
Una volta che i piatti furono ripuliti completamente, come una mandria di bufali si diressero verso il soggiorno, trascinando la povera, confusa Shizuka con sé.
Piero si sedette a terra, sul caldo e morbido tappeto, seguito a ruota da Eriol, e gli altri ragazzi si spaparanzarono sul grosso divano. Shizuka si sedette al fianco di Noemi, telecomando in mano. –Ci sono i Simpson a quest’ora, non ce li perdiamo mai!-
-Poi c’è Dragon Ball- ridacchiò Eriol, sistemandosi con la schiena contro il divano.
Zarathustra era seduta su una poltrona di pelle al fianco del divano, sfogliando un pesante libro dalle fattezze vecchie, se non antiche, e Ludovico sfogliava il giornale su una poltrona simmetrica dall’altra parte del divano.
-Dopo Dragon Ball però si va ad allenarsi- decise il Boss. I ragazzi si lasciarono scappare un verso di disappunto, e Shizuka sorrise, unendosi a loro. il clima era leggero e divertente, e tutti i ragazzi erano simpatici. Sarebbe stata bene lì con loro, lo sapeva. Si appoggiò allo schienale e rimase a fissare il televisore, parlottando di tanto in tanto con Noemi e ridendo alle battute continue di Piero.
 
 
Zarathustra, imponente sul bordo della grossa piscina nel giardino posteriore della casa della Banda, scrutava tutti i ragazzi in fila davanti a lei, ordinati secondo una qualche logica che Shizuka non aveva ben compreso. Piero, Regina, Eriol, Noemi, Davide, Alex, Ludovico, e infine la stessa Shizuka.
Il Boss alzò un braccio, e fece un lieve cenno con la testa. –Venti giri dell’aia. Di corsa.-
Shizuka sgranò gli occhi nel sentirla. Non ce l’avrebbe mai, mai fatta, probabilmente sarebbe collassata senza respiro al secondo o al terzo giro. La cosidetta “aia”, un piazzale in cemento dietro la casa usato in epoca rurale per essiccare il grano, era ampio e anche solo il pensare di farci attorno venti giri la faceva sentire stanca.
Davide le si accostò, sotto ordine del capo. Le sorrise e le appoggiò paternamente una mano sulla spalla, e si piegò un po’ per poterla guardare alla sua stessa altezza. Shizuka gli rivolse un sorrisetto nervoso. Non ho bisogno di altri padri, due sono abbastanza, si ritrovò a pensare.
-Perdonami.- le disse, e caricò un pugno. Shizuka rimase a fissarlo interdetto e terrorizzata, pensando che l’avevano scoperta, che ora l’avrebbero uccisa. Forse era tutta una trappola, forse la volevano solo usare come esca per i Joestar… Davide, dal pugno, tirò fuori un dito: il mignolo. Si caricò di luce verde e gialla e bianca e prese a respirare più pesantemente, il petto che si gonfiava sotto la tuta da ginnastica. La colpì col mignolo sotto le costole, e Shizuka davvero pensò che fosse la sua fine. Sentì il calore abbandonarle il corpo, le gambe tremare e cedere e il respiro fermarsi. Non poteva respirare, non poteva fare altro che guardare negli occhi il suo aggressore di cui si era forse fidata troppo. Cadde in ginocchio e si mise carponi sul cemento, cercando di riprendere respiro, nel panico. Tutto ad un tratto, sentì come qualcosa stapparsi nella sua gola, i polmoni riempirsi come mai nella sua vita, e un flusso di calore e forza passarle tutto il corpo. Saltò in piedi e prese altri respiri e si guardò intorno, confusa.
-Tutto bene?- le sussurrò Davide, tenendola per le spalle. –Mi spiace di averti fatto male, ma è la procedura.-
Shizuka si voltò verso il Boss,  trovandola sorridente e soddisfatta. –Si chiama “respirazione forzata”, è una tecnica delle Onde Concentriche. È un mix di più tipi di Onde, e serve a risvegliare il potere della respirazione in ogni essere umano. Ho scelto Davide perché, oltre a saper usare alla perfezione tutti i tipi di Hamon, è il più esperto a controllarle. Sarà il tuo tutore.-
Shizuka annuì, e si voltò verso Davide, che pochi istanti prima aveva maledetto internamente. –Grazie- sussurrò timidamente. Il ragazzo le sorrise a sua volta e le si accostò.
