Capitolo
33
(Conversazioni
pre-mortem)
Uther
se ne stava ad occhi chiusi, la nuca e la schiena appoggiate all’indietro
contro la fredda pietra della parete della cantina, le gambe piegate davanti a
sé nella sua posizione seduta per terra, le braccia appoggiate sulle ginocchia,
come in una pausa di raccoglimento. Raccoglimento per che cosa, al momento era
difficile da dirsi: c’era l’imbarazzo della scelta. Poteva essere per cercare
di riprendersi un po’ di più dal fatto di essere stato narcotizzato, e a giudicare
da quanto si sentiva intontito e intorbidito probabilmente non era ancora
riuscito a smaltire del tutto qualsiasi cosa avesse usato quel maledetto necromante da strapazzo per mandarlo forzatamente a
dormire; oppure poteva essere per cercare di riuscire a credere a tutto quello
che gli era successo nelle ultime ore ed evitare di commentarlo con qualcosa
come una serie di improperi scelti accuratamente dalla categoria dei più
blasfemi che conosceva; oppure semplicemente per raccogliere le forze e la concentrazione
per alzarsi in piedi e prendere a calci il muro fino a fratturarsi qualche dito
del piede.
Una
cosa, comunque, gli era perfettamente chiara: se non si fosse trovato
impossibilitato dal fatto di essere incatenato al muro, in quel momento sarebbe
stato estremamente, sanamente e appassionatamente impegnato a prendere a calci
con ogni sua forza il cadavere di Mordecai.
Danny
non sembrava essere della stessa sua idea. Nonostante lui sì che avrebbe potuto
dedicarsi a prendere a calci il fu Mordecai, visto che era alla sua portata
raggiungerlo fisicamente, al momento si stava invece impegnando con tutte le
sue forze e da un bel pezzo a cercare di sradicare le sue catene dal muro, per
liberarsi. A testimoniare quei suoi continui e imperterriti sforzi c’era in
sottofondo il rumore sonoro dei pesanti anelli metallici che cozzavano tra loro
mentre Danny provava e riprovava diverse prese su di essi per cercare di
staccarli dalle pareti di pietra. Perciò Uther non aveva nemmeno bisogno di
aprire gli occhi per sapere che Danny ce la stava mettendo tutta senza posa,
così come testimoniavano anche alcune imprecazioni a mezza voce, alternate a
volte a borbottii in cui gli sembrava di capire che Danny avesse iniziato a
“parlare” con le catene stesse – talvolta in modo amichevole, talvolta quasi
pregandole, ma soprattutto minacciandole orribilmente e promettendo loro che
prima o poi avrebbero pur dovuto cedere.
Uther
inspirò profondamente e buttò fuori lentamente l’aria fredda; poi aprì una
fessura tra le palpebre di un occhio e spiò sommariamente dall’altra parte
della cantina. A vederla, la scena non era particolarmente più interessante che
a sentirne i soli rumori. Danny tirava le catene con sforzi degni di un mulo
particolarmente cocciuto, provando un’incredibile varietà di posizioni da cui
far forza, diverse prese a diversa lunghezza delle catene, e persino diverse
combinazioni di tirata e rilascio per cercar di indebolire la profondità del
fissaggio nella pietra con dosate applicazioni di forza elastica. Si sarebbe
detto che fosse convinto di poter trovare il modo di imprimere molta più elasticità
di quanto chiunque potrebbe immaginare possa averne la combinazione di pietra e
metallo.
Uther
richiuse gli occhi per un momento, giusto il tempo di tirare un lungo sospiro,
poi li riaprì e si mise seduto un po’ più dritto, incrociando le gambe e
riappoggiandosi con le braccia sopra di esse, così piegato spiando l’altro dal
sotto in su.
«Danny…?»
chiamò pazientemente, con un certo tatto.
Per
tutta risposta gli giunse solo un grugnito distratto e di cattivo umore.
«Hummm…» mugugnò riflessivamente Uther tra sé e sé,
fissandolo per qualche altro istante, prima di schiarirsi la voce
sommariamente. «Danny!» lo chiamò con più decisione.
