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Autore: Emmastory    05/05/2017    1 recensioni
Dieci anni. Questo l'esatto lasso di tempo trascorso dall'ultima battaglia contro i famigerati Ladri, esseri ignobili che paiono aver preso di mira la bella e umile Aveiron, città ormai divenuta l'ombra di sè stessa poichè messa in ginocchio da fame, miseria, dolore e distruzione. Per pura fortuna, Rain e il suo gruppo hanno trovato rifugio nella vicina Ascantha, riuscendo a riprendere a vivere una vita nuova e regolare, anche se, secondo alcune indecisioni del suo intero gruppo, tutto ciò non durerà per sempre. Come tutti ben sanno, la guerra continua, e ora non ci sono che vittime e complici. (Seguito di: "Le cronache di Aveiron: La guerra continua)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-VI-mod
 
 
Capitolo XIII

Passi in avanti

La velocità con cui gli eventi si susseguivano era molto diminuita, tanto da far sembrare che il tempo stesso si fosse davvero fermato. Ora come ora, ho gli occhi fissi sul mio diario, e la data scritta all’inizio della pagina mi lascia capire che sono passati appena sette giorni. Già, sette giorni. Un’intera settimana che è ormai scomparsa con estrema lentezza dalle nostre vite, e che ci ha dato modo di riflettere e mettere insieme le idee prima di un brutale attacco da parte dei Ladri. Stando al parere di Lady Fatima, prendere qualsiasi iniziativa sarebbe rischioso, e trovandoci tutti d’accordo con lei, abbiamo deciso di continuare ad aspettare, attaccando solo per difenderci non appena ci capiteranno a tiro. La decisione appare unanime, ma qualcuno sembra essere di tutt’altro avviso. È Drake, che unitosi a noi solo recentemente, dopo aver passato gran parte del suo tempo in solitudine come un feroce ma al contempo mansueto lupo, non manca di spiegarci le sue ragioni. “Stare qui fermi è da deboli, dobbiamo agire.” Continua a ripetere, nervoso e stanco di restare con le mani in mano. “Ti rendi conto di cosa ti hanno fatto?” Sbottai con rabbia, dopo non riuscendo a credere a quello che per l’ennesima volta mi era toccato sentire. Ero attonita. Quegli sporchi criminali lo avevano ridotto a un autentico straccio, ma a lui non sembrava importare. Le sue ferite erano ancora fresche, ed io ero preoccupata, ma le mie parole non lo sfioravano neppure. Guardandolo, sentii una giusta e motivata rabbia crescermi dentro. Non volevo far scenate di fronte ai ragazzi al solo scopo di non inasprire gli animi e spaventare Aaron, a mio dire ancora troppo piccolo per tutto questo. Sapevo bene che le sue sorelle avevano conosciuto dolore e miseria in un’età perfino più tenera della sua, ma almeno per ora, volevo evitargli la paura derivante dallo stare faccia a faccia con i Ladri. Ancora preoccupato per lo zio, mi faceva sempre la stessa domanda, volendo unicamente conoscere la verità. “Faremmo meglio a dirglielo.” Mi ha fatto notare oggi Stefan, in uno dei rari momenti di calma e solitudine che riuscivamo ad avere insieme. “Hai ragione.” Ho risposto, guardandolo negli occhi con una mesta espressione dipinta in viso. Una parte di me non voleva crederlo, ma il nostro piccolo Aaron stava davvero crescendo, ed era ormai arrivato il momento di vuotare il sacco. Avvicinandosi, il bambino continuava a porre quella semplice domanda, e il padre, con gli occhi fissi su di lui, gli posò una mano sulla spalla. Il tempo stava passando anche per lui, e in cuor mio sentivo che sarebbe sempre stato il mio bambino. Un bambino che si avvicinava sempre di più alla maturità, e di cui ero davvero orgogliosa. “Aaron, ascolta. Lo zio non si è fatto male. Lo hanno picchiato.” Esordii, prendendo la parola e decidendo di confessare tutto. “Cosa? E chi è stato?” fu la sua veloce e ovvia domanda, alla quale, silenziosa, non risposi. “Si fanno chiamare Ladri, figliolo.” Gli disse suo padre, in tono serio e calmo al tempo stesso. Confuso e curioso, Aaron ascoltava in silenzio, ma improvvisamente, una seconda domanda abbandonò le sue labbra. “Sono persone cattive?” chiese, facendo uso dell’ingenuità che lo caratterizzava. “Molto cattive.” Dissi soltanto, scivolando poi nel silenzio anche se solo per poco. “Fanno male agli innocenti, sai?” azzardò Stefan, continuando a parlargli e aggiungendo un nuovo pezzo al complicato puzzle della realtà. Non proferendo parola, Aaron sgranò gli occhi, incredulo. “Anche a te e alla mamma?” non potè fare a meno di chiedere a suo padre, spaventato come un topo che fugge da un gatto. “Sì, ma adesso non accadrà più.” Continuò lui, guardandolo dritto negli occhi e sorridendo leggermente. “Ci difenderemo?” azzardò poi il piccolo, incerto e dubbioso. “Ci difenderemo.” Gli feci eco io, avvicinandomi al solo scopo di stringerlo in un delicato abbraccio. Lasciandomi fare, mio figlio sorrise, e mentre il pomeriggio sfumava in imbrunire, e  poi nera notte, non provavo che orgoglio. Finalmente, Aaron non era più all’oscuro di nulla, e quelli che lentamente facevamo, contandoli con diligenza, erano preziosi passi in avanti.
   
 
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