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Autore: Mary P_Stark    03/05/2017    3 recensioni
Inghilterra - 1823
Elizabeth Kathleen Spencer, figlia di Christofer e Kathleen Spencer, si appresta ad affrontare la sua prima Stagione a Londra e se, per lei, questa è un'avventura in piena regola, per il padre appare come un incubo a occhi aperti.
Lizzie - come Elizabeth viene affettuosamente chiamata in famiglia - è ben decisa a divertirsi nella caotica Londra, in compagnia della sua adorata amica Charlotte, e non ha certo in mente di trovarsi subito un marito.
Al pari suo, Alexander Chadwick, secondogenito del duca Maxwell Chadwick, non ha interesse ad accontentare le mire paterne, che lo vorrebbero accasato e con figli, al pari del primogenito.
Per Alexander, le damigelle londinesi non hanno alcuna attrattiva, troppo impegnate a mostrarsi come oggetti di scena, per capire quanto poco, a lui, interessino simili comportamenti.
L'atteggiamento anticonformista di Elizabeth, quindi, lo coglie di sorpresa, attirandolo verso di lei in una spirale sempre più veloce, che li vedrà avvicinarsi fino a sfiorarsi, sotto un cielo di stelle, mentre il Fato sembra cospirare contro di loro. - Seguito di UNA PENNELLATA DI FELICITA'
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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16.
 
 
 
 
Le sembrava assurdo partecipare all’ennesimo ballo, quando erano passate due settimane senza avere alcuna notizia di Roy, ma tant’era.

Non poteva chiudersi in casa e fare vita monastica. Non sarebbe servito a nulla.

Inoltre, quell’uscita era un’ottima occasione per parlare un poco con Alexander sui suoi progressi riguardanti l’indagine in corso.

In merito, Anthony era stato ermetico e, quando ne aveva fatto menzione al padre, anche lui si era dimostrato parco d’informazioni.

Le aveva solo riferito che, su Roy – o sul coinvolgimento della madre – non si sapeva ancora niente.

Puntare su Alexander e su quella serata, era l’unico modo per capire quanto, quelle affermazioni, fossero veritiere.

Le sue visite pomeridiane erano state piacevoli, così come le passeggiate in calesse a Hyde Park, ma le distrazioni erano state tali da non permettere loro di parlare del caso.

Tra i continui – quanto studiati – coup de téâtre di Max, che era comparso più e più volte, nel corso delle visite di Alexander, mentre parlavano in salotto, e le chiacchiere dei nobili alle Promenade, tutti avevano congiurato contro di loro.

Stranamente, l’unico a non disturbarli era stato Andrew.

Che avesse perso la sua iniziale antipatia nei confronti del secondogenito dei Chadwick?

Elizabeth non lo sapeva, poiché Andrew era stato criptico, con lei, in merito.

“Avete la testa altrove, Elizabeth… cosa vi turba, oltre il pensiero di Roy?” le domandò Alexander, intento a scortarla intorno al salone dei Willingcott, i padroni di casa e gli organizzatori di quel ballo.

Riprendendosi dai suoi pensieri errabondi per rispondergli, la ragazza mormorò: “Pensavo a quanti ci hanno impedito di dialogare speditamente, in queste settimane. Devo porgervi le mie scuse per il comportamento increscioso di mio fratello. Sa essere un burlone fin troppo desideroso di trovare un pubblico cui esibirsi.”

Sorridendo, il giovane replicò: “Nessun problema, Elizabeth. Anzi, ho apprezzato gli interventi di Maximilian. Mi sembra un ragazzino assai spiritoso e ciarliero… chi mi ha sorpreso è Andrew. Avrei immaginato una sua assillante presenza, invece…”

“L’avevo pensato anch’io, invece sembra come distratto. Vorrei aiutarlo, ma non mi parla” sospirò Elizabeth, scuotendo il capo.