-Per correre e resistere alla corsa devi usare la respirazione delle Onde Concentriche. C’è un metodo per imporla…- e il Boss, dalla tasca del suo bomber rosso, estrasse una pesante maschera di ferro. -…ma questi metodi non mi sono mai piaciuti. Questa maschera permetteva il respiro specifico, ma, se si provava a respirare senza un ritmo o senza usare le Onde, non permetteva la respirazione. Dei maestri in passato li usavano, ma gli anni quaranta sono passati da tanti anni per fortuna, e questi metodi così cruenti non li ho mai sopportati.-
Rimise in tasca la tremenda mascheraccia e tornò a guardare Shizuka, l’occhio rosso sotto gli occhialoni acceso e brillante. –Davide ti insegnerà come fare, e tu lo farai. Se non lo farai rimarrai indietro, e saranno affari tuoi.-
E questi li chiama “metodi non cruenti”?! pensò Shizuka, indignata e spaventata. Sarebbe stata meglio la maschera, forse.
Piero iniziò a correre, seguito da tutti gli altri. All’inizio per fortuna tenne un ritmo abbastanza lento, e Shizuka non trovò difficile seguire tutta la fila.
-Tieni la schiena dritta- la avvertì Davide, e così lei fece. –Non respirare col naso, respira con la bocca.-
Shizuka aprì appena le labbra, prendendo piccoli respiri a ogni passo sempre più veloce. –No, no, trova un ritmo- disse ancora Davide.
Battè le mani e di voltò verso Shizuka. –Inspira- e diede un altro battito di mani. –e espira- e picchiò le mani. Continuò a battere le mani e Shizuka fece tutto quello che gli diceva. Era bravo a insegnare, paziente e cordiale, sempre pronto a dare suggerimenti, anche quelli non molto richiesti o che sul momento le davano un leggero fastidio.
Il ritmo di corsa aumentava, e nessuno nella fila sembrava stanco, nemmeno Shizuka. Stranamente sentiva tutto il corpo pieno di energie, una forza che la percorreva interamente.
Zarathustra, in piedi sulla scaletta della piscina, si portò due dita alle labbra e fischiò con forza. –Basta così, bravi.-
La fila si fermò e Shizuka si voltò verso Davide, incredula. –Abbiamo davvero fatto venti giri?-
Davide annuì, sorridendole e riaggiustandosi la fascia sulla testa che tratteneva la lunga frangia dal cadergli sulla fronte sudata. –Sei stata davvero brava.- le disse, teneramente. Anche regina si affiancò loro, i lunghi capelli castani trattenuti in un alto chignon. –Hai già imparato a respirare, sei fantastica!-
Shizuka sorrise, un po’ a disagio tra loro due. Mi hanno adottata? pensò, spolverandosi i collant sporchi di polvere.
Regina si piegò su Davide e gli schioccò un bacetto sulla guancia. –Sei un papà perfetto!- scherzò lei, con un tono che sembrava tutto tranne scherzoso. Questi due vogliono già metter su famiglia?
Zarathustra scese dalla scaletta della piscina e appoggiò un piede sull’acqua. Shizuka sgranò gli occhi, quasi spaventata. Voleva forse farsi una nuotata così? Con i vestiti addosso?
La suola della scarpa di Zarathustra si appoggiò sulla superficie dell’acqua, senza romperla, e si appoggiò con delicatezza su essa. Come una pellicola, il bordo dell’acqua si increspò, ma rimase fermo e rigido. Zarathustra camminò sull’acqua, avvicinandosi a tutto il gruppetto della Banda, fermo a riposare su uno spiazzo d’erba.
Sotto le suole delle sue scarpe, le increspature concentriche si dilagavano e si perdevano, lanciando sfumature azzurrognole e gialle.
Sta usando le Onde Concentriche.
Arrivò sul bordo della piscina, le scarpe gialle ancora intatte asciutte, e si avvicinò proprio a Shizuka. Benchè Zarathustra non superasse il metro e sessanta, aveva una strana imponenza e incuteva un terrore speciale.
Davide rizzò la schiena, e Shizuka fece lo stesso.
-Hai imparato la respirazione molto velocemente, vedo.- le disse, gelidamente. Shizuka annuì e abbassò istintivamente la testa, stringendo tra le dita i corti shorts che indossava. Era in soggezione, e non le capitava così spesso, e non così intensamente.
-Ora devi imparare a usarle. Davide, se non ti dispiace, ti distrarrò dai tuoi allenamenti giornalieri per badare a lei.-
Davide sorrise. –Nessun disturbo! Ormai credo di aver appreso tutto ciò che potevo apprendere, Boss. Se me lo concedi.-
Zarathustra si portò le mani dietro alla schiena e si concesse un mezzo sorriso, annuendo. –Ormai il tuo allenamento è finito, Davide.-
Si voltò verso gli altri, col solito tono senza nessun entusiasmo o emozione. –Tutti gli altri tornino agli allenamenti giornalieri. Cosa vi manca?-
-La corda!- gridò Piero, correndo verso il grosso di fianco al casolare centrale. –Io ho bisogno della scaletta- parlottò Ludovico tra sé e sé, seguendo Piero all’edificio. Era evidentemente un grosso sgabuzzino, una ex stalla ora adibita a magazzino.