L’interpellato
si fermò e si voltò a fissarlo con espressione corrucciata, dando evidente
segno che lo stava disturbando, ed Uther esitò brevemente sotto quell’occhiata,
prima di incominciare il suo conciso discorso. «Non vorrei essere pessimista…»
iniziò, con un accenno di chiara ironia, roteando gli occhi per indicare la
situazione complessiva nella quale si ritrovavano «…ma quelle catene hanno
tutta l’aria di essere piuttosto ben fissate.» concluse.
Danny
rimase a fissarlo, come se non fosse sicuro di aver colto il punto, e sbatté le
palpebre un paio di volte, perplesso.
Uther
sospirò appena, afferrò nel pugno una delle sue catene e diede uno strattone
senza nemmeno usare tutta la sua forza, per semplice gesto basilarmente
dimostrativo.
Danny
lo guardò per qualche altro momento, dopodiché riprese imperterrito i suoi
sforzi, limitandosi a ribattere tra i denti, di nuovo concentrato nel suo
lavoro paziente «Idee migliori?»
Uther
tornò a volgere lo sguardo per tutta la cantina, e gli occhi gli si
soffermarono come per caso sul cadavere di Mordecai. «Potremmo… mangiare
Mordecai?»
Danny
si immobilizzò nettamente, e stavolta quando si voltò a guardarlo, e il suo
sguardo si era parecchio incupito. «Stai scherzando.»
Uther
assunse un’aria riflessiva a bella posta. «Ora come ora sì. Ma quando lo dirò
di nuovo tra diciamo… una settantina d’ore, beh, a quel punto probabilmente non
starò esattamente scherzando.»
Danny
gli voltò le spalle e tornò a fissare le catene infisse al muro con cipiglio
particolarmente rabbuiato.
«D’altro
canto…» continuò Uther, incrociandosi le mani dietro la nuca «Per allora
staremo sicuramente morendo più di sete che di fame.»
Danny
lasciò andare le proprie catene, si voltò e si lasciò cadere seduto per terra,
appoggiando la schiena contro la parete e rilasciando un lungo sospiro. «Sai
che cosa direbbe Kumals, se fosse qui?» domandò.
Uther
si accigliò. «Vuoi dire, a parte qualcosa come ‘Oh, scusatemi ragazzi, non
pensavo proprio che il conoscente fidato da cui vi avrei mandato vi avrebbe
incatenato in una cantina così che poteste comodamente morire di sete e di fame
molto lentamente’?»
Danny
alzò lo sguardo per un breve momento su di lui, la bocca piegata in un accenno
di sorrisetto amaro e lo sguardo taglientemente
divertito. «Sì, a parte quello. Avrebbe probabilmente notato che invece di
sprecare energia ora che sono ancora sotto gli effetti postumi del narcotico,
farei meglio a riposarmi finché non avrò ripreso tutte le mie forze, e solo
allora tentare seriamente di scardinare queste fottute catene dal fottuto
muro.»
Uther
accennò a sua volta un sogghigno. «Sì, suona molto come un tecnicismo di Kumals, questo. In effetti… è un po’ che te lo volevo
dire…»
«Che
cosa?» domandò Danny, tornando a guardarlo incuriosito.
«Beh,
non prenderla a male, ma da un po’ di tempo a questa parte certe volte sembri
davvero… un po’ come Kumals.»
Danny
alzò un sopracciglio. Poi sorrise appena. «E mi spieghi come potrei non
prendere male una simile affermazione?»
Uther
sogghignò un po’ di più. Poi tornò leggermente più serio. «Ad ogni modo, fammi
un favore. Semmai riuscirai ad uscire vivo di qui, potresti per favore
portargli le mie rimostranze per avermi fatto morire in un modo del genere?»
Danny
si stupì. «Perché mai dovrei uscire senza di te? È ovvio che non appena avrò
scardinato queste catene potrò raggiungere le chiavi anche delle tue sul tavolo
e liberare anche te.»
Uther
gli dedicò uno sguardo particolarmente significativo, e a suo modo
sarcasticamente divertito. «Dubito che quelle catene si staccheranno mai dal
muro. E, a livello di probabilità di sopravvivenza, le mie sono molto più
scarse delle tue. Non mi sono mai informato nello specifico, ma sospetto che le
capacità di un mezzo lupo di resistere alla sete e alla fame siano più elevate
di quelle di un essere umano.»
