Diciassettesimo
capitolo – Cinque è il numero perfetto
11 Marzo 2002
I giorni erano trascorsi
frenetici, e così le ore, e così i minuti.
Presi tra i mille impegni
delle bambine e i loro ritmi, era passato un mese.
Un mese intero. Dove certe giornate erano durate anni, ed
altre soltanto pochi minuti.
Un mese intero insieme alle sue bambine, che ogni giorno le facevano
imparare cose nuove.
Un mese intero, senza Edward.
Era partito
la settimana dopo il Gala a casa Dwyer, chiamato
urgentemente dalla filiale di Londra. Aveva salutato le sue bambine
calorosamente, ed anche lei.
Le aveva promesso che
sarebbe tornato il prima possibile… eppure.
Era passato un mese.
Edward chiamava ogni
sera, per parlare con le bambine. Riusciva a spiccicare poche parole con Bella,
troppo preso dal lavoro, o da Emma e Mia che non vedevano l’ora di
raccontargli la loro giornata.
Un mese intero.
Quel mese, durante il
quale aveva preso la decisione che le avrebbe cambiato la vita.
“Che facciamo a
cena?” Si ridestò da suoi pensieri, scuotendo la testa e girandosi
verso il suo amico: Laurent.
Anche James era partito insieme a Edward, lasciando il suo compagno nella Grande
Mela.
Per un mese intero.
Bella e Laurent in quel periodo avevano acquistato un bellissimo
rapporto: lui cercava di aiutarla il più possibile, portando le bimbe al
parco o andandole a prendere a scuola.
“Pollo?”
“Lo abbiamo
mangiato ieri.”
“Pesce?”
“Bella.”
Alzò lo sguardo dal monitor del PC che aveva davanti a lei.
“Mh?”
“Stai
tranquilla.” Laurent posò la sua mano su
quella di Bella, accarezzandola dolcemente. “Troveremo una
soluzione.” Sorrise dolcemente, dopo quel troveremo.
“Questo è un
problema mio.” Sussurrò, cercando di non farsi sentire dalle
bambine che giocavano nel salone.
Non aveva detto una parola
a nessuno, quando aveva preso quella decisione.
Soltanto Laurent, che ormai viveva praticamente
insieme a lei, era riuscito a toglierle quelle parole dalla bocca.
Leah era troppo presa dai gemelli,
proprio ora che stavano crescendo a vista d’occhio.
Jack doveva occuparsi del
Pub, che invece aveva lasciato troppo andare dopo la nascita dei bambini.
Charlie era a Forks, e spiegargli quello che stava succedendo con una
telefonata non sarebbe stato l’ideale.
Edward… non c’era. In ogni
sfumatura che poteva esistere, lui non c’era.
“Non è
vero.” Laurent la guardò dritta negli
occhi. “E’ un problema, sì, questo è vero. Ma
è un problema che possiamo risolvere insieme.”
“Come?”
“Con molta calma e
sangue freddo, tesoro.”
“Non posso, Laurent. Non posso.” Sospirò,
asciugandosi una lacrima solitaria che stava scendendo sulla sua guancia.
“Non ho più la calma, né tantomeno il sangue freddo.
Dopo… dopo tutto quello che è successo.”
“Hey, hey.” L’amico si
alzò, facendo il giro del tavolo per trovarsi davanti a lei. Con il
pollice asciugò la lacrima sul viso di Bella.
“Dio! Tutte a me!” Disse, facendo una risata amara tra le lacrime.
“Non posso credere di essere stata così stupida!”
“A cosa ti
riferisci?”
Ad entrambe le cose.
“Beh…”
rimase in silenzio per un po’. “La prima, di certo è stata
una mia decisione. Non ponderata benissimo, ma l’ho scelto io. La seconda
invece… non lo è.”
“Potrebbe
diventarlo.”
“No. Non
potrebbe.”
“E chi lo
dice?”
“Io.”
“Non sei
l’unica in questa cosa, Bella.” Spiegò Laurent,
guardandola apprensivo.
“Quello
si, invece, che è un problema enorme.”
“Tesoro.” Laurent cambiò tono della voce, proprio come se
stesse parlando con un bambino. “Di certo questo non è il momento
migliore, ma prima o poi dovrai parlarne.
Perché lo devi fare. Non c’è alternativa.
E magari sarà una cosa bellissima.”
“Bellissima, Laurent?” Scosse la testa, allontanando la mano del
suo amico dal viso. “No. Non sarà bellissima. Perché quello
che è successo a Settembre, per quanto tragico possa essere stato, ha
portato un cambiamento radicale nelle nostre vite. Non posso
farne avvenire un altro, proprio ora. A pochi mesi di distanza. Scombussolerei tutto.”