“I maschi sanno essere assai testardi, mia cara Silfide, e accettare l’aiuto di una sorella è forse una delle cose più difficili che esistano. Vorrebbe dire calare la maschera che indossiamo, per mostrare a chi amiamo quanto possiamo essere fragili” la tranquillizzò Alexander, sorridendole benevolo.

“Perché vi ostinate a chiamarmi Silfide?” gli domandò a quel punto lei, sorridendo di rimando.

“Se conoscete l’etimologia di questo personaggio mitico, dovreste rispondervi da sola” le replicò lui, ammiccando.

“Io non sono né leggiadra né tanto meno agile. Come potrei esserlo, se sono alta a malapena un metro e sessanta?” brontolò la ragazza, accigliandosi un poco.

“Vi ho vista spronare Pilgrim a tutta velocità, e con una sella da amazzone, cosa tutt’altro che facile, perciò so che siete agile…” le ricordò lui, prima di aggiungere malizioso: “… e ho danzato con voi, perciò so che siete leggiadra, mia cara. Inoltre, da quando vi ho vista all’orfanotrofio, posso dire che quel nome vi si addice anche per un altro motivo.”

“Oh” mormorò lei, arrossendo suo malgrado.

Elizabeth sapeva bene cosa non stava dicendo Alexander.

Le Silfidi erano conosciute per dedicare anima e corpo a un’impresa, se esse la ritenevano giusta, ed erano disposte a tutto per aiutare coloro che chiedevano il loro intervento.

“Siete molto gentile a tributarmi un simile omaggio, ma sto facendo assai poco” sussurrò imbarazzata.

“Nessuno pretende che saliate sul vostro Pilgrim per girare i docks di Londra uno a uno, ma già il fatto che vi siate prodigata per quel fanciullo, è meritevole.”

Levando immediatamente il capo per guardarlo con curiosità, Elizabeth domandò: “I docks? Perché li avete nominati?”

Alexander le sorrise soddisfatto, lieto che avesse notato quel particolare e, nell’accompagnarla verso una veranda aperta – come suo corteggiatore, poteva farlo senza chaperon al seguito – le disse: “Penso di aver scoperto qualcosa, ma sto approfondendo le indagini per essere certo di non aver preso un abbaglio. Non vorrei mettere inavvertitamente nei guai un onesto commerciante, quando posso evitarlo.”

“Cosa intendete dire?” volle sapere lei, appoggiandosi al parapetto per poi guardarlo da sopra la spalla.

Raggiuntala al parapetto, Alexander notò solo distrattamente la presenza di alcune coppiette appartate tra le siepi, dabbasso, nel giardino oscurato dalla notte.

Personalmente, non si sarebbe mai arrischiato a portare Elizabeth in quell’oscurità così foriera di disastri.

Già rimanere solo con lei su quel balcone, era sufficiente a fargli battere furiosamente il cuore.

Figurarsi trovarsi con lei tra quei profumi stuzzicanti, senza nessun’altro a scorgere i loro movimenti, mentre le loro bocche si sfioravano e…

“Alexander… dove siete, ora come ora?” gli domandò scherzosamente Elizabeth, sorridendogli maliziosa.

Tossicchiando imbarazzato, il giovane tornò prontamente con i piedi per terra e mormorò: “In un luogo in cui sarà meglio non vi porti, se non vogliamo che voi finiate nei guai.”

“Ah” gracchiò lei, avvampando.

“Per l’appunto…perciò, pur se la cosa mi pare assurda al solo pensarla, è meglio che io vi parli di quello che ho scoperto.”

“Perché dite che è assurdo?” gli ritorse contro lei.

“Perché so già cosa mi chiederete dopo e, per me, sarà difficilissimo dirvi di no” sospirò il giovane, passandosi una mano tra gli scuri capelli.

Accigliandosi, Elizabeth strinse nella mano destra il suo ventaglio e borbottò: “Perché dovreste dirmi di no?”

“Perché, consciamente, sarebbe pericoloso darvi il consenso a ciò che, sicuramente, mi chiederete di fare, ma non so se avrò la forza per negarvelo.”