Danny
non rispose, si limitò a guardarlo a lungo, con una serietà così temibile che
Uther si sentì quasi a disagio. Dopodiché lo vide tornare ad alzarsi,
riprendere in mano le catene ma, dopo qualche istante di riflessione, optare
per cercare di studiare più da vicino con sguardo acuto il punto in cui
affondavano nel muro.
Uther
sospirò, e dopo essersi guardato attorno in cerca di qualcosa con cui passarsi
il tempo, notò la siringa che era caduta a Mordecai quando era crollato sul
pavimento, quella con cui intendeva narcotizzare ulteriormente Danny
probabilmente. Allungandosi per quanto possibile, Uther riuscì a raggiungerla
con un piede e a trascinarla verso di sé. Prendendola in mano, osservò ad alta
voce «Forse potremmo divertirci con questa, magari domani o dopodomani. Provare
a iniettarci questa roba e vedere che effetto fa.»
Danny
lanciò una breve occhiata al di sopra della spalla per vedere di che cosa
stesse parlando, e quindi lo fissò negli occhi con aria decisamente
preoccupata.
«Stavo
solo scherzando.» puntualizzò Uther.
«Sarei
comunque più tranquillo se la buttassi via.» ribatté Danny.
«Sul
serio?» si stupì Uther «Credo che quando staremo morendo di sete qualsiasi cosa
liquida potrebbe diventare particolarmente affascinante.»
«Certo.
E bere del narcotico fabbricato da un necromante per
un mezzo lupo risolverà tutto.» ironizzò Danny.
Uther
alzò le spalle. «Sempre meglio che niente. Inoltre, nella prospettiva di stare
impazzendo di fame e di sete, un narcotico ci sembrerà manna dal cielo per
allora.»
Danny
sospirò, si voltò e allungò un braccio davanti a sé, la mano aperta e col palmo
aperto all’insù.
Uther
considerò quel gesto per qualche istante, e alla fine si arrese e gli lanciò la
siringa. Danny la afferrò al volo e quasi istantaneamente la scagliò lontano
nella cantina, decisamente fuori dalla loro portata.
«Hey!» protestò Uther.
«Non
ne avremo alcun bisogno. Perché usciremo di qui vivi e vegeti, e molto prima di
essere vicino a soffrire di stenti.» chiarì Danny, con una sicurezza così
adamantina che non ammetteva repliche.
Uther
lo guardò per qualche istante, e infine scosse la testa e lasciò crollare il
capo. Poco dopo tuttavia tornò a rialzare lo sguardo. «D’accordo, allora è il
tuo turno di proporre qualcosa con cui passarci il tempo.»
Danny
lo guardò significativamente. «Scusa, ero distratto con il cercare di salvarci
le penne.» ribatté ironico, agitando appena le catene con il semplice muovere
un poco le braccia.
«Già….
e a proposito di quella teoria del “Kumals che è in
te” di riprovarci quando avrai recuperato a sufficienza le tue smodate forze di
mezzo lupo?» propose Uther, guardandolo leggermente divertito.
Danny
sbuffò sonoramente e tornò a sedersi per terra. «Va bene. Allora, qualcosa per
passarsi il tempo…» cominciò, guardandosi intorno come in cerca di ispirazione.
«Che
cosa porteresti con te se dovessi farti incatenare in una cantina senza cibo né
acqua per giorni? Hum, vediamo un po’…» scherzò
Uther, imitando una voce spensierata e leggera da gioco.
Danny
scosse la testa, sornacchiando una mezza risatina.
«Sai
cosa? Non avrei mai immaginato di morire così.» disse Uther «Voglio dire,
d’accordo, forse potrebbe essere divertente fare il fantasma che infesta una
cantina. Magari un po’ scontato… ma, hey, se non
altro le catene ce le ho già in omaggio per fare il classico rumore. Oh, e tu
saresti perfetto nell’ululato da fantasma.»
Danny
gli rivolse un’occhiata scherzosamente risentita «C’è una grandissima
differenza tra l’ululato di un lupo e quello tenebroso di un fantasma da luogo
comune.»
