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Autore: Tati Saetre    05/05/2017    6 recensioni
Edward ha 30 anni, capo della Cullen Media Group, è un uomo presuntuoso, egoista e viziato.
Isabella ha 28 anni, direttrice di una delle Gallerie d'arte più famose di New York, è in cerca dell'uomo della sua vita.
Che cosa li accomunerà per il resto delle loro vite?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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I giorni erano trascorsi frenetici, e così le ore, e così i minuti

Diciassettesimo capitolo – Cinque è il numero perfetto

11 Marzo 2002

 

I giorni erano trascorsi frenetici, e così le ore, e così i minuti.

Presi tra i mille impegni delle bambine e i loro ritmi, era passato un mese.

Un mese intero. Dove certe giornate erano durate anni, ed altre soltanto pochi minuti.

Un mese intero insieme alle sue bambine, che ogni giorno le facevano imparare cose nuove.

Un mese intero, senza Edward.

Era partito la settimana dopo il Gala a casa Dwyer, chiamato urgentemente dalla filiale di Londra. Aveva salutato le sue bambine calorosamente, ed anche lei.

Le aveva promesso che sarebbe tornato il prima possibile… eppure.

Era passato un mese.

Edward chiamava ogni sera, per parlare con le bambine. Riusciva a spiccicare poche parole con Bella, troppo preso dal lavoro, o da Emma e Mia che non vedevano l’ora di raccontargli la loro giornata.

Un mese intero.

Quel mese, durante il quale aveva preso la decisione che le avrebbe cambiato la vita.

“Che facciamo a cena?” Si ridestò da suoi pensieri, scuotendo la testa e girandosi verso il suo amico: Laurent.

Anche James era partito insieme a Edward, lasciando il suo compagno nella Grande Mela.

Per un mese intero.

Bella e Laurent in quel periodo avevano acquistato un bellissimo rapporto: lui cercava di aiutarla il più possibile, portando le bimbe al parco o andandole a prendere a scuola.

“Pollo?”

“Lo abbiamo mangiato ieri.”

“Pesce?”

“Bella.” Alzò lo sguardo dal monitor del PC che aveva davanti a lei.

Mh?”

“Stai tranquilla.” Laurent posò la sua mano su quella di Bella, accarezzandola dolcemente. “Troveremo una soluzione.” Sorrise dolcemente, dopo quel troveremo.

“Questo è un problema mio.” Sussurrò, cercando di non farsi sentire dalle bambine che giocavano nel salone.

Non aveva detto una parola a nessuno, quando aveva preso quella decisione.

Soltanto Laurent, che ormai viveva praticamente insieme a lei, era riuscito a toglierle quelle parole dalla bocca.

Leah era troppo presa dai gemelli, proprio ora che stavano crescendo a vista d’occhio.

Jack doveva occuparsi del Pub, che invece aveva lasciato troppo andare dopo la nascita dei bambini.

Charlie era a Forks, e spiegargli quello che stava succedendo con una telefonata non sarebbe stato l’ideale.

Edward… non c’era. In ogni sfumatura che poteva esistere, lui non c’era.

“Non è vero.” Laurent la guardò dritta negli occhi. “E’ un problema, sì, questo è vero. Ma è un problema che possiamo risolvere insieme.

“Come?”

“Con molta calma e sangue freddo, tesoro.”

“Non posso, Laurent. Non posso.” Sospirò, asciugandosi una lacrima solitaria che stava scendendo sulla sua guancia. “Non ho più la calma, né tantomeno il sangue freddo. Dopo… dopo tutto quello che è successo.”

Hey, hey.” L’amico si alzò, facendo il giro del tavolo per trovarsi davanti a lei. Con il pollice asciugò la lacrima sul viso di Bella.

“Dio! Tutte a me!” Disse, facendo una risata amara tra le lacrime. “Non posso credere di essere stata così stupida!”

“A cosa ti riferisci?”

Ad entrambe le cose.

“Beh…” rimase in silenzio per un po’. “La prima, di certo è stata una mia decisione. Non ponderata benissimo, ma l’ho scelto io. La seconda invece… non lo è.”

“Potrebbe diventarlo.”

“No. Non potrebbe.”

“E chi lo dice?”

“Io.”

“Non sei l’unica in questa cosa, Bella.” Spiegò Laurent, guardandola apprensivo.

Quello si, invece, che è un problema enorme.”

“Tesoro.” Laurent cambiò tono della voce, proprio come se stesse parlando con un bambino. “Di certo questo non è il momento migliore, ma prima o poi dovrai parlarne. Perché lo devi fare. Non c’è alternativa. E magari sarà una cosa bellissima.”