-Noemi, Alex, prendete i palloni d’acqua.- ordinò ai due, e anche loro corsero verso la stalla.
Shizuka aggrottò le sopracciglia istintivamente a sentirli, e Davide si lasciò scappare una mezza risata. –“Corde, palloni, che allenamenti di combattimento sono?” stai pensando, vero?-
La ragazza mora si voltò spaventata verso Davide, e lui scoppiò definitivamente a ridere, portandosi elegantemente una mano sulle labbra.  –Infondo hai ragione, sai? Imparare a usare le Onde non è solo combattimento, anzi. È tecnica, abilità, e saper utilizzare tutto a proprio vantaggio.-
Zarathustra annuì, soddisfatta dalla spiegazione. Si avvicinò al bordo della piscina e indicò l’acqua con un cenno della testa. –Sai cos’è la tensione superficiale?-
Shizuka ci pensò su. L’aveva studiato nell’ora di fisica, qualche mese prima, a scuola. –La pellicola che si crea sull’acqua?-
-Circa. Devi usare la tensione superficiale, aumentare quella forza tra le molecole d’acqua che le fa tenere unite tra loro. La versione basica di questa tecnica richiede solo le Onde bianche, ovvero generiche e non gli Overdrive, le onde colorate. Regina ti ha già accennato qualcosa ai  colori dei Overdrive, no?-
Shizuka annuì.
-Perfetto. Qui non ti serve nessun colore. I colori derivano dalla tecnica e dall’esperienza, ma senza di esse, le onde risultano di colore bianco, con una carica positiva o negativa. Per oggi ti eserciterai solo a far uscire quelle onde. Sai il perché dei guanti e delle scarpe specifiche?-
-Il metallo. Il metallo… è conduttore, giusto?-
Shizuka strinse i pugni, osservando le piccole placche sui palmi dei guanti neri senza dita che Alex le aveva regalato. –Se le Onde Concentriche vengono dalla respirazione…-
-La respirazione le alimenta. Il sangue si carica di ossigeno, e tramite esso si sviluppano le Onde, attraverso il sangue, attraverso tutti i capillari sottopelle, e dunque tramite pelle.-
Zarathustra alzò la testa, guardando il cielo azzurro pallido. Non c’era una nuvola in cielo, ma risultava comunque di un pallore strano. Il sole bianco splendeva tanto da far male agli occhi, e Shizuka non poteva alzare lo sguardo per molto che subito si sentiva gli occhi bruciare. C’era qualcosa di strano, nel cielo labassese. Il sole era bollente sulla pelle, e il vento gelido del nord litigava col caldo della luce del sole. “Clima tipico primaverile labassese”, disse Ludovico prima, ridacchiando assieme a tutti gli altri nella corsa.
-Il sole, le Onde Concentriche sono la forza del sole.- finì Zarathustra. Abbassò di nuovo lo sguardo sulla allieva, seduta sul bordo della piscina. –Devi seguire la luce del sole, ma ricorda che esistono altre luci. Non tutte sono il sole, anche se brillano e splendono nella stessa maniera. Il sole ti è amico, ma non è l’oscurità ad esserti nemica, Shizuka. Stai attenta alla luce.-
Il Boss girò i tacchi e se ne andò, mani nelle tasche e mento alzato, tornando dentro la casa.
Shizuka rimase a fissarla, con gli occhi sgranati. La luce? Con “oscurità” probabilmente si riferiva ai vampiri, ma con “luce” cosa intendeva? Shizuka rimase a pensare forse troppo attentamente a quella risposta, perché sentì un forte spintone che per poco non la fece cadere in acqua.
–Ve, dasmisiat!- quasi le gridò Davide, sedendosi al suo fianco. Shizuka rimase a fissare anche lui pensierosa, non avendo davvero compreso le sue parole.
-Uh, è dialetto labassese. Scusami, mi è scappato.-
Si portò le mani sulle labbra e si lasciò scappare un sorriso imbrazzato. –Vuol dire “svegliati”, “sbrigati”… dobbiamo allenarci, ricordi?-
-Oh! Sì, scusami.-
Shizuka abbassò lo sguardo e allungò una mano verso l’acqua, quasi sbattendocela su e affondandola nell’acqua.
-No, no, respira. Pulisciti la mano e rifai da capo.-
Le allungò un asciugamano e si pulì, rimanendo a fissare l’acqua con espressione accigliata. Socchiuse gli occhi, fece un profondo respiro e allungò una mano sopra l’acqua, senza però toccare la superficie.