“E come mai?” volle sapere lei, ora più che mai curiosa.

“Mia cara, davvero volete che io vi risponda?”

Elizabeth fu lesta ad aprire il ventaglio per farsi aria e, al tempo stesso, nascondere il profuso rossore che era tornato a invaderle le gote.

Possibile che il semplice accennare al coinvolgimento sentimentale di Alexander, la mandasse così fuori controllo?

A quanto pareva, lui non era l’unico ad avere dei problemi, quando si trovavano insieme, e a breve distanza l’uno dall’altra.

“Prometto che cercherò di non assillarvi, se riterrò di non essere in grado di affrontare ciò che mi direte” riuscì a concedere infine la ragazza.

“Sono certo che voi siate in grado di farlo, il punto è proprio questo. Siete abbastanza coraggiosa per affrontare tutto questo” ammise lui, facendola sorridere di piacere.

“Lo pensate davvero?”

“Ve lo ripeterò fino allo sfinimento, Elizabeth… apprezzo molto la vostra verve, ma so che essa può nascondere anche altro. Il coraggio l’ho già scoperto, o non avreste spinto Pilgrim a quella velocità.”

“Può essere solo dissennatezza” sottolineò lei.

“Vanno di pari passo, come ho scoperto sulla mia pelle” asserì lui, ridendo con contrizione.

“Quando usciste quella notte, per trovare il dottore per vostra cognata” mormorò Elizabeth, annuendo.

Proprio per questo, ho timore di parlarvene. Conoscendo a che conseguenze può portare un sentimento simile, ho paura per voi” asserì lui, afferrandole entrambe le mani per stringerle tra le proprie. “Elizabeth, io…”

“Parlatemene e, vi giuro, farò di tutto per essere obiettiva” lo incitò lei, sorridendogli.

Alexander sapeva di aver perso quella guerra fin dal giorno in cui le aveva promesso di parlarle di ogni cosa ma, in tutta onestà, non sarebbe mai tornato sui suoi passi.

Elizabeth era speciale, probabilmente tutto ciò che aveva sempre cercato in una donna, senza averlo mai trovato prima di quel momento.

Proprio per questo le doveva l’onestà assoluta, pur se questo avrebbe potuto voler dire metterla in pericolo.

“Ho scoperto che il vostro Roy non è l’unico fanciullo scomparso, in questi ultimi tempi” ammise lui, a quel punto. “Pare che vi sia stata un’autentica sparizione di massa, negli ultimi sei mesi, e sempre nei quartieri più degradati di Londra.”

Elizabeth assentì attenta, così ad Alexander non rimase altro che proseguire.

“Ficcanasando in luoghi in cui non vi porterò mai, ho scoperto che sembrano esservi dei commercianti di giovani per… beh… non so come dirvelo senza usare oscenità irripetibili.”

Interrompendosi, Alexander la fissò spiacente ed Elizabeth, nell’impallidire di colpo, dovette allungare una mano per aggrapparsi al parapetto.

Era mai possibile che Alexander stesse anche soltanto ipotizzando una possibile tratta di schiavi sessuali?

“Mi dispiace…” sussurrò spiacente il giovane.

“No, va tutto bene” scosse il capo Elizabeth. “Sono stata io a voler sapere ogni cosa. Quindi, come siete giunto a questa… scoperta?”

“Il tizio con cui ho parlato, un anziano pescatore che bazzica i docks, ha accennato a molti giovani tra i quattordici e i quindici anni, tutti di bell’aspetto. Inoltre, ha detto di aver visto selezionare i ragazzi da certi loschi figuri” mormorò Alexander, notando la scintilla della determinazione brillare negli occhi della giovane innanzi a lui.

Esattamente come aveva temuto.

Era più che certo che, di fronte a una simile oscenità, Elizabeth avrebbe voluto porvi rimedio con ogni mezzo.

“Dite che… che possano aver ricostituito qualche… qualche hellfire club?” riuscì a dire lei, sgomentandolo.

