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Autore: anonymus_00    10/05/2017    1 recensioni
Newt è un ragazzo di strada, perso nella vita a causa della droga. Thomas è solo, introverso e sperduto nel mondo. Chi dei due sarà il primo a lasciarsi salvare?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Newt/Thomas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Unsteady

- Sciò, via di qui! Vattene drogato! -

All'improvviso sento freddo e tutto precipita vorticando. Sono io che precipito o è il mondo e io semplicemente ci sono sopra e cado con esso? Cerco di aprire gli occhi.

Mi accorgo che sono già aperti. Ma non vedo nulla.

Sono ferito dalla luce. La voce continua ad inveire e un'esplosione mi scoppia nella testa e comincio a tremare.

Non so per quanto tempo io stia in questo stato, questo terribile stato, ma l'uomo non ha pietà di me e lo sento rigettarmi addosso la coperta che mi aveva strappato per urlare un'ultima volta:

- Se non sparisci immediatamente chiamo la polizia.-

Finalmente dopo un respiro profondo la vista comincia a farsi più nitida e catturo i primi istanti del mattino. Cerco di orientarmi, ma la città sembra non accennare a smettere di girare. Mi stringo la testa tra le mani per cercare di fermare tutto, ma girano anche le mani.

- Sto chiamando la polizia.- l'uomo torna alla carica mostrandomi il cellulare e enfatizzando il suo premere sui tasti.

Non posso permettermi un richiamo, non un altro. Mi alzo in piedi più in fretta che posso e questo fa aumentare i giramenti di testa e mi provoca un improvviso abbassamento della pressione.

Respiro.

Sono instabile.

Afferro la mia chitarra e mi allontano dalla vetrina del negozio dell'uomo.

 

Il mio primo impulso è quello di guardarmi il braccio.

Eccolo. Lì. Mi fissa sfacciato da metà dell'avambraccio. Mi ricorda tutto il potere che ha su di me.

Un foro, minuscolo, quasi invisibile, se non fosse per la pelle arrossata che lo circonda.

Non mi ricordo nemmeno dove me la sono procurata, ieri, la coca. So solo che ne ho ancora una traccia nel corpo. Mi scorre nelle vene, viene pompata dal cuore in ogni fibra del mio corpo.

Alla prima fontanella che trovo mi chino lasciando che l'acqua fredda mi scorra sulla testa, sul viso. Segue la curva del mio naso delicato, cade lungo gli zigomi, scivola sulle labbra secche, gocciola lungo i capelli.

Quando riemergo il mondo mi sembra un po' più vivo. Il cielo è leggermente velato e un sospiro di vento galleggia nell'aria. Rabbrividisco. Le strade cominciano a popolarsi. Cominciano a sentirsi i primi motori accesi, un antifurto parte poco lontano, un gruppo di ragazzi con gli zaini in spalla scoppiano a ridere.

La città si sta svegliando.

Un risveglio meno brusco del mio. Si stiracchia leggermente, distende le sue vie che sbadigliano nel mattino prima di essere calpestate dalle prime suole assonnate.

Suole.

Dò un'occhiata ai miei piedi. La scarpa destra è completamente rovinata: la punta squarciata lascia intravedere la calza sporca. La sinistra ha la suola che si sta staccando e a ogni passo raccolgo da terra polvere e terra portando con me un po' di mondo.

Infilo le mani in tasca alla ricerca delle elemosine raccolte ieri. Le mie dita non incontrano niente. Rivolto la stoffa in ansia.

Niente. Vuote. Come il mio stomaco. Come il mio futuro.

Fisso quel buco sul braccio. Quel dannato foro che si è risucchiato tutto ciò che avevo. Vorrei urlare, prendere a calci il cemento della strada. Grido pieno di rabbia. Qualcuno si volta a guardarmi, poi affretta il passo.

Un attimo dopo, invece, sono per terra, rannicchiato al suolo con le lacrime che si confondono con le gocce d'acqua che ancora mi scivolano lungo le guance. Stringo le braccia attorno alle ginocchia magre che mi premono contro il petto, contro le costole, spezzandomi il respiro. Annaspo in cerca di aria.

Lascio uscire tutto, il freddo, la rabbia, la fame, la frustrazione. Il niente. Sì perchè questo tutto ciò che mi rimane: niente.

Lo sento pesante attorno a me, mi schiaccia. 

Quando finalmente i tremori cessano trovo la forza di alzarmi e mi trascino per le vie frugando tra i cassonetti. Non ho altra scelta.

