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Autore: emmegili    06/05/2017    1 recensioni
- Hai intenzione almeno di dirmi come ti chiami o dovrò tirare ad indovinare?
- Hai intenzione di smettere di interrompermi mentre leggo o devo imbavagliarti?
- D’accordo, tirerò ad indovinare.
- D’accordo, mi toccherà imbavagliarti.
- Sei davvero adorabile, te l’hanno mai detto?
- Sei davvero un rompipalle, te l’hanno mai detto?
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Ma Oliver... Oliver non muove un muscolo, nemmeno gli occhi. Mantiene lo sguardo fisso nel mio, come un salvagente nel mare in tempesta. Ogni volta che sto per affogare, mi aggrappo alla sua sicurezza.
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Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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 58. – Oliver
 
Mio padre spegne la macchina, poi sospira.
Si passa le mani sulle cosce e mi guarda. Apre la bocca per dire qualcosa, ma poi ci ripensa e si mette ad osservare interessato il mare grigio.
- Non credo che sia una buona idea. –esordisce.
- Voglio stare qui con lei. –bisbiglio, per poi correggermi –Con il ricordo di lei.
Il silenzio cala nell’abitacolo.
- Sarai da solo.
- Sarò con lei.
- Oliver...
Finalmente mi guarda in faccia, sconsolato.
Di nuovo silenzio.
- Vogliamo solo aiutarti.
- Allora lasciatemi stare qui.
- Non credo che sia una buona idea.
- Diciassette.
- Cosa?
- Diciassette. Le volte che hai detto questa frase da stamattina.
Silenzio.
- So che fa male, però...
- No, non lo sai. La mamma è ancora viva.
Silenzio.
- So che è difficile da capire, ma lei era la mia Luisa.
Silenzio.
- Sono passati quattro giorni.
- Direi che possiamo escludere la resurrezione, allora.
- Oliver.
- Mi lasci andare, per favore?
Lo guardo, piangendo.
- Voglio solo che mi lasci andare.
Silenzio.
- Ti prego.
Mi fissa per qualche secondo, indeciso. Poi si sporge verso di me e apre la portiera del passeggero.
- Non fare cavolate. –dice solo, guardando fisso davanti a sé.
Aspetto un po’, poi scendo dall’auto.
 
Quando apro la porta della casa sulla spiaggia, tutto mi travolge.
In particolare, l’odore. Ogni cosa è impregna del suo profumo.
E poi, le ombre. Mi pare di vederla svoltare in corridoio, imbucarsi in cucina, arrampicarsi fino alla mensola delle chiavi dell’auto.
La vedo ridere, seduta sul divano, la vedo infilarsi un biscotto in bocca. Ora è sdraiata sul pavimento, mentre gioca con Blue.
Devo appoggiare la schiena alla porta per non collassare a terra. Prendo respiri profondi, sfiorando il legno con i polpastrelli.
Quando la testa smette di girarmi, faccio un passo avanti. Prendo la busta stropicciata dalla tasca e la appoggio sul tavolo, cauto. Non l’ho ancora letta.
Mi concentro sui battiti del mio cuore, sul respiro. Cerco di non notare la sua tazza di ceramica nel secchiaio, fingo di non vedere il braccialetto che ha dimenticato sul bancone della cucina, quello con la targhetta d’argento, quello con il suo nome, quello che indossava la prima volta che l’ho vista.
Ma l’occhio continua a caderci sopra, incapace di ignorarlo. Non riesco a fare a meno di fissarlo.
E’ stata lei a dimenticarlo lì. Magari se n’è accorta dopo essere già uscita ed ha pensato di rimetterlo a posto una volta tornata. Una volta tornata.
Mi scappa un risolino amareggiato. In pochi secondi, senza nemmeno sapere come, sto piangendo.
Scosso dai singhiozzi, mi siedo sul divano. Tremo, piango, urlo.
Se n’è andata. E fa dannatamente male.
 