-Brava- sussurrò Davide, per non farle perdere la concentrazione. –ora cerca di convogliare le onde verso il tuo braccio.-
-E come?-
-Hm… pensa a qualcosa che ti fa forza. Può essere qualcosa che ti fa arrabbiare, o che ti fa venir voglia di usare tutta la tua energia…-
Shizuka annuì, chiuse gli occhi e rimase immobile. Davanti ai suoi occhi chiusi, vide le sue due amiche a Morioh, la sua famiglia, New York. Vide due serpenti contorcersi in una lotta spietata, il cobra magenta e scarlatto aprire le fauci sanguinolente e fissarla coi suoi occhi di ghiaccio.
Aprì tutto ad un tratto gli occhi e la sua mano era ricoperta da scariche elettriche bianche.
-Ce l’hai fatta!- si lasciò scappare Davide, appoggiandosi alla sua spalla. Shizuka appoggiò la mano di nuovo sull’acqua, che rimase a contatto con la superficie. Premette la mano e l’acqua si spostò, più come un materassino ad acqua che una vera e propria piscina.
 
Dopo ogni allenamento, imparò Shizuka, c’era una sessione di riposo. Piero si accostò a Davide e Shizuka, appena rientrati in casa, mentre si faceva vento al viso col bordo della canotta fradicia, un vecchio e rotto asciugamano attorno al collo. –Davi, sai l’orario di stasera?-
-Usciamo alle nove.- fece lui, dando una pacca sulle spalle a Shizuka. –Dalle nove alle tre, sei ore di vedetta.-
-Così tanto? Davvero?- Piero si lasciò scappare un verso di sconfitta e strisciò via, strascicando i pesanti stivaloni per terra.
Anche Shizuka rimase contrariata da quegli orari. Alzò lo sguardo verso Davide, che già la stava guardando, come se avesse previsto tutte le sue mosse. –Vuoi dormire, prima di andare fuori? Ti servirà, perché nessuno stanotte ha voglia di trascinarti mezza addormentata!-
Annuendo stancamente salì i gradini e si diresse verso il lato est della casa, verso i dormitori. I ragazzi, stravaccati sui divanetti e sulle sedie, nemmeno notarono la sua assenza. A malapena notavano sé stessi, stravolti com’erano.
Strisciò fino alla propria camera e si chiuse dentro, togliendosi a malapena le scarpe nuove, prese in una bancarella speciale al mercato di quella mattina. Il rivenditore e sua moglie, due signori gentili, costruivano scarpe speciali appositamente munite di tacchetti di metallo, proprio per i ragazzi della banda. Si era presa un paio di scarpe da ginnastica bianche e grige, rialzate e dalla soletta morbida. Amava quelle scarpe, perché le permettevano anche di galleggiare sull’acqua.
Si abbandonò sul letto e socchiuse gli occhi, riuscendo a malapena a togliersi gli occhiali da sole dalle lenti azzurrine, prima di addormentarsi pesantemente e trovarsi di nuovo nella radura luminosa dei suoi sogni.
Le colonne dell’antico porticato, bianche e lucenti, erano spezzate e rotte, come se qualcosa le avesse intenzionalmente distrutte.
Si guardò intorno, non vedendo nessun movimento sospetto, e nemmeno il fantomatico ragazzo di luce.
Un sibilo e un sonaglio alle sue spalle le fecero rizzare i capelli sulla nuca. Si voltò e lo vide. Il cobra.
Aveva sfoderato i denti, da cui colava sangue rosso e non veleno. Era terribile, nero e rosso e magenta, dagli intricati disegni sulla pelle squamosa, gli occhi come due specchi, vetri azzurri taglienti e pericolosi. Scuoteva la coda, i sonagli di diamanti e pietre preziose che tintinnavano come coltelli che cadono sul pavimento. Era un suono straziante, insopportabile.
Il cobra aprì il collare, di intricati disegni scarlatti e violetti e azzurrini e magenta, e si abbassò tutto ad un tratto su di lei, come a volerla mordere. Shizuka gridò e si tirò indietro, di poco. Il serpente non la colpì.
Presa dal panico, corse via, tra l’erba e le rovine. Il porticato in stile greco e classico era distrutto dal pesante corpo dell’enorme cobra, il laghetto sporcato di sangue, era tutto distrutto.
Il serpente aveva distrutto tutto ciò che Shizuka aveva costruito. Ma l’ho costruito davvero io, tutto questo? si chiese. L’ho voluto io?
Non importava, in quel momento. Il cobra strisciava dietro di lei, sibilando e muovendo la sua coda, facendo più rumore possibile, buttandosi contro muri e colonne, solo per distruggerle.
Stanca di scappare, si fermò e si voltò verso il serpente, che la stava lentamente inseguendo. Si erse di nuovo, aprendo il collare, metri e metri sopra di lei. La sua testa era tanto grande da poterla ingoiare in un solo boccone. I suoi denti di cristallo brillarono pericolosamente nella luce sempre più forte.
