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Autore: Bruschii    03/05/2017    0 recensioni
"Il sangue sulle mie mani mi spaventa a morte."
Basata su the 100.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Nuovo personaggio, Octavia Blake, Un po' tutti
Note: AU, OOC, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Drop Ship.

La mia vita? Difficile definirla. 
Per la prima parte di essa, non sono stata considerata nulla di speciale, su questo non avevo dubbi. Prima che la mia vita cambiasse radicalmente ero una ragazza come tante, che la pensava come tante e che stava vivendo una vita come tante. Dopo la mia morte, si sarebbero dimenticati facilmente della mia esistenza, proprio come era successo a molte altre persone prima di me, normali come me. Non ero un elemento fondamentale per la salvezza della mia specie, ma non mi lamentavo neanche della piccola opportunità che mi era stata data per mandarla avanti ogni giorno. I miei genitori lavoravano entrambi come ingegneri e, anche loro, come me, non erano fondamentali ma significanti. Sfortunatamente, morirono entrambi poco dopo la mia ammissione al corso di medicina, dalla quale erano già passati ben tre anni. Non avrei potuto salvarli comunque, dato che furono giustiziati. Non ero l'unica sull'arca alla quale mancavano entrambi i genitori, ma potevo considerarmi come una delle uniche rimaste sulla retta via. Ormai non mi era rimasto nessuno quando trovai conforto nei libri scritti anni prima, non avevo nessuno a cui raccontare i miei successi in ambito medico scolastico ma continuai comunque a cercare di rendere i miei genitori fieri di me nel modo più semplice che conoscevo, studiando a fondo le arti mediche e diventando la studentessa più brava del corso di competenze terrestri. Certo, anche nelle altre materie che avevo scelto, tipo ingegneria e botanica non me la cavavo male, ma avevo dovuto abbandonare i corsi per entrare in ambito medico. Nonostante la mia giovane età, ero già entrata a far parte del corpo infermieri, i quali visitavano i pazienti e aiutavano il medico durante le operazioni.

Per l'appunto, stavo visitando una bambina con i sintomi di quello che sarebbe sembrato un normalissimo calo di zuccheri a primo impatto, ma non solo io ero consapevole che tutto ciò che sentiva la bambina era mancanza di ossigeno. Stavo mentendo al padre della piccola, che dopo la visita mi si avvicinò per un parere, stavo recitando il mio solito monologo in cui spiegavo che non c'era nulla di anormale in un calo di zuccheri sull'arca e sarebbe bastato solamente riposo e sostanze zuccherate per qualche ora. Odiavo la situazione in cui ci trovavamo. Io avrei voluto aiutare le persone e non mentirgli, ma ero una delle poche a sapere del destino prossimo dell'Arca e non avrei voluto finire giustiziata, come invece è successo ai miei genitori e ad un caro amico di famiglia. Avevo appena finito di parlare con il grosso uomo quando Abby, il medico dell'arca, si avvicinò a me, chiedendomi di parlare in privato per una questione urgente. La sua domanda era quasi improponibile, ma il tono disperato di Abby mi fece accettare la sua richiesta assurda. Sono sempre stata una di quelle persone che cercano sempre di aiutare il prossimo, amici e non. E anche se ero convinta del fatto che sarei morta accettando di salire su quella navicella, non ebbi il coraggio di rispondere negativamente ad una domanda che non mi avrebbe fatto se non fossi stata la sua ultima speranza. Io, ormai, non avevo niente e nessuno da perdere, come nessuno aveva da perdere me, e dal suo sguardo trapelava il suo bisogno di un aiuto nel salvare centinaia di ragazzi. Su questo punto di vista io ed Abby eravamo proprio identiche, avremmo messo il bene della nostra gente davanti a tutto, rischiando anche la vita. Mi immaginai nella sua posizione e non riuscì a togliere l'opportunità ad Abby di sapere che sua figlia avrebbe vissuto. Appena annuii alla donna di fronte a me, sentii l'ago di una siringa farsi spazio tra la pelle del mio braccio, facendomi cadere tra le braccia della dottoressa Griffin pochi secondi più tardi, caduta in un sonno artificialmente profondo.