«Ah,
certo.» concordò Uther, con un cenno assertivo del capo «Ma tu sarai un mezzo
lupo fantasma. Originale, no?» concluse, con un paio di schiocchi rapidi di
lingua contro il palato a mo’ di verso ironicamente accattivante.
«Niente
male… sì. Quanto a te?» domandò con tono da conversazione Danny.
«Oh,
io andrò a perseguitare Kumals per il resto dei suoi
giorni, naturalmente. A pensarci bene, sì, forse non chiederei di meglio.»
soppesò Uther.
Danny
si fece un poco più serio e sospirò. «Sul serio, non avrei mai pensato che Kumals fosse capace di farci finire in una situazione del
genere…»
«Senza
farlo apposta, vuoi dire?» ironizzò Uther.
Ma
Danny si irrigidì, quindi si mise di colpo seduto più dritto, guardandolo in
modo profondamente inquieto e sospettoso.
Uther
lo ricambiò con uno sguardo stupito. «Stavo solo scherzando…»
«Aspetta…
aspetta un momento…» disse Danny, di istante in istante sempre più inquieto.
«Oh,
stavo giusto pensando di andare a sgranchirmi un po’ le gambe, ma visto che lo
chiedi rimarrò qui dove sono.» commentò Uther, continuando a scherzare sebbene
ora stesse valutando con un inizio di preoccupazione l’espressione di Danny.
«Forse…
forse potrebbe… averlo fatto di proposito…?» rifletté ad alta voce Danny,
incerto.
«Cosa?!
E perché mai?» trasecolò Uther.
«Hem… beh, il fatto è che le sue istruzioni erano che noi
rimanessimo da qualche parte, asserragliati dentro, al sicuro, e che ci
restassimo fino al suo arrivo…» spiegò Danny, con un certo imbarazzo.
Uther
alzò un sopracciglio. «E quindi ci avrebbe di proposito mandato da un pazzo per
farci rinchiudere in una cantina a morire di fame e di sete pur di tenerci “al
sicuro”?»
«Non
proprio fino a morire. Solo fino al suo arrivo…» tentò Danny, dubbioso.
Uther
emise un fischio impressionato. «Beh, ne ho visti di piani strampalati partoriti
dalla mente di Kumals, ma questo… A dirti la verità,
sarei quasi propenso a crederci, nel qual caso aspetterei comodamente il suo
arrivo per poi prenderlo a calci fino all’orizzonte, ma ricordi che il necromante aveva intenzione di farmi fuori? Va bene tutto,
ma non sembra esattamente un piano a prova di bomba se il suo scopo era quello
di “tenerci al sicuro”, no?» ragionò pazientemente.
Danny
lo guardò come se ora ci vedesse di nuovo chiaramente. «Oh. Già.»
Uther
emise una breve e sommessa risatina. «Sul serio, puoi smetterla di
preoccuparti: se proprio quello che hai ucciso era un amico di Kumals, considerate le circostanze penso proprio che Kumals non possa aver niente da ridire in proposito. E, in
ogni caso, forse faresti meglio a preoccuparti di rilassarti finché l’effetto
di quel narcotico non sarà svanito del tutto, perché penso che ti stia rendendo
leggermente paranoico…»
Danny
aveva abbassato lo sguardo sul cadavere di Mordecai, incupendosi. «Non era mia
intenzione ucciderlo…» mugugnò, come tra sé e sé «Sono sicuro di aver usato la
forza giusta solo per stordire un essere umano…»
Anche
Uther divenne serio, e con tono gentile, piegandosi un po’ in avanti, gli disse
«Danny… tra tutte le cose che mi verrebbe in mente potresti rimpiangere, credo che
questa non possa stare su quella lista. Davvero… ti voleva vendere ad una
specie di mercato nero di creature soprannaturali o roba del genere… non mi
sembra il caso di piangere sul suo cadavere. Specialmente visto che potrebbe
rivelarsi il nostro menù prima o poi…»
Danny
alzò su di lui uno sguardo accigliato.
«Scherzando…»
mormorò Uther, sogghignando appena complicemente.
Danny
scosse un paio di volte la testa, lasciandosi sfuggire tuttavia un sorrisetto
tra il compartecipe e il rimproverante, tornando ad appoggiare la schiena alla
parete. Poi lo guardò dritto negli occhi con aria di colpo riflessiva, in
qualche modo seria e leggera allo stesso tempo.
