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Autore: WolfieIzzy    05/05/2017    0 recensioni
Aprile 1795. Eleanor Kenway è su una carrozza diretta a Parigi, dopo aver affrontato un viaggio partito quasi un mese prima da casa, in America. Vuole scoprire di più sulla sua famiglia. Vuole scoprire da dove viene. Vuole diventare un'Assassina come suo padre, Connor. In Francia la aspetta il suo destino, e il Maestro Arno Victor Dorian, che la addestrerà per farla diventare un'Assassina perfetta e con il quale combatterà per il futuro della Nazione. Ambientata dopo gli eventi di Assassin's Creed Unity.
NB: Questa storia cerca di essere il più possibile fedele sia ai fatti storici reali, che a quelli fittizi appartenenti alla storia di Assassin's Creed. Qualsiasi modifica apportata al "canone" storico reale e/o appartenente al mondo di AC è voluta ed è utile ai fini della storia. Buona lettura!
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arno Dorian, Napoleone Bonaparte, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Arno's POV*

Mentre scartabellavo in mezzo ai documenti del mio studio al Cafè a fine giornata, si aprì la porta.

Alzai gli occhi e vidi una Eleanor dall'espressione seria avvicinarsi a me, dopo aver chiuso la porta.

'Gradirei che bussassi prima di entrare.' dissi, adagiandomi sullo schienale della sedia.

'Hai ragione, non ci ho nemmeno pensato. Devo parlarti di una cosa importante.' disse appoggiandosi con una mano alla scrivania.

Io aggrottai le sopracciglia.
'Ovvero?'

'L'ho visto, Arno. Ho visto Humbert Poulain. È al suo Palazzo. Suo padre si è allontanato in carrozza.... e questo vuol dire che è da solo, in questo momento.' disse guardandomi fisso negli occhi, con le dita puntate sul legno della scrivania.

'E quindi cosa vorresti fare, Eleanor?' chiesi, anche se mi aspettavo già la risposta.

'Devo prenderlo. Devo ucciderlo.' disse a denti stretti.

Io sospirai pesantemente, distogliendo lo sguardo.

'Non so cosa dire.' confessai.

'Come? Non devi dire niente. Accompagnami e basta. Eliminiamolo.' disse sorridendo, e allargò le braccia, come se quella che aveva appena suggerito fosse la cosa più ovvia del Mondo.

'Non è così semplice, Eleanor.' dissi alzandomi dalla sedia.

'Oh si invece che lo è. È semplicissimo. Quell'uomo ha tenuto prigioniera mia madre per più di dieci anni ed è il figlio del probabile futuro Gran Maestro dell'Ordine Templare. Se questo non basta per farlo fuori immediatamente... beh, la situazione è preoccupante.' alzò il tono di voce facendo il giro della scrivania.

'Lo so che deve essere eliminato. Solamente non ora, Eleanor. Non abbiamo un piano. Non abbiamo una pista. Non abbiamo le indicazioni della Confraternita.' 

'Perdonami, Maestro, ma dal momento che quell'uomo ha in pugno mia madre ed è un Templare, non ho bisogno della Confraternita che mi dica quello che devo fare. È abbastanza logico. Per caso non confidi nelle mie abilità?' disse in tono di sfida, incrociando le braccia.

'Cristo, Eleanor, ora stai diventando egoista. Non ho detto questo, anche se il tuo addestramento non è del tutto completo e Humbert Poulain è un nemico tutto fuorché semplice da affrontare. Sto solamente dicendo che siamo in una situazione delicata, che io ho un ruolo che vorrei mantenere all'interno della Confraternita, e che tutto questo mi sembra poco logico e prudente da parte tua! Mi meraviglia che tu non lo capisca, sul serio!' dissi mentre la guardavo negli occhi, stringendo un pugno sul tavolo.

Lei scosse la testa, meravigliata dalle mie parole.
'Arno, è di mia madre che stiamo parlando! Una persona che credevo praticamente morta, e che è imprigionata da anni nella sua stessa casa da degli uomini che probabilmente aspettano solo il momento giusto per farla fuori. Devo agire! Non posso essere prudente. Ho aspettato anche troppo, e tu più di me dovresti capirlo!'

