Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Penny83    02/05/2017    2 recensioni
C’erano giorni in cui avrebbe voluto raggiungerlo, lassù nella torre dove si era asserragliato, ma le sembrava così inaccessibile, tanto più maturo e complicato di lei, da metterle soggezione. Se provava a guardarsi con gli occhi di Jon non vedeva altro che la mocciosa a cui aveva insegnato ad allacciarsi le scarpe.
Così era stato fino a quando era allunata al college. Lontana dalla presenza ingombrante dei suoi genitori – meravigliosi ma impegnativi – dalle sicure e confortevoli mura di casa e con una certa dose di libertà da gestire, Sansa aveva scoperto alcune cose su Joffrey, imparato qualcosa su se stessa ma soprattutto aveva ritrovato Jon.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il cellullare vibrò di nuovo nella tasca interna del parka. Non si disturbò a vedere chi fosse. Lo sapeva e non aveva nessuna intenzione di rispondere. Erano giorni che provava a chiamarla e giorni che Sansa si negava. Non aveva niente da dirgli.
Svoltò l’angolo diretta verso l’aula di letteratura. Aveva il test di metà semestre ma si sentiva preparata ed era carica come una molla. Aveva studiato tanto, ce la poteva fare. Doveva solo concentrarsi.
Il telefono riprese a vibrare. Una serie di vibrazioni più brevi, una dietro l’altra. Messaggi.
Maledizione.
Sbuffò ma la curiosità ebbe il sopravvento.
San vorrei parlarti.
Ci sarò per il Ringraziamento.
Puoi dedicarmi qualche minuto?
Suo padre sarebbe stato contento e anche Robb. Lei meno.
Stizzita, lanciò il telefono dentro la borsa. Avrebbero dormito sotto lo stesso tetto, magari insieme alla sua deliziosa fidanzata.
Così tu saresti la principessa di Winterfell.
Si era presa gioco di lei e Sansa glielo aveva lasciato fare senza battere ciglio. Era troppo sorpresa e delusa per reagire e aveva fatto la figura della mocciosa imbranata. Quando ci ripensava, le veniva ancora da torcersi le dita per il nervoso e l’umiliazione.
Non che si sentisse realmente in competizione. Ygritte aveva modi spicci e poco femminili ma sembrava sapere il fatto suo. Era più grande, più disinvolta e non mancava di una certa sensualità e – ad ogni modo – Jon aveva fatto la sua scelta.
Quello che pensava ci fosse stato tra loro negli ultimi mesi doveva esserselo immaginato. Aveva frainteso le amorevoli attenzioni di un “fratello” maggiore – sebbene elettivo e non di sangue – con qualcosa che esisteva solo nella sua testa.
Povera stupida piccola Sansa.
Si stava ancora crogiolando in quel momento di autocommiserazione quando sentì singhiozzare e si guardò intorno. Gilly – seduta fuori dall’aula di storia – piangeva tutte le lacrime del mondo.
Jon diceva sempre che era una tosta. Aveva cresciuto il figlioletto da sola per quasi tre anni. Poi era arrivato Sam. Sansa l’aveva conosciuta durante una delle cene improvvisate a casa di Jon e le era piaciuta subito: spiritosa, pratica e, al contrario di lei, un’ottima cuoca. Aveva conosciuto anche Sammy, un bambino dolce e timido, dai capelli biondissimi e con un sorriso da conquistatore.
Con cautela le sedette accanto, cercò i fazzoletti nella borsa e gliene porse uno. Sorpresa dal gesto alzò lo sguardo su di lei. Anche con gli occhi gonfi e il naso arrossato era carina. Buffa ma carina.
«Ehi, Sansa… ciao».
Prese il fazzoletto e si asciugò gli occhi tirando su con il naso.
«Che succede? Sammy sta bene?»
Il caso aveva voluto che gli uomini della vita di Gilly – figlio e fidanzato – portassero lo stesso nome. Sansa aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di adorabile in quella coincidenza.