“Bellissima, Laurent?” Scosse la testa, allontanando la mano del suo amico dal viso. “No. Non sarà bellissima. Perché quello che è successo a Settembre, per quanto tragico possa essere stato, ha portato un cambiamento radicale nelle nostre vite. Non posso farne avvenire un altro, proprio ora. A pochi mesi di distanza. Scombussolerei tutto.”

“Hai ragione. Però, - purtroppo – stai guardando soltanto gli aspetti negativi di quello che potrebbe succedere.

“Oh, allora dimmelo tu! Quali sono gli aspetti positivi?” Rise di nuovo, alzando gli occhi al cielo. “Ecco, vedi? Non ci sono! Non esistono!”

“Cota non etittono?” Mia li interruppe, entrando in cucina in punta di piedi. “TIA BELLA PIANGEEE!” Iniziò ad urlare, facendo così catapultare in quella stanza anche sua sorella maggiore.

“Perché piangi?” Domandò Emma, preoccupata.

“Non è vero, tesoro.” Disse subito Bella.

“Stavamo soltanto decidendo cosa a fare a cena. Zia Bella voleva quel pollo triste e ispido, e invece io ho proposto il Mc Donald… e così ha iniziato a piangere perché lei non lo vuole!

E così dopo la spiegazione di Laurent entrambe le bambine iniziarono a saltare per tutta casa, dimenticandosi di quello che era appena successo prima, e iniziando a gioire per quella cena sporca e imminente che stava per arrivare.

 

 

Le bambine avevano cenato con un happy meal a testa, Laurent con un enorme panino tre volte più grande della mano di Bella, e invece lei aveva mangiato quel “triste e ispido pollo”.

Dopo cena avevano guardato un po’ di cartoni animati, e poco prima che le bambine si addormentassero Bella le aveva portate nella loro stanza, raccontandogli una favola della buonanotte.

Tornata al piano inferiore, aveva trovato il suo amico seduto sul divano, con il telefono attaccato all’orecchio.

Attaccò pochi minuti dopo che Bella si era seduta accanto a lui, voltandosi per guardarla.

“No Laurent, basta. Non ne voglio parlar-

“Era James.”

“E?”

“E’ tornato.”

Bella sbatté le palpebre più volte.

Cosa?”

“Ha detto che non ha fatto in tempo a chiamarmi. Hanno preso un volo all’ultimo momento.”

Hanno?Laurent non fece nemmeno in tempo a rispondere, perché entrambi si girarono verso la porta da dove stava provenendo un rumore.

La chiave che girava nella toppa.

Hanno detto.

“E tu che fai qui?” Edward rimase lì, immobile, con la valigia in una mano e la ventiquattrore nell’altra.

“Me ne stavo proprio per andare.” Si infilò le scarpe in pochi secondi, sorridendo a trentadue denti pronto per tornare a casa.

Anche il suo compagno era tornato, e dalla paresi facciale improvvisa che gli aveva invaso la faccia, non vedeva l’ora di andarsene.

Salutò Bella con un bacio sulla guancia e un’occhiata eloquente, e in silenzio si diede il cambio con l’amico, richiudendo la porta dietro di sé.

Edward fece cadere entrambe le valige per terra, e iniziò ad avvicinarsi lentamente al divano.

Dove Bella era rimasta, immobile.

Ciao bellezza.” Sussurrò appena, dandole un casto bacio sulle labbra.

Bella notò che era bianco, quasi cadaverico. E che aveva delle occhiaie che gli arrivavano al mento.

Hey.” Disse, con voce strozzata.

“Le bambine dormono?” Come risposta annuì soltanto, mentre dondolava nervosamente il piede da destra a sinistra.

Edward le arpionò le gambe, allungandole sopra le sue ginocchia.

“Pensavo che avrei ricevuto più calore.” Ammiccò, accarezzandole lascivamente i piedi. Ma Bella continuò a non fiatare.

“Stai bene?” Domandò allora, scrutandola attentamente.

Anche lei, non era da meno: il suo incarnato faceva invidia a quello di Edward, e per le occhiaie erano entrambi sul podio dello slogan “dieci trucchi per non dormire: chiedi a Edward Cullen e Isabella Swan, campioni del mondo.”

Si stropicciò gli occhi, che lentamente si stavano iniziando a riempire di lacrime.

Hey, amore.” La tirò per un braccio, stavolta trascinandola tutta sopra di lui. “Che succede?” E lì, scoppiò. I singhiozzi che aveva cercato di nascondere con le bambine e con Laurent iniziarono a farsi sentire, insieme a tutte le lacrime.