“Hai ragione.
Però, - purtroppo – stai
guardando soltanto gli aspetti negativi di quello che potrebbe succedere.”
“Oh, allora dimmelo
tu! Quali sono gli aspetti positivi?” Rise di nuovo,
alzando gli occhi al cielo. “Ecco, vedi? Non ci sono! Non esistono!”
“Cota non etittono?” Mia li interruppe, entrando in cucina in
punta di piedi. “TIA BELLA PIANGEEE!” Iniziò ad urlare, facendo così catapultare in quella stanza
anche sua sorella maggiore.
“Perché
piangi?” Domandò Emma, preoccupata.
“Non è vero,
tesoro.” Disse subito Bella.
“Stavamo soltanto
decidendo cosa a fare a cena. Zia Bella voleva quel pollo triste e ispido, e
invece io ho proposto il Mc Donald… e così ha iniziato a piangere
perché lei non lo vuole!”
E così dopo la
spiegazione di Laurent entrambe le bambine iniziarono
a saltare per tutta casa, dimenticandosi di quello che era appena successo
prima, e iniziando a gioire per quella cena sporca e imminente che stava per
arrivare.
Le bambine avevano cenato
con un happy meal a testa, Laurent
con un enorme panino tre volte più grande della mano di Bella, e invece
lei aveva mangiato quel “triste e ispido pollo”.
Dopo cena avevano
guardato un po’ di cartoni animati, e poco prima che le bambine si addormentassero Bella le aveva portate nella loro stanza,
raccontandogli una favola della buonanotte.
Tornata al piano
inferiore, aveva trovato il suo amico seduto sul divano, con il telefono
attaccato all’orecchio.
Attaccò pochi
minuti dopo che Bella si era seduta accanto a lui, voltandosi per guardarla.
“No Laurent, basta. Non ne voglio parlar-”
“Era James.”
“E?”
“E’
tornato.”
Bella sbatté le
palpebre più volte.
“Cosa?”
“Ha detto che non
ha fatto in tempo a chiamarmi. Hanno preso un volo all’ultimo
momento.”
“Hanno?” Laurent
non fece nemmeno in tempo a rispondere, perché entrambi si girarono
verso la porta da dove stava provenendo un rumore.
La chiave che girava nella
toppa.
Hanno detto.
“E tu che fai
qui?” Edward rimase lì, immobile, con la valigia in una mano e la
ventiquattrore nell’altra.
“Me ne stavo
proprio per andare.” Si infilò le scarpe
in pochi secondi, sorridendo a trentadue denti pronto per tornare a casa.
Anche il suo compagno era
tornato, e dalla paresi facciale improvvisa che gli aveva invaso la faccia, non
vedeva l’ora di andarsene.
Salutò Bella con
un bacio sulla guancia e un’occhiata eloquente, e in silenzio si diede il
cambio con l’amico, richiudendo la porta dietro di sé.
Edward fece cadere
entrambe le valige per terra, e iniziò ad avvicinarsi lentamente al
divano.
Dove Bella era rimasta, immobile.
“Ciao bellezza.” Sussurrò
appena, dandole un casto bacio sulle labbra.
Bella notò che era
bianco, quasi cadaverico. E che aveva delle occhiaie che gli arrivavano al
mento.
“Hey.” Disse, con voce strozzata.
“Le bambine
dormono?” Come risposta annuì soltanto, mentre dondolava
nervosamente il piede da destra a sinistra.
Edward le arpionò
le gambe, allungandole sopra le sue ginocchia.
“Pensavo che avrei
ricevuto più calore.” Ammiccò, accarezzandole lascivamente
i piedi. Ma Bella continuò a non fiatare.
“Stai bene?”
Domandò allora, scrutandola attentamente.
Anche
lei, non era da meno: il suo incarnato faceva invidia a quello di Edward, e per
le occhiaie erano entrambi sul podio dello slogan “dieci trucchi per non dormire: chiedi a Edward Cullen
e Isabella Swan, campioni del mondo.”
Si stropicciò
gli occhi, che lentamente si stavano iniziando a riempire di lacrime.
“Hey, amore.”
La tirò per un braccio, stavolta trascinandola tutta sopra di lui.
“Che succede?” E lì, scoppiò. I singhiozzi che aveva cercato di nascondere con le bambine e con Laurent iniziarono a farsi sentire, insieme a tutte le
lacrime.
“T-ti.. L-la
giacca.”