«Sì sì, sta bene».
«Ma… ?»
«Il professor Baelish ha anticipato il test di storia a oggi pomeriggio. Mi ero organizzata con la baby sitter per domani e ora… chi guarderà Sammy? Devo fare quel test, mi serve per continuare a ricevere la borsa di studio ma non posso certo portare Sammy con me».
Gilly lavorava part time nella caffetteria del campus, seguiva le lezioni ogni volta che poteva, si occupava del figlio e dell’appartamento in cui vivevano. Il più delle volte studiava dopo aver messo a letto Sammy e probabilmente aveva trascorso diverse notti in bianco per arrivare preparata. Sansa poteva fare qualcosa per lei? Certo che poteva.
«Posso occuparmi io di lui».
Rendermi utile invece che piangermi addosso.
«Dici sul serio?»
«Ci so fare con i bambini. Ho tre fratelli piccoli. Quattro se contiamo anche Robb».
Gilly sorrise tra le lacrime.
«Faresti davvero questo per me? Te ne sarei grata per sempre… Di solito il pulmino dell’asilo lo riporta a casa verso le quattro ma se è un problema… Forse avevi altri programmi… »
L’unica cosa che aveva pianificato di fare era la valigia e rimandare l’incombenza non le dispiaceva. Non aveva voglia di pensare al Ringraziamento e soprattutto al viaggio verso casa. Magari seduta accanto con Jon, costretta a fissare fuori dal finestrino le seicento miglia che li separavano dal Nord.
«Sicura, nessun programma. Fammi una lista di cosa gli piace, i suoi giochi preferiti, cosa non può mangiare etc. Mi occuperò volentieri di lui».
Gilly le gettò le braccia al collo e Sansa un po’ sorpresa ricambiò la stretta. Avrebbero potuto essere buone amiche, Jon aveva così tanta stima di lei…
Oh al diavolo Jon!
«Grazie grazie grazie. Jon dice sempre che sei la persona più bella e gentile che conosce e ora capisco perché».
La persona più bella e gentile che conosce.
La calma che di solito segue una buona azione era già evaporata e si sforzò di concederle un sorriso stiracchiato.
«Suppongo che Ygritte lo sia di più».
Gil aggrottò le sopracciglia ma non aggiunse altro.
Per Sansa fu sufficiente.
«Pronto Jon? Sono Gil, Sam è lì con te? Credo abbia dimenticato il cellullare a casa, perché non riesco a mettermi in contatto con lui».
Prese un bel respiro prima di rispondere. La delusione bruciava ma avrebbe dovuto aspettarsi che non poteva trattarsi di lei, che non lo avrebbe richiamato. Non Sansa Stark.
«Ciao Gil, tutto bene? Sam è in ospedale».
«Accidenti, me n’ero dimenticata! Allora mi faresti un piacere quando lo senti? Sto per iniziare il test di storia, sarò offline per un po’. Potresti riferirgli che ho risolto con Sammy – Sansa si è offerta di occuparsi di lui – e che lo aspetto per cena. A proposito ti unisci a noi?»
«Cosa?»
«A cena Jon. Ci sarà anche Sansa».
Sansa?
Il tono tradiva una certa impazienza, forse una sottile vena d’irritazione.
«Sì, cioè non lo so… Sansa è con Sammy?»
Ci fu qualche secondo di silenzio e il motivo dell’irritazione gli fu in un lampo chiarissimo. Gil stava parlando esattamente con chi aveva intenzione di parlare.
Da tempo desiderava che Sansa e Gil diventassero amiche e avevano scelto proprio quel momento per farlo. Ottimo.
Fai attenzione a ciò che desideri. Potrebbe avverarsi.
Era scattata la trappola della solidarietà femminile.
«Jon… avete litigato?»
Parecchia solidarietà femminile.
«Perché?»