-Sono qui- le disse una voce fin troppo familiare. Si voltò e dietro di sé c’era lui, avvolto nella sua solita, calorosa luce. Nemmeno sapeva il suo nome, ora che ci pensava. Si lisciò i lunghi capelli dorati su una spalla e le sorrise, gli occhi verdi sorridenti. Prese la sua mano e vi depositò qualcosa di freddo e pesante. Shizuka abbassò lo sguardo, e tra le sue mani c’era un grosso coltello da caccia, con una incisione in kanji sul manico di cuoio e acciaio che Shizuka non riuscì a leggere. –Devi uccidere il serpente, Shizuka. Devi ricostruire questo posto. Il tuo posto. Uccidi il serpente, fai rinascere la nuova te. Con lui, tu non puoi andare avanti. Ti blocca la via, non vedi? Vuole solo avvelenarti. Uccidilo, o il veleno ucciderà te.-
Il cobra gridò, sbattendo la coda di cristallo sull’erba distrutta. Chissà cosa voleva dirle…
Lui le strinse il polso, con forza, senza che lei potesse in alcun modo ritirarsi, e Shizuka alzò il coltellaccio e lo puntò verso la pancia scoperta e molle del rettile. Gli corse incontro, tenendo il pugnale con entrambe le mani, e lo affondò nella carne fredda del serpente, che lanciò uno strillo così tremendo da far male alle orecchie di Shizuka. Ma il serpente doveva morire, no?
Alzò il coltello e aprì la sua pancia, tirandosi indietro. Dal taglio uscirono schegge di vetro, che la sommersero, tagliandola e conficcandosi nella sua pelle. Tentò di gridare, ma le schegge le si conficcarono nella lingua.
Ho fatto quello che mi hai detto tu, perché mi sta succedendo questo? avrebbe voluto gridare. Ma non poteva. Su di sé, sopra la valanga di schegge, vide un’ombra luminosa, un viso bruciato tanto da apparire nero, carbonizzato, un sorriso contorto in una poltiglia di sangue.
-Shizuka, mia amata nipotina, per rinascere bisogna prima morire.-
 
Shizuka si risvegliò, tremante e sudata, sul proprio letto. Era un incubo, solo un incubo. Si portò una mano al viso per asciugarsi la fronte madida e nella sua mano era stretto un pugnale da caccia. Lo stesso che il ragazzo di luce, il ragazzo di cenere, le aveva dato nel sogno. Il fodero era vicino a sé, con una maniglia per appenderlo alla cintura. Sospirò pesantemente e rimase ad osservare le sfumature rosse e arancioni della lama, a seconda di come veniva colpita dai raggi del sole calante del tramonto. Aveva dormito per qualche ora, ma sembrava di essere stata addormentata per anni.
Quei sogni dovevano voler dire qualcosa, ma cosa? Che serpente doveva uccidere? E questo serpente l’avrebbe uccisa, o era lo stesso uccidere il serpente che l’avrebbe ferita?
Non era il momento di pensarci. Andò in bagno, lo chiuse a chiave come suo solito e si fece una veloce doccia gelida, cercando di calmarsi. La nottata che l’aspettava era lunga, e doveva essere pronta a tutto.
Tornata nella propria camera si vestì con quello che decise essere il suo completo da “caccia ai vampiri”, converse a stivale alte fino al ginocchio prontamente modificate, pesanti calze bianche, pantaloncini, maglietta senza spalle e una spessa canottiera nera sotto tutto. Le temperature labassesi erano pazze, non sapeva come vestirsi in un clima così capriccioso.
Si fece i suoi soliti bassi codini e si riallacciò i guanti, che le arrivavano quasi fino ai gomiti. Allacciarli era difficile, date tutte le cinghie per assicurarli alle braccia.
Si allacciò le due cinture, come soleva portare suo padre Okuyasu, e appese al lato il pesante coltellaccio. Quando si assicurò che non potesse cadere, fece per uscire dalla stanza e aprì la porta, ma qualcosa la spinse indietro. Si voltò verso la propria valigia, e rimase a fissare un luccichio dentro ad essa. Si inginocchiò al fianco della valigia ed estrasse il ciondolo a forma di freccia. Ora che ci penso, anche l’uomo misterioso luminoso dei sogni ha degli orecchini del genere. Però sono bianchi, fatti di luce. Non d’oro.
Alzò le spalle e assicurò il ciondolo dalla parte opposta del coltellaccio, alla propria cintura, sul fianco. Dondolava e tintinnava, ma non come la coda del serpente, ma piuttosto come la risata dell’uomo di luce.
Prima di rialzarsi, il suo sguardo cadde sulla vecchia sciarpa sciupata che era appartenuta a suo nonno Joseph. Anche lui usava le onde concentriche, e zia Holly aveva detto che quella sciarpa era importante per l’Hamon… se la mise al collo, distrattamente. Meglio abbondare.
