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Autore: Kim WinterNight    06/05/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo quattro: Darkest Days




«Ragazzi, dai, preparatevi. Andiamo a pranzo al chiosco qui accanto» annunciò Giovanna, rivolta principalmente a Simona, Gabriella e Nicolò, i quali impiegavano sempre un tempo infinito a riordinare le loro cose e rivestirsi.

Cercai di svegliare delicatamente Viola, la quale ancora dormiva in seguito alla seconda crisi, e lei pian piano parve riprendere conoscenza. La prima cosa che fece fu regalarmi un sorriso e io capii che forse stava meglio.

Ma qualcosa spezzò quel momento idilliaco: infatti, Nicolò si alzò dal suo telo e lo sollevò per ripiegarlo, ma in questo modo rovesciò un quintale di sabbia sulla testa della povera Viola.

«Nicolò!» gridò lei, passandosi le mani sulla faccia e tossicchiando.

«Mio dio, ma sei un casino!» lo accusai io, mentre rimettevo il mio telo in borsa.

Tra un battibecco e l'altro riuscimmo a sistemarci e a raggiungere il chiosco. Io mi ritrovai seduta di fronte a Nicolò, con Tamara alla mia destra e Viola alla mia sinistra. Quest'ultima stava ancora male, qualcuno le aveva prestato una felpa, ma ancora tremava ed era evidentemente scossa dalle crisi da poco passate.

«Vivi, quando torniamo al residence, ti riposi un po'. Va bene?» le dissi, posandole una mano sul braccio.

«Va bene Lalli.»

Il pranzo fu abbastanza lungo ma tranquillo, tranne per il fatto che Tamara ordinò la cosa sbagliata: infatti scelse di prendere della pasta alla carbonara, ma doveva trattarsi di qualcosa di congelato e precotto, perché mia sorella la trovò disgustosa e disseminata di qualcosa di duro e immangiabile.

«Io non l'avrei mai presa. Il mio panino invece è buono, e anche le patatine» le feci notare, ridendo.

Di fronte a me, Nicolò si era tuffato su una porzione enorme di patatine fritte che non riuscì poi a finire, così tutti ci adoperammo per aiutarlo.

Quando finimmo, aspettammo un tempo indefinito prima che educatori e istruttori si decidessero a riportarci al residence. Quando finalmente il primo gruppo salì a bordo del furgoncino, alcuni di noi si aggirarono accanto ad alcune bancarelle presenti nel lungomare. Tamara cominciò a cercare un braccialetto di suo gradimento e io ne comprai uno con i teschi da regalare a un'amica.

Finalmente anche noi rientrammo al residence e io mi fiondai sotto la doccia, mentre Viola e Marta riposavano un po'. Verso le sei io e Marco avremmo cominciato a preparare la cena e io non vedevo l'ora che tutto finisse, in modo da non averlo troppo attaccato addosso.

Nel frattempo continuava a scambiare dei messaggi con Danilo e sentivo ancora la sua mancanza, ma l'atmosfera del campo, come sempre, riusciva a farmi distrarre da tutti i pensieri negativi che facevano parte della mia vita esterna a quell'esperienza. Beatrice, intanto, era rimasta sconvolta e divertita dal fatto che Marco si fosse proposto per cucinare con me, così aveva incaricato Tamara di tenerci d'occhio, per poi riferirle qualsiasi cosa sospetta.

Era buffo come le mie vicissitudini diventassero in fretta e furia patrimonio dell'umanità.


«A me le cipolle fanno male agli occhi» sentenziai, mentre Marco mi domandava di occuparmi io di quell'alimento. «Penserò all'insalata di riso, ma con quelle non ce la posso fare.»

«Va bene» borbottò.

«Bene.»

Erano da poco passate le sei e ci trovavamo all'esterno dell'appartamento dei ragazzi, ovvero al piano terra. Dei tavoli erano stati allestiti per facilitare la preparazione della cena ed evitare che rimanessimo rintanati in cucina.

Mi diressi dentro a recuperare il formaggio, poi tornai fuori e cominciai a tagliarlo a tocchetti, mentre l'acqua per il riso era già stata messa a bollire. Non avevo molta voglia di svolgere quelle attività, ero un po' stanca e avevo già un mal di schiena pazzesco. In più, l'odore acre delle cipolle mi stava distruggendo, e gli occhi mi pizzicavano fastidiosamente.

Sbuffando ogni tanto, riuscii comunque a compiere il mio dovere e mi occupai anche di controllare il riso.