Un atteggiamento evasivo era l’unica soluzione, Gil non avrebbe mollato l’osso facilmente. Quando si metteva in testa una cosa non c’era verso di farle cambiare idea. Soprattutto se si trattava di relazioni. Se non fosse stato per lei Sam non si sarebbe mai buttato né messo in gioco ma Gil non si era arresa e ormai si poteva dire che fossero una famiglia a tutti gli effetti. Felice per di più. Jon la stimava per la sua tenacia e per tantissimi altri motivi. Deluderla era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, invece… Stava per arrivare una strigliata con i fiocchi.
«Ha fatto uno strano commento su Ygritte con l’aria di un cucciolo a cui hanno spezzato il cuore. Sansa è davvero incantevole e spero – sottolineo spero – che tu non sia finito di nuovo in un certo letto proprio adesso che sei così vicino a… »
«Va bene, ho capito. Grazie».
Gil di Sansa sapeva tutto. Una sera – Sam reduce da un doppio turno era collassato sul divano – gli aveva allungato una birra e senza tanti preamboli aveva chiesto chi fosse la ragazza che gli aveva spezzato il cuore.
«Sono sicura che c’è Jon Snow. Ti si legge in faccia».
Gilly gli piaceva. Non solo perché era talmente sensibile e intelligente da scegliere Sam ogni giorno come compagno e come padre del suo bambino ma anche perché gli ricordava sua madre. Così le aveva raccontato la sua storia, ammettendo – forse per la prima volta con se stesso – che non aveva dato a Sansa la possibilità di spezzargli il cuore, perché non le aveva mai detto niente e non si era mai accorta di niente.
Gil aveva inarcato appena le sopracciglia e soppesato le parole. Jon era sicuro che stesse pensando a quanto potevano essere stupidi a volte gli uomini.
«Forse è arrivato il momento di dare a Sansa una possibilità».
Il commento era sibillino e non aveva capito cosa intendesse dire. Avrebbe dato a Sansa tutte le possibilità del mondo se solo non fosse stata troppo occupata, troppo impegnata con Joffrey, troppo concentrata sullo studio, troppo condizionata dalle aspettative che gli altri avevano su di lei.
Quelle parole gli erano ronzate in testa per giorni, finché non c’era arrivato. Era stato lui a non voler rischiare. Aveva scelto Sansa ma non le aveva dato la possibilità di sceglierlo. Di respingerlo anche. Eppure lei alla fine era andata a cercarlo, era rientrata nella sua vita senza pretendere niente, e lui – a corto di alibi – era scappato. Di nuovo.
E Gil lo aveva già stanato.
«Oh Jon! Perché? Stava andando tutto così bene… »
Meglio fermarla prima che gli dicesse in faccia quanto era stato imbecille e codardo e…
«È stato solo… Non ha significato niente. Volevo dirlo a Sansa, spiegarle… Ma Ygritte mi ha visto con lei in caffetteria l’altra sera e sai come è fatta… »
«Sei davvero un idiota».
Lo so.
«Grazie Gil, è sempre un piacere… »
L’amica sbuffò e non lo lasciò continuare. La diplomazia non era il suo forte.
«Mi dici cosa ci fai ancora al telefono?»
«Scusa?»
«È a casa mia Jon, datti una mossa».
E riattaccò.
Sammy era un bambino adorabile. Metà del pomeriggio era trascorso e le cose tra di loro sembravano funzionare alla grande. Avevano fatto merenda, giocato con le macchinine e fatto un puzzle del Re Leone da 34 pezzi.
Sansa stava per leggergli un libro – Magiche avventure di tre piccoli draghi – quando suonò il campanello.
Forse Gil aveva finito prima del previsto.
Si alzò dal tappeto su cui erano sdraiati per andare ad aprire.
Sorpresa.
Gli chiuse in faccia la porta alla velocità della luce.
Cosa ci faceva lì?
«Sansa, per favore possiamo parlare?»
No.
La bella voce giunse ovattata da dietro la porta. Qualche farfalla sopravvissuta al massacro della caffetteria batté timidamente le ali.
No no no. NO.