Si avvicinò allo specchio sulla scrivania, vicino al letto, frugò nel suo beautycase e tirò fuori il suo vecchio eyeliner. Non voleva uscire per La Bassa senza nemmeno un po’ di trucco. Non riuscì nemmeno a tracciare la prima linea che qualcuno gridò alla sua porta, che aveva dimenticato aperta.
-Ah! Anche tu ti trucchi! Quel trucco è cuelty free?-
-Che?!- sbottò Shizuka, non riuscendo a trattenersi dall’essere nervosa. Si voltò appena verso Noemi, aggrappata alla sua porta, tutta sorridente. –Io non mi trucco perché i trucchi sono contro la natura e contro gli animali. Hai visto che truccano i maiali? Povere bestie!-
Da dietro di lei la porta si spalancò ancora, rivelando Regina, dietro di lei. La prese per il colletto della maglia e la tirò indietro, gridandole contro qualche parola incomprensibile in dialetto labassese. Si sporse lei questa volta, tutta sorridente, tenendo in mano qualcosa e allungandoglielo. –Ciao! Tieni, ho pensato potesse esserti utile. Non ascoltare Noemi.-
-Ma truccano i maiali!- gridò la ragazza rossa, saltellando dietro alla porta.
-Che cazzo dici? Quella era una puntata dei Simson!- sbottò Regina, perdendo tutto il suo charme nel gridarle contro. Si riprese ed entrò appena nella camera di Shizuka, passandole in mano una matita per gli occhi viola scuro. Shizuka sgranò gli occhi. –Dove l’hai trovata? A Morioh non si trova! Nemmeno alla città di S, è introvabile di questo colore!-
-Al Leone, qualche settimana fa. È un centro commerciale di quelli grossi sul Garda… prima o poi ti ci porto, va bene?-
Shizuka sorrise emozionata e annuì, ringraziandola e lasciandosi scappare un mezzo inchino.
-Con gli occhi grigi che hai, il viola farà un grande effetto! Poi è il tuo colore preferito, no?-
Regina rise e uscì dalla porta, lasciando Shizuka da sola di nuovo. Finì di sistemarsi e rimase ad osservarsi nello specchio, sollevata. Regina aveva ragione.
Uscì dalla propria camera e scese felice le scale, trovando Davide e Piero davanti all’uscio, a parlottare tra di loro. Piero stringeva quasi compulsivamente tra le dita le targhette militari che portava sempre al collo, Davide si lisciava le catene che portava attaccate alle lunghe braghe di tartan giallo.
Shizuka si avvicinò ad entrambi. Piero la salutò con un cenno della testa, facendo muovere i capelli viola, scompigliati e lunghi fino alle spalle. –Oi! Dormito bene?-
Shizuka mentì e annuì, sotto lo sguardo contrariato di Davide, che sparì però appena Shizuka si voltò a guardarlo. Davide aveva qualcosa che nascondeva, ma cosa?
Noemi sbucò fuori dalla porta della cucina, un biscotto tra le labbra. –Io ho fame, andiamo a mangiare?-
-Sì, andiamo alla piadineria di fianco all’Ipercoop.- sentenziò Davide. Piero sbuffò sonoramente. –Solo se dopo andiamo al K2!-
-Non andiamo in gita, andiamo a pattugliare. Dobbiamo far vedere a Shizu come si fa.-
Noemi e Piero sbuffarono all’unisono, e Davide si massaggiò la radice del naso, già stanco ancora prima di iniziare.
-Boss! Noi andiamo!-
-Buona fortuna.- disse freddamente il Boss, seduta su una vecchia poltrona nella sala attigua all’ingresso, un grosso, antico librone rilegato di cuoio sulle ginocchia e degli occhiali da aviatore dalle lenti gialle a specchio come quelle dei suoi soliti occhialoni.
Regina si avvicinò a Davide, lo abbracciò e gli diede un bacio, tenendolo stretto a sé. –Torna vivo o t’ammazzo.- gli sussurrò. Davide le sorrise e l’abbracciò a sua volta.
Una volta sciolti dall’abbraccio, il gruppetto si decise a uscire dalla porta.
Si recarono al garage-stalla-magazzino, dato che al suo interno Shizuka notò che c’erano anche due piccole automobili, qualche motorino e un numero imprecisato di biciclette.
Piero saltò sulla propria bicicletta argentata e verde, una mountain-bike dalle grosse ruote da motocross, quasi più grande di lui. Noemi montò sulla propria vecchia bicicletta da città e Davide la seguì, su una bicicletta nera che quasi passava inosservata lì in mezzo. Shizuka cercò la bicicletta che aveva usato quella mattina, inutilmente.