“Come potete anche solo sapere della loro esistenza?” ansò Alexander, sgranando gli occhi per lo sgomento e l’incredulità.

“Leggo troppo e ficco il naso ancor di più, ecco il punto. Mio padre non sa che ne sono a conoscenza, perciò avete una carta da giocare contro di me, Alexander” sospirò Elizabeth, scuotendo il capo per l’imbarazzo.

“Beh, dando per assodato che sappiate davvero cosa fossero quei luoghi di perdizione, è possibile che a qualcuno sia venuta voglia di ricominciare con le dissolutezze” sospirò il giovane, ancora scioccato all’idea che Elizabeth conoscesse le vicende di lord Dashwood e dei suoi fedeli seguaci.

“Dobbiamo assolutamente fermarli. Dovete dirlo alla polizia!” sottolineò con veemenza Elizabeth, stringendo i pugni.

“Il punto è questo, Elizabeth. Non ne ho la certezza, perché vi sto riferendo solo delle voci, e non posso far piombare gli agenti di Bow Street in uno qualsiasi dei capannoni dei docks, senza esserne sicuro. Non ne ho l’autorità, e non interpellerò mio padre, senza esserne assolutamente certo” replicò il giovane, scuotendo il capo.

“Allora, scopriremo noi dove si trovano esattamente, poi chiameremo la polizia” gli propose lei, vedendolo sorridere per l’esasperazione.

“Per l’appunto, ciò che non volevo voi mi proponeste, ma che sapevo avreste fatto” sentenziò lui, attirandola con sé dietro i tendaggi della balconata.

Colta di sorpresa, Elizabeth non cercò di fermarlo e, quando lui la strinse in un abbraccio colmo di calore e preoccupazione, ansò senza fiato contro il suo petto.

“Cosa posso fare, per farvi desistere? Ditemelo, e lo farò” sussurrò Alexander contro il suo orecchio, imponendosi di non andare oltre a quell’abbraccio.

Già permettersi un simile lusso, sarebbe stato considerato una grave infrazione al Ton, se qualcuno li avesse visti.

In quel momento, però, aveva bisogno di sentirla accanto a sé, viva e vegeta tra le sue braccia.

Elizabeth sospirò, strinse un poco le mani sul bavero della sua giacca di seta scura, si levò in punta di piedi e depositò un casto bacio sulla guancia rasata di Alexander.

Fatto ciò, si scostò, sorrise a quel viso ora inebetito e confuso, e disse: “Non c’è nulla che possiate inventarvi, per farmi desistere. Ma sappiate questo, Alexander… sapervi al mio fianco, mi da il coraggio sufficiente per affrontare qualsiasi sfida.”

Sfiorandosi la guancia che lei aveva baciato, Alexander borbottò contrariato: “Sapete di avermi messo con le spalle al muro. Ora, vi concederei anche la luna!”

“Lo so” ammicco lei, birichina.

“E dire che dovrei essere più intelligente di così” sospirò il giovane, prima di veder avvicinarsi a grandi passi la figura di Raymond, accompagnato da Charlotte.

Elizabeth ne seguì lo sguardo con curiosità ma, quando vide il cipiglio del loro comune amico, e l’aria spiacente di Charlotte, avvampò piena di colpa.

“Cos’avete combinato, Elizabeth?” le domandò allora Alexander, già subodorando ulteriori guai.

“Forse, potrei avere inavvertitamente accennato qualcosa alla mia migliore amica, e…” tentennò lei, mordendosi il labbro inferiore con espressione colpevole.

“Dio ce ne scampi e liberi! Non due, vi prego!” esalò Alexander, fissando con espressione sconvolta l’amico, ormai prossimo a raggiungerli.

Quando infine Raymond fu da loro, fissò sbigottito Elizabeth prima di domandare pressante ad Alexander: “E’ vero, amico mio, che permetterai alla giovane che stai corteggiando di imbarcarsi in una missione pericolosa come, mi sembra di capire, sia quella in cui stai ficcanasando?”