«Vattene».
Avrebbe voluto mordersi la lingua ma Sammy reclamava la sua attenzione e non poteva perdere altro tempo nell’attesa che lui ne andasse. Doveva andarsene e basta.
«Dammi un minuto San. Un minuto solo».
Lo sentì emettere un sospiro ma cercò di resistere.
Doveva resistere.
Poi ricordò di essere una persona adulta e non una ragazzina capricciosa che non sente ragioni. Di lì a qualche giorno avrebbero intrapreso il viaggio che li separava dal Nord e il giorno del Ringraziamento si sarebbero seduti allo stesso tavolo. Prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo.
Via il dente via il dolore.
Aprì la porta e rimase sulla soglia, le braccia incrociate sul petto.
«Un minuto».
Si impose di non guardarlo per non sentire di nuovo quelle stupide farfalle.
«Scusami, non ti ho detto di Ygritte perché… è una cosa a intermittenza e ho fatto una cazzata una sera che… Okay mi sono comportato da stronzo, so che siamo amici e ti aspetti che ti racconti tutto ma per me è difficile… »
Era il discorso più lungo che gli avesse sentito fare nelle ultime settimane ma non lo stava più ascoltando. Si era fermata al siamo amici. Era convinto di averla ferita perché non era andato a raccontarle gli ultimi sviluppi della sua vita sentimentale? Dio Santo non aveva capito niente.
«Hai finito?»
«Sansa… »
E chiuse di nuovo la porta.
Pensava di avere tutto sotto controllo. Si era illuso di avere il coltello dalla parte del manico per la prima volta in tanti anni. Sansa che arrossiva, che si confondeva con le mani immerse nelle tasche. Impacciata e nervosa. Sansa che indossava il suo vestito più bello e non stava più con Joffrey.
Le dita che sfioravano la sua schiena in mezzo alle scapole. Il suo flirtare inconsapevole e cauto.
Poi Joffrey aveva rovinato tutto. L’aveva sbugiardato, rendendo palese ciò che aveva tentato di nascondere per anni. Si era sentito – di nuovo – il perdente innamorato della reginetta della scuola sebbene Sansa non lo fosse mai stata, perché era troppo secchiona per perdere tempo dietro a balli e stronzate del genere.
Da tanto non si sentiva in quel modo. A lungo era stato talmente arrabbiato con tutti per sentire alcunché. La scoperta di chi fosse suo padre, la parentela che lo univa a Dany, le bugie di Ned. Tutto gli era scoppiato in faccia nello stesso istante e aveva capito che se voleva evitare di impazzire doveva stare solo per un po’.
Lasciare gli Stark – lasciare Sansa, lasciare Robb – allontanarsi da tutto.
Il giorno in cui se n’era andato da Winterfell era rientrato prima dall’allenamento di scherma. Il piano era buttare qualcosa in un borsone, salutare Robb e andarsene prima che gli altri rientrassero. Era entrato dalla porta sul retro, trovando la casa immersa nel silenzio. Aveva pensato che non ci fosse nessuno e forse era meglio così: avrebbe preso ciò che gli serviva e poi sarebbe andato alla ricerca di Robb. Si sarebbero salutati lontano da orecchie indiscrete e avrebbe avuto qualche ora di vantaggio prima che Ned scoprisse che se n’era andato.
Poi era passato davanti alla camera di Sansa e aveva sentito l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto sentire.
Lei che chiedeva di fare più piano. Gli insopportabili versi di quel coglione.
Aveva lasciato perdere il borsone, aveva lasciato perdere tutto. Se n’era semplicemente andato.
La sera della festa Phi Delta Tau si era sentito come quel giorno: senza speranza. Forse era per quello che era andato in cerca di Ygritte. Per dimostrare che non era più quel ragazzino, che non aveva bisogno di Sansa Stark e che poteva andare a letto con chi voleva perché le ragazze volevano andare a letto con lui.