'Non si tratta solo di te, Eleanor, Cristo! Tutti noi siamo in questa situazione, noi Assassini, il Direttorio, Napoleone! Non sappiamo praticamente nulla dei loro piani. Stiamo indagando da un mese dopo aver fatto saltare i loro piani per vedere cos'hanno in mente di fare. Agire in questo modo mi sembra stupido e rischioso, nonostante ti coinvolga personalmente. Mi dispiace, non posso darti la mia approvazione. Non questa volta, Eleanor.' 

'Perché... Perché non puoi semplicemente venire insieme a me e basta?' chiese stringendo i pugni lungo i fianchi, mentre mi dava le spalle.

'Perché non voglio che tu ti faccia del male. Perché sto cercando di proteggerti, Eleanor, maledizione. Io... Io ti amo...Ti prego, dammi ascolto... non potrei sopportare il fatto di non vederti tornare da me.' dissi tutto d'un fiato, non rendendomi conto di non aver fatto in tempo a frenare la lingua.

Lei, dopo aver sentito queste ultime parole si girò verso di me. In viso aveva un'espressione indecifrabile.

'Se quello che hai detto è vero, ti prego Arno, ti scongiuro. Vieni con me. Combattiamoli insieme.' disse prendendomi per il colletto della camicia.
I suoi occhi, illuminati dalla luce della prima luna e delle candele, angosciati e fissi nei miei, erano in attesa di una risposta che non potevo darle.

La presi per le spalle, quasi a volerla trattenere.
'È proprio per questo che non posso farlo.' sussurrai.

'Non posso trattenerti a forza. Ma ti prego, Eleanor. Non farlo.' le presi il viso fra le mani, cercando di farla ragionare. 

'Non farlo.'

Lei si scostò da me e sospirò, profondamente sconcertata. Deglutì probabilmente ricacciando indietro il fiume di lacrime che stava per bagnarle il volto, e si infilò il cappuccio.

'Credevo fossi diverso. Speravo fossi cambiato... che mi considerassi al pari di te stesso. Credevo di essere un motivo per cui valesse la pena rischiare per te, Arno. Ma non importa. Sono sempre stata abituata a cercare tutte le risposte di cui avevo bisogno da sola. E questa volta... sarà la stessa identica cosa.' disse con la voce spezzata, e uscì sbattendo la porta.

'Eleanor!' la richiamai cercando di seguirla, ma mi fermai prima di raggiungere l'uscita della stanza.

Non potevo credere che fosse così imprudente, che fosse ancora così impulsiva dopo tutto quello che avevo cercato di insegnarle. Volevo solamente proteggerla, evitare che le succedesse qualcosa di brutto. Ma quella ragazza aveva un fuoco dentro che nemmeno io ero capace di tenere sotto controllo. 
E che stava iniziando a bruciare anche me.

La stavo lasciando andare. Come quel giorno di due mesi fa, dopo il ballo... a causa delle mie paure. E avevo paura sarebbe finita allo stesso modo, questa volta. Se non peggio.

'Merda!' urlai e diedi un pugno alla parete più vicina a me. 
Una parte di me in quel momento avrebbe voluto seguirla, qualsiasi cosa avesse in mente di fare, stare al suo fianco e supportarla. Ma quello era un Arno che non faceva più parte di me. Un Arno che aveva causato la sua stessa rovina e aveva perso tutte le persone a cui teneva.

Cercai di far prevalere la mia parte più fredda e razionale, che mi diceva di lasciar perdere, di rimanere fermo, di non seguirla e di sperare solamente non le succedesse nulla.
Tornai a sedermi alla scrivania, con la testa fra le mani.

E pensai, riflettei ancora, per poi arrivare alla conclusione che ormai non valeva più la pena vivere fra delle mura che mi ero costruito attorno da solo. Che forse il vecchio Arno non doveva essere del tutto seppellito dentro i miei numerosi ricordi. 

Forse non avevo perso il fuoco che mi aveva guidato nella mia ricerca per la Redenzione negli anni precedenti, quel fuoco che sentivo così simile a quello affamato di Libertà e Giustizia che guidava Eleanor. 
Forse potevo ancora contare sulla parte migliore di me stesso, che da quando avevo iniziato la mia carriera di Assassino, era rimasta oscurata dall'ossessività della mia ricerca. 

Cosí decisi.
Decisi di alzarmi e raggiungere Eleanor. 
Decisi di dimenticare il mio ruolo e quello che mi legava alla mia carriera perché in quel momento, per me lei era la cosa che contava di più.

