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Autore: KiarettaScrittrice92    13/05/2017    2 recensioni
Juliette e Arno sono i due portatori dei Miraculous della Coccinella e del Gatto Nero. Lei è una nobildonna di buone origini, lui il capitano dei moschettieri del re.
Durante la loro battaglia contro Comt Ténèbre e l'imminente rivoluzione francese, scopriranno il loro folle e passionale amore.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Makohon Saga'
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Lo sbaglio
6 Maggio 1789

Arno oltrepassò il cancello che conduceva ai giardini.
Era nervoso, sentiva il cuore martellargli nel petto furioso, non si era mai sentito così e questo lo spaventava e eccitava allo stesso tempo.
Iniziò a percorrere il largo viale che portava al centro dei giardini. C'era comunque qualche nobile o qualche semplice invitato che, annoiato dalla festa, si era recato lì per respirare un po' d'aria fresca e poter chiacchierare in tranquillità, ma nessuno si era spinto oltre il viale, per scendere i due scalini che portavano ai veri e propri giardini.
Solo una persona si trovava vicino alla grossa fontana circolare, poco più in là: era di spalle, ma nonostante ciò il ragazzo riconosceva in quei capelli castani perfettamente acconciati e in quella figura posata ed elegante nel suo adrienne verde acqua, la donna che stava cercando.
Aumentò il passo, raggiungendola. Era talmente assorta nei suoi pensieri, mentre scrutava l'acqua cristallina della fontana, che non si accorse del suo arrivo.
«Che ci fa una così bella fanciulla tutta sola?» chiese alle sue spalle.
La vide fremere un attimo, probabilmente perché l'aveva presa alla sprovvista, ma sicuramente aveva riconosciuto la sua voce, perché si voltò lentamente con un bellissimo sorriso stampato sul viso.
All'improvviso il cuore ricominciò a battergli forte, gli era bastato incrociare quegli occhi limpidi e ambrati per riuscire a percepire nuovamente l'agitazione e l'ansia; inoltre il sorriso che gli rivolse era talmente dolce e incantevole da lasciarlo senza fiato.
«Attendo un certo capitano che ha detto voleva vedermi.» rispose con voce tranquilla e aggraziata.
«Non avete idea di quanto lo volessi, mademoiselle.» rispose lui, avvicinandosi a lei e avvolgendola con il braccio, per fare in modo di spingerla ancora di più verso di sé, lei però a quel gesto si stizzì e frapponendo entrambe le mani tra i loro corpi lo allontanò con una leggera spinta.
«Sta iniziando a prendersi un po' troppe libertà, capitano. – disse con un tono di rimprovero, molto più autoritario del solito – Conosco la sua fama e ho capito le sue intenzioni, quindi...» non poté finire la frase, perché lui le bloccò il resto delle parole, posandole bocca sulla sua e zittendola.
A quel gesto Juliette spalancò gli occhi stupita. Come si permetteva quell'uomo di baciarla, con quale pudore e coraggio osava oltraggiarla in quel modo, senza nessuna richiesta, senza nessuna intenzione verso un minimo di corteggiamento. Si allontanò quasi immediatamente e, dopo qualche attimo di stupore e sconcerto, senza nemmeno pensarci alzò la mano e la scagliò sul suo volto.
Lo schiaffo arrivò forte, quasi quanto il suono che aveva emesso, mentre la guancia iniziò a pulsargli dolorosamente.
«Con quale diritto ha osato baciarmi? – inveì lei, non era un grido acuto e sgradevole, anzi anche mentre urlava la trovava sempre molto posata e affascinante, ma quella nota di delusione nella sua voce fu abbastanza da farlo sentire un verme – Pensa forse che io sia come una delle sue sgualdrine che può zittire non appena parlano troppo?» quelle parole sembrarono spilli nel suo cuore, l'avevano ferito. Fosse stata un'altra donna avrebbe ignorato quelle ingiurie e si sarebbe arreso nel suo tentativo di conquista, ma lei era lei e non poteva ignorarla.
«Juliette io…»
«Dimenticatemi capitano!» disse quasi in un sussurro per poi allontanarsi.
«Mademoiselle Ponthieu, la prego... – disse tentando di fermarla, afferrandola per il polso – Mi lasci spiegare...»
Lei si voltò e quegli spilli diedero nuove fitte al suo cuore nel vedere quel viso delicato e gentile solcato da una lacrima, sul lato destro.
«Spiegare cosa capitano Pierre? I suoi gesti sono stati abbastanza espliciti.» disse, cercando di liberarsi dalla presa.
«Non volevo... Lei non è assolutamente come le altre donne... Io...» non sapeva cosa dire, le parole sembravano bloccarglisi in gola e non voler uscire per nessun motivo.
Si sentiva male, si rendeva conto di averla delusa e forse aveva sprecato la sua unica occasione per riuscire a conquistarla. Non le aveva chiesto di vedersi lì per quello, non le aveva mandato quella lettera per poi sprecare quell'occasione in quel modo, eppure l'aveva fatto. In realtà non era assolutamente nelle sue intenzioni baciarla, non a quel modo, non al loro solo secondo incontro, ma il suo istinto aveva deciso per lui. Aveva visto le sue labbra, rosee e corpose, probabilmente per merito di qualche cosmetico, e non aveva capito più niente: improvvisamente aveva sentito l'impulso di assaporarle, assaggiarle, sentirle sulle sue e l'aveva fatto. Ed ora era rimasto scottato dalla sua stessa impulsività.