-Non la trovo… sussurrò. Davide smontò dalla bicicletta e si avvicinò a una piccola mountain-bike, elegante e leggera, bianca e lilla. –Te l’abbiamo rifatta! Ludovico, Eriol e Piero ci hanno speso un po’ di tempo su… spero ti piaccia.-
-Oh… mi piace molto, grazie…-
Shizuka si voltò verso Piero, che le fece il segno di vittoria e la linguaccia. –Prego!-
Anche Shizuka montò sulla sua nuova bicicletta, e, in un’ordinata fila guidata da Davide, uscirono dal cancello automatico, che si richiuse subito dopo la loro uscita, e rifacendo la vecchia e sconnessa strada buia e tortuosa strada che fece Shizuka la stessa mattina, si incamminarono lentamente verso la città di La Bassa.
-Accendete i fanali!- gridò Davide, e azionarono una levetta sul manubrio. Shizuka cercò la levetta, che assomigliava più a un interruttore, e dopo averla premuta si accese un fanalino sul fronte della bicicletta, una lucina sul retro, e qualche led sui pedali.
-Shizuka, ricordati di respirare- la bacchettò Davide, non voltandosi verso di lei. Shizuka, seconda in fila, seguita da Piero e Noemi, annuì e, concentrandosi, riprese la respirazione dell’Hamon. Era più un esercizio che qualcosa di utile al momento, ma Shizuka lo fece lo stesso.
Arrivarono a La Bassa dopo una pedalata di una decina di minuti, e depositarono le biciclette sul portabici da terra, interrato sul bordo della grossa chiesa di La Bassa, di fronte alla piazza.
Misero le biciclette in fila, e Piero, quasi maniacalmente, passò la catena di acciaio spessa e pesante tra le ruote delle bici, legata attorno al corpo centrale, e infine assicurato il tutto al portabici. Chiuse con un grosso lucchetto e si infilò la chiave in tasca, inginocchiandosi al fianco del portabici. Chiuse gli occhi, e dai vecchi e stracciati guanti da soldato scaturirono luci e lampi argentati e rossi. Colpì con forza la catena e questa brillò di argento e di rosso, acceso e minaccioso.
-Piero, hai usato lo Scarlet?- lo ammonì Davide. Il ragazzo dai capelli viola si alzò in piedi e si passò una mano sulla fronte, tirandosi indietro i capelli. –Forse. Lo sai che girano dei cancheri che fottono le biciclette! Così almeno imparano a non farlo più-
-Ustionandosi?-
-Sì.-
Noemi scoppiò a ridere e Davide roteò gli occhi, camminando a passo veloce per Piazza Garibaldi. Shizuka si accostò a Piero, guardandolo con gli occhi sgranati. –Sai usare più overdrive assieme?-
Piero annuì, grattandosi i capelli. –Uno dei pochi nella Banda! Fa figo, eh?-
La ragazza giapponese annuì, guardandosi attorno. La Bassa era del tutto diversa, di notte. I lampioni luminosi sulla città quasi completamente blu notte, i mattoni grigi ora neri su cui camminava la faceva quasi sentire nello spazio. era strano e divertente. Notò anche che nessuno camminava per le strade, le automobili erano rade, e andavano tutte di fretta. -Una città che ha paura non vive.- sussurrò Davide, avvicinandosi a una zona particolarmente buia, i lampioni rotti e i muri tanto neri da sembrare volerli inghiottire.
Due occhi rossi si aprirono nell’oscurità in cui erano entrati, e un grido acuto la portò alla realtà. Un vampiro si mostrò davanti a loro. Il lampione rotto su di lui andava a intermittenza, mostrando ora sì, ora no quella figura mostruosa davanti a loro. Metà del suo volto sembrava sciolto, l’altro ricoperto di bubboni gonfi o scoppiati. I suoi occhi erano rossi, umani, ma oltre a quello non aveva nulla di umano. Era una figura grottesca dagli abiti spezzati, camminava a quattro gambe e faceva strani versi inumani.
-Uno zombie.-
Davide fece un passo indietro, e lo zombie lo prese come un segno di ritirata. Ma non era così. Appena fece un passo indietro, Noemi evocò il suo stand, Imagine Dragons, che allungò una mano avanti. Lo zombie corse a quattro zampe verso di loro, ma cadde come un sacco di patate nella zona di rallentamento dello stand umanoide dalla maschera a forma di teschio di drago.
Noemi ritirò un pugno, stringendoselo al petto, e il suo stand fece lo stesso. Il pugno di Noemi si caricò di scosse gialle, che passarono allo stand. Il pugno guantato di osso di Imagine Dragons brillava di giallo, ora.