Fu allora che la mia vita subì una svolta che l'avrebbe modificata per sempre.

"...sacrificabili." Il cancelliere Jaha, la sua voce, accompagnò il mio risveglio. Mi trovavo in piedi, saldata alla parete grazie a delle cinture di sicurezza. Strinsi i tessuti resistenti tra le mie mani, mentre mi guardavo attorno. Ero circondata da ragazzi e ragazze di qualsiasi età, tutti intenti ad ascoltare o inveire contro lo schermo, il quale stava riproducendo un video del cancelliere. Non mi concentrai su quello, dato che Abby mi aveva già spiegato perché ci trovavamo su quella navicella e cosa dovevamo fare. Prima che potessi accettare di andare in contro ad un destino che non era il mio, mi aveva dato tutte le informazioni che le erano concesse di sapere. Alzai il polso per controllare l'ora sul mio orologio, restando sorpresa quando notai un bracciale in metallo al suo posto. Il bracciale pungeva sulla pelle, trapassandola. 
Inviava i nostri segnali vitali all'arca.
Non ero l'unica ad averne uno addosso, mi accorsi che ognuno di noi aveva il polso destro segnato all'acciaio. Riconobbi Clarke, la figlia di Abby e la ragione per cui mi trovavo dove mi trovavo in quel momento, mentre parlava con il figlio del cancelliere. Non sentii ciò di cui parlava, ma intuii che fosse abbastanza arrabbiata dalle facce che so stavano dipingendo sul suo volto.

"Athena? Sei tu?" Mi voltai verso la mia destra, verso il punto dal quale arrivò la voce che chiamava il mio nome. Mi affacciai leggermente, per poi riconoscere il ragazzo dagli occhi a mandorla che curai da una brutta ferita pochi mesi prima, nella mia stessa posizione, con solo un ragazzo tra di noi.

"Monty? Come va la mano?" Ero abbastanza felice di vedere un viso familiare, anche se non potevo credere che un ragazzo come Monty fosse stato imprigionato e, forse anche peggio, mandato a morire sulla terra. Cercai di allungarmi per poterlo vedere meglio,ma la posizione e le cinture tirate al massimo me lo impedirono.

"Bene, grazie a te. Ma cosa ci fai qui?" Stavo per spiegargli la situazione, quando la navicella iniziò a tremare e produrre strani rumori meccanici. Saltarono diverse luci, creando delle scintille volanti proprio davanti a me e agli altri due ragazzi alla mia destra, il tutto accompagnato da diverse grida. Quel caos totale durò per due minuti, per poi finire, assieme a tutto quel forte baccano.
Eravamo atterrati. Non aspettai nemmeno che le luci rimaste si stabilizzassero, ma sganciai subito la cintura che mi teneva stretta allo scomodo schienale dietro di me e mi avvicinai al ragazzo disteso sul pavimento, il quale non dava segni di vita. Clarke si accovacciò vicino al corpo prima di me, quindi lasciai controllare a lei. Il ragazzo, morto naturalmente, si era slacciato la cintura poco tempo prima dell'inizio dell'atterraggio per seguire altri due ragazzi, altrettanto stupidi. Anche un altro era steso atterra, con la testa sanguinante e un palo che l'attraversava.

"Il portellone è al piano inferiore. Andiamo." Sentii la voce di un ragazzo in lontananza quando posai una mano sulla spalla della ragazza inginocchiata vicino al corpo senza vita del giovane ragazzo steso a terra, facendola voltare verso di me e facendola uscire dalla piccola trance in cui era entrata. Stava guardando un'altro ragazzo, il quale riconobbi all'istante. E come dimenticarlo, con i capelli lunghi e lo sguardo sbruffone, colui che sprecò due mesi di ossigeno per 'fare una camminata' in mezzo allo spazio. Lo chiamavamo ironicamente 'passeggiatore lunare', ma questo non cambiava il fatto che i suoi reati erano belli pesanti. Clarke si voltò, guardandomi con una faccia stupita.