Peccato che lui ne volesse una sola e una soltanto. Ancora dopo tutti quegli anni, non era cambiato niente. Gli sarebbe bastato rimanere a guardarla, magari tenerle la mano e sarebbe stato felice come un idiota. Lo aveva capito quando si era svegliato nel letto di Ygritte, disgustato da se stesso e pieno fino ai capelli di senso di colpa. Dopo la scena della caffetteria, quando Sansa era scappata via in lacrime, si era domandato come avesse potuto essere così coglione.
E ora se ne stava lì davanti, lampi negli occhi, persa in un maglione troppo grande e troppo troppo bella. Talmente bella da domandarsi se fosse reale.
Almeno fino a quando non gli aveva sbattuto la porta in faccia.
Stremata si lasciò cadere sul divano accanto a Sansa. Anche lei sembrava stanca, anzi sembrava triste e Gil avrebbe tanto voluto sapere perché. Durante la cena aveva chiacchierato vivacemente del pomeriggio trascorso con Sammy, si era interessata al suo test e alla giornata in ospedale di Sam. Non aveva accennato a Jon, forse non le andava di parlarne davanti al suo coinquilino o forse non le andava di parlarne e basta.
Finito di mangiare l’aveva aiutata a sparecchiare la tavola mentre Sam si era offerto di lavare i piatti. Sapeva quanto odiasse farlo e ogni volta la liberava dell’incombenza. Erano quelle piccole cose che glielo facevano amare ogni giorno di più e le ricordavano quanto fosse stata fortunata a incontrarlo.
«Spero che questa piccola peste non ti abbia fatto disperare».
Sammy giocava con le costruzioni sul tappeto ai loro piedi e sentendosi chiamato in causa, alzò lo sguardò verso di lei. Quando la guardava così le si muoveva dentro qualcosa come il mare.
«Assolutamente no. È un bambino meraviglioso e tu sei un’ottima madre».
«Cerco di fare del mio meglio».
«Ci riesci».
I sorrisi di Sansa era sempre timidi – appena accennati – mentre faticava a controllare la fiamma che le brillava nello sguardo e Gil aveva capito alla prima occhiata perché Jon si fosse innamorato di lei.
Era gentile, ironica, intelligente. Era splendida. Una bellezza delicata ed elegante, fatta di contrasti: la pelle di porcellana, i capelli rosso scuro che portava spesso intrecciati, gli occhi blu dietro la montatura severa. Non faceva nulla per attirare l’attenzione ma era impossibile non notarla. Anche Sammy dopo un solo pomeriggio aveva già una cotta.
Quello che Gil non aveva capito era perché Sansa non si fosse innamorata di Jon. Lui ci aveva messo del suo ma le donne difficilmente si lasciano spaventare da cose come l’imbecillità degli uomini e Jon – fatta eccezione per la sua ultima brillante trovata – sembrava meno imbecille di tanti altri.
«Gil, posso farti una domanda?»
E io posso farne una a te?
«Certo».
Esitò un istante, forse per paura di sembrare indiscreta. C’era sempre qualcosa di delicato in tutto quello che faceva. Gesti, parole, movimenti. Non sembrava fragile, solo delicato.
«Ti va di raccontarmi la tua storia?»
Era l’ultima domanda che si sarebbe aspettata da lei ma era capitato altre volte. Quando pensava di averla inquadrata, faceva o diceva qualcosa che la spiazzava. Come quella mattina quando si era offerta di occuparsi di Sammy.
Aveva lo sguardo limpido, l’espressione rilassata in una paziente attesa e Gil decise di fidarsi di lei. L’amicizia non si basava forse sulla condivisione? Avrebbe condiviso la sua storia con Sansa nella speranza che lei un giorno avrebbe fatto altrettanto.
«In realtà si tratta di una storia piuttosto banale. Sono cresciuta in un paesino di montagna in cui non c’era nulla da fare se non progettare la propria fuga o ubriacarsi. Dopo il diploma avevo un piano ma anche un fidanzato imbecille. Quando sono rimasta incinta di Sammy è svanito nel nulla e i miei progetti con lui».