*Eleanor's POV*

In quel momento sentii solamente rabbia, frustrazione, adrenalina che scorrevano in tutte le parti del mio corpo e del mio cervello.
In quel momento pensai che non c'era più nulla che contava se non, finalmente, il mio riscatto... Il riscatto di mia madre. 
Finalmente mi sentivo viva, sentivo che c'era un vero motivo per cui stavo combattendo al di fuori della Confraternita. Ed era solamente quello che contava, ora, nel mio cuore e nella mia mente. Era quello che mi stava veramente, per la prima volta, facendo sentire viva.
La mia Giustizia Privata.

Arrestai la mia corsa per un secondo e scossi la testa, quasi a volermi fare forza e coraggio da sola.
Asciugai le lacrime che bagnavano le mie guance e inspirai profondamente, cercando di calmare il battito iper accelerato del mio cuore, che di certo non era in quelle condizioni per colpa della corsa, ma per tutte le emozioni che se prima ero riuscita a tenere dentro, ora stavano prepotentemente prendendo il sopravvento su di me.

Alzai la mano destra, e osservai l'anello con il simbolo degli Assassini al mio anulare, illuminato dalla luce lunare.

Non avevo bisogno dell'appoggio di nessuno. Nè di quello della Confraternita, nè di quello di Arno. In effetti, mi resi conto che avevo anche sbagliato a parlargliene. Per com'era fatto lui... mi aspettavo rifiutasse. 
Non potevo fargliene una colpa.

Ma io... non potevo lasciar perdere. Ero diversa da lui. Non avevo passato le stesse cose che aveva passato lui, arrivavo da un'altra situazione, cercavo altre risposte. E dovevo trovarle. Quelle risposte... che forse Arno aveva già trovato, ma che a me servivano ora più che mai. Ne avevo bisogno ora, per ME.

E per questo dovevo, in qualche modo, risolvere la situazione di mia madre prima che fosse troppo tardi.
E questa situazione, riguardava solo me. Non la Confraternita. Non Arno. Non Napoleone, o qualsiasi altro alleato. Solamente me.

Ripresi la corsa il più veloce possibile fra i tetti blu di una Parigi rinfrescata dalla notte di fine estate.
La città era illuminata solamente da qualche candela e lanterna all'interno dei palazzi e delle case e dalla luce della luna piena che mi fermai, pero', ad ammirare meglio.

Forse avrei voluto ottenere le risposte che cercavo in tutt'altro modo. Sarei voluta nascere in una famiglia "normale" e non essere coinvolta in quel conflitto. Ma ormai era qualcosa di cui facevo parte e dal quale non potevo uscire, se non vincente o morta, come mi aveva detto mia madre.

Poi ripensai a com'ero quando avevo appena messo piede qui a Parigi... ingenua, insicura, spaventata. Ma allo stesso tempo entusiasta di iniziare quel nuovo capitolo della mia vita, di iniziare a vivere sul serio lontano da casa.
E al sogno che feci la prima notte in cui dormii alla locanda... quel sogno che poi si era ripetuto alla mia Iniziazione.
Il lupo nero con gli occhi iniettati di sangue che mi girava intorno, mio padre che mi chiamava.
Ma questa volta non sarei scappata cercando di raggiungerlo. E questa volta, non avrei nemmeno attaccato il lupo.
L'avrei osservato... e in quegli occhi affamati e iniettati di sangue, avrei visto il mio stesso riflesso. Mi sarei rivista com'ero in quel momento.
Quel lupo... stavo diventando io stessa. E forse non dovevo temerlo... dovevo accoglierlo dentro di me.

Arrivai al Palazzo dei Poulain. Dopo aver fatto un veloce giro di perlustrazione, mi assicurai che non ci fossero più realisti o guardie a protezione dell'edificio. 
Solamente due di loro si trovavano ancora davanti all'entrata principale, addormentati sulle colonne. 

In trenta secondi, dopo aver spiccato un balzo silenzioso, li soffocai entrambi nel sonno e li nascosi dietro ai cespugli del cortile.

Entrai in casa da una finestra socchiusa del primo piano, dopo aver preso un lungo sospiro. La mia mano tremante era stretta sull'elsa della spada.