A un certo punto della serata fui telefonata da Danilo e parlai con lui di fronte a Marco, fregandomene deliberatamente di lui e di ciò che potesse pensare o provare in merito. Tuttavia, fui costretta a salutarlo in fretta perché avevo da fare, così gli promisi che l'avrei richiamato più tardi.

Infine il momento della cena giunse e il risultato fu eccellente, tranne per il fatto che il riso avrebbe necessitato di qualche minuto in più di cottura.

«Peccato, perché per il resto è tutto buonissimo» disse Tamara, facendo comunque il bis di insalata di riso.

«Se ti piacesse davvero, faresti il tris?» la punzecchiai.

«Probabile!»

Gli anelli di cipolla in pastella fecero faville: ne mangiammo veramente un sacco e tutti li apprezzarono, contrariamente a quanto avessi pensato. C'erano delle persone molto viziate nel nostro gruppo, una delle quali era Simona.

«Questo riso è freddo. Chi me lo scalda?»

«Simo, l'insalata di riso si mangia fredda» le fece notare Giovanna in tono pacato.

«Ma a me non piace freddo! Voglio che sia caldo!» si lagnò ancora la ragazza, agitandosi sulla sedia e alzando la voce.

«Simo, non fare così... si mangia fredda l'insalata di riso, calda non è buona» tentò di tranquillizzarla Marta.

«Invece sì che è buona!»

«Simona...» intervenne Lucrezia.

«Non la mangio se non è calda!»

Insomma, si lamentò e piagnucolò così tanto, che alla fine qualcuno prese il suo fiatto e lo infilò nel microonde per far sì che si scaldasse.

Neanche a dirlo, Simona lasciò che il cibo si freddasse di nuovo, asserendo che era troppo caldo, e alla fine ne mangiò sì e no quattro forchettate.

Ero basita. Io non le avrei mai permesso di comportarsi in quel modo, se fosse stata mia figlia, probabilmente l'avrei data in adozione dopo due ore.

Dopo cena, Giorgio, Nicolò e Gabriella presero a parlare con il cellulare, facendo un casino assurdo e mandandomi fuori di testa. Oddio, ma come potevano trascorrere il loro tempo a fare gli automi di fronte a un telefono? Anche Viola aveva un cellulare come il loro, ma non lo usava allo stesso modo e si unì al casino generale solo perché stava parlando con sua madre.

Effettivamente non si capiva niente, se qualcuno ci avesse visto dall'esterno, ci avrebbe preso per pazzi furiosi e si sarebbe domandato perché non ci avessero ancora rinchiuso in un reparto psichiatrico; come avrei potuto dargli torto? Anche io ogni tanto mi ponevo certe domande, ma poco dopo non ci pensavo più e mi dicevo che in fondo noi eravamo così e basta, eravamo un gruppo eterogeneo in cui ognuno faceva valere le proprie stranezze senza rifletterci su.

Prima di andare in camera mia, appresi che la mattina seguente io e Marco avremmo avuto nuovamente un'attività in coppia. Possibile che gli istruttori stessero cercando di accoppiarci anche in un altro senso? Non ne potevo già più.

Dopo aver mandato la buonanotte a Danilo e alle mie amiche, rimasi un po' a chiacchierare con Viola mentre si cambiava, ma entrambe eravamo troppo stanche, così presto ci addormentammo senza neanche accorgermene.


Anche il giorno successivo cominciò nel modo sbagliato: dopo aver preparato il caffè, presi la caffettiera per portarla in tavola e mi bruciai un dito. Cominciai a imprecare mentalmente e non, correndo a infilare la mano sotto l'acqua corrente.

Feci colazione in fretta con caffè e grissini al sesamo, poi mi resi conto che fuori stava piovendo. Io e Marco ci saremmo dovuti spostare nella città vicina per fare orientamento e mobilità con Lorenzo, e io ne avevo già le scatole piene. Fortunatamente avevo portato l'ombrello, ma avevo come la sensazione che sarebbe stata una mattinata difficile.

Quando infine uscimmo dal residence per recarci alla vicina fermata dell'autobus – e io avevo fatto lo stupido errore di infilare ai piedi un paio di infradito – mi accorsi che si era alzato il vento e stava cominciando a piovere più forte. Aprii l'ombrello e cercai di riparare sia me che Marco, dato che ero stata costretta a farmi guidare da lui vista la poca luce che le nuvole quasi nere lasciavano filtrare.

Ma una folata d'aria più forte delle altre fece ribaltare l'ombrello e questo si ruppe, strappandosi. Imprecai per l'ennesima volta durante quelle poche ore e capii che sarebbe stato un vero casino per noi spostarci a piedi, se la pioggia non fosse diminuita.