«E
cosa metteresti nella mia lista di cose che dovrei rimpiangere?» domandò.
Uther
cercò per un momento, invano, di sondare la serietà di quella domanda, prima di
optare per un tono colloquialmente disimpegnato, tornando a sua volta a
“mettersi comodo” con la schiena contro la parete di pietra e le braccia
incrociate dietro la nuca. «Oh, non lo so. Una vita normale?»
Un
sopracciglio di Danny tremolò. «Una normale vita da mezzo lupo?»
«D’accordo.
Una vita più normale?» accettò la sfida Uther, sorridendo un poco, divertito.
Danny
ridacchiò appena. «Naaah… non credo proprio.» E poi
aggiunse «E sulla tua lista di cose da rimpiangere questa voce compare?»
«Oh,
no. Dopo sì e no un paio di giorni che avevo conosciuto Kumals
avevo già abbandonato ogni speranza.» celiò Uther.
Danny
colse lo scherzo con un sorrisetto. Dopo qualche istante di silenzio
improvvisamente tranquillo, riprese a parlare quasi distrattamente, fissando il
soffitto. «Forse dovremmo pensare a quali vorremmo che fossero le nostre ultime
parole, vista la situazione in cui ci troviamo.»
«Qualcosa
tipo confessione in extremis sul letto di morte? Magari ci fosse un letto,
almeno, per inciso…» commentò Uther en passant, muovendosi un poco contro il
duro appoggio fornito dalle pietre di pavimento e muro della cantina con una
smorfia scontenta.
«Pensavo
più ad una specie di conversazione “pre-mortem”.» rispose
Danny, ancora con un tono distrattamente divertito.
«Perché
no? Probabilmente, secondo le regole del karma, più diciamo cose che non
diremmo mai se non in punto di morte, più aumentano le probabilità che finiremo
per non rimetterci la pelle nemmeno stavolta.» osservò Uther.
Danny
accennò un lieve verso divertito, e non aggiunse altro.
Dopo
qualche momento, Uther si risistemò a sedere un po’ più dritto. «Va bene.
Comincerò io, allora.».
Tanto
bastò perché Danny riportasse lo sguardo su di lui, con aria stupita.
«Dunque…
Ricordi quando mi hai detto che mi avresti seguito lungo qualsiasi strada?»
domandò Uther, con fare calmo e ponderante.
Danny
rizzò le orecchie, almeno metaforicamente parlando, e dopo qualche istante si
limitò ad annuire.
«Bene.
Ed ecco dove ti ha portato. Incatenato in una cantina a morire lentamente.
Sbaglio?» proseguì Uther, con fare razionalmente impegnato.
Danny
lo guardò per qualche istante in silenzio, e alla fine un lieve sorrisetto
iniziò ad increspargli le labbra. «Sì, sbagli…» rispose, lasciando una breve
pausa ad effetto che con sua soddisfazione gli fece guadagnare l’incuriosita,
confusa e piena attenzione dell’altro. «Fino a prova contraria, sei stato tu a
seguirmi fino a qui.»
Uther
lo guardò quasi incredulo, prima di riprendersi dallo stupore e iniziare a
riflettere rapidamente per rispondere alla provocazione scherzosa con qualcosa
di altrettanto efficace. «Non puoi provarlo. Perché dipende da chi ha
trascinato per primo quaggiù Mordecai, e lui non può certo più dircelo.»
Danny
gli restituì un sogghigno complice, consapevole di aver perso quello scontro.
«Ad
ogni modo, questo non cambia quello che stavo cercando di dire…» riprese Uther.
«E
sarebbe…?» ribatté Danny, tornato di colpo terribilmente serio, un leggero
retrosapore di risentito nel suo tono.
«Che
questa situazione… è esattamente quella in cui ti sei cacciato a non voler
lasciar perdere. E non era questo che volevo. Tutt’altro… » mormorò Uther,
dando l’impressione di essere troppo concentrato sui suoi pensieri per poter
dire più di così al momento.