«Glielo ripeto capitano, dovete dimenticarmi...» a quel nuovo avviso le lasciò il polso, sconfitto dalla realtà, deluso da se stesso e forse anche consapevole che se avesse insistito avrebbe solo peggiorato le cose.
Appena fu libera gli diede nuovamente le spalle e se ne andò via, percorrendo lo stesso viale che aveva attraversato lui pochi minuti prima.
«Mai!» sussurrò seguendola con lo sguardo.
No, non avrebbe potuto dimenticarla, neanche se avesse voluto: quella nobildonna dai movimenti aggraziati, dalla voce calma e autorevole e dal caratterino irrequieto era entrata nella sua vita come un uragano, occupando ogni singolo angolo della sua mente senza nessuna possibilità di pensare ad altro.
Purtroppo però era impossibile per lui avere un momento libero per lasciarsi andare allo sconforto. Sapeva bene che quel giorno non si era recato a Versailles per incontrare lei, o meglio aveva approfittato dell'occasione, ma quel giorno il suo compito era un'altro.
Fece un grosso respiro e uscì dai giardini reali, per poi dirigersi alle stalle e recuperare il suo cavallo. Ci avrebbe messo non più di cinque minuti ad arrivare all'Hôtel des Menus-Plaisirs, perfettamente in tempo per radunare i suoi uomini e gestirli in modo che l'assemblea degli Stati Generali, indetta dal re due giorni prima, e che si sarebbe svolta l'indomani, potesse procedere senza interruzioni di alcun genere. Non sapeva esattamente in cosa consisteva l'assemblea e d'altronde non era nemmeno suo diritto saperlo, lui aveva solo il compito di presidiare la struttura con i suoi uomini.
Quando arrivò lo accolsero due suoi sottoposti che, appena smontò dalla sella, presero le briglie del cavallo salutandolo rispettosamente e dicendogli che il resto degli uomini lo stavano attendendo nel cortile interno dell'edificio.
A quell'informazione lasciò il cavallo alla custodia dei due soldati, che lo avrebbero scortato fino alle stalle e oltrepassò il cancello in ferro battuto, di cui era aperta solo un anta, che dava proprio sul cortile. Al fondo vi erano una decina di uomini nella loro divisa rossa e blu, che appena lo videro si misero in fila sull'attenti, con il moschetto, l'arma che una volta attribuiva il loro nome, sul lato destro. Si fermò a pochi passi da loro e, prima di parlare, li squadrò uno per uno.
«Bene soldati, – cominciò con quel tono autoritario che usava solamente quando doveva parlare ai suoi uomini – domani, qui, alla Sala dei tre Ordini, si raduneranno la nobiltà, il clero e i deputati e ci saranno sia il re che madame Maria Antonietta. Ora sicuramente non sarà un compito difficile, ma ho bisogno che siate impeccabili nel vostro lavoro di presidio, sono stato chiaro?»
«Sì, capitano!» risposero all'unisono i suoi uomini, rimanendo perfettamente sull'attenti.
«Bene, allora ci vediamo qui domani mattina alle nove.» disse, e non appena ebbe avuto nuovamente la conferma dei suoi commilitoni, diede loro il permesso di rompere le righe.
A quel punto lui si diresse lentamente verso l'interno dell'edificio, raggiungendo velocemente la camera che l'Hôtel des Menus-Plaisirs aveva riservato esclusivamente a lui per quella notte, dopo aver chiesto la sua locazione ad un domestico.
Non appena raggiunse l'elegante stanza e si chiuse la porta alle spalle, il piccolo kwami nero poté uscire dal suo nascondiglio nella giacca blu del suo padrone.
«Arno dov'è il mio camembert?» furono le sue prime parole.
Il ragazzo allora sollevò la cloche che stava sul tavolino a lato della stanza, scoprendo un vassoio fornito di un'intera forma di quel formaggio maleodorante, già tagliata in piccoli pezzi. Lui stesso, non appena saputo del ruolo assegnatoli dal re, aveva fatto in modo di mandare una missiva in modo da far trovare il cibo per Plagg già in camera.
Senza nemmeno un fiato si buttò sul letto, con tutti gli stivali, gli occhi rivolti al soffitto, ma lo sguardo perso nel vuoto.
«Arno, tutto a posto?» chiese preoccupato lo spirito della sfortuna, avvicinandosi a lui con un triangolino di camembert tra le zampette.
Lui però non rispose, i pensieri e i ricordi di cosa era accaduto nemmeno un ora prima continuavano a tormentarlo fastidiosi: continuava a vedere il suo viso deluso solcato da quella singola lacrima, a sentire quelle parole cariche di risentimento, a percepire disgusto verso se stesso per ciò che aveva fatto e tutto quello faceva male, un male indescrivibile, anche peggiore di una lama che trafigge la carne.
Plagg non gli chiese più nulla e lui rimase per quelle che gli sembravano ore con quella sgradevole sensazione, finché Morfeo non lo prese tra le sue braccia.

  
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