Quando mi sveglio, lei non è accanto a me.
Mezzo addormentato, mi sollevo sui gomiti. La porta della stanza è aperta e una luce illumina il corridoio.
Sguscio fuori dal letto ed infilo una maglietta a caso, per poi dirigermi verso la luce. Quando vedo da dove arriva, sorrido.
Raggiungo la stanza e mi appoggio allo stipite, osservando la scena.
Rachele è seduta sulla sedia a dondolo, accanto alla culla. Tiene tra le braccia nostra figlia, canticchia sottovoce una ninnananna.
Alza lo sguardo e incrocia il mio. Sorride. E’ così bella...
Mi avvicino, le braccia incrociate al petto.
- Si era svegliata? –domando sottovoce, per poi baciarle la fronte.
Rachele sorride, accarezza la testa della bambina.
- Già. Penso fosse solo un brutto sogno: non aveva fame... –risponde rapita, cullandola.
La bimba spalanca gli occhi, verdi come quelli della madre. Come mi vede, muove il piccolo pugno in aria.
Sorrido, porgendole l’indice. Lei lo stringe forte.
Rachele ridacchia, baciandomi una guancia.
- Ti amo tanto. –sussurra. Incrocio i suoi occhi, sorrido.
- Anche io ti amo tanto.

Scatto a sedere, con un grido.
Sono sul divano, fuori il sole sta tramontando. La mia maglietta è bagnata fradicia, il cuore mi batte a mille, ho il respiro pesante e le guance umide di lacrime.
Affondo le mani nei cuscini, stritolandoli.
La lettera è ancora lì, sul tavolo. Pare attendere senza alcuna fretta. La osservo, mentre il mio cuore riprende a battere normalmente.
Perché mi ha scritto una lettera? E’ tutto quello a cui la mia mente riesce a pensare. Cosa accidenti voleva dirmi?
Allo stesso tempo, ciò che mi ferma è la consapevolezza che è l’ultima cosa che mi lega a lei. Dopo che l’avrò letta, non ci sarà nulla di nuovo da scoprire, nulla di cui innamorarsi ancora e ancora.
Ma mi manca. Da morire. Ho un buco nello stomaco, non riesco nemmeno a respirare. Voglio riaverla indietro, voglio stringerla tra le mie braccia, voglio baciarla, voglio sentirla ridere, voglio sentirla suonare. Voglio che mi dica che sono un idiota, voglio che arrossisca dopo che le ho fatto un complimento. Voglio lei. Indietro.
Quando arrivo davanti alla tavola, non mi ricordo nemmeno come ci sono arrivato. So solo che la sua assenza pesa troppo, mi sta trascinando a fondo. Mi manca.
Afferro la busta e mi dirigo verso quella che era la sua stanza. Ingenuamente.
Perché quando apro la porta e trovo tutto come lei l’aveva lasciato, vengo travolto da una valanga.
I vestiti buttati sul letto, la scrivania cosparsa di fogli e pennarelli, i libri seminati a destra e a manca, i cd che amava di più ordinati sul comodino.
Nonostante nell’ultimo periodo dormisse con me, nella mia stanza, mi rendo conto che non ha mai abbandonato la sua. E’ rimasta sempre il suo piccolo rifugio, dove andare a nascondersi quando ne aveva bisogno.
Prendo dei respiri profondi, cercando di limitare l’ondata emotiva al tremore delle mani. Lentamente mi siedo sul suo letto, cercando di ignorare le lenzuola impregne del suo odore.
Mentre gli occhi mi pungono, come afflitti da migliaia di aghi, decido di smettere di rigirarmi la busta avorio tra le mani e la apro.
Spiego il foglio ordinatamente piegato in tre e, mentre ricomincio a piangere, inizio a leggere.
 
Oliver,
amore mio.
Non hai idea di quante emozioni stia provando in questo istante. Volevo dirtelo di persona, ma poi mi sono resa conto che non avrei mai trovato il coraggio di farlo, senza contare che probabilmente mi sarei messa a piangere alla seconda parola. Lo sai anche tu che me la cavo meglio con l’inchiostro. Quindi ti prego di non alzare lo sguardo dal foglio fino a che non avrai finito di leggerlo, perché sebbene sia davanti a te in religioso silenzio, dentro di me c’è una tempesta.
 
Alzo gli occhi dal foglio e fisso la stanza vuota. Lei voleva essere con me quando l’avrei letta. La vista mi si appanna e sono costretto a sbattere più volte le palpebre, bagnando la carta con le lacrime.
 