Ma
Danny non aveva nessuna intenzione, dal canto suo, di non approfittare di
quella specie di conversazione “pre-mortem” in cui
Uther stesso si era gettato. Se solo avesse saputo prima che sarebbe bastato
incatenarlo in una cantina per farlo parlare apertamente, forse avrebbe
valutato l’opzione lui stesso, rifletté, prima di auto-riprendersi da solo
mentalmente per quel pensiero veramente ‘alla Kumals’.
«E
cos’era, allora, quello che volevi?» domandò Danny, ancora il tono piuttosto
indurito da un risentimento che non riusciva proprio a cacciar via
completamente, e del quale non era più sicuro di poter fare a meno così
facilmente ormai.
«A
dire la verità…» iniziò Uther, che ora faceva accuratamente a meno di guardarlo
direttamente «…Credo che non saprei spiegarlo.»
Danny
emise un piccolo sbuffo spazientito. «O forse, semplicemente, sono altre cose
che non vuoi spiegare.»
Di
colpo Uther alzò lo sguardo su di lui, con un’espressione talmente apertamente
sincera che Danny si irrigidì, stupito. «Forse.» ammise «Ma credo anche che non
si tratti di niente che tu non sappia già.»
In
un istante breve e incisivo come un lampo a ciel sereno, Danny realizzò
perfettamente e precisamente a che cosa si stava riferendo e si ritrovò a
trattenere il fiato. No, non aveva niente a che fare con gli eventuali rapporti
che Uther aveva intrattenuto con i mezzi lupi, e Mara in primis, prima del suo
arrivo. Aveva strettamente a che fare con loro due, gli unici incatenati da
soli in quella cantina che poteva essere l’ultimo luogo che avrebbero visto in
quella vita – anche se Danny era ancora sicuro che l’avrebbe avuta vinta prima
o poi con quelle catene. D’altro canto, si ricordò improvvisamente e piuttosto inutilmente
in quel momento, si era parlato proprio di ‘ultime parole’.
Con
estremo esempio di capacità di gestire una conversazione potenzialmente assai
delicata, nonché di brillantezza espositiva quando si è messi alle strette,
Danny non trovò assolutamente niente da dire, e d’altro canto se non fosse
stato per l’automatismo di cui è preziosamente fornito il centro di controllo
della respirazione, probabilmente si sarebbe dimenticato di riprendere a
respirare.
Uther
scosse appena la testa, abbassando lo sguardo come per un istintivo tentativo
di nascondere il sorrisetto divertito e piuttosto nervoso che gli stava
spuntando alle labbra. «Vuoi proprio che te lo dica davvero? Perché
probabilmente in effetti è proprio su cose del genere che dovrebbe andare a
parare una conversazione “pre-mortem” come si deve…»
disse piano.
Quando
tornò a guardarlo in attesa di risposta, o forse per accertarsi semplicemente
che fosse ancora vivo, Danny si ritrovò a riprendere fiato bruscamente.
Automatismo o meno, era ormai giunto alla conclusione che la tendenza a
trattenere il fiato come ultima tattica d’emergenza del tipo ‘fingersi morti in
caso di orso’ non poteva rivelarsi particolarmente efficiente in quel
frangente.
«Credo
che tu abbia ragione. Probabilmente è qualcosa che so già.» ammise infine
Danny.
Uther
lo guardò per qualche altro momento in silenzio, poi assunse un’espressione che
aveva un che di rassegnato, ma anche di più in pace con se stesso, e tornò ad
appoggiarsi con la schiena alla parete con le mani incrociate dietro la nuca,
ed un’aria così improbabilmente sinceramente rilassata che Danny continuò a
studiarlo senza riuscire davvero a capacitarsi né a comprendere.
«Ecco
qui. Non ho più nemmeno un segreto come si deve, dannazione…» commentò Uther,
tranquillamente scherzoso.
Danny
si fermò in tempo prima di sbattere le palpebre, cosa che avrebbe sicuramente
enfatizzato ulteriormente la sua aria confusa e incredula. Infine, si rese
conto che doveva proprio dire qualcosa, e iniziava a sospettare che a quel
punto quasi qualsiasi cosa sarebbe potuta andare bene. Molto meglio del
silenzio, perlomeno.
E
fu in quel momento che nella cantina risuonò chiaramente un significativo
schiarirsi di voce, che non proveniva da nessuno di loro due.