“Cosa avete detto, a miss Ranking, di preciso?” sbottò Alexander, fissando malamente Elizabeth.

“Beh, che forse sarebbe stato necessario un nostro intervento diretto” tentennò la ragazza, sapendo di aver fatto il passo più lungo della gamba.

“Mi hai detto che saremmo andate a cercare il ragazzino sparito dal tuo orfanotrofio… è ben diverso” precisò Charlotte, poggiando le mani sui fianchi. “E io dico, facciamolo! Se voi, Alexander, sapete dove cercare, io ed Elizabeth vi aiuteremo. Siamo ragazze di campagna, abituate a muoverci silenziosamente e senza farci vedere. Siamo assai più scaltre di queste pavoncelle di città.”

“Pavoncelle?” esalò Alexander, senza notare il risolino di Elizabeth.

“E perché mai sareste così capaci e scaltre, mi viene da chiedere?” protestò nel mentre Raymond, ormai esasperato.

Evidentemente, prima di quel ricongiungimento con Alexander ed Elizabeth, dovevano aver avuto un’accesa discussione in merito.

“Per vedere i cervi brucare nel bosco, per esempio” sottolineò acuta Charlotte, cercando di sorridere a un accigliatissimo Raymond.

“Ma qui non cerchiamo dei cervi, mia cara miss Charlotte” precisò Alexander, pur sapendo che non le avrebbe mai e poi mai convinte a desistere. “Stiamo cercando delle persone potenzialmente molto pericolose, in un luogo potenzialmente molto pericoloso… non l’attività più sicura in cui imbarcarsi con due donzelle indifese e che…”

Azzittendosi quando Elizabeth e Charlotte lo fissarono malissimo, il giovane esalò: “Andiamo, stiamo solo proteggendo il vostro buon nome! Che direbbe, la gente, se si sapesse che siete uscite di notte, senza il consenso familiare, e con due uomini con cui non siete sposate?! Sarebbe un autentico scandalo. Sareste rovinate!”

“Al diavolo! Qui si parla di salvare dei bambini e, visto che non siete sicuro di dove si trovino, noi dobbiamo scoprirlo. Non interverremo, tranquillo. Ci limiteremo a scoprire dove si trovano i manigoldi, e basta” sottolineò Elizabeth, come per liquidare l’intera faccenda.

“L’idea che siano armati non vi turba minimamente?” le fece notare Raymond, da bravo pacificatore quale era.

Sorridendo a Charlotte, Elizabeth dichiarò: “Sappiamo sparare. E tirare di spada. Tutte e due.”

Che cosa?!” esclamarono in coro i due giovani.

“Ho insistito a suo tempo con mio padre, perché ci insegnasse, e il padre di Charlotte era d’accordo” si limitò a dire Elizabeth, come se nulla fosse. “Anche mia madre sa sparare, se è per questo.”

“Dio, salvami da queste Valchirie in età scolare” sospirò Alexander, pigiandosi l’attaccatura del naso con espressione sofferente.

Sapeva che, prima di mezzanotte, l’emicrania che stava premendo per uscire, si sarebbe scatenata in tutta la sua forza.

Come poteva essere altrimenti, di fronte a tali notizie sconcertanti?

“Ve l’abbiamo detto. Siamo ragazze di campagna, anche se indossiamo abiti di seta e merletti” sorrise compiaciuta Charlotte, osservando affabile uno sconcertato Raymond.

“Hai altre frecce al tuo arco, amico mio?” domandò allora Mallory-Jones, osservando un cupo Alexander.

“No, Raymond, anche perché so che, se parlassi con i genitori di Elizabeth, lei mi odierebbe a morte finché vivo, perciò ho le mani legate. Sono così idiota da non volerla scontentare, né tanto meno rischiare il suo odio imperituro” sospirò il giovane, scrutando il volto vittorioso della ragazza di cui si era innamorato.

E come avrebbe potuto essere diversamente, di fronte a un concentrato simile di virtù… e difetti?