Raggiungemmo la fermata e ci rendemmo conto che l'autobus che avremmo dovuto prendere a momenti, in realtà non sarebbe passato, così fummo costretti ad aspettare per almeno venti minuti che arrivasse il successivo. Fortunatamente la pioggia si era calmata e io sperai vivamente che in città ci lasciasse un po' in pace.

Il viaggio in autobus fu abbastanza rapido, ma quando scendemmo nei pressi della stazione dei pullman, ci rendemmo conto che stava ancora piovendo e aveva nuovamente aumentato.

La mattinata mia e di Marco fu più o meno un sodalizio, poiché fummo costretti a cercare più di una volta un riparo per non trascorrere tutta la mattinata sotto il diluvio universale. Mi ritrovai a pensare che neanche Noè con la sua arca sarebbe sopravvissuto a tutto quel disastro, tenendo conto che anche il vento era forte e spazzava via ogni cosa, facendo sì che la pioggia ci raggiungesse anche sotto i blandi ripari che riuscivamo a trovare.

Fummo costretti a fare un percorso per andare alla stazione dei treni a chiedere informazioni sugli orari, dato che Marco qualche giorno dopo sarebbe partito ad affrontare un test d'ingresso per l'università, e io ne approfittai per informarmi sul servizio navetta che Danilo avrebbe potuto usare per raggiungermi, in caso fosse venuto a trovarmi.

Poi dovemmo, ovviamente, fare il percorso inverso e fummo grati a Lucrezia che, anziché farci tornare in autobus, ci venne a prendere in macchina e ci riportò al residence sani e salvi, più o meno.

Quando arrivammo, mi precipitai a cambiarmi e indossai dei vestiti puliti, per poi ridiscendere e raggiungere la stanza dei ragazzi, dove Viola e Tamara erano intente a preparare il pranzo. Lì mi imbattei in una ragazza che non conoscevo, la quale si presentò come Gloria, ma io non capii minimamente di chi si trattasse o che cosa ci facesse con noi.

«Che ruolo ricopre quella?» chiesi a Tamara.

«Tu lo sai? Io no» replicò confusa quanto me.

Il pranzo fu abbastanza buono e consistette in pasta al sugo e caprese. Tamara, per l'occasione, aveva preparato una versione della caprese con un formaggio diverso dalla mozzarella, dato che a nessuna delle due piaceva tanto quel latticino.

«Quella cosa non ha nessun sapore» spiegai a Viola, riferendomi alla mozzarella.

«Allora voglio assaggiare la vostra versione con il formaggio alternativo» disse la mia amica, che stava decisamente meglio rispetto al giorno precedente.

Non aveva avuto altre crisi e si era ripresa completamente, riposandosi e prendendosi cura di sé, per quanto i ritmi del campo lo permettessero.

Lei e Tamara mi raccontarono che avevano trascorso parte della mattinata chiuse in camera; Viola e Giorgio si erano adoperati per insegnare a mia sorella un po' di scrittura braille, e lei era orgogliosa di essere già capace a scrivere il suo nome.

«Brava!» le dissi con un sorriso, poi raccontai via SMS a Danilo le mie disavventure della mattinata.

Mi ritrovai a pensare ai momenti in cui io e Marco ci eravamo ritrovati, soli e vicini, sotto i ripari in città, aspettando che la pioggia ci lasciasse un po' di tregua. Era stato veramente difficile stargli accanto in quel modo, perché c'era qualcosa che mi faceva pensare ai vecchi tempi, qualcosa che mi suggeriva che non mi sarei mai davvero staccata da lui.

Mi era anche venuto in mente che quelle scene sarebbero potute essere romantiche, se solo tra noi due le cose fossero andate diversamente, o se ancora io fossi stata la Laura di un tempo. Invece ora era tutto diverso, non sentivo più il desiderio di costruire qualcosa con lui, perché non si poteva proprio fare, nella maniera più assoluta.

Mi riscossi da quei pensieri e mi alzai. «Chi mi ama mi segua, io vado in camera a preparare il caffè!» affermai, accostandomi a Marta per prendere le chiavi della nostra stanza.

«L'importante è che alle quattro e mezza siate tutti qui, verrà un ospite speciale a parlarci di una sorpresa, ma non vi anticipiamo nulla» ci informò Lorenzo.

Conoscevo le loro sorprese e non riuscii ad aspettarmi niente di buono, come al solito, nonostante alcuni dei ragazzi parvero entusiasti e insistettero per cercare di estrapolare delle informazioni in anteprima.

La giornata, che già era cominciata male, peggiorò ulteriormente non appena io, Tamara, Viola e Marco ci ritrovammo ad aspettare di bere il caffè che avevo da poco preparato.

  
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