"Athena? Perché sei qui?" L'aiutai ad alzarsi, offrendole una mano che accettò volentieri. Appena fu di nuovo in piedi, mi portò le braccia dietro alle spalle e mi strinse a sé in un abbraccio. Avevo conosciuto Clarke appena iniziai il corso guidato da sua madre, quando lei era ancora a metà della sua adolescenza. Di solito io l'aiutavo a studiare competenze terrestri quando ormai mi trovavo all'ultimo anno, mentre lei cercava sempre di mettere buone parole su di me con sua madre per aiutarmi a passare meglio gli esami di medicina. Conoscevo bene sia sua madre, la mia insegnante, che suo padre, un amico dei miei genitori. Nonostante lavorassero insieme, io e Clarke ci conoscemmo poco prima delle loro morti. Passammo insieme infinite ore, lei che mi guardava imparare mentre io la guardavo crescere. La differenza di età, portata a confronto in quel momento, non era poi così tanta. Con i miei 22 anni, però, lei mi considerava comunque come la sorella maggiore che non ha mai avuto, che nessuno di noi ha mai avuto. Non la vedevo da mesi, cioè dal suo arresto. Non avevo dubbi sul perché Abby avesse scelto di mandarla sulla terra. Clarke avrebbe compiuto 18 anni dopo poche settimane e, a quel punto, sarebbe stata giustiziata per i suoi crimini. Spedirla sulla terra poteva essere considerata come una seconda occasione per lei, come per tutti gli altri adolescenti presenti in quella navicella. Molti di loro non erano neanche dei seri criminali, ma erano stati condannati per ragioni di poco conto. Clarke non era cambiata molto, anzi, nonostante fossero passati mesi dall'ultima volta che qualsiasi persona l'avesse vita, era proprio come la ricordavo, i suoi occhi azzurri inconfondibili e i suoi capelli color oro, così diversi dai miei.

"Rimandiamo le domande ad un momento migliore." Mi staccai dal suo abbraccio, indicando con un movimento della testa una porta posta sul pavimento, che conduceva al piano terra. Ci lasciammo dietro le spalle i due ragazzi, ormai non salvabili, avvicinandoci al scale in metallo, come tutta la navicella. Al nostro livello non era rimasto ormai nessuno quando scendemmo le scalette, io seguita da Clarke e il passeggiatore lunare, ragazzo del quale non conoscevo neanche il nome.

"State indietro, ragazzi." Vicino al portellone si trovava una guardia, con la tipica divisa indosso, un giovane uomo, con una mano già pronta sulla leva che avrebbe aperto le porte che ci separavano dal mondo che nessuno aveva mai visto in cent'anni. Spalancai gli occhi a quella visione, affrettandomi nello scendere le scale.

"Fermati." Ci fu silenzio totale dopo la mia voce. Tutti i ronzii, le urla e le farneticate sparirono, lasciandomi lo spazio che mi serviva per continuare. Finii di scendete le scalette, facendomi strada tra i ragazzi ed arrivando nel mezzo del piccolo semicerchio che si era creato attorno al portellone. 

"L'aria potrebbe essere tossica." Il ragazzo davanti a me mi osservò per un momento prima di rispondermi con determinazione.

"Se l'aria è tossica, siamo morti comunque." La sua voce bassa rispecchiava il suo aspetto cupo. I suoi occhi marroni mi scrutarono attentamente, fino a quando una voce femminile interruppe il nostro contatto visivo.

"Bellamy." Il silenzio continuò, questa volta tutti gli occhi si posarono su di una ragazza dai capelli lunghi. Sentì qualcuno borbottare qualcosa di quasi incomprensibile mentre lei, come avevo appena fatto io, si faceva strada per arrivare proprio davanti alla guardia con cui stavo avendo dei problemi. Dedussi il suo nome, Bellamy.

"Come sei cresciuta." Il suo tono era cambiato completamente rispetto a quando si era rivolto a me, pochi secondi prima. I due si abbracciarono per una frazione di tempo, poi la ragazza si staccò.

"Che cazzo indossi? Una divisa da guardia?" Dedussi anche che il giovane uomo non era veramente una guardia. Alzai un sopracciglio quando puntò velocemente lo sguardo su di me, riportandolo poi verso la ragazza dagli occhi azzurri e alzando l'angolo destro della bocca in un sorrisetto.