Buio. Buio pesto.
Il palazzo era silenziosissimo.
Presi una lanterna che trovai accesa nel corridoio laterale, e iniziai a muovermi silenziosamente osservando e ascoltando attentamente tutto quello che mi circondava.

Arrivai, un passo dopo l'altro, nel salotto centrale, l'unica stanza del piano dal quale proveniva della luce. Entrai, e notai che il lampadario era acceso, ma la stanza vuota. Poi sentii qualcosa.

Mi girai lentamente, tenendo la lanterna all'altezza dell volto, ancora abituata al buio del resto del palazzo. La appoggiai poi su una scrivania alla mia destra.

'Finalmente, Eleanor...' una voce maschile, profonda e suadente ruppe il silenzio e la tensione dei miei nervi, che si arrestò per un secondo. 
L'uomo si materializzò davanti a me, rivelando la sua figura dal buio del corridoio dall'altro lato della stanza.
'...o dovrei dire Amèlie?'

'Humbert Poulain.' dissi, riconoscendolo immediatamente.
Era ancora vestito come poche ore prima.
Sicuramente mi stava aspettando, e ne ebbi un'ulteriore conferma dal fatto che in viso aveva un ghigno soddisfatto.

Sotto la luce del lampadario e grazie alla sua vicinanza, potei osservarlo meglio. Notai immediatamente i suoi due profondi occhi neri, incorniciati dalle sopracciglia folte e scure. Una di queste era alzata in segno di sfida verso di me, e spezzata da una cicatrice obliqua.

'Piacere di conoscerti... nipotina.' disse, e fece un mezzo inchino.
Poi alzò la testa per osservarmi meglio.

'Tua madre aveva ragione: sei davvero, davvero carina. Ma per favore, non c'è bisogno di stare così all'erta: non voglio attaccarti.' continuò, mantenendo un tono di voce facilmente fraintendibile.

Io scossi la testa, e strinsi di più la mano attorno all'elsa della mia spada.
'Prima cosa: non osate chiamarmi nipotina. Seconda cosa: non mi fiderei di voi nemmeno se foste l'ultimo uomo rimasto sulla Terra, Humbert. E a proposito di mia madre... sapete perché sono qui?' gli chiesi.

Lui ridacchiò, e si appoggiò ad un'altra scrivania posta a specchio rispetto alla mia.
'Vedo che hai ereditato la tempra di tua madre, mia cara. In ogni caso, certo che so perché ti trovi qui. Mi sottovaluti, per caso?' spostò il suo sguardo, senza togliersi quel sorrisetto dal volto.

'È un errore che sto imparando a non commettere più.' dissi abbassando gli occhi.
'E così... mi stavate aspettando.' 

Alzai la testa, cercando di trovare un qualsiasi segno di debolezza nella sua espressione.

'Certamente, mia cara. Da qualche giorno ormai... mi stavo preoccupando non vedendoti arrivare, a dire la verità.' 

Io scossi la testa. 
'Voi e vostro padre allora vi siete accorti che sono stata qui, eh?' ipotizzai incrociando le braccia.

'Ti sorprende? Non è stata una mossa intelligente da parte tua.' rispose lui.

Io sorrisi. 
'Come non è intelligente da parte vostra fingere benevolenza nei miei confronti, dopo aver provato ad uccidermi tramite l'ex collega di vostro padre.'

Humbert scosse la testa.
'Assolutamente no. Devo essere sincero: mio padre era allo scuro che le lettere di Haytham Kenway fossero in mano tua. Era una cosa che interessava di più a Lagarde, quella. Non ho mai capito perchè, in realtà... quelle lettere non valgono nulla. Sono soltanto pensieri buttati all'aria da un uomo che ha agito in modo molto diverso rispetto ad essi. Ma... pace all'anima di Lagarde, in ogni caso.'

'Quindi io dovrei credere che sino alla notizia della sua morte voi non avevate idea che io mi trovassi qui?' 

'A dire la verità, no. Lagarde non aveva detto a mio padre che stava dando la caccia a te, anche se sapeva chi fossi. Il suo errore è stato volerti eliminare senza avvertirci, ma questo non è quello che ci interessa ora.' disse, e alzò il viso.

'Sei diventata un'Assassina: cosa che sia io che mio padre avevamo previsto. Ma non credevamo saresti arrivata qui, da noi. In Francia!' rise.
'È assurdo... incredibilmente fantastico.' commentò allargando le braccia.