“Non me ne frega
niente della giacca.” Lui le accarezzava i capelli, fino ad arrivare alla
schiena. Su e giù. Lentamente.
Finché, pian piano, non iniziò a calmarsi.
Si staccò
pochi centimetri, quelli che bastavano per guardarsi negli occhi.
“Che
c’è?” Sussurrò nuovamente Edward, asciugandole con il
palmo della mano il viso bagnato. Lei tirò su con il naso, appoggiando
la testa tra l’incavo della sua spalle e il
collo.
Lì, il mondo era perfetto.
E lo sarebbe stato, ma
ancora per poco.
“Ti… ti devo
parlare.” Ingoiò quel boccone amaro, attaccandosi ancora di
più a Edward.
“Che
succede?” Continuò ad accarezzarla, senza mai staccarsi da lei.
“N-non so c-come”
“Tesoro,
puoi dirmi tutto.
Tutto.” Lo specificò due volte, con la sua voce suadente.
“S-sono… due cose.”
“Stanno tutti
bene?” Il tono della voce aveva assunto una preoccupazione che prima non
c’era.
“Sì…
Sì. Sono
due cose che… riguardano me.” Deglutì, cercando di non far
tornare le lacrime e singhiozzi che sembravano imminenti.
“Dimmi.”
“Sono… mi
sono licenziata.” Sospirò, però continuò a parlare
prima che Edward potesse interromperla. “Il MoMa non era la mia vita, il mio… lavoro. Dopo il Gala, ho deciso di
parlare con Rosalie e licenziarmi. Renée mi ha
remato contro una vita intera. Non potevo restare in quel giro, ancora. Non
dopo quella sera.” Edward si avvicinò a lei, schioccandole un
lieve bacio sulla fronte e lasciandole una carezza.
“Era questo che ti
preoccupava?” Domandò, sorridendole dolcemente. “Non
c’è niente di cui preoccuparsi, tesoro. Vuoi cercare subito un
altro lavoro, oppure vuoi prenderti un po’ di tempo e stare a casa? Puoi farlo benissimo. Questo, di certo non è
un problema.”
“Non è
questo che mi preoccupa.”
Infatti…
“Che
succede?” Aveva detto quelle due parole un migliaio di volte, ormai.
“Ti ricordi…
cos’è successo il nove febbraio?”
Edward arcuò le sopracciglia, il suo modo per far capire che ci stava
pensando, ma che non trovava una risposta.
“Era la sera del
Gala.” Lo aiutò Bella.
“Intendi il discorso
di tua madre?”
“No…
dopo.”
Dopo… dopo.
Dopo, erano tornati a casa. Una casa vuota, perché le
bambine erano rimaste a dormire da Jack e Leah.
Una casa che aveva visto e sentito Edward arrabbiato, per
quello che era appena successo con Renée e Tanya.
Una casa che aveva visto e sentito Bella
incredula e sconcertata, dopo quello che era accaduto.
Una cosa che gli aveva visti e
sentiti consolarsi, parlare, sussurrare parole dolci e fare l’amore.
“Sì?”
Disse Edward, incerto. Poi, sospirò sonoramente. “Tesoro, basta
con i giochetti. Che c’è?”
“Sono
incinta.” Lo snocciolò così, come se nulla fosse. E le
sembrò di perdere un peso che ormai si portava dietro da un mese.
Un mese intero.
Sembrò che
l’intera casa si bloccasse: il respiro di Edward, le lacrime di Bella, il
ticchettio dell’orologio a muro.
Ogni. Singola. Cosa.
“Edward.”
Bella – ancora seduta sulle sue
gambe -, gli diete una leggera pacca sulla spalla.
“Sei
incinta?” Sussurrò appena, indistintamente.
Non doveva succedere. Non
era previsto.
Era stato qualcosa di inaspettato.
Per lei, per le bambine,
per quel qualcosa che c’era tra lei e Edward, ma che non si poteva
definire.
“Incinta?”
Ripeté di nuovo, con la voce smorzata.
Lei, non parlava più. Annuì
soltanto, leggermente.
Delle lacrime silenziose
iniziarono a scendere sul suo viso, e abbassò la testa. Edward gliela
alzò con l’indice e il pollice, per poi asciugargliele lentamente.
“D-dì”
singhiozzò “dì
qualcosa.”
“Credo che” era rauca, la sua voce “credo che cinque sia un numero
perfetto.”
Bella scoppiò in
lacrime, stretta tra le sue braccia. Incastonò di nuovo la testa
nell’incavo tra la spalla e il collo, cercando di fondersi lì.
Proprio lì.
Perché era perfetto.