Apprezzava tutto ciò che aveva scoperto su di lei, anche se la metà di ciò che sapeva, lo terrorizzava a morte.

Voleva, in tutta coscienza, che lei fosse in grado di difendersi da sola, che potesse fare ciò che amava in piena libertà… ma cercare dei potenziali assassini?

No, quello non gli garbava per nulla, e non rientrava di sicuro nelle attività che avrebbe desiderato vederle svolgere.

Ma l’amava, e non le avrebbe detto di no anche se, per questo, lord Spencer gli avrebbe tagliato la testa.

“Allora, quando agiamo?” domandò Elizabeth, ansiosa.

“Stanotte. Non possiamo rischiare che li portino via. Potremmo perderne tutte le tracce” sospirò Alexander, guardandola speranzosa. “Servirebbe a qualcosa chiedervi di aspettare con Charlotte all’inizio dei docks, in compagnia di un mio uomo di fiducia?”

“No” dissero in coro le due giovani.

“Raymond?”

“Sarò della partita, ovviamente. Non lascerò mai Charlotte da sola, e in un luogo simile, per giunta” asserì il giovane, sorridendo alla ragazza.

“Grazie” sussurrò Charlotte, sfiorandogli il braccio con una mano.

Davvero erano le donne, a doversi guardare dagli uomini?

Alexander cominciò a nutrire molti dubbi, su quell’adagio assai conosciuto.
 
***

Dopo aver augurato la buonanotte a Lorelai ed essersi accertata che lei dormisse, Elizabeth sbirciò fuori dalla porta della sua stanza e, in punta di piedi, sgattaiolò fuori.

Gli stivali in una mano e il mantello scuro nell’altra, la ragazza utilizzò le scale principali per uscire – lì, non avrebbe trovato la servitù – e, quando scivolò fuori dalla porta, sentì il cuore batterle a mille.

Suo padre e sua madre sarebbero morti di paura, se avessero scoperto la sua mancanza, per non parlare dei suoi fratelli.

Se poi si fosse venuto a sapere quello che stava per fare, la sua nomea sarebbe stata distrutta per sempre.

Ma doveva fare qualcosa per quei bambini, e non poteva permettere che solo Alexander rischiasse in quell’impresa.

Neppure se Raymond fosse stato al suo fianco.

Con lui non si era voluta sbilanciare, ma la verità era parimenti divisa in due.

Da un lato, c’era il desiderio quasi fisico di salvare Roy e gli altri ma, dall’altro, c’era la volontà assoluta di fare qualcosa per Alexander.

Se avesse subito anche solo un graffio per una cosa in cui lo aveva spinto lei, non se lo sarebbe mai perdonata.

Voleva aiutarlo a qualsiasi costo, perché era lui.

Inoltre, saperlo al suo fianco, la liberava da quasi tutte le paure.

Quasi.

Insomma, non era così sciocca da credere che lui fosse indistruttibile perciò, alcune ansie permanevano, ma non così tante da trattenerla entro le mura di casa.

Non appena fu fuori dal palazzo, come promesso, trovò ad attenderla Alexander, nero vestito da capo a piedi e in sella a un cavallo dal manto scuro.

Di sicuro, Apollo sarebbe spiccato come una luce nell’oscurità, con il suo manto pallido mentre, quel baio dalla pelliccia marrone, sarebbe stato più discreto.

“Perché non sono sorpreso dal vedervi in calzoni?” ironizzò Alexander, offrendole una mano per salire a cavallo.

Lei sorrise divertita, scrutò le brache del fratello – che le arrivavano più o meno a metà polpaccio – e replicò: “Non avrete davvero pensato che vi avrei seguito con indosso una gonna, spero? Sarei stata più impacciata di un nano zoppo.”

Alexander cercò di non ridere, a quel commento e, nell’afferrare la sua mano tesa, la issò con facilità – pesava come una piuma – permettendole di scavalcare la schiena del baio.

Posizionatasi comodamente dietro il giovane, Elizabeth poggiò le mani sulle sue spalle, sorrise eccitata e mormorò: “Raymond e Charlotte dove sono?”