"L'ho presa in prestito per salire sulla navicella. Qualcuno deve pur tenerti d'occhio." I due si scambiarono un'altro abbraccio, questa volta di durata maggiore.

"Dov'è il tuo bracciale?" La voce di Clarke si fece spazio da dietro di me, interrompendo il momento che i due stavano avendo. La ragazza, della quale ancora non conoscevo il nome, si voltò verso Clarke con uno sguardo che l'avrebbe uccisa se solo avesse potuto.

"Ti dispiace? Non vedo mio fratello da un'anno." Notai gli occhi di Clarke allargarsi, suggerendo la sua sorpresa nel sentire quelle parole, mentre io cercavo di collegare i nomi alle facce. Quei due erano abbastanza famosi sull'arca, appena la loro madre venne uccisa, i fratelli erano sulla bocca di tutti. Sull'arca non era permesso avere più di un figlio, per una questione di popolazione. 

"È Octavia Blake. La ragazza che hanno trovato nascosta sotto al pavimento." Mi voltai verso la provenienza della voce, non riuscendo però a distinguere la persona da cui era arrivato quel commento così acido. Non fui l'unico a pensarlo, dato che la ragazza dai capelli neri di fronte a me fece per andare a cercare la commentatrice. Bellamy la tenne contro di lui, posizionandole un braccio attorno alla vita, mentre la ragazza si calmava e riportava lo sguardo verso il fratello.

"Octavia, ferma. Diamogli un altro motivo per ricordarti." Sembrava una persona totalmente diversa quando parlava con sua sorella. Una persona a cui importava, nonostante stesse mettendo a rischio la vita di 100 persone. Naturalmente, però, non potevamo di certo rimanere lì dentro per sempre, senza cibo, acqua e ossigeno.

"Tipo per cosa?" 

"Tipo, per essere la prima persona sulla terra negli ultimi 100 anni." Bellamy pose di nuovo la mano sulla leva, guardando nella mia direzione. Ci furono alcuni secondi di attesa, prima che la mia testa si alzasse e abbassasse, dandogli una specie di 'permesso' per aprire il portellone. Subito dopo, la leva venne abbassata, facendo spalancare lentamente la porta. Tutto quello che riuscì a vedere per un secondo era una grande fonte di luce. Il sole, visto dallo spazio, era ben diverso da come si poteva ammirare sulla terra. Dopo essermi abituata alla forte illuminazione, riuscì a distinguere diversi tipo di alberi. Era una distesa immensa di verde che si estendeva davanti ai nostri occhi increduli. Non ci saremmo mai potuti immaginare uno spettacolo simile, io non me lo sarei mai potuto immaginare se non lo avessi visto con i miei stessi occhi. Era completamente diversa da come la descrivevano i libri. Sembrava che non avesse mai subito l'intervento spietato della razza umana, con i suoi alberi alti e il terreno ricoperto da erba e foglie secche. Nessuno di noi aveva mai visto un albero da vicino ed erano giganteschi, molto più di quello che potevamo credere. Arrivò una folata di vento ed anche quella fu una sensazione del tutto sconosciuta. In lontananza si poteva sentire lo scrosciare interrotto delle acque di un fiume e il canto melodioso degli uccellini sulle cime dell'alta vegetazione. Attorno a noi si estendeva un bosco, che sicuramente continuava per chilometri e chilometri prima di interrompersi. Non avrei potuto descrivere con esattezza l'odore che sentivo in quel momento. L'aria era leggermente pesante, ma un profumo di quello che riconobbi come muschio ci circondava. Presi un bel respiro, come tutti gli altri d'altronde.
Vidi Octavia Blake camminare di fronte a noi, saltando fuori dalla navicella e assaporando l'ebrezza di quel momento. Il resto di noi era ancora dentro alla navicella, molti erano troppo emozionati per fare qualsiasi cosa. Perché anche se lo spazio era sicuro, ogni persona abitante dell'arca ne voleva scappare, e noi eravamo i primi in cento anni a riuscirci. Il mio sguardo cadde sul volto di Bellamy per un secondo, per poi riposizionarsi sulle spalle della ragazza dopo aver visto un accenno di sorriso farsi spazio sulle labbra del ragazzo di fianco a me.