T-ti.. L-la giacca.”

“Non me ne frega niente della giacca.” Lui le accarezzava i capelli, fino ad arrivare alla schiena. Su e giù. Lentamente. Finché, pian piano, non iniziò a calmarsi.

Si staccò pochi centimetri, quelli che bastavano per guardarsi negli occhi.

“Che c’è?” Sussurrò nuovamente Edward, asciugandole con il palmo della mano il viso bagnato. Lei tirò su con il naso, appoggiando la testa tra l’incavo della sua spalle e il collo.

Lì, il mondo era perfetto.

E lo sarebbe stato, ma ancora per poco.

“Ti… ti devo parlare.” Ingoiò quel boccone amaro, attaccandosi ancora di più a Edward.

“Che succede?” Continuò ad accarezzarla, senza mai staccarsi da lei.

N-non so c-come

“Tesoro, puoi dirmi tutto. Tutto.” Lo specificò due volte, con la sua voce suadente.

S-sono… due cose.”

“Stanno tutti bene?” Il tono della voce aveva assunto una preoccupazione che prima non c’era.

“Sì… Sì. Sono due cose che… riguardano me.” Deglutì, cercando di non far tornare le lacrime e singhiozzi che sembravano imminenti.

“Dimmi.”

“Sono… mi sono licenziata.” Sospirò, però continuò a parlare prima che Edward potesse interromperla. “Il MoMa non era la mia vita, il mio… lavoro. Dopo il Gala, ho deciso di parlare con Rosalie e licenziarmi. Renée mi ha remato contro una vita intera. Non potevo restare in quel giro, ancora. Non dopo quella sera.” Edward si avvicinò a lei, schioccandole un lieve bacio sulla fronte e lasciandole una carezza.

“Era questo che ti preoccupava?” Domandò, sorridendole dolcemente. “Non c’è niente di cui preoccuparsi, tesoro. Vuoi cercare subito un altro lavoro, oppure vuoi prenderti un po’ di tempo e stare a casa? Puoi farlo benissimo. Questo, di certo non è un problema.”

“Non è questo che mi preoccupa.”

Infatti…

“Che succede?” Aveva detto quelle due parole un migliaio di volte, ormai.

“Ti ricordi… cos’è successo il nove febbraio?” Edward arcuò le sopracciglia, il suo modo per far capire che ci stava pensando, ma che non trovava una risposta.

“Era la sera del Gala.” Lo aiutò Bella.

“Intendi il discorso di tua madre?”

“No… dopo.”

Dopo… dopo.

Dopo, erano tornati a casa. Una casa vuota, perché le bambine erano rimaste a dormire da Jack e Leah.

Una casa che aveva visto e sentito Edward arrabbiato, per quello che era appena successo con Renée e Tanya.

Una casa che aveva visto e sentito Bella incredula e sconcertata, dopo quello che era accaduto.

Una cosa che gli aveva visti e sentiti consolarsi, parlare, sussurrare parole dolci e fare l’amore.

“Sì?” Disse Edward, incerto. Poi, sospirò sonoramente. “Tesoro, basta con i giochetti. Che c’è?”

“Sono incinta.” Lo snocciolò così, come se nulla fosse. E le sembrò di perdere un peso che ormai si portava dietro da un mese.

Un mese intero.

Sembrò che l’intera casa si bloccasse: il respiro di Edward, le lacrime di Bella, il ticchettio dell’orologio a muro.

Ogni. Singola. Cosa.

“Edward.” Bella – ancora seduta sulle sue gambe -, gli diete una leggera pacca sulla spalla.

Sei incinta?” Sussurrò appena, indistintamente.

Non doveva succedere. Non era previsto.

Era stato qualcosa di inaspettato.

Per lei, per le bambine, per quel qualcosa che c’era tra lei e Edward, ma che non si poteva definire.

“Incinta?” Ripeté di nuovo, con la voce smorzata.

Lei, non parlava più. Annuì soltanto, leggermente.

Delle lacrime silenziose iniziarono a scendere sul suo viso, e abbassò la testa. Edward gliela alzò con l’indice e il pollice, per poi asciugargliele lentamente.

D-dì” singhiozzò “dì qualcosa.”

“Credo che” era rauca, la sua voce “credo che cinque sia un numero perfetto.”

Bella scoppiò in lacrime, stretta tra le sue braccia. Incastonò di nuovo la testa nell’incavo tra la spalla e il collo, cercando di fondersi lì.

Proprio lì.

Perché era perfetto.

   
 
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