“Spero a casa, ma ne dubito fortemente” sospirò Alexander, lanciando un’ultima occhiata al palazzo degli Spencer prima di dare un colpetto ai fianchi del cavallo.

Il baio si mosse, ticchettando flebilmente sull’assito stradale e, nell’allontanarsi dalla luce diafana dei lampioni, lasciò dietro di sé solo la sua ombra e nient’altro.

La città sembrava addormentata, nulla pareva muoversi in quelle vie splendenti e ricche, ma Alexander sapeva bene che era tutta falsità.

Londra viveva anche – e soprattutto – di notte.

Le bische clandestine erano aperte fino a tarda ora, e i docks pullulavano di mercanti disonesti e di prostitute, pronte a vendersi per pochi spiccioli.

I quartieri malfamati, poi, erano un covo di prim’ordine per borseggiatori e assassini, e lui stava portando la ragazza che aveva fatto tremare il suo cuore in quel concentrato di pericolo.

Tutto perché non era in grado di dirle di no.

Sorrise di se stesso, lui che aveva sempre ritenuto di essere superiore a simili sbandate, a simili tentennamenti dell’animo.

Era stato davvero un gran presuntuoso, ed era servito quello scricciolo di ragazza, per farglielo capire.

Lei, con il suo coraggio, la sua intraprendenza, la sua onestà e quel meraviglioso sorriso, che le illuminava un viso naturalmente bello.

Lo aveva stordito con le sue chiacchiere, spingendolo a duellare verbalmente, scoprendo così quanto fosse divertente e piacevole battibeccare con una donna, con lei.

In Elizabeth aveva scoperto una fresca intelligenza, scevra dei punti oscuri che invece contraddistinguevano le donne di città.

Quella purezza di pensiero lo aveva spiazzato, attirandolo nonostante non ne avesse avuto l’intenzione, in un primo momento, e ora lo stava conducendo per mano verso un potenziale disastro.

Ma come fare a negarle qualcosa a cui teneva così tanto?

Desiderava salvare il suo amico, e lui avrebbe fatto di tutto per accontentarla.

Quando infine svoltarono l’angolo, Alexander non si stupì affatto di vedere Charlotte e Raymond assieme, su un cavallo simile al proprio.

Come Elizabeth, anche Charlotte indossava dei lunghi calzoni, ma preferì non chiederle dove li avesse requisiti.

In silenzio, proseguirono verso i docks e, una volta attraversata la città – incontrando ogni tanto degli ubriaconi di ritorno da un tavolo da gioco – si ritrovarono a fissare i contorni dei capannoni dei docks.

Il fetore proveniente dal Tamigi era tangibile, e pungeva le narici come una miriade di spilli, ma Alexander non si fermò.
Era vitale rimanere lì il minor tempo possibile, per evitare di venire scoperti.

“Sembra che abbiano scoperchiato una cloaca” sussurrò Elizabeth, guardandosi intorno con circospezione.

“Qualcosa del genere” ammise Alexander, svoltando con il cavallo per nascondersi tra due file di casse.

Disceso che fu, aiutò Elizabeth a scendere, mentre Raymond faceva lo stesso con Charlotte.

Se si fossero trovati in un’altra situazione, sarebbe stato facile apprezzare il fruscio dei loro corpi mentre si sfioravano, ma Alexander aveva la mente da tutt’altra parte, in quel momento.

Doveva riportare a casa Elizabeth sana e salva, o non se lo sarebbe mai perdonato.

Quasi comprendendo i suoi pensieri, lei lo prese per mano, strinse con forza e sussurrò: “Sono responsabile delle mie azioni, Alexander. Non potete prendervi le colpe di un mio colpo di testa.”

“Ve l’ho permesso, perciò dissentirò col vostro pensiero ancora per molto tempo, cara” replicò lui, pur sorridendole.

Raymond colse quel momento per mormorare: “Dovremmo imbavagliarle e lasciarle al guardiano del porto.”