'Arrivate al punto, Humbert. Io non ho tempo da perdere, se non l'avete capito.' dissi, sempre più pronta a cacciare fuori la lama argentea della mia spada.

'Ebbene... dato che sei qui, hai una possibilità. Puoi tornare indietro sui tuoi passi, Eleanor. Hai talento... in campo. Carroll, Lagarde e mia cugina, la Baronessa Deschamps... non erano obbiettivi facili. Eppure tu e i tuoi alleati li avete eliminati. Per questo puoi tornare indietro e unirti a me. A noi. All'unico vero Ordine, quello dei Templari. Potrei fare un'eccezione per quanto riguarda tua madre, in tal caso. Se userai le tue abilità per uno scopo concreto... a favore del ritorno della Monarchia.' disse dopo essere tornato serio, guardandomi fissa negli occhi.

Io non potevo credere a quello che avevo sentito e iniziai a ridere, distogliendo lo sguardo. Non avevo potuto di certo fare a meno di notare dalla sua ultima frase che fin dall'inizio, come aveva detto il Segretario De Laclos, i Poulain volevano il ritorno della monarchia in Francia. Erano semplicemente dei realisti bravi a fare la parte. Ma non ribadii il concetto a parole, perché avrei indagato successivamente a proposito.

'Come osate chiedermi una cosa del genere, Humbert? Io sono un'Assassina. Per nulla al Mondo passerei dalla vostra parte, da quella dell'Ordine. I vostri principi non coincidono con i miei. Ciò che fate e volete fare in questa città è la cosa più sbagliata che potrei mai concepire. Come potrei anche solo pensare di unirmi a delle persone che si impongono sulla gente con la tirannia e l'inganno, e che si oppongono al futuro e alla libertà del popolo?' chiesi allibita.

Lui sbattè un pugno sul tavolo iniziando a innervosirsi visibilmente, e poi si staccò da esso, dandomi le spalle.

'Sai, Eleanor, credevo fossi più sveglia. Sono stato io a convincere mio padre a non mandare un manipolo di uomini a farti fuori il prima possibile dopo aver saputo dell'omicidio di mia cugina e del fatto che tu e i tuoi Assassini avete fatto saltare in aria i nostri depositi, perché credevo che il tuo potenziale potesse essere sfruttato, che potessi unirti alla tua vera famiglia. Ma a quanto pare il Credo degli Assassini ormai fa parte di te. Sei una di loro.' disse disgustato, cambiando totalmente tono di voce. Poi si girò verso di me, rivelandomi uno sguardo profondamente malevolo e un'espressione corrucciata. 
Era quella la sua vera natura.

Io strinsi i pugni.
'Mi spiace, Humbert. Ma si. Il Credo è ciò che ormai guida la mia vita e le mie azioni. Voi per me siete solo il nemico. Non siete la mia famiglia, e non lo sarete mai. È stato Wins... mio padre a crescermi. Voi e vostro padre siete solamente coloro che hanno tenuto prigioniera mia madre negandomi la sua presenza quando più ne avrei avuto bisogno. E ora, pagherete. Pagherete per quello che avete fatto a lei e per tutto ciò che avete in mente di fare a questa città e a questa Nazione. E che io sia dannata se non riuscirò a fermarvi.' dissi, scossa da una rabbia che scoppiò nel mio corpo e attraversò ogni fibra della mia pelle, facendomi sguainare la spada. 

'E ora, combattete.' ringhiai, corrugando le sopracciglia.

'Come desideri. Ebbene... preparati a morire, nipote.' sibilò lui.

Humbert sguainò la spada che teneva al fianco destro e si fiondò su di me, vibrando un colpo fortissimo che riuscii a parare a fatica. 
Il duello iniziò a ritmo incalzante, con me che sfortunatamente, a causa della sua forza bruta, ero costretta a giocare più in difesa e in velocità che in attacco.

'Credevo fossi più forte, Eleanor. Probabilmente ti ho sopravvalutata!' ringhiò l'uomo dopo aver ribaltato un tavolino con il piede e avermi quasi preso il fianco con la lama della sua spada ricurva.

Fortunatamente la mia velocità mi stava permettendo di schivare i suoi colpi, infatti dopo aver studiato i suoi punti deboli riuscii a distrarlo facendolo inciampare su uno sgabello, e a ferirlo al braccio sinistro.