Entrambi
sobbalzarono come se si fossero appena accorti di avere uno scorpione estremamente
velenoso che gli camminava sul braccio, e si ritrovarono a fissare il punto
della cantina più vicino all’ingresso che dava sulle scale che conducevano di
sopra.
Un
ometto piuttosto basso stava semplicemente lì in piedi, con aria così opportunamente
cortese che sembrava avrebbe potuto impersonare benissimo la parte di un
maggiordomo appena comparso dopo essere stato chiamato. Aveva in effetti un
aspetto comune, ben ritto in piedi sebbene con fare naturale, nel suo completo
di sartoria che si intravedeva bene al di sotto di un lungo cappottino da
viaggio di pelle, la barba ben rasata e i capelli di una sfumatura tra il
bianco e il grigio ben tagliati e pettinati, gli occhialetti tondi e dalla
montatura sottile perfettamente in equilibrio sul naso, e le mani educatamente
riunite sopra al piccolo pomello di un bastone da passeggio d’antiquario, che
teneva puntato sul pavimento davanti a sé. Doveva avere poco più di una
cinquantina d’anni, un contegno inappuntabile, uno stile degno della sua età
anche se forse anche un po’ più antiquato, e un’inspiegabile capacità di
riuscire a entrare in una cantina praticamente quasi completamente vuota senza
farsi notare.
Dal
momento che Danny e Uther si stavano limitando a fissarlo come se fosse una
specie di improbabile apparizione irreale, l’ometto sembrò decidere che poteva
iniziare a parlare per primo senza risultare maleducato. La sua voce era
estremamente calma e controllata, aveva una punta di educata cortesia che
sarebbe stato arduo dire se e quanto fosse potenzialmente ambivalentemente
abitudinaria e ironica, e che si accordava perfettamente col resto delle sue
sembianze. Soprattutto, non sembrava in alcuna maniera particolarmente turbato
o sorpreso per la scena che si trovava davanti; tutt’al’più lievemente sconcertato.
«Mi
duole interrompere la vostra conversazione. Ma credo proprio di dovervi
chiedere se potreste avere la gentilezza di spiegarmi perché vi trovate
incatenati nella mia cantina insieme ad un cadavere.» disse semplicemente.
Danny
si riprese abbastanza da iniziare a soppesare che cosa avrebbe dovuto fare a
quel punto, e tutto ciò che gli venne in mente fu semplicemente chiedere di
rimando, e con voce resa piuttosto acuta dall’incredulità «E lei chi è??»
L’uomo
spostò lo sguardo su di lui in particolare, senza cambiare espressione, anche
se Danny avrebbe giurato che uno dei suoi sottili sopraccigli grigio-biancastri
fosse stato sul punto di sollevarsi un poco.
Ma
fu Uther a parlare a quel punto. «È chiaro, dev’essere il nostro agente del
karma cosmico. Visto? Ha funzionato perfettamente.».
Danny
avrebbe potuto pensare che Uther fosse impazzito per tirare fuori del sarcasmo
in quel momento, ma lo conosceva abbastanza da riconoscergli nel tono quella
punta di amarezza sinceramente alterata che ne tradiva appena l’intento di
minaccia e il semplice sfogo di esasperazione.
L’ometto
spostò lo sguardo su Uther e abbassò un poco la testa in avanti, fissandolo al
di sopra degli occhialetti, mentre rispondeva con calma e non minore capacità
ironica «Oh, potete chiamarmi semplicemente Mordecai.»
Soundtrack: State of the nation (Industry)
Note dello scribacchiatore:
Dovrebbe essere tutto a posto. L’avevo
riletto/ricontrollato tempo fa questo capitolo e in queste settimane proprio
non riesco a fare un altro check-up di sicurezza, quindi… in caso di
strafalcioni chiedo venia.
Il titolo di questo capitolo mi è saltato
in mente una volta come presa in giro delle cosiddette ‘esperienze pre-mortem’, e inoltre vuole essere un gioco a specchio con
qualcosa che vedremo nei prossimi capitoli ;)
E… le chiacchierate tra membri dei ‘4 di picche’ rimangono sempre tra le parti che più mi piace
scrivere di queste storie.
Al prossimo capitolo!