Ti avevo detto di non guardarmi. Oh, vabbè. Tanto ti saresti comunque accorto delle mie guance umide quando avresti finito di leggere.
Non ti preoccupare. Non sono lacrime tristi.
Anzi, all’inizio lo erano. Non riuscivo a crederci, mi sentivo così stupida. Come avevamo fatto a non pensarci? Sarebbe stata la rovina della tua carriera e della nostra giovinezza, avremmo dovuto rinunciare a un sacco di cose e probabilmente alla fine avremmo rovinato anche il nostro rapporto.
Però poi, mentre avevo la penna in mano, ho avuto una visione. Non prendermi per pazza, ma era una visione vera e propria. Era un’immagine bellissima, Oliver, e mi ha rassicurata.
Okay. A questo punto temo di dover sputare il rospo, non posso continuare a farneticare. Premetto che sono sicura al cento per cento di quello che stai per leggere e che nemmeno io volevo crederci, sulle prime.
Oliver, tesoro. Sono incinta. Non guardarmi, non azzardarti a farlo. Arriva prima alla fine, per favore.
Bene, stavo dicendo...? Ah, ecco. Diventerai papà. Uno di quei papà super fichi, quelli che fanno perdere la testa alle maestre.
Lo so, è un colpo basso. Ma continuavo a vomitare e allora sono andata in farmacia. Non puoi nemmeno immaginare la faccia della farmacista quando ha visto che avevo intenzione di comprare sei test di gravidanza. E prima che tu lo chieda, sì, ho rifatto il test sei volte.
Ero sconvolta. Continuavo a fissare il muro in preda al panico, mi credi? Ho addirittura pensato ad abortire, Oliver. Però poi... poi ho visto le dita cicciottelle di una bimba di pochi mesi avvolgere il tuo indice e ho scacciato subito quei pensieri.
Ho intenzione di tenere questo bambino e spero che tu possa superare lo shock e sostenermi in questa scelta, perché, alla fine, questo bambino è tuo.
Mi rendo conto di quello che ti sto chiedendo, amore, e capirò se deciderai di non farlo.
 
Non riesco a leggere oltre. Le mani, più che tremarmi, paiono avere degli spasmi. I singhiozzi sono talmente violenti e disperati da sembrare disumani.
Tutto quello che riesco a fare è affondare la testa tra le mani e urlare. Urlare, gridare fino a quando non avrò più voce.
Perché fa male, è straziante. Prende il cuore e lo strappa, lo tira, lo lacera, lo trasforma in mille brandelli rossi sangue. Lo rende incapace di amare di nuovo.
Annegando tra le lacrime, scorgo appesa al muro la fotografia che abbiamo scattato il giorno del suo compleanno. E non ce la faccio.
Scatto in piedi e con un pugno colpisco la parete con forza, urlando, piangendo. Quasi non mi accorgo del buco che creo, ma di sicuro non me ne importa.
Mi risiedo sul letto, tremante. Singhiozzando, riprendo in mano la lettera.
 
Adesso andrò a toccare argomenti che mi farebbero arrossire violentemente se ne stessi parlando, quindi togliti quel sorrisetto dalla faccia e non mi guardare.
Voglio che tu sappia che non mi sono pentita di quella notte. E’ stata la notte più bella della mia vita. E non mi riferisco solo a quando, a quanto pare, abbiamo concepito questa creaturina che ama farmi vomitare ad intervalli regolari di centoventi secondi.
E’ stato bellissimo anche tutto il “prima”. Probabilmente, dopo le paranoie iniziali, se mi avessi chiesto di sposarmi, anziché di prometterti di farlo, ti avrei detto di sì.
E non me ne frega niente se quella notte le nostre vita sono cambiate per sempre, perché è questo che i momenti importanti fanno: ti cambiano per sempre.
Sei la persona più importante per me, Oliver. Sei il grande amore di cui parlano nei film, quella persona che ti stravolge l’esistenza. Quella che se ne arriva con un sorriso sghembo e che non se ne va più.
Mi sento più che fortunata ad averti, nella mia vita. Senza di te non sarei ciò che sono. Ti amo.
Per sempre tua,
Rachele

 
 
   
 
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