'Probabilmente invece mi avete sottovalutata.' commentai sarcastica, causando a Humbert un grugnito di frustrazione.

Preso dalla rabbia si lanciò di nuovo  verso di me all'attacco, tirando fuori la pistola che io riuscii prontamente a fargli cadere per terra togliendogliela con un calcio sferrato sulla sua mano.

'Siete troppo impulsivo, Humbert.' commentai di nuovo, preda della mia stessa arroganza e adrenalina.

'Taci, stupida ragazzina!' urlò lui per la frustrazione, e si lanciò per riprendere l'arma, permettendomi di attaccarlo nuovamente con la spada e questa volta lacerandogli profondamente tutta la mano sinistra.

'Ahhh!' urlò disperato, e dopo avermi lanciato uno sguardo assassino ed essersi stretto al petto la mano sanguinante riuscì a disarmarmi con la sua spada, ancora stretta nella mano dominante. Poi, dopo averla mollata al suolo, mi buttò a terra con uno spintone che mi fece sbattere la testa contro il muro, e perdere i sensi per un paio di secondi.

E quei due secondi furono il tempo necessario per l'uomo, che traballante e in preda ai versi di dolore mi strattonò in piedi per il bavero della giacca e mi prese per il collo iniziando a stringere attorno ad esso con le dita.

'È un peccato, sai? Mi saresti piaciuta. Saresti stata una valida alleata... invece assomigli a quella sgualdrina traditrice di tua madre. Ti meriti di stare sepolta in mezzo a quella feccia di Assassini.' disse a denti stretti. I suoi occhi, accecati dall'ira e dalla violenza, erano mortali in quel momento tanto quanto le sue dita che premevano sempre di più sulla mia giugulare.

Io cercavo di tenerlo il più lontano possibile con le braccia, di allontanarlo con pugni e calci, ma quell'uomo sembrava fatto di ferro.

'N... no...' sibilai, mentre mi sentivo mancare sempre di più il respiro.
'Devo liberarla! Lasciami!' urlai disperata con l'ultimo rivolo d'aria che mi rimaneva.

'È troppo tardi. Troppo. Tardi. Marie, vai!' esclamò a voce più alta voltandosi frettolosamente verso il corridoio, dal quale sentii dei passi veloci dirigersi al piano di sopra.

'No!' gridai ancora, presa dall'ultima scossa d'adrenalina.
Sfruttai il suo momento di distrazione non seppi con quale forza, ma era tutta quella che mi rimaneva. Così alzai il braccio sinistro e all'ultimo momento infilai la mia lama celata nel suo collo.

Humbert rimase scioccato e mollò la presa, permettendomi di ricadere in ginocchio sul pavimento e riprendere tutta l'aria che mi era mancata in quelle decine di secondi.

Alzai la testa dopo aver inspirato come non avevo mai fatto in tutta la mia vita, e vidi l'uomo ancora in piedi, attraversato da una scia di sangue che gocciolava lungo il suo collo, macchiandogli prima la giacca e in seguito il pavimento.

Stava fissando la sua mano sinistra, completamente ricoperta di sangue.

'No... non posso morire per mano di una ragazzina...' mormorò.
Poi alzò gli occhi nella mia direzione, e cadde in ginocchio esalando il suo ultimo respiro un secondo dopo, quando il suo corpo esanime crollò a terra in un tonfo.

Mi avvicinai ad esso trascinandomi sul pavimento e tossendo. Cercai di riprendere le forze e guardai il cadavere di Humbert, riverso sul fianco davanti a me.

'Requiescat in pace, maledetto bastardo.' dissi, e gli chiusi gli occhi.

Dopo essere tornata lucida, mi ricordai dei passi che avevo sentito poco prima di ucciderlo dirigersi al piano di sopra e mi precipitai di corsa sopra le scale, lanterna alla mano.
Corsi il più veloce possibile nella biblioteca, dove appena entrata mi andò il cuore in gola.
L'entrata segreta fra gli scaffali era spalancata.

Feci uno scatto velocissimo verso di essa, e vidi l'ultima cosa che avrei voluto vedere.
La mia vista si annebbiò per un secondo, e l'ambiente che mi circondava si fece ovattato.
  
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