Charlotte lo fissò malissimo, al pari di Elizabeth, ma Alexander poté solo sorridere, annuendo.

“Sarebbe grandioso, ma ci odierebbero a vita. Meglio portarle con noi, piuttosto che rischiare che queste due Valchirie tramortiscano il loro guardiano, e sgattaiolino fuori da sole per seguirci.”

Quando entrambe le giovani arrossirono, Alexander seppe di aver centrato il punto.

Se anche lui avesse detto loro di non venire, l’avrebbero fatto comunque, rischiando così di finire in guai dannatamente più seri.

Sospirando, Raymond guardò Charlotte e mormorò: “Dovrete rimanere vicino a me… sempre.

“Conto di farlo” assentì lei, sorridendo maliziosa.

Raymond scosse il capo, arrossendo un poco e Alexander, stringendo con forza la mano di Elizabeth, borbottò: “Niente azioni folli, mia fulgida Valchiria. Saremo io e Raymond a rischiare, va bene?”

“E sia” sospirò lei, facendolo tremare di paura.

Non gli piacque per nulla quella concessione ma, a ogni modo, dovevano agire per tempo, se volevano scoprire dove tenevano nascosti quei ragazzini.

In silenzio, quindi, si avviarono verso i capannoni, rasentando gli angoli più bui per poi curiosare dentro i pertugi disponibili.

Tutto era apparentemente pacifico e tranquillo e, a parte lo squittio di qualche ratto e l’uggiolare di alcuni randagi, null’altro sembrava turbare quella notte senza luna.

Era una vera fortuna, che fosse Luna Nuova, e i docks non fossero eccessivamente illuminati.

Questo permetteva loro di muoversi senza il pericolo di essere visti… ma evitava anche a eventuali aggressori di essere scoperti per tempo.

Alexander, quindi, dovette dar fondo a tutta la sua preparazione militare – pur se in tempo di pace, il padre lo aveva fatto istruire da un veterano di Waterloo – e, acuendo i sensi, ascoltò ciò che la notte portava con sé.

Fu così che percepì un pianto sommesso, talmente flebile che, per un attimo, pensò di esserselo sognato.

Bloccando il suo gruppo di avventurieri, chiuse gli occhi per meglio concentrarsi e, quando fu sicuro di aver sentito bene, indicò in silenzio un capannone e si avviò verso di esso.

La mano di Elizabeth, stretta nella sua, fremeva di impazienza e, quando Alexander si volse un momento per controllare come stesse, notò solo una determinazione immensa, in quegli occhi di ghiaccio.

Sì, c’era anche paura, ma ciò che la spingeva era l’affetto verso quel ragazzino, e la volontà di salvare gli altri bambini da una fine ben miserevole.

Sorridendo a mezzo, il giovane tornò a volgere lo sguardo e, quando finalmente raggiunsero il capannone, mormorò: “Ora o mai più.”







Note: Poteva, Lizzie, starsene tranquilla e attendere che Alexander o Anthony risolvessero la situazione? Ma quando mai? ;-)
Il più, sarà capire quanto grande sarà il guaio in cui questo quartetto male in arnese si caccerà prima della fine. Spero abbiate apprezzato il ritorno di Charlotte e Raymond che, a quanto pare, sono più affiatati che mai.
In ogni caso, riusciranno a trovare i ragazzini prima che i rapitori trovino loro?
Spero si sia capito cosa fossero gli hellfire club. In ogni caso, brevemente, vi posso dire che erano ritrovi di nobili di dubbia morale che, guidati tra le altre cose da lord Dashwood, si lasciarono andare alle depravazioni più nefande (vergini immolate, bambini usati in modi abietti, persino nobildonne sfruttate per rituali orgiastici).
Lord Dashwood non fu l'unico, ovviamente ma, nella storia, rimane il più famoso.  Naturalmente, queste 'riunioni' erano segrete, con nomi in codice, cappe, maschere e quant'altro (chi ha visto Eyes Wide Shut, ha capito cosa intendo).
  
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