*

Un altro giorno sta passando. Il pomeriggio si va inoltrando. Raggiungo la piazza vicina alla stazione centrale. Non c'è molta gente e mi chiedo se davvero ne valga la pena, ma in mancanza di alternativa non posso che cominciare. Mi posiziono sotto i portici, come sempre, e stringo tra le mani la chitarra. Mi dà forza, mi fa sentire più stabile sui piedi e mi trasmette vita attraverso i polpastrelli. Quando chiudo gli occhi, quando ascolto la voce liberarsi nell'aria anch'io mi sento libero; posso sollevarmi con lei e guardare il mondo dall'alto senza esserne schiavo.

Comincio a pizzicare le corde. Ricevo i primi sguardi incuriositi. Vedo un bambino dall'altra parte della piazza tirare la mano alla mamma e indicarmi, ma la madre lo trascina via distraendolo promettendogli un gelato.

Ho perso il plettro la scorsa settimana.

Alterno gli arpeggi a dei battiti sulla tavola armonica della chitarra, per dare più ritmo.

Hold, hold on, hold on to me (Tienimi, stringiti, stringiti a me)
'Cause I'm a little unsteady (perchè sono un po' instabile)
A little unsteady (un po' instabile)
Hold, hold on, hold onto me (Tienimi, stringiti, stringiti a me)
'Cause I'm a little unsteady (perchè sono un po' istabile)
A little unsteady (un po' instabile) [1]

[...]

Un signore di fretta lascia cadere una moneta nella ciotola ai miei piedi. Gli rivolgo uno sguardo di riconoscenza ma quello è perso con lo sguardo al cellulare, indifferente a ciò che lo circonda. Un piccolo capanello di persone ogni tanto si ferma davanti a me per poi dissolversi.

Una canzone segue l'altra in quello che è il momento migliore della mia giornata, l'istante in cui non esisto, perchè esiste la mia musica al posto mio.

Mentre ripeto il ritornello di "Satellite Moments" mi perdo a guardare la piazza e vengo catturato da un paio di occhi scuri e ho di nuovo la sensazione di stare precipitando. Perdo una nota.

Le dita mi si impigliano tra le corde, ma non riesco a distogliere lo sguardo. Il tempo sembra dilatarsi e riesco ad osservare ogni singolo dettaglio del viso, del corpo, di questo misterioso ragazzo. Leggo nei suoi occhi una solitudine che mi fa paura, il viso sarebbe dolce se non fosse spezzato da un livido scuro sullo zigomo e dalle labbra ancora un poco sporche di sangue. I capelli scuri si alzano spettinati e sporchi sopra le orecchie e la camicia è macchiata in diversi punti di quello che penso sia sangue. I vestiti gli ricadono sulle spalle curve e le mani gli cadono stanche lungo i fianchi.

E resta fermo immobile a fissarmi, mentre io fisso lui.

È giovanissimo, solo un ragazzino. Come può racchiudere dentro di sé tutto quel dolore?

Questo istante sembra destinato a protrarsi all'infinito nel tempo trascinandoci con sé.

Ma l'infinito, l'eterno, non esiste. Nulla è destinato a durate: la vita, l'amore...prima o poi finiscono.

Una signora mi si ferma davanti e comincia a parlare. Non riesco a capire cosa mi stia dicendo, davanti a me il suo largo sorriso. Si china per lasciare cadere qualcosa nella ciotola e si allontana. Disperato cerco ancora lo sguardo del ragazzo ma trovo solo centinaia di occhi tra i quali mancano i suoi.

Chiudo gli occhi. Il mondo ha ripreso a girare. Mi sento come se avessi assunto un'altra dose, ma questa volta la cocaina non centra, è il cuore che sembra impazzito, batte fuori tempo, un istante troppo veloce e l'istante dopo troppo lento, in una corsa che non riesce a vincere.

Mi sento instabile, vulnerbile. Anche solo un sospiro sarebbe in grado di buttarmi a terra, morto. O forse vivo, ma senza vita.

Sono un po' instabile. Stringimi.

Note

[1] Unsteady - X Abbasandors

Angolo autrice: ammetto che l'idea iniziale non era di farlo proprio così triste, ma mi sta uscendo così e non posso farci niente, Newt mi stava trascinando con sé...prometto che i prossimi capitoli saranno meno deprimenti. Intanto grazie di aver letto anche questo capitolo! Come vi è sembrato l'incontro tra i due? Tra quanto si ritroveranno?

   
 
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