-Sunlight Yellow Overdrive!- gridò Noemi, e con un ruggito Imagine Dragons colpì il vampiro, ancora immobilizzato, graffiandolo e tagliandolo a fette per la forza dell’impatto. Con un acuto strillo animalesco, lo zombie divenne polvere  e si perse nel vento.
-Questo è stato facile!- ridacchiò Piero. Davide però rimase in posizione difensiva. –Piè, taci. Non hai visto i vestiti del vampiro?-
Shizuka si voltò verso Davide, confusa. –Erano neri. Strappati, però sembravano quelli gotici…-
Noemi afferrò Shizuka per un braccio e se la strinse al corpo, protettiva, mentre il gruppo si chiudeva a cerchio intorno a lei.
Dal lampione rotto, una figura scese a terra, con un movimento quasi felino. Atterrò nell’oscurità davanti a loro, reggendo un ombrellino tra le dita guantate di nero. Si spolverò l’ampia gonna ottocentesca, rigorosamente nera e di pizzo grigio, e si avvicinò a loro, i tacchi che ticchettavano sul pavimento stradale.
I suoi occhi, rossi e felini, li scrutavano nell’oscurità.
-Edvige.-
-Davide. Saluti anche a Piero e Noemi, e… una nuova recluta?-
La figura si rivelò sotto al lampione funzionante, vicino al gruppetto. Aveva la pelle pallida dei vampiri, gli occhi rossi e luminosi, e un vistoso rossetto nero. Una lunga frangia nero corvino quasi le copriva le iridi scarlatte, e lunghi boccoli cotonati le ricadevano sulle spalline di velluto e pizzo del vestito gotico che indossava.
-Farò fuori anche lei, anche se mi dispiace non poterla conoscere meglio. Ah, Davide, ricordo ancora quando la recluta spaventata eri tu.-
La ragazza rise, coprendosi le labbra nere con la mano guantata di velluto.
-Non siamo qui per parlare, e suppongo nemmeno tu.- rispose Davide a tono. Alle sue spalle, un’ombra nera si materializzò, e piano piano divenne una forma tangibile. 1000 Forms of Fear era un enorme Stand, magro e longilineo, fatto di un fumo nero e quasi tangibile per quanto era fitto. Era umanoide, aveva anche un casco argenteo sulla testa, a coprirgli un viso senza occhi e senza espressioni.
-Sweet Dreams questa volta vi ucciderà, una volta per tutte. Questo gioco è durato troppi anni.- disse Edvige. In un’esplosione liquida, un mostro umanoide si materializzò alle sue spalle, un essere dalle spalle larghe e la bocca aperta, spalancata, fatto di qualcosa che sembrava gelatina colante. Allungò le sue mani appiccicose verso il gruppetto, ma, tutto ad un tratto, Edvige si blocco, un’espressione terrorizzata sul viso.
Sorrise e ritirò lo Stand, lasciando interdetti i ragazzi della Banda.
-Forse riuscirò a farvi fuori senza fare niente! Purtroppo sono così pigra… buona fortuna, amici miei.-
Con un risolino aprì di nuovo l’ombrellino che usava come elegante bastone da passeggio e saltò in aria, a diversi metri d’altezza, sparendo di nuovo nella bruma nera che li avvolgeva.
-Che cazzo succede?- gridò Piero, staccandosi appena dal gruppo.
Davide fece per rispondere, ma un boato lo precedette. Mattoni volarono ovunque, e grazie all’intervento tempestivo degli artigli di Imagine Dragon vennero spazzati via, e il gruppo non venne colpito. Alle loro spalle era arrivato qualcuno.
Passi pesanti, respiro affannoso, arrivò calciando i mattoni del muro che aveva distrutto.
Shizuka si voltò, tremando come una foglia, incontrando il suo sguardo pallido, ghiaccio tagliente che la ferirono. Si tastò il coltello appeso al fianco, tutto ad un tratto più pesante.
Il serpente è arrivato distruggendo tutto. È venuto per avvelenarti, Shizuka.
 
 
 
 
Who’s making your decisions?
You, or your religion?
Where’s the Revolution, Depeche Mode (Spirit, 2017)
 
Note dell’autrice
Ciao a tutti! Dopo ben cinque mesi di pausa, eccovi il nuovo capitolone di DH. È una bomba, posso dirlo? Da questo capitolo, come si può intuire, molte cose cambieranno. Chi lo sa se in meglio o in peggio?
Almeno finchè non riprenderà la sessione di esami spero di aggiornare più regolarmente, anche perché i prossimi capitoli non saranno così lunghi e pesanti, lo prometto! (Non credetemi.)
Ciao a tutti, vi ringrazio per la pazienza, ci vediamo al prossimo capitolo!
Ricordate che le recensioni sono sempre ben accette, eh! Ciao a tutti! Prometto di non fare la fine di George R.R. Martin. Giurin giurello.
   
 
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