«Mi dispiace».
«A me no, ne ho fatti degli altri. Se non se ne fosse andato probabilmente sarei rimasta bloccata là, invece dopo la nascita di Sammy ho capito che dovevo iniziare a darmi da fare. Non volevo essere un peso per la mia famiglia e desideravo con tutta me stessa andare all’università. Ce l’ho fatta e il destino mi ha fatto anche un regalo: ho incontrato il timido, adorabile aspirante medico che sta lavando i piatti nella mia cucina».
Nonostante volesse apparire disinvolta non riuscì a reprimere un sorriso soddisfatto. Era contenta della sua vita anche se a volte era faticosissima.
«È una bella storia».
«Ci sono state delle pagine amare».
L’odio che aveva provato contro la sua stupidità.
La paura di non essere una brava madre per Sammy.
La consapevolezza di aver deluso i suoi genitori.
Quelle pagine erano ciò che di più distante da Sansa Gil riuscisse a immaginare, eppure non c’erano giudizio né compassione nell’espressione seria dei suoi bei lineamenti.
«Solo le vere eroine le hanno».
Lo disse con un cipiglio orgoglioso che capì essere tutto per lei. Per qualche assurdo motivo Sansa l’ammirava e una volta di più si chiese da dove saltasse fuori quella ragazza che aveva l’aspetto di una ninfa dei boschi e il piglio deciso e ribelle di chi ha capito chi vuole diventare.
«Sei strana lo sai? Di solito le ragazze come te non sono come te».
Aggrottò appena l’arco sottile delle sopracciglia ma il commento sembrò averla incuriosita più che pungolata.
«E come sono di solito le ragazze come me?»
«Come la tua amica Margery».
Sansa scoppiò a ridere.
È davvero bella.
Deve averlo fregato così.
Ridendo.
«May ama stare al centro dell’attenzione e possiede i mezzi per non annoiarsi mai ma anche nella sua storia ci sono delle pagine piuttosto amare». Si fermò qualche istante per riflettere. «La mia è una famiglia più tradizionale della sua e non così ricca. Siamo gente del Nord – proprio come te – e siamo stati educati secondo un sistema di valori giusto ma rigido. I nostri genitori ci amano molto ma hanno sempre preteso da noi in pari misura e non ci hanno mai viziati. Crescere cinque bambini non è facile… Be’ sei se contiamo anche Jon».
Il nome di Jon le era sfuggito dalle labbra come un sospiro mentre gli occhi si accendevano di quella fiamma che non sapeva controllare.
E se…
Gil si domandò se una volta tanto non si fosse sbagliata. Forse Sansa era innamorata. Forse lo era da abbastanza tempo da essere furiosa con Jon per Ygritte. Forse lo era da anni e lo aveva capito solo adesso. Forse era semplicemente più brava a nasconderlo.
Decise di gettare l’esca per vedere se il pesciolino rosso avrebbe abboccato.
«Ah… Jon. Un altro personaggio imprevedibile».
«Già». Sansa torse le dita raccolte in grembo e distolse lo sguardo per una manciata di secondi. Il tempo di prendere un bel respiro e rivolgersi a lei con espressione più serena. «Si è fatto tardi e ora devo proprio andare ma grazie per la cena e per la chiacchierata. Sono stata benissimo, dobbiamo assolutamente rifarlo».
Era sincera – Gil ne era sicura – ma quella aveva comunque tutta l’aria di essere una fuga.
Povero il mio pesciolino rosso.
Gil si alzò dal divano e l’accompagnò alla porta. Si abbracciarono e salutarono da buone amiche, promettendosi di vedersi e sentirsi presto.
Eppure, vedendola scomparire dietro l’angolo del pianerottolo, Gil ebbe la sensazione che Sansa non si sarebbe fatta viva per un po’ e che forse Jon, in tutti quegli anni, non era stato l’unico a scappare.
   
 
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