"Siamo tornati, bastardi!" Le mani di Octavia si alzarono verso il cielo chiuse a formare due pugni. Il suo grido diede come una specie di consenso alle altre persone di muoversi. Iniziarono tutti a correre, venni superata da Clarke mentre mi prendevo il mio tempo per uscire dalla navicella. I miei piedi sul suolo fecero alzare un cumulo di polvere, mentre cercavo di abituarmi al suolo morbido. Mi lasciai finalmente sfuggire un sorriso che trattenevo da fin troppo tempo. Mi voltai e vidi Bellamy lasciare un bacio sulla guancia di sua sorella per poi inseguire un paio di giovani ragazze, mentre Octavia iniziò ad allontanarsi dalla navicella in fretta. Osservai i ragazzi correre felici per il bosco, non ne avevano mai avuto l'opportunità. Mentre, però, molti si erano messi a ballare e cantare canzoni di cui neanche conoscevano per bene le parole, io mi avvicinai a Clarke, la quale aveva perso tutta la sua contentezza. Aveva lo sguardo perso, mentre vagava dalla cartina alla montagna opposta alla nostra e viceversa, si era posizionata davanti ad un burrone, lontana da tutti gli altri. Era già in compagnia di Finn, il 'passeggiatore lunare', il quale aveva un'espressione da sbruffone dipinta sul volto come al solito. L'espressione di Clarke, però, poteva solo indicare guai in arrivo.

"Qual'é il problema?" Mi posi al fianco di Finn, guardando però verso Clarke. Posizionai le mie dita nelle tasche posteriori dei miei jeans neri, aspettando una risposta dalla ragazza. I suoi occhi si spostarono su di me, per poi tornare a guardare la cartina che stringeva fra le mani con una forza che avrebbe tranquillamente strappato la carta. Guardò ancora una volta la montagna, fermando poi il suo sguardo su di essa, rimanendo in silenzio per un paio di secondi prima di rispondere alla mia domanda, rivolgendosi sia a me che a Finn.

"Mount Weather." Indicò con la testa la cima della montagna che si mostrava davanti ai nostri occhi. Le mie sopracciglia si corrugarono leggermente, non capendo esattamente il problema.
"C'è una foresta radioattiva tra noi e il nostro prossimo pasto." Dopo la spiegazione di Clarke, mi tornò a mente che Mount Weather era una base militare, risalente agli anni prima delle esplosioni. Al suo interno si potevano trovare viveri e sostentamenti a sufficienza per mantenere 300 persone per due anni. Il nostro punto d'atterraggio doveva essere quello. Uno grande sospiro lasciò la bocca leggermente aperta di Clarke, mentre aspettava che qualcuno di noi dicesse qualcosa.

"Ci hanno sganciato sulla montagna sbagliata." Gli occhi di Finn si spalancarono quando realizzò anche lui. Dalla mia voce si poteva intuire la paura che cercavo di nascondere dietro un tono duro. I miei occhi si incrociarono con quelli di Clarke, forse anche più spaventati dei miei, che poi caddero su quelli del ragazzo accanto a lei. L'aria attorno a noi si fece ancora più pesante quando capimmo tutti e tre che avremmo dovuto attraversare l'intera foresta per arrivare al nostro cibo, il più velocemente possibile, tra l'altro. Gli schiamazzi delle persone dietro di noi si attenuarono, nella mia mente, quando la mia gola si fece secca per la mancanza di acqua. Non solo, ma il mio stomaco iniziò a brontolare mentre l'orario di pranzo passava. Non sapevo esattamente che ore fossero, ma intuii dalla posizione alta del sole che non dovevano essere passate le 14:00 e noi eravamo digiuni da sette ore. Il cibo era il problema minore, poiché avremmo dovuto trovare alla svelta dell'acqua potabile. Mi guardai attorno ancora, non vedendo altro che alberi, i quali si estendevano in altezza fino a toccare il cielo. Sapere che eravamo gli unici a conoscenza di questo enorme dettaglio non giocava certo a nostro favore, d dato che avremmo dovuto dare la notizia a cento ragazzi che spruzzavano felicità da tutti i pori. Cercai di deglutire per bagnarmi leggermente la gola.

"Cazzo."

  
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